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mercoledì 15 agosto 2012

Norberto Bobbio: Elementi di politica

Politica...
un termine ricco di significati, anche in considerazione dei tempi che corrono!
Ma cosa significa "politica"?
Uno dei maggiori studiosi del campo in Italia è stato Norberto Bobbio, professore di Filosofia del Diritto e della Politica all'Università di Torino e autore di tantissimi articoli e opere sull'argomento.

Secondo Bobbio per politica s'intende:

          "l'attività volta a stabilire le regole e a prendere le decisioni destinate a rendere possibile la convivenza tra un gruppo di persone: una convivenza possibilmente pacifica all'interno e sicura all'esterno"

Al centro dell concetto di politica si trova quello del "potere", della gestione del potere. Sembra dunque che politica e potere siano due concetti strettamente legati. Usando un'altra definizione di politica questo legame è molto chiaro:

          "si usa il termine politica per designare la sfera delle azioni che hanno un qualche riferimento diretto o indiretto alla conquista e all'esercizio del potere ultimo (o supremo o sovrano) in una comunità di individui sul territorio"

ora credo sia più chiaro per tutti cosa si intenda col termine "politica".

Per Bobbio una società è ben ordinata se la distanza tra chi governa e chi è governato è bassa, per Bobbio la forma di governo che ha questa caratteristica si chiama "democrazia".

La democrazia dunque come miglior forma di governo. La democrazia dei nostri tempi, che è differente da quella degli antichi. Nella società democratica di Bobbio il cittadino ha una caratteristica fondamentale: è attivo!

          "La democrazia ha bisogno, più di qualunque altra forma di governo, di cittadini attivi. Non sa che farsene di cittadini passivi, apatici, indifferenti, che si occupano soltanto dei propri affari e delegano ad altri il compito di occuparsi degli affari comuni. La democrazia vive e prospera solo se i suoi cittadini hanno a cuore le sorti della propria città come quelle della propria casa, che delle città è soltanto una parte"

Cittadini attivi... per avere una democrazia sana.

Cittadini attivi, come in Italia?

Uno dei compiti dei cittadini attivi consiste nel controllare l'azione dei propri rappresenti e di sostituirli, nel rispetto delle regole, qualora essi non siano degni della fiducia accordatagli. Il buon governante è colui che si occupa del bene comune, il cattivo governante è colui che bada al bene proprio. Questo criterio è quello ancora "più diffuso di cui si serve l'uomo della strada per giudicare l'azione dell'uomo politico" diceva Bobbio, ma siamo sicuri che ciò sia vero?
Se cosi fosse i politici avrebbero vita difficile invece, eccoli là, sempre gli stessi, nonostante tutto!
Allora forse occorre rivedere certe convinzioni. Forse il cittadino, l'uomo della strada, è troppo simile al politico che lo rappresenta per avere la voglia di sostituirlo?
Forse è lo stesso cittadino, l'uomo comune, l'uomo della strada, come lo chiama Bobbio, che essendo troppo legato al proprio interesse si dimentica sempre più spesso di guardare al "bene di tutti" prima che al suo bene personale?

In antichità esistevano diverse forme di governo, alcune giudicate buone, altre cattive, la democrazia era tra le cattive perchè considerata come "il governo di molti a favore dei poveri", mentre ogni forma di governo buona è una forma di governo che mira all'interesse comune. Aristotele sosteneva ciò nella "Politica" e credo avesse ragione...

L'ultima domanda: la nostra democrazia ha come scopo ultimo l'interesse comune? E se la risposta fosse no, allora, siamo sicuri che la nostra forma di governo sia ancora la migliore?

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 12 agosto 2012

Krankenhaus


“Moritzingerstrasse”,

annunciava la voce semimetallica del bus, linea 10A, a Bolzano…

Era una calda giornata d’estate. L’afa contribuiva a togliere il respiro. Sul bus solo qualche occasionale viaggiatore, dovevano essere tutti in ferie per ferragosto.

Un passeggero era salito alla fermata di Piazza Domenicani, curvo dall’età e dal caldo.

Si era aiutato con le braccia per salire a bordo, forse il caldo gli toglieva quel poco di forze che ancora animavano il suo corpo.

Doveva avere almeno ottant’anni. Da giovane era stato alto e robusto, forse era stato uno sportivo o forse un agricoltore del luogo, un montanaro abituato alla durezza della vita di campagna. Le spalle erano ampie e ancora tradivano la forza che le aveva animate.

L’avevo osservato bene in faccia quando era venuto a sedersi al mio fianco. La pelle era grinzosa e macchiata, i capelli e le sopracciglia bianchi candidi, ancora folti. Le orecchie piccole erano coperte da un ciuffo di capelli arruffati, come se non si fosse pettinato la mattina.

Per il resto era ben curato.

La barba rasata di recente, le mani pulite, le unghie ben tagliate. Non fumava, non sentivo alcun odore di sigaretta. Gli occhi erano azzurri, profondi, un po’ tristi, come se sapesse di essere arrivato alla fine della corsa…

Indossava un paio di jeans puliti, non proprio nuovi, una taglia più grande del necessario, retti dalle bretelle. Una camicia chiara e un paio di scarpe in pelle, marrone. A tracolla portava un borsello di altri tempi, in pelle scura, che stringeva sotto il braccio.

Avevamo viaggiato fianco a fianco per tutto il viaggio senza dire niente. Io lo guardavo ma lui non mi vedeva. Soffriva ma non parlava, neanche un mugolio. Solo una smorfia di dolore, di tanto in tanto, quando il bus andava troppo forte per lui.

“Krankenhaus”, annunciava la voce sul bus… e quella fu l’ultima parola che il vecchio sentì.

Si accasciò senza forze sul sedile, il conduttore non si accorse di niente fino alla fermata successiva, quando fermò il bus di fronte all’ospedale, ma era tardi.

Io ero al suo fianco, quando spirò! Presi la sua anima per mano, lo consolai, gli spiegai cosa doveva fare e lo indirizzai sulla giusta strada… Mentre si allontanava veloce si girò un attimo, mi chiese chi fossi… chi doveva ringraziare.

Gli risposi che ero uno come lui, spirato sullo stesso bus… tanti anni prima.



“Europa Stadium”, già diceva la voce semimetallica…

ancora una corsa, ancora una…

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 11 agosto 2012

Scorci di Roma...

Roma ti stupisce sempre, anche quando l'hai visitata in lungo e in largo, anche quando pensi di conoscerla a fondo, basta un cielo particolare, un punto di vista differente, per farti stupire.


 uno spettacolo stupefacente...


Resti di colonne gigantesche incorniciano il Vittoriano, monumento costruito per celebrere il re Vittorio Emanuele II, conosciuto anche come Altare della Patria.


E poi, il Colosseo, anfiteatro Flavio, enorme e maestoso, terribile per il ricordo dei morti ammazzati per il divertimento degli Imperatori e del popolo romano!


e, poco distante, l'immenso arco di Costantino, inaugurato nel 315 per commemorare la vittori di Costantino I contro l'usurpatore Massenzio... guerre fratricide che col tempo portarono alla disfatta dell'Impero.


Ma anche chiese, spazi immensi, splendenti di marmi, ori e stucchi...


come la chiesa di San Paolo fuori le mura...


e la piramide Cestia, costruita in meno di un anno come sepolcro per Caio Cestio Epulone, realizzata in calcestruzzo e ricoperta di marmo...


Ogni angolo di Roma è fatto per stupire e per ricordare all'Uomo la grandezza di un popolo... quello romano!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO



venerdì 10 agosto 2012

Bolzano: Calici di stelle

Nella splendida cornice offerta da Palazzo Mercantile, nel centro di Bolzano, si è dato inizio al tradizionale percorso di degustazione dei migliori vini di produzione locale.
Alla presenza del Sindaco Luigi Spagnolli, del vice Sindaco Klaus Ladinser e delle autorità locali, allietati dalla musica della Banda Musicale di Dodiciville, per niente disturbati dalla leggera pioggia che ha voluto accompagnare la serata, il presidente dall'Associazione Lorenzinacht Hannes Rottensteiner e il presidente di Bolzano Turismo hanno presentato alcune tra le migliori bottiglie di vino della produzione del territorio di Bolzano.
I brindisi sono poi proseguiti sotto i Portici e  lungo le strade della città dove tutti i produttori hanno esposto i loro prodotti per la degustazione in un ambiente piacevole e ricco.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 9 agosto 2012

Carl von Clausewitz: Della Guerra


Ed. Oscar Mondadori
Burg, piccola cittadina tedesca della regione della Sassonia-Anhalt, è nota tra l'altro per aver dato i natali ad un personaggio noto per la sua opera, il "Vom Kriege" ovvero "Della Guerra".
Clausewitz nasce il 1° giugno 1780 ed entra a far parte della grande famiglia dei militari a soli dodici anni, in qualità di sottufficiale portabandiera del reggimento Principe Ferdinando di Potsdam.
Dopo il battesimo del fuoco, durante l'assedio di Magonza, all'età di soli quattordici anni diventa Ufficiale.
Qualche anno dopo, nel 1801, giunge alla Scuola Militare di Berlino, dove si distingue negli studi militari... il resto della vita, però, lo si può trovare in qualunque enciclopedia, ma io preferisco passare alla sua opera!

Che cos'è la guerra?
Questa è la prima domanda cui cerca di rispondere von Clausewitz.
Per lui la guerra è un atto di forza il cui scopo è quello di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà.

Definizione concisa e senza troppi giri di parole, non pensate? Ma cosa ci si poteva aspettare da un uomo vissuto in quel contesto storico?

La guerra può contare sull'aiuto delle invenzioni delle arti e delle scienze, mentre è accompagnata da restrizioni insignificanti, che meritano appena di essere menzionate, alle quali si da il nome di diritto delle genti, ma che non hanno capacità di affievolirne essenzialmente l'energia.

Da allora sono passati due secoli, aveva ragione von Clausewitz?

Opera interessante sotto il profilo storico e del pensiero umano, che non può mancare nella biblioteca personale di uno studioso.
Che la guerra piaccia oppure no, occorre prendere atto che si tratta di una realtà e conoscere e capire i concetti che stanno dietro le parole "strategia", "logistica" o "tattica" è sempre più importante, non solo per i militari di professione.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO 

sabato 4 agosto 2012

Dialogo dei massimi sistemi: sull'apertura dello stretto di Gibilterra

Il Dialogo tra Salviati, Simplicio e Sagredo, talvolta riporta delle notizie interessanti, quasi scomparse dalle nostre conoscenze perchè parte di ipotesi non pronunciabili sul passato dell'uomo.
Tempo addietro, parlandovi di Seneca e della sua opera riportai una curiosa notizia attribuita agli antichi storici ebbene, la stessa cosa (e magari tratta proprio da Seneca) la riporta Galileo mettendola in bocca a Simplicio, ma vediamo di che si tratta dalle parole di Simplicio:

"Io vi troverò delle mutazioni seguite in Terra così grandi, che se di tali se ne facessero nella Luna, benissimo potrebbero esser osservate di qua giù. Noi aviamo, per antichissime memorie, che già, allo stretto di Gibilterra, Abile e Calpe erano continuati insieme, con altre minori montagne le quali tenevano l'oceano rispinto; ma essendosi, qual se ne fusse la causa, separati i detti monti, ed aperto l'adito all'acque marine, queste scorsero talmente in dentro, che ne formarono tutto il mare Mediterraneo..."

Per chi non ha dimestichezza con l'Italiano di quei tempi, ecco una mia libera interpretazione in Italiano moderno:

"Io vi indicherò dei cambiamenti della superficie terrestre di tali dimensioni, che se si verificassero sulla Luna, potremmo osservarli da quaggiù. Noi sappiamo, grazie ai racconti degli storici antichi, che un tempo Abile e Calpe (località oggi conosciute come la rocca di Gibilterra e Jebel Musa) sullo stretto di Gibilterra, erano unite tra loro da alcune montagne di dimensioni minori che tutte assieme tenevano lontane dalla terra interna le acque dell'Oceano; ma un giorno, quale fosse la causa non si sa, le montagne si aprirono e le acque marine corsero all'interno formando il mare Mediterraneo..."

E' pur vero, direte voi, che Simplicio nei Dialoghi fa la parte del sempliciotto credulone, ma normalmente Sagredo e Salviati lo correggono, non in questo caso però! Forse che anche Galileo credeva la cosa possibile? Come vi ho già detto, non è impossibile il fatto in se quanto che gli storici antichi lo tramandino come un fatto vissuto tragicamente della razza umana che allora abitava l'Europa!

Meditate gente, meditate!

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

Atlantide e i suoi Misteri: sui fenici

Dimitri Merezkovskj era un grande erudito...
Nel testo che vi ho presentato ultimamente, "Atlantide e i suoi misteri", parla di tante cose, filosofia, storia antica, economia, politica e società e tra i tanti argomenti cita anche i fenici, ma vediamo cosa ci dice:

         "La parola greca phoinix, fenicio, significa 'rosso', 'pellerossa'. Così i greci omerici chiamavano gli emigranti dell'isola di Creta, dove abitavano i Pelasgi, gli Eteocretesi che erano i Keftiu egiziani, 'uomini delle Stirpi Marine', affini ai libici nell'Africa Settentrionale, ai Liguri in Italia, agli Iberi in Spagna, alle razze che vivevano lungo tutta la via mediterraneo-atlantica verso l'Oriente. Tardi discendenti neolitici dei Cro Magnon, tutte queste razze, a giudicare dalle pitture murali egizie e della Creta di Minosse, sono 'pellirosse' o rossobronzee, imberbi, come i Toltechi e gli Aztechi del Messico precolombiamo. Il colore della pelle è un indizio stabile nei millenni: se lo sono i discendenti probabilmente anche gli antenati erano 'pellirosse', del tutto o in parte. Sembra che un riverbero dell'eterno Occidente, del 'Tramonto di tutti i soli', arda sul giovane volto dell'Europa."

Si, vabbè, ma con questo cosa si vuol dimostrare, direte voi.
Niente, è impossibile dimostrare qualcosa a così tanta distanza di tempo... si vuole solo cercare di mettere in relazione le popolazioni (almeno alcune) europee con quelle americane e, chissà, forse così dare a tutte un'unica origine: Atlantide, scomparsa fisicamente ma non senza lasciare parte della sua antica popolazione su entrambe le sponde dell'Oceano Atlantico, in America e in Europa e Africa.

In un altro punto l'autore trova delle somiglianze tra il popolo basco e gli indiani d'America, ma facciamo parlare lui:

         "La piccola stirpe dei Baschi, chiusa nei Pirenei, parla una lingua che non somiglia a nessun'altra lingua d'Europa, d'Africa e d'Asia, ma che somiglia assai alle lingue delle razze paleoamericane. Se questa lingua, come ritengono molti dotti, è un frammento salvo per miracolodell'antichità dei Cro Magnon, è probabile il legame dell'Europa paleolitica con le lingue dell'antica America."

Ecco, devo proseguire? No, sarebbe interessante sapere quanto le lingue paleo americane e il basco si assomigliano... ma la cosa è al di là delle mie conoscenze!

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo