giovedì 25 agosto 2016

Colloqui con Mussolini, di Emil Ludwig

Mussolini!
Chi era quest'uomo?
Lo si conosce troppo poco, raramente si sente parlare di lui. Lo si considera come un pezzo di storia da dimenticare. Eppure, il compito della storia è proprio quello di ricordare, per insegnare, e si impara dagli errori come dai successi.
Mussolini commise errori ma non solo.
Il libro di Ludwig, risultato di una serie di interviste al dittatore fascista, tenute tra il 23 marzo e il 4 aprile, mette a nudo Mussolini, prima dei tragici errori che l'hanno condannato di fronte alla storia.
Il libro ha, a sua volta, una storia particolare. 
Mussolini prima ne approvò la pubblicazione, poi se ne pentì e lo emendò. La versione che ho appena terminato di leggere è quella integrale. Cosa lo spaventò? Forse leggere il suo pensiero messo a nudo dall'abile scrittore?
Ludwig con la sua intervista riesce a scoprire alcuni aspetti dell'uomo allora più potente d'Italia e forse d'Europa.
Conoscendo la storia, anche quella successiva all'intervista, ci si può chiedere come mai Mussolini, messo in guardia sugli errori compiuti da alcuni famosi suoi predecessori (Ludwig fa spesso riferimento a Cesare e Napoleone) sia comunque caduto negli stessi errori.
Ludwig porta il dittatore a pensare ai grandi temi del mondo.
La guerra: cosa pensa Ella della guerra? Potrebbe essere una delle domande di Ludwig (e lo fu, seppur formulata diversamente!).
La guerra è una scuola di vita, "oltre a tutto il resto, si impara la difesa e l'attacco", fu la risposta del Duce.
Napoleone, a cosa è dovuta la sua rovina?
"Con l'Impero ebbe inizio la decadenza! La corona lo costrinse sempre a nuove guerre [..] ogni impero ha il suo zenit. Poichè si tratta sempre di una creazione di uomini sia pure eccezionali, le cause del tramonto vi sono già insite."
E che cosa pensa Mussolini del socialismo e del nazionalismo, le due anime della sua vita? E dell'Europa? E cosa pensa degli italiani, della massa, del popolo e di come lo si deve guidare?
A cosa serve la rivoluzione? E cosa deve essere fatto dopo, per mantenere i risultati raggiunti?
La sala del Mappamondo di Palazzo Venezia, nel 1932, fece da contorno all'incontro tra il grande statista, Mussolini, e il grande scrittore, Ludwig. 
Forse in qualche modo anche il luogo ha avuto la sua influenza e leggendo il libro ci si può sentire testimoni di fronte alla storia.

Un libro da leggere tutto d'un fiato e che scopre al lettore alcuni aspetti poco noti di Mussolini, uomo e duce.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 21 agosto 2016

Notizie dal futuro (20 gennaio 2019)

Ancora una volta il presidente del consiglio di turno, un piemontese stavolta, pone il veto sul passaggio della legge elettorale.
Dopo il referendum di novembre 2016, dal quale il governo Renzi uscì sconfitto a larga maggioranza, il nuovo governo non aveva più avuto bisogno di usare il veto.
Evidentemente qualcosa sta cambiando e anche il movimento è diventato come i partiti che combatteva!

A.R.

sabato 20 agosto 2016

Narni, antica città Umbra

Oggi decidiamo di visitare l'antica città di Narni, in Umbria.

Un tempo il suo nome era Narnia, città romana, prima ancora Nequinum, insediamento Osco-Umbro. I Romani la presero nel 299 a.C. e le cambiarono nome.
Nel 30 d.C. vi nasce l'Imperatore Romano Nerva e la città, nonostante il tempo, ha un'aria aristocratica.

Girando per le strade si intuisce che la città è stata importante. 

Gli stemmi nobiliari sovrastano le porte di molti antichi edifici.
Le chiese ricordano le famiglie dei papi e dei signori locali.
Un tempo antico, sembra che a Narni vi fosse un porto. Alcuni stemmi infatti ci fanno pensare ad imprese marinare.
Le chiese sono ricche di tesori dell'arte italiana, di tutti i tempi.

Sculture e pitture inestimabili stanno al loro posto, da secoli.

Purtroppo alcune volte il tempo dimostra la sua forza ma senza portarne via completamente la bellezza.
 
Oggi, girando per le strade, di tanto in tanto si sente qualcuno che suona, entrando nelle chiese non è difficile trovare qualche ragazzo che suona il violino, in compagnia del suo insegnante. 

L'ambiente è infatti adattissimo a sviluppare la giusta confidenza che il musicista deve avere con il suo strumento.
Più tardi, nel XIV secolo, viene costruita la Rocca di Albornoz, nobile e difensore del territorio papale.

La Rocca è ancor'oggi bene conservata e sovrasta la città, come a volerla proteggere.

Anche per oggi la gita è finita, andiamo via con nel cuore le immagini di una piccola splendida città.
Per cui vi saluto, amici, alla prossima!
 

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 18 agosto 2016

D’Annunzio e Gramsci profeti a Fiume

Disertori in avanti, così definì Filippo Tommaso Marinetti gli autori dell’impresa fiumana capeggiati dal poeta Gabriele D’Annunzio. Poco meno di tremila legionari fuoriusciti dal regolare Regio Esercito occuparono, nel settembre del 1919, la città di Fiume e la dichiararono italiana. Pietro Badoglio, che in quel periodo era stato nominato dal Governo Nitti Commissario Straordinario per la Venezia-Giulia li dichiarò disertori e ne voleva la testa. Si sfiorò una guerra civile in un territorio, quello fiumano, che veniva annesso al Regno d’Italia senza che il Re e il Governo lo volessero, tra l’altro D’Annunzio diede a Fiume una costituzione repubblicana scritta dal leader del Sindacalismo Rivoluzionario Alceste de Ambris. Fiume, dopo la Prima Guerra Mondiale, essendo a maggioranza italiana, divenne territorio di contesa sull’onda dell’irredentismo italiano che aveva contribuito alle ragioni stesse dello scoppio della guerra. Alla fine del conflitto, la Conferenza di Parigi stabilì che Fiume non poteva essere Italiana, e a molti nazionalisti italiani questa decisione non piacque, perché contraddiceva uno dei principi della Conferenza stessa, quello della “Autodeterminazione dei Popoli”. D’Annunzio si fece portavoce di questa contraddizione e con i suoi legionari occupò Fiume.
Perchè questa vicenda ci porta ad Antonio Gramsci, dato che D’Annunzio e Gramsci militavano su fronti molto diversi?
D’Annunzio, borghese, di destra, nazionalista e successivamente vate del fascismo poco sembrerebbe avere in comune con Gramsci, operaista, di sinistra, internazionalista e fondatore successivamente del Partito Comunista d’Italia. Per capirlo dobbiamo partire da alcune considerazioni e dalla figura di Alceste de Ambris, colui che scrisse la Costituzione della Fiume italiana.
Gramsci non ha mai disprezzato ne la borghesia nel suo profondo ne l’Unità d’Italia, certo lui da sinistra pensava ad una società diversa da quella borghese e monarchica uscita dal processo dell’Unità d’Italia. Gramsci voleva più protagonismo per le classi subalterne soprattutto per i braccianti del sud che, a suo dire, erano stati traditi dal Risorgimento. Tuttavia Gramsci vedeva nella Borghesia una classe emancipata ed evoluta rispetto alla classe parassitaria dei nobili e vedeva nell’Unità d’Italia comunque un progetto di emancipazione e una opportunità anche per la classe operaia. Nell’impresa di Fiume Gramsci vede esplodere tutte le contraddizioni della monarchia, della borghesia dominante e del processo unitario. La quasi guerra civile che sembrava esserci tra d’Annunzio e il governo Italiano testimoniavano l’incompiutezza del processo risorgimentale, e la fragilità della classe dominante. D’Annunzio, dal canto suo, affidò la costituzione della Reggenza Italiana del Carnaro – così si chiamò la repubblica italiana di Fiume - ad un Repubblicano e fondatore del sindacalismo rivoluzionario, il socialista Alceste de Ambris. La Costituzione di de Ambris (nota come Carta del Carnaro) superava di molto lo statuto Albertino in termini rivoluzionari, termini cari anche ad Antonio Gramsci. Riporto qui due degli articoli più significativi, della carta del Carnaro, perché a ben vedere assomigliano molto alla nostra attuale Costituzione Repubblicana:
« Art. 2 - La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta, che ha per base il lavoro produttivo e come criterio organico le più larghe autonomie funzionali e locali. Essa conferma perciò la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione; ma riconosce maggiori diritti ai produttori e decentra, per quanto è possibile, i poteri dello Stato, onde assicurare l'armonica convivenza degli elementi che la compongono. »
 
« Art. 5 - La Costituzione garantisce inoltre a tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, l'istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l'assistenza in caso di malattia o d'involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l'uso dei beni legittimamente acquistati, l'inviolabilità del domicilio, l'habeas corpus, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abuso di potere. »
Sembra la nostra costituzione, anzi essa si porta avanti, prevede addirittura il salario minimo garantito. Queste posizioni che evidentemente venivano dal repubblicano e socialista de Ambris colpirono l’attenzione di Gramsci. Gramsci sembra scorgerci le soluzioni ai problemi del processo unitario così come li aveva intravisti anche lui. Gramsci cercò di incontrare d’Annunzio, ma non fece in tempo (in realtà non lo sappiamo per certo), l’esperienza fiumana finì presto. D’Annunzio ritornò su posizioni di destra che lo portarono a sostenere Mussolini, Gramsci uscì dal Partito Socialista per andare verso posizioni più radicali e fondare il PCd’I . Sullo sfondo resta la figura poco nota di Alceste de Ambris. De Ambris fu antifascista, ma restò nel Partito Socialista Italiano, si trasferì a Parigi per scampare al fascismo, anche se Mussolini, che da giovane condivideva le stesse idee di de Ambris, cercò di portarlo nel partito fascista. In Francia de Ambris si adoperò per fondare la LIDU (Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo) ma morì a soli 60 anni. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1964, alcuni Socialisti e Repubblicani con una sottoscrizione fecero tornare la salma in Italia – oggi sepolta a Parma – e sulla lapide hanno fatto scrivere: "Alceste de Ambris - scrittore-tribuno-combattente per la libertà e la giustizia. Licciana 1874 - Brive 1934".

Alessandro GHINASSI

mercoledì 17 agosto 2016

San Gemini

Poche parole e molte foto per questa visita a San Gemini, nei pressi di Terni, il borgo dell'acqua.
 Chiesa di San Giovanni, costruita su un antico tempio a base ottagonale
 Caratteristica osteria al torchio
 Il Duomo di San Gemine

 Piazza San Francesco
 Chiesa di San Francesco

 Palazzo del comune
Chiesa di Santa Maria de Incertis

Alessandro Rugolo

martedì 16 agosto 2016

Papa Francesco tra crisi dell’occidente, guerra e Misericordia.

Papa Francesco forse verrà ricordato come l’uomo della misericordia, che è anche il tema del suo giubileo anomalo. Il giubileo di Bergoglio è diffuso in tutto il mondo, non è Roma-centrico, ed è anche un giubileo protratto nel tempo, perché è previsto per un anno ma che probabilmente vedrà le porte giubilari aperte per molto più tempo, forse  per sempre o chiuse solo dopo la morte del Papa.
E’ un giubileo senza enfasi, sommesso, e quindi  ricondotto alla sua origine di pellegrinaggio (inteso come l’uomo che cerca) e il primo pellegrino è stato proprio Bergoglio che è andato personalmente ad aprire molte delle porte giubilari, anche in terre dove si estende al minaccia islamista come nel cuore dell’Africa. Ma l’atto di misericordia più duro il Papa l’ha dovuto fare recentemente, invitando i mussulmani a pregare nelle chiese cattoliche e a ricordare che l’islam non è solo violenza. Le critiche per questa posizione al Papa non sono mancate, da una parte c’è chi sostiene che la lingua “affilata”(per non dire biforcuta) del gesuita Bergoglio è un abile strumento per insidiare la barbarie dell’Islam, dall'altra c’è chi sostiene che questo “buonismo” rischia di essere  funzionale al disegno islamista, considerato altrettanto subdolo. Per fare un discorso più attento, in realtà, occorre ricondurre il problema alla individuazione della crisi di civiltà a cui noi assistiamo in questo inizio di millennio. Non è semplice, perché le questioni aperte sul tavolo sono molte.
 
 
La crisi economica.
A differenza di quello che si percepisce in realtà siamo di fronte ad una crisi petrolifera, nel senso che il petrolio non vale più nulla, nonostante il conflitto con il Califfato e le contrazioni della produzione, il prezzo del greggio non sale. Per la prima volta nella sua storia contemporanea l’Arabia Saudita, ad esempio, ha dovuto contrarre la spesa pubblica, e questo comporta sicuramente un problema per i paesi produttori con la conseguente scelta di campo e probabili simpatie per il Califfato.  Sulla crisi monetaria si è parlato molto, sia delle cause che dei rimedi, Draghi ha fatto più di un miracolo, ma di fatto non riusciamo a far circolare moneta in occidente e in particolare in Europa, con la conseguente depressione della produzione industriale.  Anche la scelta della Gran Bretagna di uscire dall’euro è sicuramente legata alla necessità per quel paese di fare circolare più moneta, paradossalmente la stessa necessità che ha la Grecia.
 
La crisi dei valori dell’occidente.
Pretesto o meno, il disprezzo verso i nostri valori e lo stile di vita dell’occidente è sicuramente la leva più usata per il reclutamento del Califfato. Un disprezzo che serpeggia anche tra chi islamico non è. Noi occidentali stessi abbiamo difficoltà a riconoscere i nostri valori costitutivi e ad accettare la complessità della vita moderna. L’impoverimento diffuso, soprattutto della classe media e la crisi del lavoro portano alla crisi delle istituzioni democratiche e di rappresentanza con la conseguente crisi degli organi intermedi, quali i sindacati, i partiti, le associazioni di categoria e quelle culturali, con l’unica eccezione del volontariato religioso ma anche laico. Tra i valori democratici dell’occidente c’è il rispetto dell’individuo, sancito con la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma che oggi è minacciato dalla questione dei migranti e di tutti i problemi che la questione della migrazione porta nella convivenza quotidiana. Il caso più eclatante della crisi dell’occidente è sicuramente la Turchia. Un paese, la Turchia, che in breve tempo, da esempio positivo di occidentalizzazione si è trasformato in un regime al limite del dispotismo, che mette in crisi il senso e il ruolo della NATO stessa. Trump ha definito la NATO un inutile orpello. Anche se si considera il tentato golpe turco un fatto inaccettabile, occorre capire come è stato possibile che in questo ultimo decennio la Turchia si sia avviata verso un situazione pre-dittatoriale.
 
 
Questo è lo scenario di crisi che anche Bergoglio si trova ad affrontare, uno scenario quasi da “collasso” di una civiltà, ed egli vuole, al di là delle considerazioni strategiche che si possono fare, conciliare i valori cristiani di cui la misericordia è un cardine fondamentale, con i valori della modernità e della laicità, senza essere modernista e laicista. Questa è la grande visione di Papa Francesco, in una situazione di involuzione egli non vuole uno scontro di civiltà tra cattolici e laici, e non vuole neanche uno scontro di civiltà generico con l’islam, anche in questo senso va capita la missione della misericordia. Egli infatti circoscrive le questioni non in base alle questioni banalmente religiose o banalmente politiche e se è necessario bacchetta pure la chiesa al suo interno, ma al contrario smussa i conflitti fuori e dentro la chiesa, cerca di conciliare e non di dividere, sembra ricordarci in ogni momento il detto evangelico: “pace in terra agli uomini di buona volontà”. Questo forse è lo scontro di civiltà che Papa Francesco ritiene utile combattere, tra chi è uomo di buona volontà e chi non lo è, indipendentemente se sei cristiano, laico, ebreo o mussulmano. Ovviamente la Difesa non fa teologia ed ha le sue prerogative stringenti e inderogabili – fa un altro mestiere –, ma dovrebbe apprezzare comunque la lezione di Bergoglio. Perché noi vinceremo questa guerra anche se capiremo di essere dalla parte giusta, e la parte giusta non è quella dei cattolici contro i laici, dell’Occidente contro l’Oriente, ma è quella della misericordia e della tolleranza contro l’intolleranza e il disprezzo per l’Uomo e l’Umana Famiglia.

Alessandro Ghinassi

lunedì 15 agosto 2016

Badoglio, di Silvio Bertoldi

Il Maresciallo d'Italia dalle molte vite.

Così recita titolo e sottotitolo.
Pietro Badoglio, nominato Maresciallo d'Italia il 25 giugno 1926!
Bisogna ricordare che il grado di Maresciallo d'Italia fu istituito nel 1924 da Mussolini per rendere onore a Cadorna e Diaz, che avevano comandato durante la 1^ Guerra  Mondiale.
Poi lo stesso Mussolini utilizzò il grado come ricompensa per alcuni Ufficiali Generali che si erano particolarmente distinti (sempre durante la Grande Guerra!), tra questi, nel '26, Pietro Badoglio.
Ma cosa fece di così sensazionale Badoglio?

Pietro Badoglio nasce a Grazzano Monferrato il 1° settembre 1871. Entra all'Accademia Reale di Torino nel 1888 e due anni dopo inizia la sua brillante carriera militare.
L'autore, Silvio Bertoldi, afferma che Badoglio faceva parte della Massoneria e che ciò gli consentì in una certa misura di avere sempre qualche carta sicura da giocare.
Di fatto, all'ingresso in guerra dell'Italia (il 23 maggio 1915 dichiara guerra all'Austria-Ungheria) Badoglio è Tenente Colonnello, assegnato allo Stato Maggiore della 2^ Armata, presso il comando della 4^ Divisione, allora alle prese con il problema della conquista del Monte Sabotino, postazione fortificata degli austriaci, a difesa di Gorizia, città che dal 1500 circa faceva parte del territorio austriaco. 
Nel mentre Badoglio avanza di grado. Nel maggio del 1916 viene promosso Colonnello e ricopre l'incarico di Capo di Stato Maggiore del IV Corpo d'Armata.
Il Sabotino era la spina nel fianco del Generale Montuori, Comandante della IV Divisione. Da un anno si cercava di dare l'assalto alla postazione senza però riuscirvi. I soldati erano scoraggiati.
Secondo la testimonianza del Generale Montuori fu proprio Badoglio che spiegò come fare:
"Usando il sistema delle parallele, come mi è stato insegnato alla Scuola di Applicazione di Artiglieria e Genio. Il Sabotino è una fortezza e bisogna attaccarlo nel modo classico di operazione contro fronte rafforzato."
Non tutti concordano sul fatto che sia stato Badoglio l'ideatore del piano, sta di fatto che fu proprio lui che ne raccolse i frutti. Sembra comunque certo che in qualità di Comandante del 74° Reggimento di Fanteria prima, che operò proprio in preparazione dell'attacco al Sabotino, e poi come esterno per controllare il prosieguo dei lavori svolti dal 139° Reggimento della Brigata Bari e dai due Reggimenti della Brigata Lupi di Toscana, svolgesse un ottimo lavoro.
Il 6 agosto 1916 il Sabotino è preso.
Il comandante della 45^ Divisione è il Generale Venturi, Badoglio è il Comandante della Brigata mista che compie l'attacco. Finito l'attacco Badoglio se ne tornò al VI Corpo d'Armata, dove era Capo di Stato Maggiore. Il Comandante della Divisione lo avrebbe voluto punire per non aver proseguito l'azione in profondità. Il Generale Capello invece lo propose per una promozione al Duca d'Aosta, Comandante della III Armata.
Badoglio, a 45 anni, è nominato Maggiore Generale.

Nel 1917 prende parte alla battaglia della Bainsizza prendendo il posto prima del Generale Garioni (II Corpo d'Armata) e poi del Generale Vanzo (XXVII Corpo d'Armata), silurati da Capello.
Fa ciò che può e alla fine si ritrova ancora una volta promosso per meriti di guerra a Tenente Generale. Badoglio è ora al comando del XXVII Corpo d'Armata.

Forse Badoglio aveva fatto carriera troppo velocemente, forse sopravvalutava le sue capacità di stratega, fatto sta che, proprio quando non dovrebbe fallire, arriva la sua caduta che si chiama Caporetto!

Dico che non avrebbe dovuto fallire perché aveva tutte le informazioni necessarie per vincere. Infatti il 20 ottobre 1917 un Ufficiale disertore si presentò sulle linee dell'Isonzo. Portava con se i piani d'attacco degli Austro-Ungarici. Si sapeva tutto, giorno, ora, dispositivo avversario e modalità d'attacco. Forse fu proprio quello il problema, si sapeva troppo e ciò spinse i Generali sul fronte a fare i loro piani e a dimenticare con troppa facilità che esiste una gerarchia.
Badoglio era tranquillo, aveva disposto le sue truppe come riteneva meglio (non come gli era stato ordinato di fare!) e aveva dato i suoi ordini, si era riservato la facoltà di dare l'ordine di tiro alle artiglierie. Forse aveva pensato di attirare il nemico in una trappola, nemico che secondo le informazioni note doveva passare proprio nel suo settore. Tra i nemici si trovavano anche i tedeschi e tra questi un giovanissimo Ufficiale, Rommel.
Fatto sta che il nemico sfondò il fronte esattamente dove tutti sapevano che sarebbe passato.
Badoglio, in vece che trovarsi sul fronte, sull'Ostri-Kras, da dove avrebbe potuto dare all'artiglieria l'ordine di sparare, si trovava arretrato sul Cosi.
Fu tagliato fuori dal suo Corpo d'Armata e non fu in grado di dare nessun ordine ne di sapere cosa stava accadendo sul fronte.
Il risultato lo conosciamo tutti. Il fronte fu sfondato e le truppe italiane si ritirarono (non proprio ordinatamente) fino ad arrivare al Piave.

Il libro di Bertoldi esamina con attenzione la battaglia di Caporetto attribuendo a Badoglio la sua parte di responsabilità e prosegue poi nel racconto della sua vita ricca di successi. Badoglio che da Caporetto uscì come un vincitore nonostante la disfatta, dovette godere di appoggi molto altolocati, il dossier contenente le accuse verso di lui sparì e così egli fu l'unico (e principale responsabile della disfatta) che si trovò promosso.
Eppure Caporetto non sarà  l'ultima disfatta di Badoglio. Prima vi fu la Grecia, poi la seconda guerra mondiale lo vede tra i principali responsabili della impreparazione dell'esercito al suo ingresso in guerra e quindi della completa impreparazione delle Forze Armate lasciate senza ordini successivamente all'armistizio dell'8 settembre 1943. Dalla caduta di Mussolini era lui il primo ministro, su incarico del Re.
Ma anche allora Badoglio ebbe modo di risollevarsi e andò a ricoprire la carica di presidente del Consiglio fino alla fine della guerra, messovi questa volta, forse, dagli Alleati che lo consideravano uomo di fiducia.
Nel 1944, all'età di 73 anni, terminava la sua fortunata carriera. 
Doveva vivere ancora a lungo, morirà infatti all'età di 85 anni, ma la sua fortuna l'aveva abbandonato e ciò che gli aveva dato in vita (fama, soldi, potere e famiglia), gli fu portato via negli ultimi anni.  
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

La carboneria in Italia: Byron cospiratore di Ravenna

Lord Byron, con mia grande sorpresa mi resi conto che il poeta era stato anche in Italia. Bologna, Venezia, Ravenna, Pisa e Genova le città principali nelle quali si intrattenne alcuni anni, poco prima di intraprendere la sua ultima avventura in Grecia.
A Bologna s'era affiliato alla Società Romantica, era quindi un Carbonaro. Il suo prestigio e i soldi lo ponevano al di sopra degli altri ed essendo Inglese i rischi della sua attività di cospiratore erano minori, forse perchè non si trattava di un inglese qualsiasi.
Il gruppo di Carbonari di Ravenna, detto degli "Americani" lo aveva eletto a suo capo.
E' forse questo il motivo per cui ha meritato di essere ricordato in un francobollo Italiano?

A Ravenna, nella casa dove abitava, ospite della sua ultima amante, organizzò un arsenale in cui raccolse 150 fucili e la polvere da sparo per la rivoluzione. Il Conte Guiccioli (marito della sua amante e padrone di casa!) non era molto contento. Vada per avere l'amante della moglie in casa, ma che questi si atteggi a rivoluzionario era troppo pericoloso anche per una persona della sua ricchezza e nella sua posizione.
Byron e il Conte Giuccioli erano oggetto di rapporti della polizia, che li descrivevano come pericolosi cospiratori.
Mentre però nella vita privata il buon senso gli mancava completamente, quando si trattava di cospirare, sembra che Byron fosse molto accorto. 
Era entusiasta, coraggioso, ma anche prudente e sembra che sin dall'inizio avesse molti dubbi sulle capacità organizzative dei cospiratori.
Pensava infatti che se i cospiratori italiani non fossero riusciti ad unirsi, non sarebbero arrivati a niente.
Così in effetti fu. Nel marzo del 1821 i napoletani insorti (alcuni mesi prima!) furono sconfitti dagli austriaci. Il Re ripudiò la costituzione che gli aveva appena concesso e tutto tornò alla normalità. Sulla scia di quella sconfitta vi furono repressioni in tutta Italia e la famiglia della sua amante fu costretta all'esilio, forse proprio per colpire Byron. 
Effettivamente l'allontanamento della sua amante raggiunse lo scopo di allontanare anche Byron che la seguì nel suo pellegrinaggio fino a Genova.
Le sue avventure carbonare erano terminate, non altrettanto si può dire della sua voglia di avventura che lo porterà a prendere le difese dei greci contro i turchi, cosa che mise in evidenza l'uomo d'azione (e gli fece però capire la vera natura umana!) ma gli costò la vita.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 14 agosto 2016

Cascate delle Marmore

Lasciamo la parola alle foto...

 penso che non ci sia bisogno di molte parole
 per commentare un luogo fantastico come le cascate delle Marmore
 tra querce, lecci e un ricco sottobosco
 rinfrescati dagli spruzzi d'acqua onnipresenti
 e incantati da splendidi paesaggi...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 12 agosto 2016

La guerra d'indipendenza greca: l'archistrategos Byron

La Grecia, terra antica, conosciuta per i suoi filosofi e poeti, primo tra tutti il grande Omero (chissà se poi era veramente greco!), tra il 1400 e il 1800 fu assoggettata all'Impero Ottomano. Questa parte di storia è da noi molto meno conosciuta.
Furono quattro secoli di lotta tra partigiani greci e occupazione ottomana, lotta cui presero parte anche stranieri, tra questi Lord Byron.
Lord Byron a Missolungi (Theodoros Vryzakis)


Byron pensò sempre di essere portato per l'azione.Se non aveva potuto seguire le sue inclinazioni, pensava, era colpa dei suoi problemi alle gambe, che forse lo facevano sentire inferiore agli altri.
Quando però nel 1823, stanco della vita tranquilla (e forse della sua ultima amante, la Contessa Teresa Guiccioli), ha l'occasione di prendere le difese di un popolo, quello greco, da tanti anni sottoposto alla occupazione degli Ottomani, sposa la causa senza riserve e vi mette a disposizione la sua mente, lo spirito combattivo e tutti i suoi averi.
Lord Byron seguiva da tempo le imprese di Alessandro Mavrocordato, uomo politico greco che  assieme ad altri patrioti greci, il 1° gennaio 1822, partecipò alla proclamazione dell'indipendenza.
Naturalmente Mavrocordato non era il leader della rivoluzione, ve ne erano altri e non si mettevano mai d'accordo (cosa che per certi aspetti assimila i greci agli italiani!).
Nel 1823 un greco, Luriottis, presentò le difese della causa di fronte al governo inglese. Un gruppo di politici inglesi cavalcarono l'onda della polemica e fondarono un comitato per l'indipendenza della Grecia. Ne facevano parte Geremia Bentham, Burdett,Hobhouse (amico di Byron), Kinnaird, Bowring e altri. Fu deciso di inviare un tal Blaquiere in Grecia per un'inchiesta. Blaquiere venne a sapere che Byron aveva annunciato diverse volte di voler tornare in Grecia e convinto che la fama del poeta avrebbe potuto servire a lui e alla causa, decise di invitarlo ad unirsi a lui.
Byron non riuscì a resistere alla tentazione, era proprio ciò di cui aveva bisogno: un motivo valido per fuggire dalla noia.
Il 13 luglio 1823 era a bordo dell'Ercole, il bastimento che l'avrebbe condotto in Grecia.Portava con se un piccolo seguito tra amici, animali, armi e munizioni (anche alcuni cannoni!) e soprattutto 50.000 dollari spagnoli, un tesoro per quei tempi.
La sera del 13 luglio l'Ercole salpò da Genova.
Byron non sarebbe più tornato, ma forse nelle profondità del suo animo lo intuiva. Ecco ciò che scriveva:

I morti si sono svegliati - e io dormirò?
Il mondo è in guerra con i tiranni - ed io dovrò inchinarmi?
La messe è matura - ed io esiterò a mieterla?
Non dormo più; la spina penetra nel mio giaciglio;
Ogni giorno una tromba risuona nel mio orecchio,
La sua eco nel mio cuore...
(Manfred)

Il 1° agosto l'Ercole arriva a Cefalonia dove si scoprì che Blaquiere, dopo averlo esortato di raggiungerlo, non l'aveva aspettato ed era tornato in Inghilterra.
Byron scoprì immediatamente che presso quella località, allora sotto il protettorato inglese, era considerato una celebrità, sia dagli inglesi di sua Maestà come dai greci che abitavano l'isola.
Tra i vari partiti in lotta scelse di appoggiare le operazioni di Mavrocordato, spendendo di tasca quattromila sterline per pagare gli equipaggi delle navi che l'avrebbero dovuto aiutare a rompere il blocco navale turco per raggiungere il suo partito in territorio greco.
Il 27 dicembre finalmente si decide a partire.

"Ho qualche speranza che la causa trionferà - scriveva - ma che trionfi o no, bisogna seguire le regole dell'onore rigidamente..."

Lungo il percorso furono attaccati dai turchi, il poeta riuscì a scappare e solo il 4 gennaio la flotta di Mavrocordato riuscì a ritrovarlo e condurlo a Missolungi: finalmente in territorio greco!

La situazione a Missolungi si dimostrò subito critica, non vi era organizzazione , nessun esercito, solo truppe raffazzonate e che non avevano alcuna voglia di combattere, inoltre, da troppo tempo erano lasciate a se stesse e le truppe che non sono tenute occupate impigriscono.
Mavrocordato vide in Byron una piccola speranza e gli offrì la carica di archistrategos.
Finalmente arrivò una parte dei rinforzi che attendevano. Il comitato di Londra aveva inviato Mr. Parry con alcuni uomini e dei cannoni. Si trattava di un sottufficiale, Byron e la causa dovettero accontentarsi, d'altronde oramai aveva capito che la sua era una causa persa. Era impossibile mettere d'accordo anche solo due persone della combriccola.
Il miglior alleato degli Ottomani erano proprio i loro nemici, i greci e gli alleati inglesi!

I preparativi per l'assalto a Lepanto erano quasi terminati, il giorno si avvicinava. I problemi erano sempre gli stessi, mettere d'accordo greci e alleati e per farlo doveva ricorrere spesso ai suoi soldi, ma lo faceva volentieri, forse rassegnato.

Il 15 febbraio del 1824 licenziò buona parte delle sue truppe, i sulioti avevano infatti chiesto di nominare Ufficiali una parte (cospicua) dei loro. Era la goccia che fece traboccare il vaso. Quel pomeriggio però si sentì male. Il viso era contratto e il corpo agitato da violente convulsioni. 
Il 9 aprile decise di fare una passeggiata a cavallo, nonostante il tempo preannunciasse pioggia. Al ritorno Byron stava male. Nei giorni seguenti la febbre salì. Byron stava sempre peggio.
La sera del 19 si sollevò un violento uragano, su Missolungi, come a salutare per l'ultima volta l'anima di quel poeta e uomo d'azione che era stato:

"Se rimpiangi la tua giovinezza, perché vivere?
Ecco il paese per una onorevole morte:
Scendi sul campo e da' la tua vita!
Cercati... una tomba di soldato
Che per te sia la migliore; guardati attorno,
Scegli il terreno e datti pace.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 7 agosto 2016

Visita a Subiaco - Abbazia di S. Benedetto e Sacro speco

Il posto è stupendo e non troppo lontano da Roma.
Subiaco si trova nella valle dell'Aniene.
Ci dirigiamo all'abbazia di San Benedetto; poco prima sulla strada si possono visitare le rovine di una villa di Nerone e l'abbazia di Santa Scolastica.
Arriviamo all'abbazia di San Benedetto e attendiamo l'orario di apertura godendoci il panorama.
 L'abbazia è stupenda, sembra aggrappata alla parete rocciosa.
  


L'abbazia è splendida!
I colori degli affreschi sono vividi, le immagini forti.
Immagini di morte sempre presenti.

Stupendi gli affreschi dei quattro evangelisti e degli angeli.

Il sacro speco è stato abitato da San Benedetto tra il 497 e il 500 d.C. Nel periodo che vi restò compì diversi miracoli, poi, per evitare problemi (tentarono di avvelenarlo diverse volte) andò via.

Anni dopo, intorno al 1200, ospitò un'altra figura molto particolare, Lorenzo, detto il Loricato.


Se accedete al Sacro Speco, la grotta che si trova oggi all'interno dell'Abbazia di San. Benedetto, a Subiaco, potrete vedere tra gli affreschi l'immagine di un uomo dai lineamenti nordici, sdraiato e immobile nel suo ultimo viaggio.
Vi potreste chiedere chi egli sia (cosa che io non ho fatto ma che ha fatto mia moglie per me!) e trovare anche la risposta: Lorenzo, il loricato.
Chi era quest'uomo? Oggi posso trovare il suo nome tra quello dei beati e il 16 agosto è la sua festa ma, un tempo, Lorenzo era un assassino.
Lorenzo era pugliese e, per quel che se ne sa, uccise una persona (alcuni dicono per errore, altri dicono che si trattò di un momento in cui l'ardore giovanile prese il sopravvento), il fatto ebbe un forte effetto sul suo spirito e lo spinse a cercare il perdono allontanandosi dalla società civile.
Lorenzo arriva così al monastero di Santa Maria di Morrabotte, uno dei piccoli monasteri organizzati da San Benedetto alcuni secoli prima, li visse all'interno di una grotta aiutando chiunque chiedesse conforto e vivendo in modo frugale, da penitente, per tutta la vita, fino al 1243, anno della sua morte. Il monastero di Santa Maria di Morrabotte ospitò le ossa del loricato fino al 1724, quando vennero spostate al Sacro Speco.
Da allora la storia di Lorenzo il Loricato si confonde con quella del più noto San. Benedetto e i miracoli dell'uno si aggiungono a quelli dell'altro nell'immaginario collettivo e se si visita la Cappella della Madonna, subito sotto il Sacro Speco, l'immagine colpisce il visitatore e il nome di Lorenzo riemerge dal passato.

Comunque sia andata, il posto val veramente la pena di essere visitato.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Don Giovanni o la vita di Byron, di A. Maurois

Potrei cominciare questo articolo parlando di come, qualche giorno fa, mentre sistemavo i francobolli, mi sia imbattuto in un piccolo francobollo italiano che celebrava il 135° anniversario della morte di Lord Byron.
Perché?
Mi venne subito da pensare che in effetti, essendo Byron uno dei più grandi poeti del mondo, avevo poco da stupirmi.
Quando la sera ripresi tra le mani il libro di Byron avevo un nuovo interrogativo in mente!
Lord Byron, ovvero George Gordon Byron, VI Barone dei Byron, nacque a Londra nel 1788, morì a Missolongi nel 1824.
Considerato uno dei più grandi poeti inglesi del tempo, visse una vita sempre al limite. Sempre combattuto tra il bene e il male, per vivere aveva bisogno di emozioni forti che ricercava nei viaggi e nelle relazioni amorose con le numerose amanti, tra queste, la più amata fu colei che più gli assomigliava, la sorellastra Augusta.
Il rapporto con la madre fu conflittuale,.Con il padre inesistente, i primi anni di vita non furono semplici e lasciarono un segno indelebile sul piccolo Byron come sulla madre.
Byron sentiva di essere fatto per l'azione, ma una deformità ai piedi lo costringeva ad una camminata strana che però non gli impediva di essere un ottimo nuotatore.
Ma Lord Byron fu anche un uomo politico, la sua carica gli dava diritto all'accesso alla Camera dei Lord.
Con mia grande sorpresa mi resi conto che Byron era stato anche in Italia. Bologna, Venezia, Ravenna, Pisa e Genova le città principali nelle quali si intrattenne alcuni anni, poco prima di intraprendere la sua ultima avventura in Grecia.
A Bologna s'era affiliato alla Società Romantica, era quindi un Carbonaro. Il suo prestigio e i soldi lo ponevano al di sopra degli altri ed essendo Inglese i rischi della sua attività di cospiratore erano minori. Il gruppo di Carbonari di Ravenna, detto degli "Americani" lo aveva eletto a suo capo.
E' forse questo il motivo per cui ha meritato di essere ricordato in un francobollo Italiano?

A Ravenna, nella casa dove abitava, ospite della sua ultima amante, organizzò un arsenale in cui raccolse 150 fucili e la polvere da sparo per la rivoluzione.Il Conte Guiccioli non era molto contento. Vada per avere l'amante della moglie in casa, ma che questi si atteggi a rivoluzionario era troppo pericoloso anche per una persona della sua ricchezza e nella sua posizione.
Byron e il padrone di casa erano oggetto di rapporti della polizia, che li descrivevano come pericolosi cospiratori.
Mentre però nella vita privata il buon senso gli mancava completamente, quando si trattava di cospirare, sembra che Byron fosse molto accorto. 
Era entusiasta, coraggioso, ma anche prudente e ricco di buon senso e sembra che sin dall'inizio avesse molti dubbi sulle capacità organizzative dei cospiratori. Pensava infatti che se i cospiratori italiani non fossero riusciti ad unirsi, non sarebbero arrivati a niente.
Così in effetti fu. Nel marzo del 1821 i napoletani insorti (alcuni mesi prima!) furono sconfitti dagli austriaci. Il Re ripudiò la costituzione che gli aveva appena concesso e tutto tornò alla normalità. Sulla scia di quella sconfitta vi furono repressioni in tutta Italia e la famiglia della sua amante fu costretta all'esilio, forse proprio per colpire Byron. 
Effettivamente l'allontanamento della sua amante raggiunse lo scopo di allontanare anche Byron che la seguì nel suo pellegrinaggio fino a Genova.
Le sue avventure carbonare erano terminate, non altrettanto si può dire della sua voglia di avventura che lo porterà a prendere le difese dei greci contro i turchi, cosa che mise in evidenza l'uomo d'azione (e gli fece però capire la vera natura umana!) ma gli costò la vita.
Un ottimo libro, avvincente, nonostante gli estratti "poetici", non certo i miei preferiti, che mi ha permesso di conoscere Byron e, per il suo tramite, parte della storia italiana.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 5 agosto 2016

La popolazione della Sardegna secondo il Lilliu, 1200-900 a.C.: oltre 7 milioni di Sardi!

di Mikkelj Tzoroddu


- premessa
Ci siamo decisi a scrivere la presente nota perché ci serva quale viatico per un contributo più consistente che andremo a proporre di poi.

Il Lilliu Giovanni da Barumini è stata persona che si negò fin da subito, la possibilità di ritagliarsi un posticino nella ristretta cerchia dei più insigni studiosi della Sardegna. Dopo il liceo, gestito da religiosi nelle vicinanze della capitale, frequentò la Sapienza di Roma dove conseguì, con il Pettazzoni, il diploma “sulla religione sarda primitiva” e, tornato in Sardegna nel ’43, inopinatamente (causa il numero di docenti esiliati, oppure rinunciatari o trasferiti, che colpirono l’università di Cagliari) si trovò ad occuparsi fin da subito di paletnologia ed archeologia, senza verun didattico tirocinio tuttavia.
Nel suo percorso professionale, crediamo fosse malevola sua consigliera, proprio la iniziale scarsa dimestichezza con la materia, la quale lo indusse a dichiarazioni davvero paradossali sulla antichità sarda “lato sensu”: per lo (impreparato) studioso, la Sardegna ed i Sardi risultavano sempre relegati all’ultimo posto in qualsiasi ambito lui prendesse in considerazione. Al riguardo, si era creato una tal eccessiva inclinazione, che non smise mai di applicarne il metodo ai suoi resoconti, anche quando i dati che andava esprimendo cozzavano contro le fantasie che ne faceva risultare. Da orgoglioso e testardo, nonostante le mille occasioni avute, su temi che giudicava fondamentali, non volle mai correggersi, perché non s’ingenerasse l’idea che Lilliu Giovanni si fosse sbagliato, anche soltanto una o due volte nella vita!
Eppure, non era partito male. Mentre, sempre a Roma, prima del ‘41 studiava per ottenere la specializzazione in archeologia, nel copincollare da autori che andava memorizzando, così si esprimeva su quel mondo di nuraghi, tombe megalitiche, pozzi, villaggi di capanne: «una grande civiltà che ha sprigionato da sé vigorosamente […] forme molteplici ed elevate di vivere civile». Ed è, addirittura, positivamente propositivo, quando afferma che: «maestri di muro sardi recano, forse, nelle Baleari […] la forma e la struttura del nuraghe e della tomba di gigante […]». Salvo poi, retrocedere verso espressioni appiattite verso il basso: «E’ il periodo più brillante della sua storia, l’unico momento d’iniziativa cosciente della sua “razza afflitta”»![1] (nostra l’enfasi grafica)
Ecco il Lilliu, e la sua indole intrisa di cupo pessimismo che si esprime col nulla dar conto! 
Di seguito ci offre, invece, un chiaro esempio di quanto aleatoria fosse quella sua cultura, priva d’ancoraggio col mondo reale, che si compì solamente sui libri, senza mai concretizzarsi con una impegnativa ricerca sul campo: «[…] si collega in Sardegna […] anche tutta una serie di bronzi di uso e figurati […] bronzi i primi, colati in forme di steatite, forse delle rocce verdi di Corsica o delle Alpi Piemontesi»[2]. Stupefacente davvero! Perché, persino “i bambini” del Nuorese, conoscevano bene “sa preda modde” de Orane (Nu), per usarla nei loro giochi! Senza contare le altre località di possibile origine, quali Monte Plebi-Olbia, Poglina-Alghero, Illorai, Teulada, siti ad oriente di Cagliari e, forse, Mogoro e provincia Iglesias, nonché tanti altri.  
È facile, ora, risalire alla genesi del suo paradossale muoversi, semplicemente considerando quanto, al rientro dal Continente, fosse devastante per il giovane sardo che aveva trascorso gli anni belli e spensierati dei suoi studi nella città più importante d’Italia, il confronto con la realtà di casa propria.
Quì, non trovava una minima traccia delle tante grandiosità della Roma caput mundi: architettoniche e artistiche (il Colosseo, la basilica di S. Pietro col suo colonnato, la Cappella Sistina), edilizie (le stesse comuni abitazioni costituite da grandiosi palazzi di otto, dieci piani, con ascensore), relative ai trasporti (la stazione Termini con i suoi tanti convogli che contemporaneamente caricavano e scaricavano migliaia di viaggiatori d’ogni dove)! Il constatare come, tutto ciò che gli stava attorno, fosse minuscolo e “perdente” al confronto con la realtà d’oltremare, ebbe un impatto devastante con la sua immatura dignità di Sardo. Da quel momento, svilì tutto ciò che gli si andò parando davanti nel percorso dei suoi studi! Quelle sarde, minuscole e “perdenti” situazioni, esso portò stampate nell’intimo per molti decenni a venire! Purtroppo, cercò di esorcizzarne l’effetto, non evitando di dar conto di fatti i cui elementi non ben conosceva ma, in una sorta di auto fustigazione, esaltando la pochezza delle sarde cose che, il più delle volte, era creazione di sua stessa psiche!
Ed, ove saltasse fuori una situazione meravigliosa, come quella di Monti Prama, se ne stava abbattuto, rinchiuso entro i suoi personalissimi drammi, per almeno due anni, senza muovere un dito né un verbo: ciò che gli si presentava violentemente vestita di una culturale grandiosità senza pari, giudicava un terribile, inspiegabile, scherzo del destino!
Per molti anni avemmo grandi difficoltà nel percorrere il campo minato dei suoi resoconti, fatti di verità, nascondimenti della stessa con architettura di dati opposti, e relativa conclusione appiattita su espressioni che gettavano alle ortiche ogni minima possibilità di rendere luminoso il passato di Sardegna e Sardi!  Ci rendemmo conto, per la prima volta, essere certificata tale assurda modalità di procedere, nello studiarci il suo “La grande statuaria nella Sardegna nuragica”, Memoria presentata all’Accademia dei Lincei nel 1997, argomento che esso decise di trattare “a mente fredda”, essendo quasi trascorso un quarto di secolo dalla scoperta! Come dicemmo in altra sede, si evince ivi chiarissimamente, nonostante le reiterate contrarie argomentazioni, che esso fermamente, credesse doversi datare le Statue di Monti Prama ai secoli XIV - XI avanti Cristo!  Ma, esso giammai avrebbe potuto in modo franco esternare il suo pensiero, causa tutti i nascondimenti e sotterfugi perpetrati ai danni delle statue che erano lì a rappresentare la negazione lampante di tutte le sue “sarde minuscole e perdenti situazioni”!
Riguardo il presente argomento circa la popolazione, il risultato leggibile è occultato scientemente dietro mille paramenti che, se visti da un leggere attento che sia conseguente a quanto appena svelato, risultano attrezzati davvero ingenuamente, indispettendo il lettore, abituato ormai a decriptare lo svolgersi di sua non sempre elegante prosa.
Desideriamo altresì porre in essere (proprio in seno alla premessa), in modo estremamente chiaro, la seguente dichiarazione:
«Noi siamo in totale disaccordo con tutto ciò che viene raccontato da Lilliu Giovanni Baruminese sull’argomento Nurakes. Lo siamo su quella che riteniamo ridicola indicazione di metà II millennio a.C. per la nascita del Nurake. Dissentiamo sulla configurazione socio antropologica con cui ebbe ad etichettare il Nurake complesso. Reputiamo la errata definizione di villaggio, con cui qualifica  l’insieme abitativo posto in contiguità del Nurake complesso, chiaro frutto della mancanza d’un serio studio d’insieme».
La scarsa attitudine ad esprimere uno specifico studio dedicato alla dinamica struttura del Nurake risulta, con disarmante evidenza, dalla attenta lettura dei suoi libri e riallaccia la presente osservazione con quella esternata supra, ove si rileva la preparazione universitaria del Baruminese fosse ampiamente dedicata alla «religione sarda primitiva». La quale ultima materia egli dovette ascoltare ben più che le “mute pietre” del Nurake, allo studio delle quali non accompagnò molto del suo tempo. Ed, ove il lettore desideri accertare la veridicità di quanto testé espresso, può recarsi alle pp. 137-233 della Civ. Sar. ed. ’63 ed analizzare i contenuti dei capp. V e VI descrittivi del “nuragico arcaico e medio”. Ebbene, nelle quasi cento pagine, quelle dedicate “specificamente” allo studio dell’insieme organico di materiali e forze che interagiscono per la eternità del Manufatto, non arrivano “nella loro interezza” a superare le cinque! Vi si parla invece, con enfasi non poggiante su esame alcuno, di “età dei grandi costruttori”, di “età dei guerrieri pastori”, di “età della libertà sarda” (sembrandoci questa ultima, una sorta di programma elettorale in nuce: infatti, il nostro nel ’67 divenne consigliere regionale democristiano) che definiamo semplici amplificate esternazioni, valide sol perché: “su di esse vi passarono aliti dell’atmosfera delle grandi civiltà europee”! Invece, la gran parte dello spazio è riservato al descrivere luoghi funerari delineati come «cultura dei morti», quindi tipi di seppellimento, riti connessi con la deposizione, elencazione di corredi dei passati. Nella loro più varia ed estesa tipologia!
Tuttavia, proprio sull’argomento popolazione, avendo scoperto i numeri propinati dal nostro grandemente privi della necessaria forza persuasiva, ma essendovi degli studiosi sprovveduti e creduloni che ancor oggi fanno propri i numeri del Lilliu catapultandoli incautamente nei loro lavori credendo di scaricarvi uno scientifico afflato, abbiamo inteso dimostrare al mondo che vuol sentire, utilizzando fra i dati forniti dallo studioso soltanto quelli pregni di costante evidenza, che la popolazione della Sardegna nel periodo compreso fra 1200 e 900 a.C., cioè durante quella sua “Fase III nuragica”, non fosse affatto composta da 200/250 mila unità, com’esso declamò a partire dal 1982 fino all’ultima pubblicazione che di poco precede la sua morte!  
2- i dati
Età del Bronzo[3] 
2.1- Fase II nuragica: 1500-1200 a.C 
Ci si dice.
- Non ci sono serie difficoltà per ammettere che, nella Fase II, siano state costruite, se non tutte, la massima parte delle torri nuragiche sia quelle che rimasero allo stato d’origine nella forma elementare sia le altre arricchite, per lo più nella successiva Fase III, di corpi aggiunti di varia grandezza. Appunto, lo spazio di trecento anni fra 1500 e 1200 a.C., è tale da aver consentito di erigere gradatamente i “7000 e più nuraghi turriti”, diffusi in tutta la regione[4].
- Motivo delle singole torri a piani plurimi, oltre la monumentalità indicativa del potere, fu ottenere in elevazione lo spazio abbastanza carente in piano, negli stessi nuraghi di un certo respiro ambientale, come il Santu Antine; infatti, anche nelle torri a un solo piano con terrazzo, talvolta, si scompartisce in due sezioni orizzontali l’ogiva, per mezzo d’un solaio di legno; una soffittatura tutta di legno, poggiata su riseghe del vano-torre in corrispondenza ai due piani superiori, sostituiva per l’appunto la sovrapposizione di ogive in muratura del nuraghe Oes di Torralba.
- i nuraghi monotorre sono stati usati sempre come abitazione e difesa: edifici civili riservati ai capi e ai lori nuclei familiari opportunamente protetti da una proporzionata forza militare,  in vicinanza e a dominio del connesso e dipendente villaggio: in sostanza (riepiloghiamo) un nuraghe = un villaggio.            
Età del Bronzo
2.2- Fase III nuragica: 1200-900 a.C. 
Ci si dice.
- Il fenomeno più rilevante e caratteristico della fase III, è costituito dall’origine e dallo sviluppo del nuraghe complesso. In essa avviene la fusione della forma dello pseudonuraghe della Fase I con quella del nuraghe a torre cupolato, della Fase II. Ad una parte dei cosiddetti nuraghe monotorre, si aggiunsero altri corpi di costruzione, che li arricchirono sino a culminare in monumenti grandiosi e organici di architettura superiore: i cosiddetti nuraghi complessi. Le forme più elaborate e spettacolari di essi si producono con la addizione concentrica: la torre primitiva resta nel centro, o quasi nel mezzo. L’evoluzione formale si verificò lentamente (sic!), nel lungo spazio di circa 300 anni![5]
- Riguardo l’argomento “difesa”, il nuraghe di tipo Barumini permette il formarsi di un’idea chiara delle diverse fasce del sistema difensivo concentrico. In questo sistema di muraglie a gradoni, poteva manovrare e operava una guarnigione di 200-300 uomini (rif. Civ. Sar., 1963, p.251 e 1983, p.292). Ma, si dice anche che vi poteva agire una massa di circa 200 soldati (rif. Civ. Sar., 1988, p.507 e 2003 e sgg. p.586). Qui si prenderà per valido il dato: 250 uomini.
- Viene rilevato essere, la quantità dei nuraghi, compresa fra 7000 ed 8000; credendo di interpretare il pensiero dello studioso, e per posizionarci nel mezzo delle quantità indicate, prenderemo per buono il canonico dato: 7500 nuraghi sparsi per tutta l’Isola.
- Inoltre, viene fornito un dato di grande importanza per addivenire ad un conteggio attendibile:  i nuraghi complessi rappresentano il 28% del totale[6]. Da ciò, noi deduciamo che, nella Fase III nuragica, son presenti 2175 nuraghi complessi, mentre 5325 si contano essere i nuraghi monotorre.
- I nuraghi complessi, che dominano sull’abitato a contatto e su contadini e pastori con esso correlati, rappresentano il luogo del potere di piccole città-capitali che ospitavano monarchi militari estendenti il comando a limitati staterelli; essi risultano integrati in un sistema di nuraghi monotorre opportunamente distribuiti nel territorio. 
- Riguardo il possibile ampio ventaglio delle occupazioni lavorative della popolazione di tremila anni addietro in Sardegna, il Lilliu pare non avere dubbi! Infatti, esso così sentenzia: «Altrettanto problematico appare oggi esprimersi su quanto concerne lo spazio di “terreno coltivabile e di pascolo” costituente il patrimonio rurale di ciascun villaggio[7]»! Caro lettore! Altro che ampio ventaglio! Il Baruminese era sicurissimo, su questo punto! Il Sardo di tremila anni addietro, aveva soltanto due orizzonti lavorativi: il pastore, il contadino, fine! Ma come! Eppure, di sovente, ci apostrofa sentenziando che i Sardi avevano manifestato in varie epoche, compresa questa cui si rivolge ora, la innata predisposizione a generare i più arditi ingegneri delle costruzioni, i più mirabili architetti, i più saggi geometri, i più esperti “maestri di muro” i quali, così geniali, fa andare persino nelle Baleari ad insegnare agli “indigeni” a costruire nuraghi e tombe di giganti! Così magistralmente dotati, le tantissime migliaia, ma forse milioni, di Sardi dediti alle suddette discipline, da costringere il Lilliu ad affermare che essi: «in tre secoli soltanto, erano stati capaci di costruire SETTEMILANURAGHI»! 
- Infine, riguardo la superficie geografica che faceva capo al nuraghe monotorre, il Lilliu (portando un esempio da sette nuraghi con relativo agglomerato di case, dell’area di Mamujada-Nuoro), ne indica la estensione in 38 ettari. In questo, che è parametro cruciale per il calcolo della popolazione, troviamo deviazioni e nascondimenti inseriti, a bella posta, allo scopo di far naufragare il logico condursi d’ogni tentativo di comprensione razionale!  L’autore afferma essere l’area di pertinenza di tutti i succitati nuraghi, circa 270 ettari, avendosi di conseguenza «disponibili da parte di ciascun villaggio 38 ettari di terra per circa 35 abitanti; CIASCUN GROSSO GRUPPO FAMILIARE (10 PERSONE) GODEVA POCO PIU’ DI TRE ETTARI  per gli usi regolati dalla comunità»[8]. Subito il lettore percepisce una qualche soddisfazione per l’abbondanza di dati forniti! Verifichiamone la attendibilità.
3- analisi 
Iniziamo proprio dai dati riferiti all’area di Mamujada che vien presa in discussione solo casualmente, ma è propinata dal Lilliu quasi fosse il degno campione statistico sul quale poggiare una dimostrazione, il cui risultato debba rivelare la superficie, generalizzata, di pertinenza del Nurake e del suo villaggio.
Ora, aver la pretesa di stabilire un dato universale valido per tutto il continente Sardegna, presentando un misero esempio come questo evidenziato, che non è esito statistico, mancandovi raccolta e ordinamento di solidi dati e assenza delle cardinali connessioni, ma è parziale persino della stessa area “presa a campione”, getta nefasti dubbi sulla correttezza ed accettabilità dei calcoli del Lilliu! Pertanto, pur restando nello stesso ambito geografico, allargandone però compiutamente la visuale, per conto nostro diremo che:
- ove volessimo cogliere lo spazio che compete all’odierno comune di Mamujada, prenderemmo in considerazione tutta la superficie relativa che è pari a circa 4.900 ettari
- cercheremmo di venire a conoscenza del dato che riporti il numero dei nuraghi di pertinenza; scopriremmo[9] che tale dato si rivela essere pari a 33 nuraghi, relativamente ad una analisi sul territorio che tenne conto dei «nuraghi realmente esistenti o dei quali è stato possibile rilevare tracce convincenti, sia pure talvolta miserevoli […] (e di, ndr) quelli individuati con certezza attraverso il racconto degli anziani o dalla comune memoria anche se non più esistenti». E, nel far ciò, non ci si fermerebbe, come non ci siamo fermati, al primo dato che facilmente ci vien posto innanzi: «Nel territorio di Mamujada si contano oggi quindici nuraghi»[10], perché contrariamente a quanto pare pretendere il superficiale, raffazzonato resoconto del Lilliu, i comuni mortali ambiscono arrivare (per quanto possibile) a scoprire la reale sostanza di fatti, luoghi ed avvenimenti di cui si discute; e, sia detto per inciso, la differenza fra nuraghi visibili e nuraghi “realmente” esistiti, 15 contro 33, è davvero abissale! Ma, non si ha la minima pretesa di credere quei 33, certamente rispondenti alla reale quantità di quei monumenti costruiti nell’area! Il numero evidenziato è soltanto il punto di una ricerca lunga e paziente, portata avanti a vari livelli nel lungo volgere di un secolo, che peraltro siamo oltremodo sicuri non ci garantisca, il numero 33 rappresenti la certa verità! Per arrivare a ciò, v’ha necessità d’una specifica disciplina che, non solo non captiamo portata avanti, ma non vediamo neppure delineata nelle sue parti essenziali in neanche un solo progetto orientato esclusivamente allo scopo! Ci accontentiamo pertanto della disponibilità del dato al momento più correttamente plausibile: 33 Nurakes. Bene, con tale numero di nuraghi risulterebbe, il corrispettivo territorio di ciascuno di essi (per l’area di Mamujada), pari a circa 148 ettari, che è dato decisamente più veritiero dei 38 indicati dal Baruminese[11]. Si tenga anche conto che il conteggio testé prodotto è parziale anch’esso! Pertanto, non ci si può lontanamente azzardare a voler generalizzare i dati vagliati in questo procedimento.  Per chiarire, ma anche ampliare il nostro pensiero, poniamo in essere la seguente:
3.0.1- digressione
Attivando una valutazione (peraltro approssimativa) abbiamo trovato possibile essere stata la superficie della Sardegna con le sue isole, nei pressi dell’epoca considerata (1500-900 a.C.), vicina a 25.000 km2 ma forse più. Ora il numero inferito dal Lilliu, sulla quantità dei nuraghi alla data, era pari a 7500; detto numero gli è stato suggerito sulla base di ciò che altri ha rilevato in questi ultimissimi decenni. Ma, tremila anni fa, i nuraghi visibili saranno stati certamente in numero maggiore e per trovare detto numero (presumibilmente vicino al vero, nella misura in cui lo siano tutti i dati in giuoco) possiamo attivare una tanto banale quanto teorica operazione proporzionale, che metta in relazione superficie e numero dei monumenti. Parrebbe così, che i nuraghi visibili all’epoca fossero poco meno di 7.800; tale risultato ci conduce a considerare come, ciascun nuraghe (senza far distinzione di categoria), potesse insistere su una propria porzione di terreno pari, mediamente, a circa 320 ha.  In tale margine geografico, son compresi anche monti, fiumi, stagni, rendendo pertanto molto articolato e variabile il concentramento umano ivi assiso, che sarebbe orientato allo sfruttamento del relativo territorio di competenza, in funzione dei possibili pascolo, semina, sfruttamento minerario, navigazione e pesca marittima e non, commercio, ecc.,  incidendo le quali attività, sull’assetto imprenditoriale, collocazione sociale e disposizione  economica della comunità. A questo proposito, credendo di fare cosa gradita al lettore che desideri “vedere”, lo stato delle cose al di là delle parole, avviamo il tentativo a “disegnare” la ideale mappa del Nurake contenente gli elementi costitutivi del paesaggio vegetale della Sardegna. In linea teorica, rifacendoci ai dati estrapolati e messici a disposizione da Maurice Le Lannou[12], in “Pâtres et paysans de la Sardaigne”, datato al 1941, possiamo ricavare una possibilistica “composizione media” del territorio ascrivibile a ciaschedun Nurake (di quegli ha 320 teorici) che, soltanto in linea statistica, risulterebbe così composto:
- i pascoli, pari al 47,29% del territorio generale, coprirebbero oltre 151 ettari
- i terreni trasformati da attività agricola o pastorale, pari al 27,08%, coprirebbero circa 87 ettari
-  gli spazi cespugliosi (macchia), pari al 17,08%, risulterebbero coprenti ha 55 circa
- i boschi, che occupano il 5%,  coprono ha 16 circa
- gli spazi a presenza d’acqua (stagni, fiumi, laghi, acquitrini ecc.) e cime montane non identificabili col resto, pari al 3,5%, occupano ha 11,2 circa (essendo, questa ultima, porzione da noi inferita).
3.1- pesantissime incongruenze – parte prima
Bene, nel principiare solo ora la annunciata analisi, subito, è d’uopo ci si pronunci a chiare lettere su quella davvero inopinata, suddetta indicazione dei “35 abitanti per ogni villaggio”.
Poco prima[13] di infrangersi sui nuraghi di Mamujada il nostro, che sta trattando e descrivendo la “Fase III nuragica: 1200-900 a.C.”, così fugge via, lasciando con un palmo di naso il Buon Senso Comune:
«Purtroppo distruzioni operate dalla natura e dall’uomo o successive ristrutturazioni dei più antichi nuclei capannicoli non consentono di precisare la consistenza abitativa delle case. Quando i villaggi acquistano una stesura edilizia compiuta e definitiva (e ciò avviene nella Fase IV), vi si contano “da una decina a una sessantina e più di vani”. Supponendo che “cinque vani aggregati costituissero una casa con una decina di persone ciascuna” (tre generazioni familiari), si avrebbe una media di popolazione per villaggio da 10 a 60 abitanti (35 in media)»! Ovvero, sostiene incredibilmente il Lilliu, si avrebbe una media di case per villaggio da 1 a 6, (sic)![14]
Bene, caro lettore, con grande tranquillità e bontà senza pari, definiamo lo scritto qui sopra evidenziato, in questo modo:  NON ALL’ALTEZZA DI UNO SCIENTIFICO PROCEDERE! 
Ma, eseguiamo assieme disamina e coerente posizionamento dei dati forniti.
a)- Si dice: 1) nei villaggi si contano “da una decina a una sessantina e più di vani”, ed anche, “5 vani costituiscono una casa con dieci persone”. Se ne deve dedurre che i villaggi più piccoli sono composti da 2 case ed abitati da 20 persone; mentre quelli più grandi hanno 12 e più case, con 120 e più abitanti!  Pertanto, per seguirlo con le sue stesse parole, “si avrebbe una media di popolazione per villaggio da 20 a 120 abitanti” e non i 10–60 abitanti che esso propone con grossolano ardore sminuente!  Ma, sarebbe interessante si venisse a sapere che fine abbiano fatto tutti i villaggi con tantissime abitazioni, menzionati dal nostro a suo tempo[15]. E, a titolo di puro esempio, rammentiamo quello del Nuraghe Arvu – Calagonone, “composto da 114 capanne”! Oppure quello del grosso paesino montano di Ruinas – Arzana, presso l’omonimo nuraghe, “composto di 200 abitazioni circolari”.
b)- il sostenere, pur nella erroneità della proposizione, che “villaggi da 10 a 60 abitanti abbiano una popolazione di 35 abitanti in media per ogni villaggio” rappresenta, di per sé, una nefandezza metodologica ed una logica scandalosa, per di più unite ad una aritmetica prescolare!
Perché tutto ciò? Il Lilliu non intese mai seriamente impegnarsi, con tutta la sua anima di studioso e di sardo, nella ricerca del numero di abitanti della Sardegna! Per esso, il dato era del tutto insignificante, in quanto aveva già deciso nel suo insondabile io, che il numero finale sarebbe stato qualunque, purché il più basso possibile!
Infatti, da un eventualmente insigne scienziato, nonché strenuo studioso dell’archeologia nuragica che “dopo 60 anni di lavoro indefesso” avesse affrontato il computo, ci saremmo aspettati ci venisse comunicato: “il numero totale (abbastanza preciso) di tutti i villaggi e, nell’ambito di ciascun villaggio, il numero delle abitazioni e, dentro le abitazioni ed in funzione della loro tipologia, il numero di abitanti”! Fine!  A questo punto la semplice somma di tutti i dati parziali avrebbe fornito la verosimile quantità degli abitanti della Sardegna!
c)- per di più, supporre che “cinque vani aggregati costituissero una casa con una decina di persone”, cioè ospitanti due persone per stanza, può essere modello che ricalca una situazione socio-economica che verrà, semmai, raggiunta nel III millennio d.C.! Cioè TREMILA ANNI DOPO,  il momento di cui si discute!
Ebbene, ora sei tu tirato in ballo caro lettore: in quasi un quarto di secolo, fra la pubblicazione del 1988 e quella del 2011, il Lilliu non ha mai ritenuto opportuno correggere una sola, fra queste tante assurde nonché rozze discrepanze!  Sarebbe il caso te ne chiedessi il motivo!  Ovviamente i dati, per lo più cervellotici, destinati ad una cultura depressa non in grado di reagire, sono da noi presi e cestinati in buona misura.
3.2- pesantissime incongruenze – parte seconda
Ma ora, trasferiamoci su altra pubblicazione del tal Lilliu Giovanni e leggiamo cosa ebbe a scrivere in relazione allo “stesso, identico argomento”.
- BRANO DEL  1982[16]: l’autore discetta circa il numero dei nuraghi della Fase III nuragica: 1200-900 a.C., sostenendo che la loro quantità dovesse essere ben superiore ai 7000 indicati precedentemente. Indi, così porta avanti il suo pensiero: «Le ristrutturazioni, avvenute in periodo di tempo successivi per cause naturali e umane, dei più antichi nuclei d’abitazione, non consentono di precisare la consistenza quantitativa delle case, le quali, nella definitiva stesura edilizia, variano nel numero dalle 40 alle 200: ciò che fa ipotizzare una popolazione da qualche centinaio  a un migliaio e più di individui».
Desideriamo, il lettore ponga ben mente al preciso contenuto del brano appena riportato, perché intendiamo offrirne la interpretazione critica, che vorremmo mettere a confronto con quella che si evince dalla lettura del brano del 1988, già riportato ma, appresso esposto nuovamente acciocché se ne fruisca il subitaneo confronto visivo.
- BRANO DEL 1988: «Purtroppo distruzioni operate dalla natura e dall’uomo o successive ristrutturazioni dei più antichi nuclei capannicoli non consentono di precisare la consistenza abitativa delle case. Quando i villaggi acquistano una stesura edilizia compiuta e definitiva (e ciò avviene nella Fase IV), vi si contano da una decina a una sessantina e più di vani. Supponendo che cinque vani aggregati costituissero una casa con una decina di persone ciascuna (tre generazioni familiari), si avrebbe una media di popolazione per villaggio da 10 a 60 abitanti (35 in media)»!
NOTA - Prima di procedere, bisognerà tenere ben in vista quel che si disse nella premessa di questo articolato insieme di pagine: «obiettivo costante della dottrina lilliana è stata la dimostrazione della “piccolezza”, “insignificanza”, “puerilità”, “irrilevanza” di tutto ciò che riguarda i Sardi e la Sardegna». Ad amplissimo spettro, è d’uopo si aggiunga! E, la popolazione non poteva fare eccezione! Ove più povera d’abitanti risultasse l’Isola, più misera sarebbe risultata la sua statura storica! Perché, i “pochi” mai furono protagonisti, ma sempre oggetto passivo!  E, siccome il nostro si era accorto esservi alcuno, fra i pochi “senza anello al naso”, che aveva ben compreso da suoi resoconti, la popolazione della Sardegna risultasse molto, ma molto più elevata rispetto al numero drogato ch’esso andava dichiarando, ecco scattare l’operazione per soffocare numeri e vocaboli incautamente sfuggiti anni prima!
Orbene, s’inizi il confronto esegetico dei due testi.
a- 1982: «Le ristrutturazioni, avvenute in periodo di tempo successivi per cause naturali e umane, dei più “antichi nuclei d’abitazione”, non consentono di precisare la consistenza quantitativa delle case». 1988: «Purtroppo distruzioni operate dalla natura e dall’uomo o successive ristrutturazioni dei più “antichi nuclei capannicoli” non consentono di precisare la consistenza abitativa delle case».
Ecco, caro lettore, il primo esempio chiaramente distruttivo, ottenuto con la semplice, apparentemente innocua, sostituzione di vocaboli: gli “antichi nuclei d’abitazione” eccoli diventare gli  “antichi nuclei capannicoli”! Infatti, il vocabolo “abitazione” risulta oltremodo più grandioso (pur nella sua normalità), ma soprattutto più carico di modernità non disgiunta dalla ormai conquistata comodità, rispetto ad un misero “capannicolo”, che si manifesta talmente arretrato, scomodo, malmesso e umido, sistemato com’è nella più vetusta antichità tormentata dalle intemperie, da risultare essere persino l’antenato povero della signora “capanna”, ch’è pur certamente posizionata, nella scala del tempo, in un angolo ancora buio ed oltremodo più remoto del luogo ove la Fortuna sistemò la “nobile abitazione”!
b- 1982: […] la consistenza quantitativa delle case, «le quali, nella definitiva stesura edilizia […]».  1988:  «Quando i villaggi acquistano una stesura edilizia compiuta e definitiva (e ciò avviene nella Fase IV)».
Ricordi bene, l’attento lettore, che il contesto temporale in cui sono inserite le considerazioni tutte dell’autore, è esattamente questo:  «Fase III nuragica: 1200-900 a.C.»! Ed ora, se un qualunque autore di lingua italiana vada a produrre due frasi come le seguenti:  «la consistenza quantitativa delle case, le quali, nella definitiva stesura edilizia», congiunte come sono, dal pronome relativo, è letterariamente ineccepibile risultino sia la consistenza quantitativa delle case sia  la loro definitiva stesura edilizia, strettamente racchiuse all’interno del contenitore temporale del quale si vanno enumerando le caratteristiche!  In sintesi: si riferiscono entrambe alla suddetta «Fase III nuragica: 1200-900 a.C.»!  SENZA VI SIA NECESSITA’ DI ALCUNA PRECISAZIONE NEL MERITO!  
Ma, ove il malizioso lettore avanzi solo un dubbio sulla irreprensibilità della nostra dichiarazione, è il solerte Lilliu a smentirlo elegantemente!  Così: “Quando i villaggi acquistano una stesura edilizia compiuta e definitiva (e ciò avviene nella Fase IV)”!  Hai ben compreso malizioso lettore?  È lo stesso autore che fuga ogni tuo dubbio dicendoti (anni dopo) a gran voce: attento bene che, ove io desideri riferirmi a diverso periodo, lo scrivo chiaramente: “ciò avviene nella «Fase IV nuragica: 900-500 a.C.»”!  Pertanto, caro lettore da più lati continuamente offeso ormai, si manifesta anche nel presente caso b) che stiamo studiando, l’insano procedere del Baruminese che stigmatizziamo coerentemente di tal guisa:
«prendere un dato strettamente connesso alla Fase IV nuragica: 900-500 a.C., appartenente a un futuro cioè lontanissimo, e portarlo di peso a determinare la consistenza abitativa di un villaggio del 1200-900 a.C. che lo precede di mezzo millennio circa, CREDIAMO SIA ATTO DI DISONESTA’ SENZA PARI»!
3.3- pesantissime incongruenze – il “non plus ultra”
Ma, procediamo pure nella nostra entusiasmante analisi critica!
c- 1982: «(le case, nella definitiva stesura edilizia, ndr) variano nel numero dalle 40 alle 200».  1988:  «(relativamente ai villaggi, ndr) vi si contano da una decina a una sessantina e più di vani».
Subitamente si nota come, (forse) per ingenerare confusione, si sia provveduto a cambiare la unità di misura: nel 1982 ci si riferisce alla “casa”, nel 1988 si prende a misura “il vano”.  E poiché, una casa era composta di cinque vani ed era abitata da una famiglia di dieci persone ebbene, tramortiti dalla irraggiungibile aritmetica del Baruminese, apprendiamo come «i villaggi di 40-200 case», del 1982, siano diventati «villaggi di 2-12 case», nel 1988!  Che, sonoramente così titoliamo: La sminuente, vertiginosa caduta dei numeri!  VIENE OPERATO UN ABBASSAMENTO del numero delle case dei villaggi più piccoli DI VENTI VOLTE!  Ed UN ABBASSAMENTO del numero delle case di quelli più grandi DI OLTRE SEDICI VOLTE!  E, il nume di Barumini, non fornisce alcuna giustificazione di questo salto qualitativo e numerale! Ma, tratta i sacri dati che afferiscono all’antichità sarda, come fossero carte da gioco, che distribuisce al tavolo degli inconsapevoli lettori, facendo in modo che vinca sempre il banco! Cioè la sua perversa idea di una “sempiterna minima Sardegna”!
d- 1982: «(le case dei villaggi si contano dalle 40 alle 200: è, ndr) ciò che fa ipotizzare una popolazione da qualche centinaio a un migliaio e più di individui (rispettivamente, ndr)».   1988:  «Supponendo che cinque vani aggregati costituissero una casa con una decina di persone ciascuna si avrebbe una media di popolazione per villaggio da 10 a 60 abitanti»!
Ricordiamo quì (sforzandoci di non piangere) che il Lilliu Giovanni riporta (come già rilevato) dei numeri che affondano e scompaiono nella tinozza di sua svilente inventiva, essendo quelli corretti, pur nella ipocrisia della sua aritmetica: 20-120 abitanti!
Male! E, caro pur già distrutto lettore, qui è opportuno tu sappia che, la succitata determinazione del 1982, trae origine nientemeno dalla edizione del 1963! Ripetuta anche nella ristampa del 1983 della seconda edizione di Civ. Sar.[17]. Nelle pubblicazioni succedutesi in questo periodo l’autore, dopo aver trattato del “progresso dell’organizzazione sociale e dello sviluppo economico manifestantisi col costituirsi di numerosi villaggi fra i monti, sulle colline agricole, sui grandi altopiani dei pastori e in riva al mare”, così ci ammoniva: «Il numero delle capanne varia dalle 40 alle 200, costituendo, così, borghi “da cento a  mille persone” calcolate in 4 per capanna»!  Hai ben compreso, attento lettore?  Dopo questa data il nostro, pare alfin esser vittima di una razionale determinazione, perché si convince che «una casa dovesse, certamente, essere abitata da dieci persone»!
Questo salto da 4 a 10 abitanti per casa, peraltro, ci trova in perfetto accordo col Baruminese!
E, d’altro canto, a nessun sardolettore non giovanissimo, sarà apparso saggio il determinarsi il numero delle persone costituenti una famiglia sarda, pari ad appena 4 unità, come (in modalità presminuente, nel ‘63) ebbe a comunicarci il nostro! E, si badi ancora qui: nel nuovo testo “Civiltà Nuragica” del 1982 (come ricordato supra) esso riportò: «una popolazione “da qualche centinaio a un migliaio e più di individui”», correggendo il dato relativo al piccolo villaggio di 40 case, i cui abitanti fa salire “da cento a qualche centinaio” (cioè quattrocento); ma alzando soltanto di poco il dato relativo al grande villaggio, che da “mille persone” sale impercettibilmente a “un migliaio e più”!
Ben si comprende come, nel primo caso abbia adottato il più realistico parametro di “dieci abitanti per casa, o famiglia”, mentre nel considerare i grandi villaggi, abbia rinnegato lo stesso procedimento perché il risultato avrebbe portato gli ultimi ad assurgere quasi a delle città (che, per il vero, proprio lui chiamerà le «città-capitali»!), risultando abitate da 2000 persone ciascuna! La qual cosa risultò inaccettabile in funzione della sua caparbia filosofia sminuente.  
Ma, nel testo del 1988 ed in tutti quelli che seguirono, il Baruminese ebbe a dare al mondo che lo adorava,  il meglio di sé!
Altro che 400 e 2000 abitanti per villaggio e città! Egli azzerò tutti questi dati che cozzavano spietatamente contro il suo intento depauperante e, senza darne la minima giustificazione, gli servì un paio delle sue carte truccate, essendo il banco ancora il suo! In questa vilipendibile maniera:
«UNA MEDIA DI POPOLAZIONE PER VILLAGGIO DA 10 A 60 ABITANTI»!
Così è se vi pare!
4- il calcolo (nostro)
Prima si entri a pieno titolo nel merito del “corretto” conteggio della popolazione, è necessario ricordare che, gli ultimi trent’anni della sua vita, il Lilliu Giovanni da Barumini, volle dedicare a retrocedere la “sua” Sardegna così evoluta demograficamente della Fase III, avente cioè un numero talmente esorbitante di centri abitati da essere calcolati in 7500 (diconsi settemilacinquecento! E, si consideri che la italietta, ne conta oggi appena 8000 circa!), ad area geografica pressoché deserta! Quasi DISABITATA!
Cioè avente poco più di 9 abitanti[18] per km2! Si rammenti il presente in cui, la pur “davvero desertica” Sardegna, ha una densità di circa 68 abitanti per km2
Infatti, esso già (ed inopinatamente) nel testo Civ. Nur. del 1982[19], sparacchiò, prendendoli dal bussolotto, i seguenti numeri AVENTI IL COMPITO DI TRAVISARE TUTTA LA REALTA!
Questo il risultato:
«[…] ci sfugge il calcolo dello stato demografico dell’isola che, se fosse valida la supposizione della presenza d’una trentina di abitanti (ancora inferiori ai famosi 35!) in media sui 7.000-8.000 nuraghi e dimore pertinenti, oscillerebbe tra le 200 e le 250 mila unità».  Ohibò! 
Ebbene sì, caro lettore!  
Questo, il tuo amato Lilliu!  Ben capace di raccontarti una verità incomprensibile ma, altrettanto restio a lasciarti il tempo per razionali tue considerazioni, sollevandoti dal trauma di scoprire il vero assoluto! Eccolo allora, riversarti addosso la bugia definitiva, tombale, la quale sola tu debba tener a mente: LA POPOLAZIONE DELLA SARDEGNA E’ PARI A  250.000 PERSONE!
E cosi sia!
4.1- procedimento
Secondo l’autore, i nuraghi, nella loro totalità, sono in quel taglio temporale, circa 7500; di questi, ci si dice essere il 29%, cioè  2175, quelli complessi; pertanto calcoliamo in circa 5325 quelli semplici restanti (§ 2.2).
Ci viene anche detto che nei nuraghi complessi albergasse una guarnigione militare che poteva contare (come per Barumini) circa 250 soldati. Ci si avverte altresì, che i nuraghi aventi una sola torre, per lo più a piani plurimi (anche con soffittature lignee), fossero edifici civili riservati ai capi e ai lori nuclei familiari opportunamente protetti da una proporzionata forza militare,  in vicinanza e a dominio del connesso e dipendente villaggio. Osserviamo che, se nel caso di Barumini e complessi nuraghi, si ritengono necessari 250 soldati alla difesa, crediamo nel caso del nuraghe monotorre, possa forse ritenersi sufficiente un decimo di tale forza militare, cioè appena 25 soldati (essendo questo un dato da noi inferito).
C’è poi da ricordare che: «i nuraghi complessi, che dominano sull’abitato a contatto, e su contadini e pastori con esso correlati, rappresentano il luogo del potere di piccole «città-capitali» che ospitano monarchi militari estendenti il comando a limitati staterelli».
Ora, ciascuno di questi “staterelli” era composto: 1)  dalla città-capitale ove risiedeva un monarca, 2) da militari ed amministratori, 3) dagli abitanti (circa 2000), 4) dal suo proprio territorio, ma anche, 5) dal territorio altro, che mediamente comprendeva (da ricavo aritmetico) 2,448 nuraghi monotorre, con i rispettivi regoli con famiglia, militari ed abitanti di pertinenza.
Ebbene, ora ci interessa conoscere il numero totale dei componenti la famiglia del regnante e della sua corte, atti entrambi a governare lo staterello, cioè ad esprimere e far rispettare le sue indicazioni in termini legislativi, economici, di ordine pubblico. Non crediamo essere lontani dalla realtà se ne indichiamo in circa 80 il numero totale: 10 persone che formano strettamente la famiglia del re, 10 provenienti dalla famiglia della regina, 10 provenienti da quella dello stesso monarca, 30 che si occupano dei servizi “domestici”, altre 15 fra artigiani ed addetti tecnici al funzionamento della reggia in senso lato. Quindi la corte, composta da tre, quattro funzionari, ciascuno con un paio di addetti al servizio.
Ove si ritenga corretto il dato degli 80 abitanti del nuraghe complesso, quelli che afferiscono al nuraghe monotorre reputiamo vicini ai 20.
Pertanto, in osservanza di tali dati, avremo quanto segue.
POPOLAZIONE relativa alla città:
- 2000 nella città
- 80 nella reggia (dato di nostra inferenza) a)
- 250 soldati
Totale popolazione della città: 2330 abitanti
POPOLAZIONE relativa al villaggio:
- 400 nel villaggio
- 20   nel monotorre (dato di nostra inferenza)  b)
- 25 soldati (dato di nostra inferenza)  c)
Totale popolazione del villaggio: 445 abitanti
4.2- RISULTATO  FINALE
- abitanti delle città:   2175x2330 = 5.067.750
- abitanti dei villaggi: 5325x445   = 2.369.625
TOTALE DEGLI ABITANTI LA SARDEGNA nel periodo 1200-900 a.C.   PARI  A:
7.437.375    c.v.d.
5- considerazioni sul  Nurake
Ora siamo nella condizione di calcolare, mediamente ed in linea teorica, la quantità di superficie attinente ai nuraghi complesso e monotorre, servendoci dei dati su popolazione totale, popolazione del villaggio e popolazione della città.
In linea generale, sui 25.000 km2 di superficie di quella Sardegna che si sta analizzando, ogni abitante si riferiva ad un territorio pari ad ha 0,336. Pertanto:
- un nuraghe complesso con la sua città di pertinenza, agisce su una superficie di ha 783 circa.
- un nuraghe monotorre con il suo villaggio, svolge la propria attività su una superficie di 149,5 ha.
- il “territorio altro”, cioè l’area relativa ai 2,4 monotorre riferentisi al nuraghe complesso, risulta così caratterizzata:
POPOLAZIONE:
- 400 nel villaggio x 2,448 = 979
- 20 nel monotorre del regolo x 2,448= 49
- 25 soldati x 2,448 = 61
Totale popolazione dell’area comprendente i 2,4 monotorre: 1.089 abitanti circa.
Inoltre:
- lo “staterello” lilliano (cui non pertiene personalità ufficiale) risulta mediamente usufruire di uno spazio pari a: 783 + (149,5 x 2,448) = 1.149 ha circa; ed anche, risulta una popolazione dello staterello di 3.419 abitanti circa (essendo esso, soltanto un dato statistico).
6- considerazioni finali.
Come, l’attento lettore avrà notato, i dati che sono stati inseriti da noi perché mancanti da quelli indicati dal Lilliu in tanti decenni (segno evidente che mai esso ebbe desiderio di arrivare alla fine di un conteggio corretto),  sono quelli indicati con a), b), c).
Ebbene:
il dato a) non crediamo ragionevole far scendere al di sotto di 62
il dato b) reputiamo corretto non possa essere inferiore a 20 (in origine si era pensato a 25)
il dato c) riteniamo non sia ragionevolmente in discussione se confrontato al dato lilliano: 200-300 soldati per il nuraghe complesso, da cui deriva
In onestà, affermiamo che l’unico dato che, a malavoglia, acconsentiamo a diminuire è proprio il dato a).
In questa ipotesi il risultato finale sarebbe:    7.398.225  abitanti
mikkelj
I.A.- Sarà bene si ricordi come il dato che definisce la popolazione della Sardegna vicinissima ai 7.000.000 di abitanti, fu pubblicato sul saggio “kircandesossardos” nel 2008! In esso, il periodo di riferimento era posto circa un secolo dopo il momento in cui i Sardi permisero ai Romani di svolgere un’attività alle proprie dipendenze! (così avrete altro materiale su cui “crogiolare”!)
La strabiliante concordanza dei due risultati, provenienti da metodiche di calcolo decisamente disuguali è ricompensa, sì grandemente insperata, che va consegnata a quell’intimo guerriero “kircande”, che demorde giammai!


Mikkelj Tzoroddu


Note:
[1] G. Lilliu, 1941-42, Appunti sulla cronologia nuragica, in “Bullettino di Paletnologia Italiana ”, p.143, 153, 155.
[2] G. Lilliu, 1941-42, Bronzi preromani di Sardegna, in op. cit., p. 179.
[3]Si è rilevato, il contenuto delle varie dichiarazioni qui evidenziate, fondamentalmente, da due opere di G. Lilliu: 1) “La civiltà nuragica” del 1982, e ristampa 1987, Carlo Delfino, Sassari;  2) “La civiltà dei Sardi, dal Neolitico all’età dei nuraghi”, ed. 1963, e ristampa 1983 della seconda ed. Eri Rai, Torino; 2a) “La civiltà dei Sardi dal Paleolitico all’età dei nuraghi” nelle edd. 1988, Nuova Eri, Torino e 2003, Il Maestrale/ Rai Eri, Nuoro-Torino, e ristampe 2007-2011, Il Maestrale, Nuoro.
[4]Riff. Civ. Nur., 1982, op. cit., p.32; Civ. Sar.,1988, op. cit., p.318; Civ. Sar., 2003-2011, opp. cit., p.366. Perché si comprenda quanto l’autore fosse solito percorrere i bucolici pascoli della sua fantasia, proprio quì, potrà considerare l’attento lettore, come sarebbe stato possibile i 250.000 abitanti la Sardegna (che l’autore indicherà appresso) edificassero in così breve tempo i settemila e più nuraghi, soltanto nel caso fossero stati tutti dei superUomini dotati di  dieci braccia e dieci gambe, ma anche aventi ognuno un’altezza tra i cinque e i sette metri!  Chi lo volesse, potrebbe condurre altro lavoro, per evidenziare il numero esorbitante di sarda popolazione del periodo, semplicemente conteggiando il numero di ore lavorative necessarie a progettare ed erigere un solo Nurake, complesso e monotorre. 
[5]Riff. Civ. Nur., 1982-87, op. cit., p.62;  Civ. Sar., 1988, op. cit., p.357; Civ. Sar., 2003-2011, opp. cit., p.413. Noterà, anche il lettore meno smaliziato, come questa dei 300 anni sembri una formula magica, consacrata dall’uso fattone presso la corrente archeologica sarda, buona per tutte le stagioni! Ne siamo oltremodo convinti, causa il ritrovamento della stesso modulo, anche in uno scritto del 2005 di tale Ugas G., “l’alba dei nuraghi”, ove a p.79, ci si produce nella stessa musica, cambiandosi appena le parole: «Ovviamente non tutti i “proto nuraghi” furono costruiti contemporaneamente. Ma nell’arco di tempo di tre secoli, tra il 1600 e il 1330 a.C., essi ebbero un progressivo formidabile incremento numerico […]»!
[6] Vedasi p.357 di Civ. Sar. ed. 1988; p.413 di Civ. Sar. edd. 2003 fino a 2011.
[7] Vedasi p.365 di Civ. Sar. ed. 1988; p.424 di Civ. Sar. edd. 2003 fino a 2011
[8] Vedasi pp. 365-66 di Civ. Sar. ed. 1988; p.424 di Civ. Sar. edd. 2003 fino a 2011.
[9] G. Manca e G. Zirottu, 1999, “Pietre magiche a Mamoiada”, Ass. Folk Mamuthones e Issohadores “Peppino Beccoi”, Mamoiada-Nu, pp. 103-20.
[10] G. Manca e G. Zirottu, 1999, op. cit., p.103.
[11] Facemmo un’analisi tempo addietro sul vissuto di un’area geografica continentalesa: “appiccadura sa ‘e duos”.
[12]Chiediamo venia ma, forse per nostra incapacità, non riuscimmo a trovare una rappresentazione moderna altrettanto chiara ed esaustiva del tema che desideriamo visualizzare, nelle disponibili pubblicazioni statistiche.
[13] Vedasi pp. 365 di Civ. Sar. ed. 1988; p.423 di Civ. Sar. edd. 2003 fino a 2011.
[14]Non crediamo, caro lettore, sia mai esistito alcuno studioso che abbia osato definire “villaggio”, una singola abitazione!
[15]G. Lilliu, 1963, op. cit., p.196; G. Lilliu, 1983, op. cit., p. 230.
[16] G. Lilliu, 1982, e ristampa1987, op. cit., pp.80-81.
[17] La civiltà dei Sardi, dal Neolitico all’età dei nuraghi”, ed. 1963, p.196 e ristampa 1983 della seconda edizione p.231, Eri Rai, Torino.
[18] Su una superficie che reputammo vicina ai 25.000 km2 per l’epoca di cui si parla.
[19] A p.81.