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giovedì 16 gennaio 2014

La partenza

Alla fine è arrivato il diciassette di agosto, l'ultimo giorno di vacanza.

Domani partiremo per lasciare il paese d'origine, Gesico, per tornare a casa a Roma.

Torneremo l'anno prossimo in estate a trovare i genitori.

Anche questa volta non sono riuscito a fare che un decimo delle cose che mi ero ripromesso, ma anche questa è una costante. Vediamo: ho ancora in tasca la lista delle cose da fare compilata prima di cominciare le vacanze.
Visita al nuraghe Cobumbus – fatto.

Visita all'amico Celeste – fatto.

Cena con i vecchi compagni di scuola – saltata.

Visita al museo di Cagliari – fatto.

Visita a zia Nina... accidenti. Anche quest'anno!
Ogni volta la stessa storia. Faccio l'elenco delle cose importanti e poi lo controllo sempre l'ultimo giorno.

Mancano solo poche ore all'ora di cena, se sono fortunato faccio ancora in tempo a salutare zia Nina e zio Lucio.

Ma si, proviamo!

Chiedo a mio figlio di accompagnarmi da Zia Nina, lui viene sempre volentieri a salutare i parenti.


Zia Nina è la più vecchia rappresentante della famiglia Schirru a Gesico, sorella di mia nonna Cenza, e quando posso vado sempre a salutarla.

Passo a prendere mia madre e tutti e tre raggiungiamo la casa di zia, all'ingresso del paese.

La casa è fatta per una famiglia numerosa, come un tempo. Il portone grande e massiccio nasconde il cortile interno, con al centro un bellissimo pozzo. Il cortile è pavimentato con pietre irregolari e tra queste cresce l'erba. Sul lato sinistro si vedono ancora le loggette per il bestiame, un tempo si sarebbero sentiti i belati delle pecore e il rumore della gente che vi lavorava. Oggi è tutto cambiato, tutto abbandonato, triste e spento. A destra la casa padronale, con sul davanti un filare di alberi d'arancio ornamentali. Una volta da bambino avevo assaggiato uno di quei frutti amarissimi, non potrò mai scordarlo!

Quando arriviamo sono appena le sei. La zia è in cortile, seduta su una seggiola bassa, circondata da parenti venuti a trovarla, salutiamo tutti e veniamo invitati a sedere. Zia Nina ci offre un'aranciata e un dolce, come è sua abitudine.


Poi ai saluti seguono le interminabili chiacchierate sui parenti, sulle nascite e morti e sull'albero genealogico di famiglia.

Solo più tardi zia inizia a raccontare quelle cose che più mi piacciono, piccole filastrocche, muttettus e preghiere in lingua sarda campidanese.

Che memoria!
La serata è bella, ma la zia guarda con insistenza verso sud e ad un certo punto comincia a parlare a voce alta, per attirare l'attenzione di tutti.

“Domani sarà una brutta giornata. Mi raccomando, state a casa. Evitate i viaggi e portate il bestiame nella stalla.”

“Ma zia, che dici, nelle previsioni del tempo non hanno detto niente.”

Mi lamento io, ma lei mi guarda con un sorriso beffardo di chi la sa lunga e continua come se io non esistessi.

“Non c'è alcun dubbio, si avvicina un grosso temporale. Pregherò santa Barbara perché lo tenga lontano da casa e santu Jaccu perchè vi protegga lungo il viaggio.”

Era inutile discutere. Se zia si era messa in testa una cosa, doveva essere quella.

Le credenze popolari della Sardegna attribuivano ai santi il compito di proteggere le persone da eventi naturali che potevano essere pericolosi o dal malocchio.

Qualche anno prima mi aveva raccontato come si curava il malocchio e mi aveva insegnato "is brebus", le parole da pronunciare per proteggere o per curare chi veniva colpito dal malocchio.

All'interno della filastrocca vi erano spesso i nomi di alcuni santi che avrebbero dovuto fungere da protettori o intermediari.

Ebbene, anche per proteggersi dai temporali i santi avevano la loro importanza, Santa Barbara e San Giacomo in particolare.
La visita era finita, erano le sette e ci aspettavano a casa per la cena.

Ero felice di esser riuscito a salutare la zia e potevamo rientrare con la certezza che, se un temporale ci fosse stato, qualcuno ci avrebbe protetto.
Cenammo tutti assieme in cortile a casa dei miei genitori. La serata era bella, l'aria tiepida e il vino buono aiutava nella conversazione.

Poi, ad un certo punto, mia madre chiese di aiutarla a ritirare tutto prima di andar via. Sparecchiammo velocemente e mi accingevo a salutare quando chiese di aiutarla a portare dentro anche i tavoli, le sedie e i vasi che aveva in veranda.

“Che bisogno c'è di portare dentro tutto, è una bellissima serata...”

La sua risposta mi lasciò di stucco. “Alessandro, non hai ancora capito che se un vecchio ti dice una cosa lo devi ascoltare? Se zia ha detto che domani ci sarà un brutto temporale, occorre prestar fede e prepararsi.”

Non avevo voglia di discutere, aiutai a portare dentro i vasi e poi ci salutammo. Ci saremmo rivisti l'estate prossima.

Quella notte mi tornò in mente una vecchia filastrocca che avevo sentito tante volte da piccolo. Mia nonna la recitava sempre quando si avvicinava un temporale. Diceva che serviva a proteggere i suoi cari dai pericolosi temporali e dai fulmini. La filastrocca era solo parte di un rito complesso che mi aveva spiegato.

“Questi riti fanno parte della nostra famiglia da secoli. Non tutti li conoscono e anche se li conoscono non possono recitarli perché solo gli appartenenti alle famiglie di stregoni hanno il potere di farlo.”

Io ascoltavo sempre mia nonna, anche quando diceva delle cose insolite.

Chiusi gli occhi e cercai di dormire.

Era passata da qualche minuto la mezzanotte quando un rumore sordo cominciò a farsi sempre più forte. Un tuono lontano si avvicinava... il vento si era alzato di colpo e gli scurini in legno cominciarono a cigolare, come per avvisare del pericolo che si avvicinava. Mi alzai incredulo e mi affacciai alla finestra.

Il cielo, a sud, era illuminato a giorno dai lampi. Le nuvole nere si stagliavano sul cielo illuminato dalla luna. Un temporale, come aveva detto la zia, si avvicinava...
Santa Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.
1

Le parole mi tornarono in mente di colpo, con chiarezza, le sentivo rimbombare nella mia testa. Senza rendermene conto mi diressi verso il camino in cucina. Allungai la mano destra e afferrai una manciata di cenere.

Tornai alla finestra, mi portai la mano all'altezza della bocca e cominciai a soffiare verso il temporale senza smettere di ripetere mentalmente il ritornello.
Santa Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.

Poi le labbra cominciarono a muoversi, involontariamente. Avevo terminato la cenere e come in un sogno vidi le mie braccia alzarsi verso il cielo.

Recitai le formule magiche, prima lentamente, poi più velocemente e a voce sempre più alta...

Santa Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.


Mi sembrò che il tempo non passasse più. Poi di colpo mi resi conto che il vento cambiava direzione. Il temporale si allontanava verso ovest, accompagnato dai tuoni e fulmini.


Tornai a letto in silenzio, sembrava che nessuno si fosse reso conto di niente.

Mia moglie dormiva girata sul fianco e il silenzio era tornato a regnare nella stanza.

La mattina dopo mi alzai tardi, mi sentivo stanco. Ricordavo a malapena di aver sognato.
Un sogno strano. Avevo sentito il rombo del temporale avvicinarsi, ma il sole alla finestra diceva che la giornata sarebbe stata bella. Zia Nina aveva sbagliato previsioni, meglio così. Avevamo un lungo viaggio da fare e guidare con la pioggia non mi era mai piaciuto!

Scesi in cucina. Mia moglie aveva appena messo il caffè sul fuoco e l'odore aveva appena cominciato a diffondersi nell'aria.
“Hai dormito bene?” Chiese con indifferenza.
Risposi di si, anche se ero veramente stanco, come se non fossi andato a letto per niente.
“Sai, questa notte mi è sembrato di averti visto in piedi di fronte alla finestra. Sarà stato un sogno...”
Solo in quel momento mi resi conto di essere tutto sudato, come se avessi compiuto chissà quale sforzo. Di colpo ricordai tutto con lucidità. Impossibile, pensai! Raggiunsi di corsa la finestra della camera da letto, poggiai le mani sul davanzale e osservai a lungo il cielo, cercando risposte.
Non può essere, ho sognato... pensai, e tornai in cucina.

Mi sedetti al mio solito posto e cominciai a sorseggiare il caffè.
“Amore, ti sei sporcato le mani di cenere? Vai a lavarti...”

Aggiunse mia moglie, con tono deciso...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


1 La traduzione è circa questa: Santa Barbara e san Giacomo/
voi avete le chiavi del fulmine/voi avete le chiavi del cielo/
non colpite i figli degli altri/ne a casa ne in campagna/santa Barbara e san Giacomo.

lunedì 13 gennaio 2014

Sulla magia della pioggia in Sicilia, da "Il ramo d'oro" di Frazer


Cari amici, qualche giorno fa ho pubblicato un articolo su Frazer e la sua opera, Il ramo d'oro. Nel mentre, proseguendo la lettura ho trovato alcune cose interessanti e tra queste una in particolare mi ha fatto ricordare mio bisnonno che non ho mai conosciuto ma di cui so che lo si sarebbe potuto definire un mago della pioggia.
Mio bisnonno abitava a Nicosia, in Sicilia, e il pezzo di Frazer parla proprio di un fatto avvenuto in Sicilia alla fine dell'ottocento... alla fine di aprile del 1893 per essere precisi. In quel tempo la Sicilia soffriva di una terribile siccità
 
          "La siccità durava ormai da sei mesi. Ogni giorno, il sole sorgeva in un cielo azzurro senza una nuvola. Gli aranceti della conca d'oro che circonda Palermo con una stupenda cintura verde, avvizzivano. Cominciava a scarseggiare il cibo. La popolazione era in allarme. Tutti i sistemi più accreditati per provocare la pioggia non avevano avuto alcun esito."
 
In quel tempo mio bisnonno doveva essere appena nato, forse il padre o il nonno invece soffrirono anch'essi la siccità. Forse qualcuno di famiglia era impegnato nel cercare di ottenere la pioggia...
 
          "Lunghe processioni si erano snodate per strade e campi. Uomini, donne e bambini, avevano trascorso notti intere in ginocchio, a recitare il rosario davanti alle immagini sacre; giorno e notte le candele consacrate avevano brillato nelle chiese. Agli alberi erano stati appesi rami di palma benedetti nella domenica delle Palme. A Salaparuta, secondo un antichissimo costume, la polvere spazzata dalle chiese  nella domenica delle Palme era stata sparsa sui campi. In anni normali, quella santa spazzatura protegge i raccolti ma quell'anno, ci credereste?, non fece il minimo effetto."
 
La gente moriva di fame, erano tempi bui e non mi risulta difficile credere che solo la fede, in Dio, nei santi, nella magia, poteva dare speranza alla povera gente... spesso è ancora così, anche dopo cento trenta anni.
 
          "A Nicosia, gli abitanti, scalzi e a capo scoperto, portarono crocefissi per tutti i rioni della città, flagellandosi con fruste di ferro. Niente da fare. Perfino lo stesso grande S. Francesco di Paola, che compie ogni anno il miracolo della pioggia e, in primavera, viene portato in processione negli orti, non poté, o non volle, dare il suo aiuto. Messe, Vespri, concerti, luminarie, fuochi d'artificio - niente riusciva a commuoverlo."
 
Immagino i contadini, gli artigiani, i commercianti, in fila dietro il prete lungo le strade di Nicosia e delle altre città della Sicilia, intonare canti e inni sacri chiedendo il perdono di peccati reali e immaginari, allo scopo di riavere l'acqua. Immagino bimbi smagriti dalla fame e dalla sete.
Tutte cose ormai lontane dal nostro mondo...
 
             "Alla fine i contadini persero la pazienza. Quasi tutti i santi furono messi al bando. A Palermo scaraventarono S. Giuseppe in un orto perché vedesse con i suoi occhi come stavano le cose, e giurarono di lasciarlo li, sotto il sole, fino a quando non fosse caduta la pioggia. Altri santi furono girati faccia al muro, come bambini cattivi. Altri ancora, spogliati dei loro ricchi paramenti, furono esiliati lontano dalla loro parrocchia, minacciati, insultati pesantemente, tuffati negli abbeveratoi. A Caltanissetta, all'Arcangelo S. Michele vennero strappate dalle spalle le ali d'oro e sostituite con ali di cartone; gli fu tolto il mantello rosso, e venne avvolto invece con un cencio. A Licata, S.Angelo, il santo patrono, se la passò anche peggio perché fu lasciato senza vesti del tutto; ingiuriato, incatenato, e minacciato di finire affogato o appeso a una forca. <<O la pioggia o la corda!>>, gli urlava contro la gente furibonda, agitandogli i pugni in faccia."
 
Ecco cosa accadde secondo Frazer.
 
Io però preferisco immaginare il mio bis-bisnonno che, affacciato alla finestra, alza le mani al cielo e chiede la pioggia, come un mago avrebbe fatto.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO 

domenica 12 gennaio 2014

L'editoriale di agosto di Graffiti on-line: Immigrazione Falso Problema...

Frugando in rete tra i siti amici, ho letto con interesse l'editoriale del mese di agosto 2013 dell'Avvocato Sarcià, sul suo giornale on-line Graffiti.
Argomenti trattati? Tanti, immigrazione, invasione islamica, il lavoro che manca in Italia ed Europa... sempre con graffiante ironia, l'unica arma che ci permette di sopravvivere di fronte alle mancanze della politica! 
L'articolo è scritto molto bene e rappresenta, purtroppo, fin troppo fedelmente la nostra realtà italiana. Noi italiani siamo capaci di chiudere gli occhi fino alla fine... e l'Europa non ci aiuta di sicuro. L'emigrazione è un problema europeo ma prima di tutto italiano.
Sono infatti convinto che l'Italia, in qualità di "prima spiaggia" dovrebbe fare qualcosa di più serio ed incisivo che non "accogliere" questi poveracci in centri di accoglienza che di accogliente non hanno niente.
Non ha senso che si tengano per mesi delle persone rinchiuse, in attesa che un giudice si degni di ascoltarli, non ha senso illudere persone che non hanno niente, visto che l'Italia non è più in grado di dare niente!
Se occorrono più giudici per affrontare questa emergenza (che tale nonè in quanto è ormai la norma!) che si assumano!
Se occorrono più poliziotti, che si assumano... oppure che i Carabinieri in servizio di fronte alle case dei politici o a fare le belle statuine nei luoghi di potere facciano invece servizio pubblico (e sia chiaro, lo fanno bene, il loro lavoro, quando qualcuno glielo consente)!
Eppure, nonostante le urla di dolore di tanti, credo proprio che gli italiani non cambieranno mai, la politica non cambierà mai, sempre attenta a rifocillare ignoranti e nullafacenti in cambio di un maledettissimo voto.
Così l'Italia continuerà ad essere la barzelletta dell'Europa...
Ma lasciamo perdere le mie opinioni, vi invito a leggere voi stessi l'editoriale di agosto: Immigrazione FALSO PROBLEMA e fate pure le vostre considerazioni.
 
 
Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

sabato 11 gennaio 2014

Il ramo d'oro, di James George Frazer

Studio sulla magia e la religione...
 
James George Frazer (1854-1941), è stato un antropologo e studioso scozzese.
La sua opera principale, in 13 volumi, dal titolo originale "The Golden Bough" ovvero "Il ramo d'oro" è una grande raccolta di credenze e tradizioni popolari sulla magia e la religione dei popoli del mondo, pubblicata tra il 1911 e il 1936.
Io ho letto la versione ridotta ad un unico volume, pubblicata da Newton Compton nel 2009 (terza edizione), ma la prima edizione ridotta è del 1925.
Il libro è veramente interessante e merita di essere letto con attenzione e approfondito per diversi motivi che cercherò di esporre nelle poche righe che seguono.
In primo luogo, ogni studioso di tradizioni popolari non può fare a meno di conoscere questo antropologo e la sua opera, questa infatti è scritta con chiarezza e evidenzia similitudini e differenze tra credenze di popoli spesso lontanissimi tra loro.
Gli argomenti principali sono la religione e la magia come fattori alla base delle credenze dei popoli.
In secondo luogo, il libro parla anche dell'Italia, in particolare di Nemi, nel Lazio, Frazer infatti cerca di capire l'origine dei riti legati al bosco di Diana e al "re del bosco".
Il re del bosco non era altro che il sacerdote di Diana, la cui carica veniva tramandata in modo particolarmente cruento. Il pretendente doveva tagliare un ramo di un particolare albero sacro presente nel bosco e poi uccidere il sacerdote in carica. In questo modo ne avrebbe potuto prendere il posto sino a che qualcun altro non avrebbe avuto la forza di tentare la sorte.
Frazer avanza l'ipotesi che l'usanza di mettere a morte i sovrani sia cosa abbastanza comune in antichità e che abbia dato vita a questa terribile usanza della successione del sacerdote di Diana. Dice infatti: "riguardo al problema cruciale della consuetudine di mettere a morte i sovrani allo scadere di un determinato lasso di tempo oppure ogniqualvolta la loro forza o la loro salute dessero segni di declino, sono nel frattempo aumentate le prove che confermano come questa usanza fosse largamente diffusa."
Ma vediamo in cosa consiste questo sacerdozio e cerchiamo di conoscere meglio Diana e il suo mito.

          "Si narra che il culto di Diana a Nemi fosse stato istituito da Oreste il quale, dopo aver ucciso Toante, re del Chersoneso Taurico (la Crimea), si rifugiò in Italia con sua sorella, portando con sé il simulacro della Diana Taurica nascosta in una fascina di legna."

Oreste non portò però con sé il rituale attribuito alla Diana Taurica, noto a chiunque legga i classici.

          "si dice che ogni straniero che approdasse a quelle sponde venisse immolato sull'altare della dea. Ma trasportato in Italia quel rito assunse una forma meno sanguinaria. All'interno del santuario di Nemi cresceva un albero di cui era proibito spezzare i rami. Solo a uno schiavo fuggitivo era concesso di cogliere una delle sue fronde. Se riusciva nell'impresa acquistava il diritto di battersi con il sacerdote e, se lo uccideva, di regnare in sua vece col titolo di re del bosco (Rex Nemorensis)."

Ecco dunque che un rito cruento di massa, tutti gli stranieri che approdavano venivano sacrificati, si trasforma in un simbolo, uno scontro tra due per onorare la dea sanguinaria.

          "Stando a quanto dicevano gli antichi, la fronda era quel ramo d'oro che, per ordine della sibilla, Enea colse prima di affrontare il periglioso viaggio nel mondo dei morti."

Lo schiavo fuggitivo rappresentava la fuga di Oreste dal Chersoneso, il combattimento con il sacerdote rappresentava i sacrifici alla dea.
Sembra che questo cruento modo di succedere nel sacerdozio fosse ancora il vigore in età imperiale.
Diana era venerata essenzialmente come cacciatrice e come divinità che  concedeva la prole e un facile parto. Il fuoco era uno degli elementi preponderanti del rito. Ma vediamo in cosa consisteva il rito:

          "durante la festa annuale che si celebrava il 13 agosto, nel periodo più caldo dell'anno il boschetto era illuminato da una miriade di torce il cui bagliore si rifletteva nelle acque del lago; e in tutto il territorio italico ogni famiglia celebrava quel sacro rito. Statuette bronzee ritrovate nel recinto, raffigurano la dea che regge una torcia nella mano destra alzata; e le donne le cui preghiere erano state esaudite, si recavano inghirlandate e con una torcia accesa al santuario per sciogliere il voto [..] durante la festa annuale della dea i cani da caccia venivano inghirlandati e non si molestavano gli animali selvatici [..] i giovani celebravano una cerimonia purificatrice, si recava il vino e il banchetto consisteva in carne di capretto, dolciumi bollenti serviti su foglie di vite e mele ancora attaccate in grappoli al loro ramo."

Il santuario di Diana dava spazio anche ad altre due divinità minori, la prima, Egeria, "la ninfa della limpida acqua", le cui acque si gettavano nel lago di Nemi in località Le mole. Anch'essa aiutava le donne nel parto.

          "Narra la tradizione che la ninfa era stata la sposa, o l'amante, del saggio re Numa e che egli si congiungesse a lei nel segreto del bosco sacro [..] I ruderi di terme scoperti all'interno del recinto sacro e le numerose terracotte riproducenti varie parti del corpo umano suggeriscono che l'acqua Egeria servisse a guarire gli infermi",

che ringraziavano la divinità lasciando nel tempio un oggetto in terracotta della forma delle membra un tempo malate e poi guarite.
La seconda divinità minore si chiamava Virbio. Vediamo chi era:

          "Narra la leggenda che Virbio era Ippolito, il giovane eroe greco, casto e bello, il quale aveva appreso l'arte venatoria dal centauro Chirone e trascorreva la vita nei boschi a caccia di belve, avendo come unica compagna la vergine cacciatrice Artemide (la Diana greca)."

Il mito racconta che Ippolito disdegnava tutte le donne, adorava solo Artemide, la sua compagna. Per questo motivo incorse nelle ire di Afrodite che indispettita fece in modo che Fedra, la matrigna di Ippolito, si innamorasse di lui e quando fu respinta, lo accusasse ingiustamente di fronte al padre Teseo. Teseo chiese a suo padre Poseidone di punire Ippolito. Poseidone gli mandò contro un toro feroce nato dalle acque mentre Ippolito si trovava sul suo carro. I cavalli imbizzarriti lo trascinarono nella loro corsa e Ippolito morì. Artemide non si arrese e chiese ad Esculapio di riportarlo in vita grazie alle sue doti di guaritore. Giove, infuriato per l'atto compiuto da Esculapio, confina il medico nell'Ade. Artemide/Diana riesce a nascondere Ippolito dall'ira degli dei facendo scendere la nebbia e mascherandolo da vecchio e poi lo porta nella valle di Nemi, nel lontano Lazio, affinché vi vivesse nascosto con il nome di Virbio.

          "Non vi è dubbio che il S. Ippolito del calendario romano, trascinato a morte dai cavalli il 13 agosto, giorno dedicato a Diana, altri non sia che l'eroe greco suo omonimo che, morto due volte come pagano, fu felicemente resuscitato come santo cristiano"

E con quest'ultima considerazione di Frazer, vi lascio per oggi...

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo 

lunedì 6 gennaio 2014

Curiosità sui Caldei, dalla Collana degli antichi storici greci volgarizzati

Cari amici e amanti delle antichità, oggi ho ripreso alla mano il libro di Diodoro Siculo, Biblioteca Storica. La versione che possiedo comprende solo i primi tre libri per cui mi sono messo su internet e mi sono fatto aiutare da Google books per cercare i libri successivi.
Ho trovato una versione del 1820, tradotta dal Cavalier Compagnoni, e ho subito dato uno sguardo all'indice alla ricerca del libro IV.
Ho così scoperto molto presto che il volume comprendeva solo i primi due libri e stavo per abbandonare il libro per proseguire la ricerca quando mi sono reso conto che verso la fine si trovavano alcune aggiunte, dei chiarimenti e approfondimenti dell'autore della traduzione. Si trattava di un testo sulla cultura indiana in cui si parla dell'antichità dell'India, dei Bracmani e dei Bramini loro successori e di un altro testo col quale ho avuto già a cha fare qualche tempo fa, quella volta in lingua inglese, questa in italiano, sulle antichità caldaiche secondo Beroso, il titolo preciso è: "Memorie storiche e cronologiche intorno alle cose Caldaiche, Assirie, e Babilonesi secondo Beroso e gli scrittori più antichi che d'esse parlarono conforme trovansi compilate da Eusebio".
Questo argomento mi è sempre interessato e nonostante avessi già letto e scritto qualcosa (vedi Berosso: frammenti di storia caldea...) per curiosità ho dato uno sguardo e così mi sono reso conto che in questa versione vi si possono trovare delle informazioni che non conoscevo sul Diluvio Universale. Sperando che l'argomento interessi voi come me, eccovi alcuni pezzi, estratti sulla base dei miei interessi.
Dopo aver parlato di un essere mostruoso chiamato Oanne, in parte pesce e in parte uomo, portatore di insegnamenti divini, di cui ho già parlato nel precedente articolo, l'autore prosegue parlando di un tal Aloro, che pare sia stato il primo re dei Caldei...
"Sta dunque che dieci sole età si computassero da Aloro (vedi anche: sui re Caldei) che dicesi il primo loro re, fino a Sisutro (scritto anche Xisuthrus) sotto il quale dicono essere accaduto il gran diluvio. Anche ne' libri ebraici da Mosè pongonsi prima del diluvio dieci età: cioè anche dagli ebrei si notano in particolare altrettante successioni d'uomini, dal primo, che essi pongono, fino al diluvio. Ma la storia degli ebrei comprende gli anni delle dieci età entro il numero di quasi duemila anni; e gli Assirj, mentre descrivono minutamente, e successivamente le età, d'esse tengono il numero simile a quello, che ha tenuto Mosè; ma variano nei tempi, perché dicono che dieci età comprendono centoventi sari; e che da questi vengonsi a formare quarantatrè miriadi, e duemila anni"
In questo passo, come si può vedere, si paragona la durata delle età caldaiche alla durata delle età degli ebrei, indicate nei testi sacri. Un sari era un periodo di tempo di tremila seicento anni, anche se la cosa non è sicura, c'è infatti che pensa che si tratti di una cattiva interpretazione dei traduttori e che invece un sari corrisponda ad un anno.
"Finalmente dalle predette cose ci verrà fatto di vedere, che Sisutro è quel medesimo che gli Ebrei chiamano Noè, al cui tempo venne il gran diluvio, del quale anche la storia del Polistore parla. E così egli si esprime (Cap. III). Morto Otiarte, Sisutro regnò per diciotto sari, e sotto di lui venne il gran diluvio. - In tal modo poi continua. Dice che a lui apparve Saturno in sogno, e gli predisse che il giorno quindicesimo del mese desio gli uomini perirebbero per inondazione. che perciò ordinò che i libri tutti, cioè gli antichi, quelli de' tempi di mezzo, e quelli degli ultimi, sotterrasse in Sipari, città del Sole" (vedi anche: Berosso da Abideno...).
Interessante il riferimento al seppellire i libri antichi a Sipari, città del sole, chissà se di questa città è rimasta traccia...
La storia continua come quella di Noè, Sisutro costruì l'arca, vi fece salire sopra i parenti e gli animali, attese che cessasse il diluvio e mandò fuori gli uccelli...
L'arca si arenò in cima ad una montagna presso gli Armeni, uomini e animali ripresero a vivere rispettando gli dei. Una spedizione partì alla ricerca dei libri seppelliti a Sipari, città nei pressi di Babilonia, per restituirli agli uomini. I libri furono ritrovati...
Più avanti, si parla anche della costruzione della torre di babele, ma vediamo cosa scrive l'autore:
"Della fabbrica inoltre della torre parla il Polistore quasi alla lettera, come se ne parla nei libri di Mosè, ed ecco le parole sue. - Dice la Sibilla che tutti gli uomini parlanti una medesima lingua costrussero quell'altissima torre, onde salire in cielo: che Dio fortissimo soffiando un vento la rovesciò, e che li fece parlare differentemente l'un l'altro; e perciò la città essersi chiamata Babilonia. Poi dopo il diluvio essere vivuti Titano e Prometeo; e che Titano fece guerra a Saturno."
Sul significato di Babilonia l'autore aveva parlato in precedenza in una nota in cui dice che Babilonia non vuo dire altro che città di Dio o del padre di Dio, in quanto Belo significava Dio. Aggiunge alcune considerazioni sul fatto che i popoli antichi usavano consacrare le capitali dei loro regni. Nella nota parla anche di una città detta Genezareth in cui pare che si trovasse una splendida biblioteca.
Della guerra tra Titano e Saturno e della costruzione della torre di babele, l'autore riporta alcuni versi dei libri sibillini, che mi sono piaciuti e quindi anche io riporto:
"Contro l'ira del Nume, ove sia mai
che a danno de' mortali ancor s'accenda,
Ne' campi assirj immensa torre al cielo,
onde alle stelle ardenti adito farsi,
fabbricar essi; e non parlavan anco
lingue diverse. Ma l'Eterno, a' spirti
suoi ministri...
come da' venti il turbin vorticoso
a terra rovesciò l'ampio edifizio,
e ruppe de' concordi animi il voto,
a te per tanto fatto, o Babilonia,
venne nome famoso. Fu Saturno
allora, e fu Titano, e fu Japeto;
poichè messa discordia entro que' petti
le diverse si udian strane favelle"

E con queste parole per oggi concludo! A presto.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 4 gennaio 2014

Sulle biblioteche di Alessandria d'Egitto e di Menfi, dalla Bibliografia di Michele Denis

Precedenti:
 
 
Vediamo ancora qualche informazione sulle biblioteche più antiche. Questa volta le notizie sono tratte dal testo: "Bibliografia, di Michele Denis", pubblicato a Milano nel 1846.
Nel libro si parla della storia della scrittura, a partire dal mitico Adamo. A me interessa raccogliere qualche informazione sulle più antiche biblioteche e anche in questo caso ho trovato qualcosa di interessante sia sulla biblioteca di Alessandria che su quella più antica di Menfi, ma giudicate da voi:
 
          "La teologia o teurgia, l'astrologia e la fisica erano i principali argomenti dei più antichi lavori scientifici dell'Oriente. Senza dubbio si cominciò per tempo a raccoglierli, come Eusebio attesta specialmente in quanto ai Fenicj. In Diodoro trovasi come primo raccoglitore di essi Osimandua re d'Egitto, che molto acconciamente pose in fronte alla sua biblioteca l'epigrafe: Medicina dell'anima. Che poi da principio i libri si custodissero per lo più ne' tempj sotto l'ispezione de' sacerdoti, risulta anche dall'accusa fatta da Naucrate ad Omero d'aver involato l'Iliade e l'Odissea dal tempio Vulcano in Menfi, dove l'autrice loro, certa Fantasia, avevale deposte."
 
Che dire, ecco saltar fuori ancora una volta la biblioteca di Menfi e addirittura una accusa di furto o plagio dell'Iliade e dell'Odissea!
Quanto la cosa possa essere credibile non so, anche in considerazione del nome dell'autrice, Fantasia, ma la storia è sicuramente interessante.
Subito dopo l'autore comincia a parlare della biblioteca d'Alessandria, della sua nascita sotto Tolomeo Filadelfo e sulla ricchezza delle opere custodite, anche in questo caso trovo delle informazioni interessanti:
 
          "A meglio arricchirla poi venne intrapresa la traduzione della Bibbia in lingua greca per opera di 72 interpreti colà inviati dal sommo sacerdote Eleazaro dietro consiglio di Demetrio Falereo, allora esule da Atene, e bibliotecario di Tolomeo."
 
Secondo l'autore dunque, fin dalla nascita della biblioteca di Alessandria, vi sarebbe stata custodita anche la traduzione della Bibbia in lingua greca.
Secondo questo testo, il primo bibliotecario è proprio Demetrio Falereo, il consigliere del re Tolomeo, poi gli succedettero Zenodo da Efeso, Eratostene da Cirene, Apollonio d'Alessandria, ed Aristosseno: uomini meno celebri..."
La biblioteca doveva essere enorme, per contenere tante opere:
 
          "Cedreno dice che le sole traduzioni dal caldaico, dall'egiziano e dal latino ammontavano in essa a 100.000 volumi; Seneca fa ascendere il numero dei codici a 400.000; e A. Gellio a quasi 700.000: ma tutto andò in cenere quando Cesare entrò vittorioso in Alessandria; benché egli stesso e Irzio osservino su ciò il più perfetto silenzio."
 
Le altre notizie, tra cui anche le notizie sulle successive donazioni e distruzioni e concorrenza della biblioteca di Pergamo sono le stesse che ho già riportato nei precedenti articoli.
L'autore però nomina altre famose biblioteche, quella della città di Susa in Persia, quella di Cartagine.
 
Per tutti coloro che come me amano i libri, le biblioteche antiche sono un argomento affascinante...
credo proprio che l'argomento meriti di essere approfondito!
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 3 gennaio 2014

L'isola del tonal, di Carlos Castaneda

L'isola del tonal è uno dei dodici libri di Carlos Castaneda.
Qualche tempo fa' ho letto e recensito un altro dei suoi libri, Il potere del silenzio.
Le sue opere sono state scritte in quest'ordine e descrivono la strada percorsa dall'autore per diventare stregone yaqui:

1. Gli insegnamenti di don Juan: una via yaqui alla conoscenza (pubblicato in Italia anche col titolo "A scuola dallo stregone");
2. Una realtà separata;
3. Viaggio a Ixtlan;
4. L'isola del tonal;
5. Il secondo anello del potere;
6. Il dono dell'aquila;
7. Il fuoco dal profondo;
8. Il potere del silenzio;
9. L'arte di sognare;
10. Il lato attivo dell'infinito;
11. Tensegrità, passi magici;
12. La ruota del tempo.

La lettura è interessante, anche se molto particolare, un esempio per tutti:

"Come sapete - disse - il punto capitale per la stregoneria è il dialogo interno: è la chiave di tutto. Quando un guerriero ha imparato a interromperlo, tutto diviene possibile; i progetti più improbabili divengono fattibili. La via d'accesso a tutte le esperienze bizzarre e misteriose che avete avuto di recente, è stata la vostra capacità di smettere di parlare con voi stesso..."

Frase dal significato non proprio chiaro...

In questo libro Castaneda riassume tutto il percorso per completare la preparazione da stregone, dal momento in cui viene preso come apprendista al momento finale della separazione.
Vi sono delle cose molto particolari, come l'indicazione che "le farfalle notturne sono i messaggeri o, meglio ancora, i custodi dell'eternità..." o la spiegazione del significato dei termini "tonal" e "nagual" e di cosa significa essere uno stregone yaqui.
Il libro è molto interessante ma non semplice da leggere. Carlos Castaneda viene guidato da don Juan e da don Genaro attraverso una serie di esperienze difficili da descrivere e da credere...

Buona lettura!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO