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martedì 15 aprile 2014

A Bao A Qu

Era appena sorto il sole e l'uomo aveva ripreso a muoversi, quasi impercettibilmente.
Era forse l'unico sopravvissuto, l'ultimo della sua razza, sterminata da una tribù di nomadi che per un caso aveva scelto la loro vallata per spostarsi appresso al proprio bestiame. Non avevano nient'altro che il bestiame e le armi e dove passavano lasciavano una scia profonda di pianti, urla e sangue.
Il suo villaggio non esisteva più, la sua capanna era un cumulo di cenere. i suoi figli erano carne insanguinata per cani randagi. E di lui non restava molto, forse qualche ora di vita, forse qualche giorno di dolore e pianto per i suoi cari.
Cominciò a strisciare, trascinandosi affannosamente sul terreno, nutrendo la terra secca col suo sangue. Si trascinò fino alla scala a chiocciola che dava accesso all'antica torre in pietra, spinto dalla forza della vita che se ne va.
La mano destra sentì il freddo del primo gradino della scala a chiocciola.
Una sensazione strana pervase il suo corpo, la sua anima ridestata.
Il freddo della pietra lo risvegliava dal suo torpore.
Senza sapere come, senza più pensare alle ferite che lo dissanguavano, si alzò in piedi e salì il primo gradino. La sua anima piangeva per la morte della famiglia, per la distruzione del villaggio, per la fine di una stirpe.
Sentì la forza rianimare il suo corpo, salì il secondo gradino quasi senza accorgersene. La striscia di sangue era dietro di lui, rossa, quasi color della seta... splendente sotto il riflesso del sole nascente.
Un debole fruscio gli ricordava la vita, una sensazione potente di vita percorreva il suo corpo freddo da tanto tempo immobile.
Il piede avanzò sul terzo gradino. Solo i sacerdoti percorrevano una volta all'anno quella scala, solo loro avevano la forza di farlo, ma i sacerdoti erano morti, tutti!
Piccole zampe, come un millepiedi, sorgevano dalla fredda pietra per afferrare il bordo del gradino, seguivano le tracce del sangue fresco, cercando di sentire l'anima morente di colui che si trascinava lungo la scala. Una forza straordinaria, carica di sentimenti, di orrore, d'amore.
Il quarto gradino, poi il quinto, il sesto, il settimo... uno dietro l'altro.
Il freddo si faceva sempre più intenso, il ricordo dei figli massacrati solo poche ore prima gli offuscava la vista e gli spezzava il cuore ancora una volta. Eppure non sentiva odio per coloro che avevano compiuto un simile massacro ma solo compassione. Compassione per uomini che erano bestie, non per colpa loro.
La scala a chiocciola sembrava animarsi di vita propria, i gradini davanti a sé lo chiamavano. Le forze gli venivano meno, il sangue scorreva dalle sue ferite ma lui proseguiva senza sosta. Ancora pochi passi.
la sua anima prendeva corpo dopo tanti secoli. Nessuno l'aveva più trascinato fino a quel punto da... quanto tempo? Non ricordava... secoli, millenni forse.
Eppure quest'uomo aveva una forza incredibile, stava morendo ma proseguiva la sua ascesa senza un pensiero negativo. La sua anima era forte e splendente.
A Bao A Qu prendeva vita,forte e splendente, ancora una volta dopo tanto tempo.
L'uomo moriva sulla scala, senza sapere perchè, felice di raggiungere i suoi cari appena scomparsi, lasciando sull'ultimo gradino un fiotto di sangue denso e il pensiero di un futuro radioso per tutta la sua Terra, sotto il sole nascente di un giorno qualunque...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 13 aprile 2014

I custodi della storia (Capitolo VI) - Dentro la piramide

L'eco della pietra che cadeva lungo lo stretto corridoio si poteva seguire da lontano. Sicuramente il corridoio si inoltrava all'interno della piramide mantenendo una pendenza molto forte.

Andrea il carpentiere era appena arrivato, accompagnato da altri due uomini di rinforzo mandati dal Capitano.

Si fermò giusto il tempo necessario per bere un po' d'acqua e poi seguì il nostromo e frate Nicola che precedendolo gli indicavano il foro a metà altezza nella parete della grande piramide. Andrea salì su per la parete senza un attimo di esitazione allenato dal suo lavoro quotidiano di controllo degli alberi del vascello e raggiunto il foro vi aveva gettato una pietra per cercare di capire dal rumore cosa lo attendesse. Si girò verso i due compagni e disse di essere disposto a provarci.

- Certo, si può fare. Entrerò con la testa in avanti e voi mi reggerete con due corde così se occorre potrete tirarmi fuori da quel buco! Disse Andrea senza un attimo di esitazione.

I preparativi furono veloci e qualche minuto dopo Andrea si introduceva strisciando come un serpente nelle fredde viscere della piramide. In mano reggeva una piccola lampada ad olio legata ad una corda che reggeva con la mano sinistra e che gli avrebbe consentito di vedere davanti a se. Nella mano destra reggeva un lungo coltello, in caso di brutti incontri.

- Ora calatemi lentamente! Disse rivolto ai compagni che reggevano le corde.
Dopo pochi metri lo stretto cunicolo voltava a destra sottraendo il giovane carpentiere alla vista dei suoi compagni.
- Quaggiù il cunicolo si allarga! – Urlò Andrea una volta raggiunta una solida base – qui si può avanzare camminando in piedi. Proseguì lungo il corridoio tirandosi dietro le corde. Il corridoio aveva una forma trapezoidale ed era realizzato con pietre enormi perfettamente squadrate. Su ogni lato si aprivano degli altri corridoi più stretti che probabilmente servivano a distribuire l'aria fresca nei locali più interni. Andrea avanzava sicuro reggendo in alto la lampada e osservando ogni particolare per poterlo poi descrivere quando fosse uscito. Dopo circa una decina di metri notò alla sua destra all'altezza della sua faccia una pietra sporgente lavorata a forma di uccello, con una grossa sporgenza a forma di becco. La superficie era ricoperta da una specie di sostanza rossastra e gli occhi erano fatti in pietre dure, incastonate nella roccia con maestria, di particolare fattura e di colore giallo. Usò il coltello per estrarre le pietre pensando potessero avere un qualche valore e le mise in tasca. Le avrebbe consegnate a Vadino che avrebbe saputo ricompensarlo. Purtroppo il cunicolo terminava poco più avanti con una enorme lastra verticale che probabilmente era crollata da parte del soffitto. Impossibile proseguire. Un odore fetido, come di carcasse di animali riempiva l'ambiente. Forse il crollo aveva intrappolato qualche animale che ora si decomponeva lentamente. Si voltò e ripercorso il cunicolo all'indietro chiamò i compagni perché lo tirassero fuori.

Qualche minuto più tardi si trovava nuovamente all'aperto con i compagni che lo attorniavano.
- Signor nostromo, ho trovato queste pietre, erano gli occhi di una specie di testa d'uccello scolpita nella roccia. - Disse, porgendo le pietre a Vadino. E proseguì nella descrizione accurata di ciò che aveva visto e della impossibilità di usare quel passaggio per proseguire l'esplorazione. Occorreva trovare un altro ingresso.

- Bene Andrea, tieni queste monete. Ottimo lavoro. Disse il Nostromo lanciandogli tre monete d'oro. In certi casi occorre essere generosi, la fedeltà va sempre premiata. Pensò Vadino.

Il carpentiere prese le monete e ringraziò per la generosità.

L'impossibilità di proseguire l'esplorazione della piramide non significava niente. Avrebbero controllato i dintorni alla ricerca di altre informazioni. La giungla era fitta e di tanto in tanto emergevano dalla vegetazione delle grosse pietre che sembravano lavorate dalla mano dell'uomo. Se la fortuna li avesse assistiti avrebbero potuto trovare qualche altra cosa. Vadino aveva ancora due giorni di tempo e non intendeva certo starsene con le mani in mano ad aspettare che il caso o la fortuna bussassero alla porta. I suoi genitori gli avevano insegnato che la fortuna occorre cercarsela da sé e lui la pensava esattamente allo stesso modo.

Chiamò tutti gli uomini a rapporto e organizzò le ricerche per la giornata. Due di loro sarebbero restati al campo con l'incarico di controllare che non si avvicinassero troppo le besti che avevano sentito la notte precedente. Gli altri divisi in gruppi da tre avrebbero esplorato l'area circostante alla ricerca di altre costruzioni.

Vai al Cap. VII: Notte insonne.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Politica da bar


- Ciao Gino. Oggi pensavo alle prossime elezioni...

- Ciao Mario, cosa ti preoccupa?

- Pensavo che ancora non abbiamo discusso su chi votare...

- Hai ragione, dovremo cominciare a fare qualcosa. Alfano, Berlusconi, Renzi, Grillo, Alfano, Berlusconi, Renzi, Grillo, Alfano...

- Che fai, Gino?

- La conta...

- Ah, diavolo d'un Gino!

mercoledì 9 aprile 2014

Il mondo nuovo e ritorno al mondo nuovo, di Aldous Huxley

Senza dubbio devo alla copertina con  l'immagine distorta da una sfera di cristallo l'interesse iniziale verso il libro di Huxley, ma subito dopo la curiosità, la lettura del testo ha preso il sopravvento...
Aldous Huxley nasce nel 1894 a Godalming, nel Surrey in Inghilterra e muore a Los Angeles nel 1963. 
Il mondo nuovo e ritorno al mondo nuovo sono due dei suoi romanzi, due capolavori definiti fantascientifici. Il primo pubblicato nel 1932, il secondo nel '58, descrivono un mondo molto particolare. Chi ha letto Fareneit 451 e 1984 (di Bradbury e Orwell) può capire cosa intendo.
Huxley descrive un mondo in cui la società fa di tutto per favorire il suo sviluppo armonioso e a questo scopo vengono poste in essere tutte le possibilità offerte dalla scienza, dalla riproduzione assistita in provetta al condizionamento alla Pavlov, attraverso l'uso di una droga, il soma, per controllare la volonta degli esseri viventi (definirli uomini sarebbe troppo). Una società divisa rigidamente in caste in cui tutto è predeterminato e il libero arbitrio sembra non avere spazio. Le stesse parole "padre", "madre", "parto", sono considerate fuori legge o comunque amorali in un mondo in cui tutto è concesso a patto che non vi siano differenze tra gli individui della stessa casta. Tutti uguali significa sicurezza!
Ma come la saggezza popolare insegna, non tutte le ciambelle vengono col buco, perciò, di tanto in tanto il fato fa si che alcuni di questi esseri nati in provetta e condizionati per agire secondo determinati modelli, deviino dalla regola e...
Il resto è da leggere.
Un libro interessante e avvincente, talvolta non troppo lontano da una possibile agghiacciante realtà alternativa!
Buona lettura...
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 6 aprile 2014

I custodi della storia - (Capitolo V) L'agenda

Era un mercoledì sera, intorno alle diciotto, quando un corriere espresso suonò al campanello del condominio in cui lavoravo.

Andai ad aprire, il ritiro della posta faceva parte dei miei compiti. Avevo la delega per il ritiro della corrispondenza di quasi tutti i condomini.

- C'è un pacco per Alessandro Ruvolo.

Mi disse il corriere porgendomi la penna per la firma senza neanche guardarmi in faccia.

- Forse intende dire Rugolo. Sono io

Risposi un po' stupito.

Non avevo ordinato niente e non era periodo di feste per ricevere il pacco regalo che i miei mi mandavano sempre per natale.

Firmai e mi assicurai che il corriere uscendo chiudesse il cancello.

Si trattava di un pacchetto confezionato artigianalmente con la vecchia carta per pacchi e legato con spago di pessima qualità.

Nessun mittente, solo un francobollo da due dollari con la scritta Guyana. Un bel francobollo con ritratto un dipinto di Velazquez e un timbro che non lasciava dubbi. Il pacco era stato spedito dalla città di Cayenne, nella Guyana francese.

Non conoscevo nessuno in quella parte del mondo. Chi poteva avermi spedito un pacco?

Dalla consistenza e dimensione doveva trattarsi di un libro. Lo scartai velocemente e il mio stupore fu grande quando mi resi conto che tra le mani stringevo l'agenda del mio ex professore di storia antica, Claudio.

Come era possibile? Lui era morto un mese prima nell'incidente aereo del volo Orlando – Milano. Da dove saltava fuori l'agenda? L'unico che avrebbe potuto spedirmela era proprio lui ma per quale motivo avrebbe dovuto farlo?

Ero curioso e le domande mi si affollavano nella testa.

- Alessandro, è arrivata posta per me?

Trasalii. La voce dell'avvocato mi colse totalmente di sorpresa e dovetti darlo a vedere.

- Scusa, non volevo spaventarti. Chiedevo se fosse arrivata della posta per me, oggi. Sto aspettando un plico urgente da Roma. Se dovesse arrivare puoi avvisarmi subito? Sono nel mio studio.

- No, mi spiace. Niente posta per lei avvocato. Se dovesse arrivare qualcosa entro le otto glielo porto io prima di andar via.

L'avvocato Giorgetti mi salutò con un sorriso e imboccò la strada delle scale. Nonostante il suo studio si trovasse al quarto piano e vi fosse l'ascensore preferiva salire a piedi, diceva che faceva parte della sua attività per allungare la vita.

Per evitare ulteriori problemi posai l'agenda del professore nel mio zaino e ripresi il mio lavoro al gabbiotto. A casa avrei avuto tutto il tempo per cercare di capire come mai il professore mi avesse mandato la sua agenda per posta e magari sarei riuscito a capire cosa fosse andato a fare nella Guyana francese!

Stavo per chiudere il gabbiotto della portineria quando suonò nuovamente il campanello. Si trattava di un fattorino che mi consegnò il plico per l'avvocato. Lo presi in consegna. Firmai e presi l'ascensore per il quarto piano. Bussai alla porta dell'avvocato. Mi aprì lui personalmente e mi invitò ad entrare. Rifiutai cercando di non essere scortese, l'avvocato era sempre stato molto premuroso nei miei confronti ma quella volta avevo fretta di tornare a casa.

Mi chiese se era tutto a posto, offrendomi il suo aiuto, se necessario. Mi chiese se ci fosse qualcosa che mi preoccupava, disse che sembravo un po' strano, quasi assente.

- Le chiedo scusa avvocato. In effetti oggi è successo qualcosa di strano ma non sono preoccupato, solo stupito.

- Vuoi raccontare anche a me cosa ti è successo? Mi chiese con benevolenza. Sin dalla prima volta che mi aveva conosciuto, quando mi ero presentato per avere il lavoro, era sempre stato con me quasi come se fosse stato un mio anziano parente. Gli dissi che il giorno dopo sarei passato da lui sul tardi, se non aveva impegni, e gli avrei raccontato tutto. Adesso era un po' tardi e dovevo passare all'università per ritirare un libro da alcuni amici. Era una scusa banale, me ne rendevo conto, ma non avevo proprio voglia di parlare. Forse il giorno dopo gli avrei raccontato qualcosa, o forse no. Avevo uno strano presentimento e preferivo evitare dell'agenda del mio professore.

Salutai e andai via.

Rientrai a casa in metropolitana. Da quando avevo lasciato la casa dello studente, due anni prima, abitavo in periferia in una zona di Milano ben servita dalla metro. Avevo trovato una mansarda piccola ma accogliente in una palazzina di tre piani che si affacciava in un piccolo parco. Anche per questo dovevo ringraziare l'avvocato. Mi aveva consigliato lui di lasciare la casa dello studente, diceva che era una cosa per ragazzini e io ero cresciuto ormai. Mi aveva fornito un elenco con i nomi di alcuni amici che affittavano appartamenti. Mi disse di andare a suo nome, mi avrebbero trattato bene.

In effetti così era stato. La mansardina mi piacque subito. L'arredamento era essenziale ma funzionale. C'era tutto quello che poteva servirmi. L'ambiente era caldo e accogliente e io avevo aggiunto all'arredamento quei segni distintivi della mia persona che mi portavo appresso sin da piccolo, i miei libri, alcune foto della famiglia e una vecchia maschera in legno tipica della cultura sarda, un mamuthone.

Nella stanza grande, con il letto in ferro da una piazza e mezza che occupava la parete interna si trovava anche una bella libreria e un piccolo scrittoio che usavo spesso per studiare e tra i due vi era un camino, che a Milano non era certo la norma, in cui spesso accendevo il fuoco. Un cucinino, il bagno e un ripostiglio a muro completavano il mio piccolo mondo di trenta metri quadri. Per ora andava più che bene. Il camino era stato decisivo. Non appena lo vidi presi la decisione, senza neanche visitare altri appartamenti.

Quella sera accesi il fuoco e mi preparai due salsicce alla brace per cena. Le fiamme rosse della legna avevano su di me uno strano potere rilassante. Aprii la finestra che dava sul parco, aveva smesso di piovere da poco e l'odore dell'erba bagnata era molto forte.

Mi sdraiai a letto e finalmente presi l'agenda dal mio zaino.

La girai alcune volte tra le mani quasi volessi assicurarmi che fosse reale poi slegai il cordoncino che la teneva chiusa. Era un'agenda artigianale, con la copertina in pelle rossa lavorata a rilievo. Vi era impresso il disegno di un uccello che assomigliava ad un pavone o ad un qualche altro uccello esotico dalle piume lunghe e vaporose, forse una leggendaria fenice. Aprii l'agenda e mi tuffai nella lettura.

Nella prima pagina vi era nome, cognome e numero di telefono del proprietario, ora non avevo più dubbi, l'agenda era appartenuta al mio ex professore.

Senza un particolare motivo la aprii verso le ultime pagine e cercai l'ultima pagina scritta. In alto a destra vi era la data del 15 marzo, quattro giorni prima dell'incidente aereo in cui era morto. Al centro della pagina solo poche parole scritte velocemente.

Alessandro, se dovesse accadermi qualcosa leggi queste ultime pagine e capirai. Decidi tu che fare. Ho fiducia in te. In bocca al lupo!”

Non sapevo più cosa pensare. Quella notte non andai a dormire.

La luce della camera restò accesa fino a tardi e mentre le fiamme del camino spandevano le loro ombre soffuse sulle pareti io leggevo quelle pagine piene zeppe di appunti, disegni e note.

Vai al Cap. VI: Dentro la piramide.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 3 aprile 2014

Gargantua e Pantagruele di Francois Rabelais

Francois Rabelais nasce in Francia, a Chinon, intorno al 1494, morì nel 1553.
Rabelais, intorno al 1520 diviene monaco. Conosce il greco e il latino e nel 1525, quando la Sorbona proibisce lo studio del greco per evitare che si possano leggere i testi sacri in greco e sollevare problemi, chiede di passare nell'ordine dei benedettini, dove avrebbe potuto continuare i suoi studi e le sue letture. In seguito studia medicina e esercita la professione di medico in diversi ospedali a Lione.
Nel 1542 pubblica "Gargantua e Pantagruele", il primo di cinque libri, l'ultimo dei quali esce postumo nel 1562.
I libri hanno successo ma sono condannati all'Indice dalla Sorbona che li giudica eretici.
I suoi libri non si possono certo considerare classici, nei testi infatti gli argomenti più trattati sono il seeso, le funzioni corporali, il cibo e il vino, conditi dalla inventiva dell'autore, in tutti i campi, ma anche dalla sua vastissima cultura.
Ma veniamo al testo e cominciamo da una avvertenza dell'autore.
Mai avvertenza fu tanto gradita dai suoi lettori e io la riporto integralmente:
 
"Lettori amici, voi che m'accostate,
Liberatevi d'ogni passione,
E leggendo, non vi scandalizzate,
Qui non si trova male ne infezione.
E' pur vero che poca perfezione
Apprenderete, se non sia per ridere:
Altra cosa non può il mio cuore esprimere
Vedendo il lutto che davoi promana:
Meglio è di risa che di pianti scrivere,
Chè rider soprattutto è cosa umana.
 
Ed in effetti la sua opera immensa e particolare, in tante occasioni, se non ridere, fa sorridere per i doppi sensi, ma non è per tutti e non sempre è facile comprendere tutto il testo se non si è dotati di un grosso bagaglio culturale di tipo classico e linguistico. Nel prologo l'autore chiarisce il punto con un paragone tra i Sileni e la sua opera. I Sileni erano dei piccoli contenitori usati nelle farmacie per custodire medicinali e spezie. Contenitori sui quali erano spesso raffigurate immabini buffe e fantastiche. I Sileni erano preziosi, dunque, per il loro contenuto nascosto, non per l'apparenza. Così secondo l'autore, a ben guardare, la sua opera è più preziosa di quanto può apparire ad una prima lettura. Rabelais nei suoi cinque libri fa sorridere ma allo stesso tempo insegna, a chi è in grado di capire, usando la difficile arte dei simboli.
Così, attraverso i suoi strani personaggi: Gargantua, Pantagruele suo figlio, Panurge e frà Giovanni, Rabelais esplora il mondo fantastico o reale che sia, muovendosi non solo nello spazio della fantasia ma anche nel tempo e delle lingue.
Ogni capitolo è intriso di conoscenze antiche e moderne (per i tempi), di inventiva e linguistica, di saggezza popolare e filosofia, di misteri delle religioni del mondo reale e di ridicoli personaggi o personaggi ridicolizzati dall'autore.
 
Un libro enorme e complesso che però, a mio parere, non può mancare nella biblioteca personale.
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 1 aprile 2014

Goggius e muttettus a Gesico - (Canti popolari)

Tempo fa avevo cominciato a raccogliere canti della tradizione popolare del mio paese, Gesico.

Alcuni li potete leggere nel primo articolo sull'argomento: Gesico - Is Muttettus (Canti popolari della Sardegna).

Eccovene di seguito qualche altro, raccolto da mia madre Nanda proprio in questi giorni, grazie alla memoria sempre pronta di zia Nina.

Si tratta di alcuni muttetti che avevano come argomento le giovani del paese di Gesico descritte in modo talvolta ironico per metterne in risalto alcune caratteristiche.
Ma bando alle ciance, eccovi i primi muttetti, seguiti dalla loro traduzione, in attesa che zia Nina ne riporti altri alla memoria:

Aventina Schirru,
bella e curiosa,furba e spiritosa,
de su ballu sardu esti una regina,ancora non esti sposa
e pagu ad'atturai.
Trad:
Aventina Schirru,
bella e curiosa, furba e spiritosa,
del ballo sardo è una regina,
ancora non è promessa sposa, ma poco ci vorrà.

Livia Bernardini,
dipendidi de un ramu fini
e a cunvinci a chini d'ada acquistai.
Trad:
Livia Bernardini,
appartiene ad una famiglia nobile
ancora si deve presentare colui che la chiederà in sposa.

Iolanda Schirru
bogada un modellu,
unu frori bellu non d'ada mancai.
Trad:
Iolanda Schirru
indossa un modello,
un fiore bello non le mancherà.

Sebastiana Contu
aspettada sa primavera e
paridi una passionera pronta a sbocciai.

Trad:
Sebastiana Contu
attende la primavera
e sembra un fiore di passiflora pronto a sbocciare

Teresina beccia
Teresina beccia, innui sesi,
t'appu sciccau
ma su 'entu ti nd'adi pigau
e in s'arru t'appu agattau.
Trad:
Vecchia Teresina
Vecchia Teresina, dove sei,
ti ho cercata
ma il vento ti ha portato via,
e nei rovi ti ho ritrovata.
Così vi lascio, in attesa che zia Nina ricordi qualche altro brano della vita passata del mio paese, Gesico.
Grazie mamma, grazie zia Nina, per questi ricordi.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO e Fernanda DEMURO