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sabato 31 maggio 2008

Domani (2007)

Fissa un tempo che non esiste
L’immagine e le parole sono
La notte breve e il sogno
La strada segnata del ritorno.

Ascolta la casa e il silenzio
Non passa nelle porte aperte
Ristagna aspettando un sempre
L’ultima fila degli scaffali.

Guarda il tempo attraverso
Un ponte che non ho valicato
Profumi sulle siepi dipinte
Il fastidioso ronzio degli insetti
Sospingi l’attesa di ore
E finalmente l’amore
È il senso che dà la vittoria
Il domani esiste.

Giuseppe MARCHI

sabato 24 maggio 2008

Quando ero bambino...

Mi muovo tra i vicoli del mio paese, Gesico, ricordando...

Case piccole, di pietra, fango e paglia, ladini,
mi riportano nel passato...

Quante corse per quelle strade,
percorse, allora, da enormi mucche,
spaventose per me bambino...

La finestrella nella parete di fronte,
e il velo nero di una vecchietta che non conosco,
mi ricordano nonna Cenza,
col suo nero vestito e la sua vita triste...
e la sua morte...

Nuove costruzioni,
dove un tempo ce n'erano di vecchie
e piazze e cortili e chiese...
sette chiese per mille anime...

E l'asilo, maledetto e mai finito,
casa buona solo per uccelli...
sempre uguale, oggi come ieri!

E per le strade quasi nessuno,
come un paese che muore, lentamente...

Poi, l'estate, si rianima delle voci degli emigrati
che tornano a trovare i parenti,
bambini chiassosi corrono per le strade
sotto i lampioni, la sera...
di fronte ai grandi seduti sull'uscio,
sulle stesse sedie di legno e paglia
dei loro genitori e dei loro nonni...

E Gesico rivive...
per un istante lungo un'estate...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)

L'invasione

L'uomo guardava incredulo...
di fronte a se migliaia di esseri apparivano dal nulla, tutti diversi ma ugualmente mostruosi.
Vicino a lui un gruppo di ragni enormi si contendeva il teschio del suo vicino... dopo averlo staccato dal collo con un solo colpo d'artiglio, affilato come una falce...
Erano sempre più vicini e l'uomo continuava a fissarli, con gli occhi sbarrati e un filo di bava che colava dalla bocca... Li sentiva distintamente, come fossero enormi insetti, ripugnanti insetti dalle forme spaventose, con le loro zampette troppo cresciute...
Poi reagì, imbracciò il fucile e cominciò a sparare di fronte a se. Uno, due, tre colpi e poi ancora... tanto aveva una scatola di cartucce a pallettoni!
Li vedeva cadere a terra,... schizzi di sangue ovunque...
Poi, ecco, l'ultima cartuccia...
L'uomo caricò il fucile, ancora una volta... l'ultima!
Si portò la canna alla bocca...
Pezzi di cervello e ossa vennero proiettati violentemente sul soffitto...
Due bottiglie di whisky vuote sul pavimento.
Una famiglia sterminata a colpi di falce e di fucile.
Questo il risultato dell'ultima bravata di G, alcolizzato e tossicodipendente del quartiere...
Una strage!
Così riportava il titolo del giornale del paese, sulla prima pagina... il giorno dopo!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)

Nuraghes...

Mi aggiro silenzioso,
tra mura gigantesche di roccia scura,
testimoni di un grandioso, sconosciuto passato...

Varcata la soglia di pietra,
il silenzio mi assale e l'anima vola
come chiamata dalle ombre del passato,
il passato di un popolo misterioso...

Le torri cave, i nuraghes,
strumenti di viaggio nel tempo,
di colpo mi sento uno di loro,
anche senza conoscerli...

Sento sulle spalle millenni di civiltà,
ora scomparsi anche dai ricordi dai ricordi dei vecchi,
tanti sono...

Eppure li sento vicini,
percepisco la presenza delle loro anime,
prigioniere di quelle rocce possenti,
alla ricerca di chi un giorno
restituirà loro la storia
negata dal tempo e dagli uomini...

Nuraghes...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)

Il ritorno...

Scrivevo da anni sul gazzettino del paese, solitamente mi occupavo di cronaca ma certe volte mi capitava di intervistare qualche compaesano famoso... il sindaco, il prete... oppure il Comandante della locale stazione dei Carabinieri...
Qualcuno potrebbe pensare che il lavoro di un giornalista di paese sia noioso e, diciamo così, insulso... e, fino a quel momento anch'io la pensavo così!
Poi però qualcosa cambiò.
Un giorno si trasferì da noi un distinto signore, che chiamerò il signor P., di mezza età, ben vestito, gentile con tutti e molto riservato.
Comprò una vecchia casa nella piazza Roma, al numero 5, e la rimise a nuovo senza badare a spese...
Quando i lavori furono terminati i vecchi del paese, abituali frequentatori dell'unica panchina della piazza, cominciarono a mormorare... e ciò non era normale!
Da buon giornalista mi resi subito conto che qualcosa era accaduto, così un giorno, di buona mattina, mi sedetti su quell'unica panchina e stetti ad aspettare.
Non ci volle molto, infatti alle otto in punto i soliti tre anziani (uno dei quali era allora ultracentenario...) raggiunsero la loro solita panchina. Li salutai e loro mi salutarono quindi senza indugi chiesi di raccontare anche a me le novità del giorno... in cambio di un buon bicchiere di vino, naturalmente!
Ogni buon giornalista ha le sue armi nascoste ed i tre vecchietti erano la mia... già in altre occasioni mi avevano fornito notizie interessanti che poi avevo pubblicato sul giornale... ma questa volta sarebbe stato diverso, me lo sentivo...
Si guardarono in faccia, dritti negli occhi che ancora rilucevano tra le rughe profonde... poi abbassarono lo sguardo, immersi nei loro pensieri...
Io aspettavo in silenzio, avevo fatto la mia richiesta e ora non mi restava che aspettare, sapevo che sarebbe stato inutile insistere, anche loro avevano i loro tempi... se avessero voluto raccontarmi qualcosa l'avrebbero deciso loro e se non avessero voluto... beh, c'era poco da fare!
Passammo mezz'ora così, in silenzio, nessuno si muoveva ne parlava... passò ancora mezz'ora, li guardai... erano immobili e non sembrava avessero alcuna intenzione di parlare... peccato, pensai...
Mi alzai, salutai e mi voltai come per andarmene...
"Sezzidia!"
La voce era quella profonda di tziu Terenziu, il più anziano...
Ripresi il mio posto e attesi in silenzio... passarono altri dieci minuti, poi tziu Terenziu cominciò a parlare.
"Tu sei giovane e forse non puoi capire, forse non crederai a quello che ti dirò, ma sappi che è tutto vero...
In quegli anni io ero piccolo, avrò avuto dieci 0 dodici anni al massimo. Tutte le mattine venivo in questa piazza e mi arrampicavo lassù, tra i rami di quell'albero di limoni, lui era già vecchio allora. Mi appollaiavo tra quei rami come un gatto e aspettavo che arrivassero i miei amici per giocare a "pettiasa e cariccia"...
Quella mattina però non arrivava nessuno e io stavo per andar via quando vidi arrivare i grandi, da tutto il paese, armati di bastoni e forconi per il fieno...
Si fermarono in silenzio di fronte alla casa che tu vedi ora rimessa a nuovo. Il più vecchio del paese, tziu Antòi, uscì dal gruppo e poggiato a terra il bastone raggiunse la porta della casa, sollevò il pesante batacchio e colpì più volte. I colpi risuonarono per tutta la piazza, cupi nel silenzio più totale... poi tziu Antòi tornò al suo posto e aspettò...
Pochi minuti dopo la porta si aprì e ne uscì un uomo di mezza età, ben vestito, dalla voce gentile... li guardò in silenzio e loro guardarono lui... non c'era bisogno di parole ed infatti nessuno parlò! L'uomo di mezza età tornò in casa, senza chiudere la porta.
Passarono dieci minuti, credo, quando si ripresentò aveva con se solo una vecchia bisaccia di pelle sulle spalle ed un bastone nodoso nella mano sinistra...
Uscito, chiuse la porta alle sue spalle con una grossa chiave e si diresse verso la folla... mentre passava la gente faceva largo e abbassava lo sguardo come se si vergognasse...
Nessuno disse niente per tutto il tempo e, come erano arrivati, in silenzio tornarono alle loro case...
Poi arrivarono i ragazzi e giocammo a pettia e cariccia... come se niente fosse accaduto!
Ne è passato di tempo da allora, saranno novant'anni, e io sono diventato vecchio senza più pensare a ciò che avevo visto, senza capire cosa fosse accaduto, senza mai più rivedere quell'uomo. Nessuno si avvicinò mai alla casa, che invecchiò con me, e i protagonisti di quella vicenda stanno tutti molto meglio di noi. Poi due mesi fa è arrivato in paese il signor P. E' sceso da un tassì e si è diretto verso la vecchia casa, ha aperto la porta con la stessa grande chiave con qui era stata chiusa novant'anni prima ed è entrato... Io ero seduto in questa panchina e ho visto tutto, come novant'anni prima...
La stessa chiave, la stessa casa, la stessa persona...
Tziu Terenziu aveva finito il suo racconto... mi fissò per un attimo e poi abbassò lo sguardo. Mi alzai, salutai e andai via.
Il racconto mi aveva colpito e inquietato... secondo tziu Terenziu il signor P. era la stessa persona che novant'anni prima aveva lasciato il paese... assurdo! Pensai.
Passai dal bar e lasciai pagato il vino, convinto di aver buttato i miei soldi...
Il tempo passò, tziu Terenziu raggiunse i suoi avi alcuni anni dopo, alla veneranda età di cento sei anni e il signor P. continuava la sua vita ritirata... Poi anch'io sono invecchiato, oggi compio ottant'anni e non scrivo più sul Gazzettino del paese. Da qualche anno ho preso il posto di tziu Terenziu sulla panchina di piazza Roma e tutte le mattine saluto il signor P., quando alle 07.30 in punto esce per andare a fare colazione al bar, l'unico bar del paese...
Il tempo passa per tutti ma il signor P. è sempre il distinto signore di mezza età, ben vestito e gentile con tutti, sempre uguale al primo giorno che l'ho visto attraversare la piazza del paese per entrare nella sua vecchia ritrovata casa...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)

Nostalgia di Sardegna...

Lentamente ti allontani dal molo...

la nave trema sotto la spinta dei motori...

l'acqua ribolle dietro le eliche possenti!



Segni distintivi di una partenza, ancora una...

dalla mia terra triste e silenziosa,

arsa dal sole,

coperta di spine,

saccheggiata nel tempo,

vilipesa dall'uomo,

dimenticata dalla storia!



Sardegna,

terra antica,

coperta di rovine di un tempo dimenticato,

testimoni di ere lontane,

di uomini rudi,

di genti mortali di stirpe celeste...



Pensieri, solo pensieri,

mentre la nave si allontana,

la terra si confonde col cielo

per poi sparire dietro le onde del mare.



Solo pensieri, ti restano,

di quel cielo stupendo, pulito, azzurro, immenso...

e l'immagine di una quercia millenaria,

ultima testimone di quell'antica civiltà da cui provengo...



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)

domenica 18 maggio 2008

Socrate, Platone, Er e il giudizio delle anime

Da dove viene la conoscenza dell'Ade? E del Tartaro?

Da dove viene la credenza dell'immortalità dell'anima eterna e la reincarnazione?

Le religioni di tutto il mondo da millenni ci parlano dell'immortalità dell'anima... ma cos'è l'anima?

Io non lo so e nemmeno conosco le risposte a queste domande, però, leggendo la Repubblica di Platone, nel decimo e ultimo capitolo, mi sono imbattuto nel mito di Er, chiamato a raccontare cosa c'è nell'aldilà!

Ma lasciamo a Socrate e ai suoi discepoli la parola...

"Non ti racconterò certo un apologo di Alcìnoo, ma la storia di un valoroso, Er, figlio di Armenio, di schiatta panfilia. Costui era morto in guerra e quando dopo dieci giorni si raccolsero i cadaveri già putrefatti, venne raccolto ancora incorrotto, portato a casa e nel dodicesimo giorno stava per essere sepolto. Già era deposto sulla pira quando risuscitò e, risuscitato prese a raccontare quello che aveva veduto nell'aldilà...
Uscita dal suo corpo, l'anima aveva camminato insieme con molte altre ed erano arrivate a un luogo meraviglioso, dove si aprivano due voragini nella terra, contigue, e di fronte a queste alte nel cielo, altre due. In mezzo sedevano dei giudici che, dopo il giudizio, invitavano i giusti a prendere la strada di destra che saliva attraverso il cielo [..] e gli ingiusti a prendere la strada di sinistra, in discesa."

Ma non era ancora arrivato il momento di Er, che era stato scelto solo per vedere e raccontare tutto, al suo ritorno sulla terra.

"Liete raggiungevano il prato, per accamparvisi come in festiva adunanza. E tutte quelle che si conoscevano si scambiavano affettuosi saluti..."

E si scambiavano notizie dei mondi dai quali provenivano... gemendo e piangendo quelle che venivano dal Tartaro, felici e sorridendo quelle che provenivano dal cielo. Ogni cento anni di vita umana erano chiamate di fronte ai giudici che le indirizzavano verso il cielo o verso il Tartaro, in virtù della loro vita terrena. E passavano mille anni prima che potessero tornare sulla terra reincarnate in un nuovo essere. Nell'aldilà gli ingiusti venivano puniti per il comportamento tenuto in vita, così capitava che Ardieo, un tiranno della panfilia, colpevole di aver ucciso mille anni prima il vecchio padre e il fratello maggiore e di essersi macchiato di molte altre nefandezze scontasse ora le sue colpe...

"d'improvviso scorgemmo lui e gli altri, per lo più tiranni [..] e essi credevano ormai che sarebbero risaliti, ma lo sbocco non li riceveva, anzi emetteva un muggito ogni volta che uno di questi scellerati inguaribili [..] tentava di risalire. Lì presso c'erano uomini feroci, tutti fuoco a vedersi, che sentendo quel boato afferravano gli uni a mezzo il corpo e li trascinavano via, ma, ad Ardieo e ad altri avevano legato mani, piedi e testa, li avevano gettati a terra e scorticati, e li trascinavano lungo la strada, dalla parte esterna, straziandoli su piante di aspalato [..] e li conducevano via per gettarli nel Tartaro."

Uomini feroci, tutti fuoco a vedersi... Proseguendo il racconto di Er, e trascorsi sette giorni nel prato, le anime si mettevano in viaggio. Dopo altri quattro giorni giungevano in un luogo dal quale era possibile vedere una colonna di luce che univa il cielo alla terra:

"All'estremità era sospeso il fuso di Ananke, per il quale giravano tutte le sfere. Il suo fusto e l'uncino erano di diamante, il fusaiolo una mescolanza di diamante e di altre materie..."

Doveva essere uno spettacolo ben particolare...
Cosa fosse il fuso di Ananke o il fusaiolo non è ben chiaro! Potrebbe trattarsi di una rappresentazione del cielo e del sistema solare... magari di quello che in altre leggende è chiamato "mulino di Amlodi", ma in questo momento non ci interessa!
Poi il racconto prosegue e Socrate, dopo averci parlato di Sirene e Moire, le figlie di Ananke (Lachesi per il passato, Cloto per il presente, Atropo per il futuro) e delle melodie che esse cantavano, finalmente si torna alle anime:

"Anime dall'effimera esistenza corporea, incomincia per voi un altro periodo di generazione mortale, preludio a nuova morte. Non sarà un demone a scegliere voi, ma sarete voi a scegliervi il demone. Il primo che la sorte designi scelga per primo la vita cui sarà poi irrevocabilmente legato."

Dopo aver raccolto il numero che la sorte gli aveva assegnato, nell'ordine loro, erano chiamate a scegliere la vita che volevano vivere tra le vite di ogni genere umano e animale che vi si trovavano. Vi erano vite di tiranni, di ricchi e poveri, di tristi e felici, di virtuosi e non. Ogni anima sceglieva quella che più desiderava nell'ordine stabilito e, chi veniva dalla terra e aveva sofferto, sceglieva con cura, chi veniva dal cielo, spesso sceglieva velocemente!
Così tutte le anime si sceglievano la vita in cui si sarebbero reincarnate...
Poi tutte passavano sotto il trono di Ananke e giungevano nella pianura di Lete...

"Era una pianura priva di alberi e di qualunque prodotto della terra. Al calare della sera, essi si accampavano sulla sponda del fiume Amelete, la cui acqua non può essere contenuta da vaso alcuno. E tutti erano obbligati a berne una certa misura [..] via via che uno beveva si scordava di tutto. Poi s'erano addormentati quando, a mezzanotte, era scoppiato un tuono e s'era prodotto un terremoto: e d'improvviso, chi di qua, chi di là, eccoli portati in su a nascere."
Tutti avevano bevuto, ad eccezione di Er che, svegliatosi di colpo all'alba sulla pira s'era salvato per la seconda volta da morte certa.
Così, dicono, si sa quale sia il destino dell'uomo nel continuo alternarsi di vita e morte del corpo, e il perpetuarsi eterno dell'anima...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO