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domenica 18 maggio 2014

Storia della Medicina e della Assistenza per le Professioni Sanitarie, di E.Cantarano e L. Carini

Il titolo dice tutto!
Il saggio che ho appena terminato di leggere è un testo universitario scritto da due Professori, per studenti universitari.
Talvolta questi saggi sono troppo pesanti da leggere ma non in questo caso.
Gli autori, Enzo Cantarano e Luisa Carini, riescono infatti a coinvolgere il lettore con uno stile pulito e avvincente. La storia della Medicina e dell'Assistenza per le Professioni Sanitarie ci introduce in un mondo di scoperte che accompagna la storia dell'uomo da millenni. Paura, malattia e morte e i metodi di allontanarle dalla nostra vita accompagnano il lettore nell'analisi delle civiltà del passato, fino ai giorni nostri.
L'ecletticità degli autori fa si che ogni pagina sia istruttiva ma allo stesso tempo ricca di curiosità che trascinano il lettore come in un libro di avventure ad andare sempre oltre e ad iniziare il proprio percorso di ricerca personale.
 
"Assistere, dal latino ad-stare, stare a fianco..." così deve essere l'assistenza!
 
La storia della Medicina e dell'Assistenza è strettamente legata a momenti storici particolari.
Eventi distruttivi quali le carestie, le guerre e la pesti (antiche e moderne) sono state infatti determinanti per lo sviluppo e la scoperta medica. Così affianco alla storia della Medicina si ripercorre a tappe la storia delle società umane per analizzare sotto un particolare punto di vista la nostra società.
 
Un testo interessante e che si pone come una guida nello studio e approfondimento della storia della Medicina e della Assistenza per le professioni sanitarie.
Stà poi a ognuno di noi approfondire secondo i propri gusti e interessi.
 
Buona lettura.
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 14 maggio 2014

Scarafaggi

Questa è una storia diversa dalle solite.
Non inizia con il solito "C'era una volta..." e non finisce con il matrimonio tra un principe ed una principessa stregata.
E' una storia diversa perché è una storia vera, anche se già so che nessuno di voi, dopo averla letta, lo crederà possibile. Ma siccome non ho più niente da perdere, perché non raccontare tutta la verità?
Tutto cominciò un maledetto giorno che mi farebbe piacere poter cancellare. Peccato che ciò non sia possibile!
Quella notte non avevo dormito bene. La sera prima avevo mangiato troppo e forse la digestione difficile era stata la causa dell'insonnia prima e degli incubi poi. Mi ero svegliato diverse volte nel cuore della notte tutto sudato e tremante, urlando.
Ricordavo un'ombra nera che mi inseguiva. Io correvo in un bosco di antiche querce che aveva qualcosa di sinistro. Mentre scappavo mi trovavo di colpo immerso in una pozza di fango e foglie. Ma il fango era rosso e appiccicoso, come il sangue. Mi sembrava di sentire ancora l'odore delle foglie in decomposizione misto al sangue rappreso. L'odore della morte.
In mezzo al fango galleggiavano teste di animali morti. Insetti e enormi scarafaggi mi circondavano e poi si arrampicavano sul mio corpo fino a che non mi svegliavo urlando.
Era stata una notte difficile.
La mattina mi alzai alla solita ora, mi infilai nella doccia per cercare di svegliarmi. L'acqua tiepida sulla pelle era piacevole e ricordo che pensai che sarebbe stata una bella giornata, nonostante gli incubi.
Uscii di casa per recarmi in ufficio, come tutte le mattine. Lungo la strada mi fermai a fare colazione al solito posto. Al bar ordinai un caffè bollente al banco.
Mentre sorseggiavo il caffè due ragazzi si sedettero vicino a me. Ordinarono due caffè e cominciarono a parlare in rumeno. Parlavano liberamente, non pensano che qualcuno potesse capirli. Io però capivo tutto, eredità di mia madre!
Parlavano in fretta e a voce bassa. Parlavano di qualcosa di urgente da fare. Non potevano mancare all'appuntamento. Dovevano prendere un pacco e consegnarlo ad una certa ora. Il più giovane era agitato, sembrava su di giri.
- ...e poi Buum! Erano state le sue ultime parole.
Mi alzai indifferente e pagato il caffè mi allontanai. I due avevano cattive intenzioni.
Forse dovrei andare alla polizia, pensai. Guardai l'orologio, era tardi. A qualunque cosa si riferissero non erano certo problemi miei. Ne avevo già abbastanza per mio conto. Che facciano quello che vogliono e vadano al diavolo. Non ho tempo per loro.
Arrivai in banca nel giro di pochi minuti. Il mio capo era all'ingresso e appena arrivato mi chiamò in disparte.
- Oggi abbiamo un cliente speciale Jonny, vorrei che te ne occupassi tu. Mi disse sorridendo. - Si tratta di un attore famoso che ha deciso di aprire un conto da noi. Mi raccomando, è un cliente importante e deve essere tutto perfetto.
- Naturalmente, grazie per la fiducia signore. La giornata si metteva bene! Pensai. Un nuovo cliente al mio portafoglio. Non capitava tutti i giorni.
Alle 14.00 arrivò il mio cliente speciale. Fu servito e riverito come si fa in questi casi e tutto andò per il meglio. Il capo era soddisfatto e io anche di più. La giornata si era decisamente messa bene nonostante l'inizio.
Ancora un'ora e la banca avrebbe chiuso. Non vedevo l'ora di tornare a casa.
Strinsi la mano al mio facoltoso cliente e lo invitai a venirci a trovare spesso. La sua mano era fredda, gelata. Non so per quale motivo pensai alla morte. La sua morte. La sua mano...
Di colpo l'incubo mi tornò in mente, più vivido che mai! Era come se mi trovassi immerso nel sonno, le foglie, gli insetti, il sangue appiccicoso... cercai di scuotermi, non era vero, era solo un incubo!
In quel momento due ragazzi entrarono in banca. Mi sembrava di conoscerli. Erano vestiti diversamente ma non avevo dubbi, si trattava dei due giovani rumeni incontrati al bar la mattina.
Uno di loro, il più giovane, poggiò la borsa che aveva sulle spalle in terra, estrasse una pistola da sotto il giubbotto e cominciò ad urlare frasi sconnesse.
I clienti della banca si erano buttati a terra e io ero li, bloccato, dall'odore delle foglie e del sangue che come nell'incubo sembrava ricoprire tutto e tutti.
Ci fu un'esplosione... buum! Aveva detto la mattina. Ma non erano problemi miei, come potevo sapere... come potevo immaginare...
Un'ombra nera sembrò calare su di me. Vedevo sangue dappertutto e poi svenni.
Da allora sono passati due mesi, io ora occupo stabilmente il letto numero 6 della clinica. Stabilmente... e si!
Nell'esplosione avevo perso le braccia, le gambe, l'udito e un occhio, però me l'ero cavata.
Dovevo ringraziare Dio, mi dicevano i medici. Al mio cliente speciale non era andata altrettanto bene. Era morto sul colpo e brandelli del suo corpo erano sparsi per tutta la banca. Sembrava il set di un film dell'orrore, mi dissero.
I due giovani erano morti anche loro. Avevano lasciato un video messaggio in cui annunciavano al mondo la nascita di una nuova organizzazione terroristica, il loro simbolo era un animale, uno scarafaggio insanguinato. Uno scarafaggio...
Forse, quella mattina sarei dovuto andare alla polizia, ma ormai era tardi per recriminare potevo solo continuare a pensare e sognare. Ogni notte un nuovo incubo tornava a trovarmi, ma quello si, non era un problema mio... oramai!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 7 maggio 2014

Per chi suona la campana, di Ernest Hemingway

Hemingway, uno dei più grandi scrittori americani del '900, conosciuto anche per i film tratti dai suoi libri, tra questi l'indimenticabile il vecchio e il mare, che ho letto tanti anni fa.
Nasce nel 1899 nei pressi di Chicago. Nel 1918 si arruola volontario nei servizi di autoambulanze e parte per il fronte italiano dove sarà ferito. Cronista e inviato di guerra per vari giornali americani, sarà influenzano tantissimo dalle vicende delle guerre cui assisterà.
Per chi suona la campana è ambientato in Spagna durante la guerra franchista che vede la Spagna impegnata in una lotta fratricida cui accorreranno da ogni parte del mondo sostenitori dell'una e dell'altra parte politica.
Scritto dall'autore dopo l'esperienza di corrispondente tra le fila degli antifascisti nel 1937, ci presenta una guerra silenziosa e di retrovia.
I suoi personaggi sono descritti magistralmente nella vita di tutti i giorni come nella violenza di quei giorni.
Robert Jordan è un professore americano arruolatosi in Spagna tra le fila degli antifascisti. Riceve il compito di far saltare un ponte e per far ciò si infiltra in territorio fascista dove lo aiuteranno un gruppo di antifascisti spagnoli guidati da Pablo e dalla sua donna, Pilar.
Nei pochi giorni in cui si svolge l'azione Robert troverà il tempo per riflettere sulla sua vita, sul suo passato e sul suo futuro visto che troverà anche il tempo di innamorarsi di Maria, una ragazza spagnola che ha subito violenza dai fascisti.
Pilar, la donna di Pablo,  dimostrerà tutta la sua forza aiutando Robert a portare a termine l'impresa.
 
La crudeltà della guerra, la morte e la sofferrenza accompagnano il lettore attraverso i racconti dei personaggi. Fascisti e antifascisti, comunisti e repubblicani sono uguali nella brutalità della guerra.
Le lotte ideologiche di quegli anni, il comunismo, l'ideale spagnolo del torero, la magia degli zingari fungono da contorno ad un grande libro, un libro da leggere e su cui riflettere, sempre.
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 2 maggio 2014

Acheronte

- Tundalo, vieni qui!

La voce possente e cavernosa continuava a chiamarlo, ogni notte. Tundalo non riusciva a chiudere occhio senza che la voce lo chiamasse.

- Tundalo, vieni da me!

Continuava a sentire la voce anche quando era ubriaco. Anzi, in quelle condizioni sembrava fosse ancora più forte.  Tutto era cominciato qualche settimana prima e lui non riusciva ancora a capirne il motivo.

- Basta! Non ce la faccio più. Voglio dormire. Urlò Tundalo, colpendosi la testa con i pugni chiusi e strappandosi ciocche di capelli scuri senza risultato.
La voce continuava a chiamarlo, insistente.

- Tundalo, sono io, non mi riconosci?

- Io chi? Chi sei, cosa vuoi? Perchè mi torturi maledetto?

La voce pulsante non si fermava un attimo. Era da giorni che Tundalo non riusciva più a chiuder occhio e le forze gli venivano meno.

- Bravo Tundalo, abbandonati, vieni da me!

Chiuse gli occhi per l'ultima volta forse.

- Tundalo, vieni qua!

La voce ora era intorno a lui, sopra, sotto, davanti e dietro, proveniva da tutti i punti e da nessun luogo in particolare, però era diverso da prima. Prima veniva da dentro la sua testa. Ora la sua testa era avvolta dalla voce. Enorme, come una montagna, lo sovrastava.
E la testa non gli doleva più, ora sentiva solo paura. Una paura profonda e tremenda. Gli pareva di essere in una grotta, dentro una enorme montagna.
Davanti a lui due enormi occhi fiammeggianti lo guardavano fissamente.

- Finalmente sei arrivato! Disse la voce cavernosa, impersonale, tremenda a sentirsi.

Sotto gli occhi, più in basso, verso l'abisso, una enorme bocca fiammeggiante mostrava le sue tre gole profonde color lava. Il puzzo di zolfo riempiva l'aria ma Tundalo non aveva più bisogno di respirare dove si trovava.

- Chi sei, cosa vuoi da me? Urlò Tundalo fissando gli occhi del mostro.

Dalle gole del mostro provenivano gemiti e lamenti, come di uomini torturati da innumerevoli mostri.

- Vieni da me, entra... Proseguì la voce senza dare alcuna risposta. - Vieni, ti aspetto da tanto tempo ormai.

La puzza proveniva dalle gole, più in basso qualcosa si agitava. come un nido di serpenti in cui cade una preda viva. Rumori inquietanti provenivano dal basso, urla di uomini frammiste a urla di animali terribili. Ululati e guaiti animali si alternavano a implorazioni di pietà che poco avevano di umano.

- No, maledetto tu sia! No, non voglio...

- Vieni da me, è il tuo Destino. Vieni da me!

Una lingua bifida uscì dalla bocca puzzolente e lo afferrò, trascinandolo verso l'imboccatura di una delle gole di Acheronte.
Un nuovo lamento si aggiunse ai lamenti dei dannati, era la voce di Tundalo, ora e per sempre fuori dalla sua testa.
 
 Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 29 aprile 2014

Borametz

- Ecco, siamo arrivati!
 
Le parole erano giunte piacevoli alle orecchie degli uomini del gruppo. Si tolsero gli zaini dalle spalle e li poggiarono sulle rocce assolate. Di fronte a loro un piccolo pianoro, dietro di loro il baratro che avevano appena scalato. Davanti a loro, oltre il pianoro che si estendeva per alcune decine di metri, una enorme vallata verde, ricca di corsi d'acqua e di piante, senza alcuna traccia della civiltà!
 
- Ora possiamo riposare. Mettete tutti gli zaini sulle rocce, non lasciateli a terra. Josè, Mario, montate le tende. Juan, prepara il fuoco. Noi invece vediamo se riusciamo a trovare dell'acqua fresca, con tutte queste rocce ci sarà pure una sorgente. Alejandro era abituato a comandare e i suoi uomini erano abituati ad obbedire. Si conoscevano da tempo e avevano tutti piena fiducia nelle sue doti di condottiero. Era il capo indiscusso, l'amico fedele, il fratello maggiore e il padre severo. Era giusto e per questo lo seguivano.
 
Il campo fu pronto nel giro di pochi minuti. La legna secca raccolta aveva dato vita ad un focolare improvvisato. Acqua fresca era stata raccolta e patate arrostivano tra la cenere. Il cielo era diventato rosa e poi sempre più scuro. La notte scendeva fredda ma le tende li avrebbero riparati dall'umidità. Il giorno dopo sarebbero ripartiti nella direzione che Alejandro avrebbe loro indicato.
 
- Alejandro!
 
La voce era forte, sempre più forte, come se il lungo viaggio avesse accorciato la distanza che lo separava.
Le parole erano solo nella sua testa ma per lui era come se fossero reali. Risuonavano, consigliavano, ordinavano, aiutavano lui e la sua tribù. E non si poteva dubitare, tutto ciò che veniva lui detto subito si realizzava.
 
- Alejandro, non c'è più tempo! Domani mattina dovete riprendere il viaggio.
 
- Sarà fatto! Rispose nella sua mente. L'indomani mattina sarebbero ripartiti per il loro viaggio.
 
La notte passò veloce e serena come le notti di chi è stanco per il lungo cammino. senza sogni.
 
- Andiamo, dobbiamo riprendere il cammino! Disse Alejandro svegliando i suoi uomini. ritirate le tende e pronti a partire tra mezz'ora.
 
- Mario, prendi con te due uomini e fate provvista d'acqua per due giorni, non potremo fermarci più. Non c'è più tempo!
 
- Va bene Alejandro. Rico, Marcelo, prendete due otri a testa e venite con me. La piccola squadra si diresse verso la sorgente poco lontana.
 
Trenta minuti dopo tutti erano pronti. Gli uomini erano stanchi ma tutti sapevano che la loro missione doveva essere compiuta e solo Alejandro aveva la forza per farlo. Erano in viaggio da trenta giorni ormai ed erano vicini alla fine. Poi il ritorno, se ci fosse stato ritorno, sarebbe stato più tranquillo. Senza più fretta. Ma ora dovevano muoversi. Alejandro diceva che non c'era più tempo e nessuno metteva in dubbio la sua parola.
 
- Abbiamo ancora due giorni di viaggio ma non potremo fermarci. Mettetevi in tasca delle patate cotte ieri sera e prendete l'acqua che vi servirà per il viaggio. Prendete queste foglie. Quando sarete stanchi e penserete di non riuscire più ad andare avanti masticatene una. Solo in quel caso. Solo se proprio non riuscite ad andare oltre.
 
Alejandro si girò e cominciò a scendere sul lato opposto della montagna, verso la vallata verde che si apriva davanti a loro.
La strada non esisteva, veniva aperta passo dopo passo tra la vegetazione bassa e spinosa. Arbusti mai visti prima li circondavano, la vegetazione era lussureggiante nonostante l'altitudine.
 
Arrivò il mezzogiorno, arrivò la sera.
 
Alejandro non accennava a rallentare, mise in bocca l'unica patata che aveva tenuto per sè, la masticò con calma, ben sapendo che sarebbe stata l'ultima.
 
Arrivò la notte, arrivò la mattina.
 
I suoi uomini erano stanchi, li sentiva arrancare alle sue spalle, li sentiva affannarsi dietro il suo passo sicuro. sentiva le loro forze venir meno ma non poteva far niente per loro. Tutto ciò che era in suo potere era già stato fatto. Ora toccava a loro, ad ognuno di loro, cercare nel proprio essere le forze per arrivare alla fine. Lui non si sarebbe più fermato per nessun motivo e loro lo sapevano. Erano consapevoli dei rischi.
 
Arrivò il mezzogiorno, arrivò la sera.
 
- Mangiate le vostre patate, se ancora ne avete. Disse Alejandro alzando la voce per farsi sentire da tutti. Domani mattina all'alba saremo giunti alla meta e non vi serviranno più.
 
- Mangiatele ora e cercate di masticarle bene. Non possiamo ancora fermarci.
 
Ogni uomo aveva ricevuto quattro patate per gli ultimi due giorni di viaggio ma le avevano consumate tutte il primo giorno. non restava che l'erba che gli era stata data. Mario prese una foglia, la guardo riponendo in essa tutte le sue speranze e la portò in bocca masticandola lentamente, cercando di sentire ogni sfumatura del suo sapore. L'essenza degli olii che conteneva ebbero un effetto immediato sul suo spirito e sul suo corpo. Ora gli sembrava di avere le ali ai piedi. Non sentiva più la stanchezza. Sarebbe durato?
 
Arrivò la mezzanotte...
 
Mario crollò a terra. Non s'era accorto di niente. Il passaggio dalla vita alla morte era stato istantaneo. Non aveva sofferto e non si era accorto di niente. Gli altri lo scavalcarono senza fermarsi.
 
- Alejandro.... Mario è caduto. Disse Juan dal fondo della coda.
 
- Lo so, ma non possiamo fermarci ora, ci penseremo più tardi. Ora non possiamo fermarci. La voce era forte, come sempre. Solo un leggero tremolio tradiva il suo dispiacere. Ma non potevano far niente per lui. Se aveva preso la foglia non c'era più niente da fare.
 
- Mancano poche ore! Stringete i denti e andiamo avanti.
 
Erano le tre del mattino. Le stelle si allontanavano e la luce del sole mattutino cominciava ad intravvedersi di fronte a loro. Un tonfo annunciò la caduta di un altro dei suoi. Questa volta era toccato a Juan. Anche per lui il passaggio era stato istantaneo. Un istante prima pensava alla sua famiglia, alla giovane moglie che lo aspettava a casa. Al figlioletto Pablo, che un giorno avrebbe forse compiuto il suo stesso percorso. Poi, di colpo, il buoi. Il cuore era scoppiato istantaneamente.
 
Arrivò l'alba.
 
Alejandro proseguiva il suo viaggio. Da un'ora non sentiva più il rumore dei compagni dietro di se. Era rimasto solo. Solo... con la sua stanchezza e con le sue foglie d'erba nella tasca. Il sudore scorreva lungo la pelle. L'odore della sua pelle era forte, era l'odore della stanchezza, della tensione, della paura.
 
- Eccomi, stò arrivando...
 
Di fronte a lui il Borametz, immobile, lo fissava. Era appena spuntato dalla terra e i primi raggi del sole illuminavano la sua lana dorata.
 
- Perdonami Signore, sono arrivato solo io!
 
Disse rivolgendosi al Borametz. Estrasse il coltello sacro che gli fu consegnato tanti anni prima da suo padre che l'aveva ricevuto dal padre. Così era stato per generazioni e così sarebbe sempre stato, Borametz volendo!
 
- Fai ciò che devi! La voce, forte, era rimbombata nella sua testa.
 
- Fai ciò che devi! Ripeteva continuamente.
 
Il coltello brillò alto sulla sua testa, prima di calare sul Borametz con forza. Alejandro recise le quattro zampe con sicurezza, piangendo.
 
Sangue rosso ricoprì la terra a fecondare i semi del prossimo Borametz.
 
Alejandro raccolse il corpo del piccolo agnello vegetale, raccolse il liquido rosso come il sangue nel suo otre vuoto.
Accese un fuoco e arrostì il Borametz sotto la cenere. Poi lo mangiò e tornò indietro al villaggio. Solo... ora poteva pensare al futuro.
Ora era libero...
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 27 aprile 2014

Favole della tradizione popolare in Sardegna e i fratelli Grimm

Nel 2008 ho sentito per la prima volta la storia de "is tres fradis longus" (i tre fratelli lunghi, o alti) e ricordo bene che mi stupì il fatto che si trattava di una storia complicata, dove solo alcune parti erano istruttive (secondo il mio punto di vista di uomo del duemila! Diverso doveva essere per le persone per cui era stata inventata...).
Qualche giorno fa mi sono imbattuto in una favola dei fratelli Grimm, una di quelle poco conosciute, nella quale ho subito notato le analogie con quella de "is tres fradis longus". La favola dei Grimm, per chi volesse leggerla" è intitolata "Federico e Caterinella" ed è una delle favole della tradizione popolare tedesca raccolta dai due fratelli linguisti.

La favola raccolta da me è la seguente

C'era un tempo una famiglia di contadini,
come tutti gli anni subito dopo il raccolto, la prima cosa che facevano i contadini per evitare di morire di fame, era conservare una parte del raccolto da usare nel periodo in cui la terra non produceva. Si trattava dei tre mesi di maggio, giugno e luglio, chiamati “is tres fradis longus”.
In quel tempo la moglie del contadino era ammalata per cui, mentre il marito andava a lavorare i campi, lei restava a casa.
Il contadino, separate le provviste, disse alla moglie (che non era una cima!) di non toccare il grano che aveva messo da parte perchè era destinato a “is tres fradis longus”.
Una mattina mentre il contadino si trovava in campagna a lavorare la terra, tre persone arrivarono alla fattoria e chiesero se c'era del grano da comprare.
Quando si presentarono, la moglie del contadino vedendo che erano tre uomini alti, molto al di sopra del normale, chiese loro se essi fossero i tres fradis longus di cui le aveva parlato il marito.
Loro annuirono e così la moglie del contadino gli diede il grano, senza chiedere alcuna ricompensa, convinta si trattasse delle persone di cui parlava il marito.
I tre uomini presero il grano e dopo aver ringraziato, andarono via. Al rientro del marito, la moglie lo accolse dicendogli di avere una bella sorpresa per lui.
Il marito chiese cosa era accaduto, e sentito il racconto della moglie, disperato e arrabbiato spiegò, anche se in ritardo, che is tres fradis longus erano i tre mesi di maggio, giugno e luglio, che precedevano il raccolto e in quei tre mesi, se non si faceva come le formiche che mettono da parte quanto occorre, si moriva di fame.
Il marito, pensando di poter rimediare ai guai provocati dalla moglie, chiese da quanto tempo is tres fradis fossero andati via e lei rispose che era passata appena mezz'ora.
Il marito disse alla moglie di chiudere la porta di casa e di seguirlo di corsa che forse sarebbero riusciti a raggiungere i tre.
La moglie però capì male e, presa la porta sulle spalle, lo seguì di corsa.
Nel mentre il contadino, corso avanti, non vedendo ne sentendo più la moglie si girò ad aspettarla e la rimproverò dicendole di correre di più ma lei che aveva sempre la porta sulle spalle, disse di non riuscire a stargli dietro a causa del peso.
Il marito resosi conto che la moglie aveva la porta sulle spalle, disperato, le disse che non aveva capito niente, doveva chiudere la porta e non portarsela appresso!
Si voltò e proseguì la corsa da solo.
Ad un certo punto cominciò a farsi sera così, non avendo ancora raggiunto is fradis longus ed essendo troppo lontani da casa, il marito arrampicatosi su un albero mise la porta tra i rami e prepararò un giaciglio per la notte, al riparo dagli animali del bosco.
Durante la notte, si sentirono delle voci, i tre ladri si erano fermati, infatti, sotto l'albero per dividere il bottino delle loro malefatte.
I due contadini spaventati stettero in silenzio.
Mentre i briganti facevano i conti, la moglie da troppo tempo senza andare in bagno e forse anche per la paura disse al marito di aver bisogno di fare la pipì.
Il marito infastidito le rispose che se proprio non riusciva a trattenerla, che la facesse goccia a goccia cosicchè i ladri non si allarmassero!
E così fù... I ladri di sotto, sentendo gocciolare, pensarono si trattasse di rugiada.
Poi la moglie disse al marito che aveva bisogno di fare anche la cacca.
Il marito, sempre più disperato le disse che, se proprio non riusciva a trattenerla, la facesse almeno a pezzetti piccoli.
Uno dei ladri, sentendosi colpito, si lamentò ma l'altro gli disse che, trovandosi sotto un albero, si trattava certamente di “arrosu de notti e merda 'e pizzoni” cioè di rugiada e cacca di uccello.
Il contadino, in quel momento, pensando alle difficoltà cui sarebbe andato incontro a causa della stupidità della moglie decise di provare a riprendersi il grano e i soldi che avevano i ladri. Quindi, fatta spostare la moglie su un ramo, prese la porta e la lanciò sui banditi.
Il bandito che aveva i soldi rimase intrappolato e gli altri due scapparono spaventati per la sorpresa.
Allora il contadino, buttatosi sul bandito, gli tagliò la lingua per evitare che potesse dare l'allarme e quindi gli portò via i soldi.
Gli altri due banditi che si erano allontanati di corsa, resisi conto della assenza del complice cominciarono a chiamarlo ma lui, con la lingua tagliata, riusciva a fare solo dei versi che, di notte, spaventarono ancora di più i due banditi che scapparono senza più pensare al bottino. Il contadino e la moglie, così, senza più il grano dei fradis longus ma con i soldi presi ai banditi tornarono a casa felici di aver risolto il loro problema.

La favola dei Grimm è molto simile.
Vi è una coppia di contadini, Federico e Caterinella, appena sposati, che vivono in campagna. Federico va tutti i giorni a lavorare i campi e un giorno chiede alla moglie di fargli trovare per il suo ritorno delle salsicce cotte e della birra fresca. La moglie pasticciona mette a cuocere le salsicce e poi si allontana dal fuoco per andare a spillare la birra in cantina. A metà del lavoro le viene in mente che qualche cane potrebbe rubarle la salsiccia così abbandona la birra e torna in cucina giusto in tempo per vedere un cane scappare con la salsiccia in bocca. Lo insegue ma senza successo. Quando torna a casa si rende conto che la birra ha traboccato. La botte è vuota e la cantina sporca.
Caterinella decide di ripulire la cantina e per farlo usa la farina messa da parte dal marito.
Quando il marito torna a casa per pranzo Caterinella gli racconta tutto ciò che ha combinato. Il marito la rimprovera ma il danno è fatto. Il contadino aveva messo da parte delle monete d'oro e per paura che la moglie facesse altri danni le disse che avrebbe messo da parte delle cicerchie gialle per il futuro. Così mise le cicerchie nella stalla sotto la mangiatoia e disse alla moglie di tenersi alla larga altrimenti se ne sarebbe pentita. Un giorno giunsero a casa di Caterinella dei mercanti di pentole che chiesero se volesse acquistare qualcosa. Caterinella non aveva soldi per cui disse che al massimo poteva pagare con delle cicerchie gialle che si trovavano nella stalla ma avrebbero dovuto far da soli perchè lei non poteva avvicinarsi alle cicerchie per ordine del marito. I mercanti andarono nella stalla, rubarono le monete d'oro e scapparono lasciando le loro pentole alla povera Caterinella. Caterinella aveva già tante pentole a casa per cui decise di usare quelle nuove che aveva acquistato per ornare il giardino.
Quando il marito tornò a casa vide le pentole intorno al giardino e chiese alla moglie che cosa fosse quella novità. Caterinella raccontò dell'acquisto fatto grazie alle cicerchie gialle.
Il marito disperato spiegò alla moglie cosa avesse combinato. Ma ormai il danno era fatto.
Decise di inseguire i mercanti e dopo una prima disavventura in cui la moglie spalma di burro delle rotaie e perde le forme di formaggio per strada, Federico dice alla moglie di andare a casa a prendere qualcosa da mangiare e di assicurarsi che la porta di casa sia ben chiusa e poi di seguirlo con delle provviste. lui l'avrebbe preceduta cercando di raggiungere i ladri. La moglie pensò bene di chiudere la parte superiore della porta e di portarsi appresso la parte inferiore, in questo modo il marito sarebbe stato tranquillo che nessuno avrebbe potuto rubare la porta, pensò lei.
Caterinella raggiunse il marito con delle pere secche e dell'aceto per le pere e con la porta sulle spalle.
Quando il marito la vide le chiese per quale motivo avesse la porta sulle spalle. Lei gli rispose che in questo modo lui stesso avrebbe potuto controllare la porta.
Giunti nel bosco salirono su un albero per passare la notte. Proprio in quel mentre sotto di loro arrivarono i ladri che si fermarono sotto il loro albero. Caterinella continuava a reggere la porta, l'aceto e le pere secche e non ce la faceva più per cui lasciò cadere le pere col rischio che i ladri li scoprissero. Ma i ladri pensarono che si trattasse dello sterco di qualche uccello che stava sull'albero. Poi Caterinella non riuscendo a reggere l'aceto lo versò di sotto e i ladri pensarono si trattasse di rugiada. Alla fine, esausa, Caterinella fece cadere la porta. I ladri si spaventarono e scapparono lasciando i soldi per terra.
Federico e Caterinella scesero dall'albero e trovati i soldi se ne tornarono a casa.
La storia della stupidità di Caterinella naturalmente prosegue ancora un pò ma penso che ci si posssa fermare quà.

Credo che le due favole lette assieme possano completarsi e spiegarsi a vicenda. Probabilmente si tratta di due diverse versioni della stessa favola di base in cui alcuni elementi sono stati mantenuti, altri variati per non offendere la sensibilità del pubblico.
Nella favola dei Grimm, la caduta delle pere e dell'aceto ha sostituito i bisogni della povera Caterinella. Grazie alla favola dei Grimm è possibile inoltre spiegare il perchè la contadina si sia portata appresso la porta, cosa che dalla favola della Sardegna non era possibile capire.

Le favole sono istruttive e la morale credo hce sia questa: "Occorre sempre stare in guardia perchè i pericoli maggiori sono spesso all'interno della nostra stessa famiglia e la stupidità è forse la cosa da temere di più."
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 26 aprile 2014

Roma: Palazzo Massimo

Il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, oltre ad ospitare mostre itineranti (attualmente la mostra sui mostri della mitologia) contiente delle opere d'arte di elevatissimo livello e una bellissima collezione di monete di tutti i tempi attraverso cui è possibile ripercorrere la storia del nostro paese.


Il pugile


Le statue, di periodo classico, sono delle vere e proprie opere d'arte.  Bronzo, marmo o pietra fa poca differenza per chi osserva, si tratta in ogni caso di opere di altissimo valore artistico.





Spostandosi da una sala all'altra è possibile osservare lungo i corridoi i busti e le teste di personaggi famosi del periodo imperiale e repubblicano, interessantisssimi i particolari delle acconciature.

 







L'ermafrodito



Il discobolo




 
Il sarcofago di portonaccio
 

Ecco solo alcune foto delle opere che mi sono piaciute maggiormente.
Il palazzo si trova subito fuori dalla stazione Termini e vale proprio la pena visitarlo.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO