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domenica 17 maggio 2015

Antica India, la culla della civiltà

Quante cose si danno per scontate!
Per esempio, nel mio caso, ho sempre pensato che la scrittura più antica fosse quella mediorientale cuneiforme assieme alla geroglifica egizia, mentre tra i testi più antichi ho sempre messo la bibbia, i testi delle piramidi e l'epopea di Gilgamesh.
Ora, leggendo questo libro, ho scoperto che, forse, i testi indiani che vanno sotto il nome collettivo di "Veda",
sono ancora più antichi, come il sanscrito, la lingua utilizzata per scriverli.
Certo, non ci metterei la mano sul fuoco, ma gli autori sostengono la cosa con convinzione.
Da dove viene questa loro convinzione? Dai Veda.
I Veda sono dei testi sacri che secondo i tre autori sono stati scritti in epoca remota. Ma quanto remota?
Questo è ancora da capire, sia perchè l'India ha una tradizione orale molto importante, sia perché i testi fanno riferimento ad una geografia dell'India che in parte non esiste più ed infine a causa delle distorsioni dovute alle interpretazioni storiche eurocentriche che hanno sempre negato all'India la giusta posizione nella cultura e nella storia del mondo.
I Veda sono i testi sacri più lunghi e complessi del mondo. Il Rig-veda, il più antico, è una raccolta di 1028 inni in lode del Divino. Notate bene che ho detto del Divino, al singolare, questo perchè nonostante si pensi comunemente che in India si adorino tanti dei, questi non sono altro che diversi aspetti della stessa unica divinità.
Il secondo dei Veda si chiama Sama-veda ed è un manuale liturgico che in buona parte riprende gli inni dal Rig-veda. Il terzo testo è l'Yajur-veda, ovvero il testo degli inni sacrificali. Sembra essere stato composto verso la fine dell'epoca vedica. Infine vi è l'Atharva-veda, un testo particolare e probabilmente più recente.
I testi sacri Veda non sono gli unici testi antichi provenienti dall'India, a questi occorre aggiungere i Brahmana, le Upanishad ovvero le scritture esoteriche e gli Aranyaka, testi destinati agli iniziati.
Ma, dopo aver dato dei cenni generali, potreste chiedermi: di che periodo sono i testi di cui si parla? Perchè ci dici che sono probabilmente i più antichi del mondo?
Devo dire che il libro, da questo punto di vista,  è molto interessante perchè ripercorre la storia degli studi fatti sui testi riportando le differenti ipotesi avanzate nel tempo sull'antichità dei testi vedici e sulla storia antica della stessa India. 
Una delle cose che più mi ha colpito è la teoria dell'invasione ariana dell'India. In breve si tratta di una ipotesi avanzata da alcuni studiosi europei, principalmente Max Muller e Gordon Childe, che legando l'uso della lingua al gruppo etnico ariano indirizzarono involontariamente gli studiosi nel pensare che un popolo nord europeo, gli ariani per l'appunto, avessero invaso l'India in tempi passati e da questa invasione nascesse la cultura indiana. Le prove a favore dell'ipotesi avanzata erano praticamente nulle ma la situazione politica dell'Europa di fine Ottocento e inizio Novecento era tale che l'ipotesi divenne ben presto verità e venne utilizzata, tra l'altro, per giustificare la superiorità della razza ariana sul resto del mondo.
E dire che il termine Ariano, che deriva dal sanscrito Arya, significava nell'antica India "nobile", "istruito"! Che beffa.
Ma torniamo per un attimo alle cose che si danno per scontate. 
La maggior parte delle persone da per scontato che l'evoluzione della società umana sia lineare. Da animali si è divenuti uomini cominciando a coltivare la terra, raggruppandosi in villaggi vicino ai fiumi. I villaggi ben amministrati crebbero divenendo città... e così si arriva ai giorni nostri.
Eppure le cose non sono così semplici e lineari.
Quante volte un terremoto, uno tzunami o una epidemia hanno rigettato l'uomo ad uno stadio di sviluppo precedente?
Non si può sapere, ma è accaduto di sicuro.
Nel lontano oriente la scoperta di diverse città datate almeno al 2000 a.C. confermano il fatto che la storia procede a singhiozzo e che culture anche molto avanzate possono regredire e scomparire del tutto.
Harappa, Mohenjo Daro, Kalibangan e tanti altri siti che sono stati scoperti all'inizio del Novecento, dimostrano che esistettero città nel passato remoto, città che scomparvero quando, probabilmente a causa di enormi sconvolgimenti terrestri, un fiume ad oriente dell'Indo scomparve, lasciando spazio ad una enorme pianura quasi desertica. Questo fiume scomparso, probabilmente è lo stesso fiume di cui si parla nel Rig-veda, il Sarasvati, oggi nascosto sotto le sabbie del deserto di Thar. Eppure se qualcuno avesse utilizzato le informazioni riportate nel Rig-veda, come fece Schliemann per la sua ricerca di Troia, avrebbero consentito di trovare città e tesori dove oggi effettivamente si stanno trovando.
Se le cose andarono così, occorre cominciare a pensare che i Veda vennero composti prima degli sconvolgimenti che fecero si che il Sarasvati scomparisse. Se così fosse i Veda sarebbero realmente i testi più antichi del mondo!
Dunque, intorno al 2000 a.C. (o prima!), sconvolgimenti di immani dimensioni cambiarono la faccia della terra nel territorio dell'India, cancellando fiumi e popolazioni intere. Una domanda, possibile che tali sconvolgimenti abbiano lasciato indenne il resto del mondo?
Non saprei, però mi sembra strano che simili sconvolgimenti possano accadere senza che il resto del mondo ne subisca una qualche influenza.
Comunque sia andata, una cosa posso dirla con certezza, nella mia lista dei libri da leggere, i Veda hanno conquistato una posizione prioritaria. Nella mia biblioteca gli ho già riservato un posto d'onore, affianco ad "Antica India, la culla della civiltà".


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 2 maggio 2015

Il genio della bottiglia, di Joe Schwarcz

Se avessi dato retta al mio istinto non avrei comprato il libro! Solitamente il primo approccio ad un libro è guidato dalla lettura del titolo, sarà sbagliato, ma se non mi piace difficilmente vado oltre.
Per fortuna ero con mia moglie in libreria. Il libro l'ha comprato lei ed è stata lei, dopo averlo letto, ad incuriosirmi, leggendo a voce alta qualche passo interessante.
Così anche io l'ho letto e devo dire che è stata una piacevole scoperta.
L'autore, Joe Schwarcz, è professore di chimica alla McGill University di Montreal, in Canada.
Di cosa parla, vi chiederete.

Non è il classico libro di chimica, difficile e talvolta noioso da seguire, ma un interessante percorso attraverso la chimica che ci circonda nella nostra vita di tutti i giorni. La chimica e la sua storia si intrecciano amabilmente, portando il lettore a scoprire assieme la chimica e gli uomini, protagonisti delle scoperte.

Spesso le scoperte, soprattutto nel campo farmaceutico, sono successe per caso, come pure per caso si sono scoperti gli effetti secondari, a volte benevoli, a volte cattivi, dei principi attivi e delle loro interazioni con altre sostanze naturali o meno.
Quando leggiamo il bugiardino di un farmaco difficilmente troviamo indicazioni del tipo, "attenzione, non assumere con succo di pompelmo", eppure il succo di pompelmo possiede delle sostanze in grado di accrescere l'efficacia di alcuni farmaci utilizzati per curare l'ipertensione. Naturalmente la cosa potrebbe anche essere pericolosa se non si fa attenzione. Ogni sostanza infatti, se presa nella giusta dose può far bene, ma se le dosi sono sbagliate...
 Poco tempo fa ho avuto un infarto e da allora sono sotto cura. Una delle mie medicine quotidiane è l'aspirina. Mai avrei pensato che l'uso dell'aspirina per la fluidificazione del sangue fu scoperta per caso da un medico di famiglia californiano, il dottor Lawrence Craven, che notò che i suoi pazienti che prendevano dei chewin-gum all'aspirina per alleviare i dolori della tonsillectomia, soffrivano spesso di emorragia. Fu lui che pensò di usare l'aspirina per evitare la formazione di coaguli di sangue nei pazienti che avevano sofferto di attacchi di cuore.
Tra i miei interessi vi è anche la storia. Quando studiai la dichiarazione di Balfour del 1917 (con la quale il governo inglese si disse disponibile all'insediamento degli ebrei in Palestina) non avrei mai pensato che tale dichiarazione fosse stata fatta per gratitudine verso un ebreo (il chimico Chaim Weizmann) che mentre cercava un metodo per produrre l'isoprene scoprì come produrre acetone dal frutto dell'ippocastano, acetone che servì alle fabbriche inglesi per produrre la cordite necessaria per la guerra.
Queste curiosità e tante altre, raccontate con dovizia di particolari, sono parte integrante del libro che vi consiglio di leggere.
Sono indeciso, se seguire il mio istinto riguardo ai titoli, e non acquistare gli altri libri dell'autore oppure fare un'eccezione e comprare "Come si sbriciola un biscotto?"...
Ancora non ho deciso, per ora buona lettura a tutti.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 12 aprile 2015

Un ottimista razionale, di Matt Ridley

Si può essere ottimisti sul futuro dell'umanità?
Secondo l'autore, Matt Ridley, si deve essere ottimisti.
Matt Ridley (1958), laureato in zoologia a Oxford, è un divulgatore scientifico inglese che, forse controtendenza, sostiene che l'umanità continua incessantemente ad evolvere.
Col suo libro cerca  di identificare quali siano i motivi alla base dell'evoluzione umana e quali sono stati, nel tempo, i motivi che hanno favorito o impedito la crescita.
Alla base del suo ottimismo sembra esserci l'estrema fiducia dell'autore nella capacità umana di condividere. Esperienze, benefici economici, commercio, idee, conoscenza, l'uomo ha scoperto il vantaggio nello scambiare e condividere tutto e attualmente l'intelligenza collettiva consente di risolvere problemi un tempo neanche ipotizzabili.
Perchè ciò accade?
Secondo l'autore le idee, ad un certo punto della storia dell'uomo, hanno cominciato ad "incontrarsi e ad accoppiarsi, a fare sesso".
Tutto è iniziato, forse, quando l'uomo ha cominciato a capire che la specializzazione nel lavoro consentiva di migliorare la vita garantendo più tempo alle persone per dedicarsi a pensare. La specializzazione ha consentito portato ad avere un surplus di produzione, cosa che ha consentito lo sviluppo degli scambi e del commercio. Il commercio ha avvicinato sempre più le persone e le persone più stanno a contatto più sono portate a scambiarsi ciò che ritengono necessario per la sopravvivenza, comprese le idee.
Naturalmente in diverse occasioni lo sviluppo si è interrotto perché troppo poche risorse sono state impiegate per l'innovazione. 
Sempre in controtendenza, Ridley sostiene che l'autosufficienza sia la strada opposta alla prosperità, in linea di massima infatti l'autosufficienza presuppone l'impiego di tantissime risorse ed è in opposizione alla specializzazione. L'autosufficienza in pratica immobilizza il capitale e impedisce il risparmi di tempo necessario per lo sviluppo delle idee.
L'analisi del comportamento umano porta l'autore ad affermare che maggiore è il livello di fiducia maggiore è la prosperità in un dato gruppo, cosa che condivido appieno.
Ci sarebbe tanto altro da dire, il libro infatti tocca numerosi aspetti del nostro mondo, ma credo che quanto detto sia sufficiente per darvene un'idea.

Buona lettura e... siate ottimisti!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO 

lunedì 23 marzo 2015

Marie Curie, di Susan Quinn


Un libro veramente interessante.

Il libro della giornalista Susan Quinn tocca con profondità e chiarezza tutti gli aspetti della vita della grande scienziata.
La storia di una famiglia polacca (Maria era infatti polacca, il suo nome prima di sposarsi era Maria Salomea Sklodowski), delle difficoltà vissute durante l'occupazione russa della loro patria, i sentimenti nazionalistici, sono bene descritti e permettono di conoscere una parte della storia europea troppo spesso dimenticata.
Marie era insegnante, oltre che scienziata e ricercatrice, una delle sue frasi che mi piace ricordare, perché è ciò che dico sempre anche io: "Non fidatevi di ciò che la gente vi insegna, e soprattutto di ciò che io vi insegno... ", mettetevi voi in prima persona a sperimentare, provare, approfondire, così potrete capire in prima persona.
E' molto interessante la descrizione della società parigina e dei sentimenti dei colleghi scienziati e professori verso una donna, che seppur di genio, era comunque una donna.
Il matrimonio con Pierre Curie e il trasferimento definitivo in Francia, a Parigi, gli studi e il lavoro di laboratorio che porteranno i due coniugi a vincere il Nobel per la fisica nel 1903, assieme a Becquerel, sono solo alcune delle vicende che videro Marie sempre protagonista.
Il libro descrive molto bene anche gli studi effettuati in quegli anni sulla radioattività dagli scienziati europei, sono riuscito a compilare infatti una lunga lista di persone di cui spero di trovare e leggere in futuro le biografie (Pierre Curie, Lord Kelvin, Becquerel, Rontgen, Thomson, Rutherford, sono solo alcuni).
Molto interessante anche la descrizione dell'organizzazione messa in piedi da Marie in occasione della prima guerra mondiale, che la vide girare per il fronte a soccorrere i feriti, facendo uso delle sue competenze radiologiche e tecniche sue e dei suoi più stretti collaboratori. 
Potrei andare avanti per giorni nel descrivere la vita e le opere di questa grande scienziata ma mi fermo qui, passando idealmente il testimone a chi ha voglia di approfondire.

Un grande libro su una grande donna!

Buona lettura.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 22 marzo 2015

Breve storia della Sardegna - Vol. I - Antichità

Cari amici, vi presento Breve storia della Sardegna, il mio ultimo libro.

Questo libro vuol essere di spunto a tutti coloro che vogliono sapere qualcosa delle loro origini ma che si sono sempre fermati alla immagine della Sardegna sulla copertina di un bel libro in vetrina.
Questo libro è un percorso di ricerca aperto a tutti i volenterosi.
Non sempre troverete risposte, spesso troverete domande, quasi mai troverete certezze. Ognuno potrà leggere e giudicare da solo sulla credibilità di una versione o di un'altra. Io farò come faceva Erodoto 2500 anni fa; vi racconto ciò che ho visto, ciò che ho letto e ciò che ho sentito, dicendovi la mia opinione (e presentandola come tale) oppure lasciandovi sognare sulla scia di miti e leggende.

Auguro a tutti buona lettura e vi invito ad andare in Sardegna. Però non fermatevi lungo le coste, entrate nel suo cuore per capire e conoscere l'isola e le sue antiche culture, i suoi differenti dialetti, i costumi, i cibi, le tradizioni e soprattutto le persone.

Se volete avere un'idea di cosa vi troverete dentro date uno sguardo agli articoli già pubblicati sul mio blog, seguite questo link.

Poteto trovarlo sul sito ilmiolibro.it (Breve storia della Sardegna) dove potrete leggere una breve introduzione e le prime pagine.
Spero vi piaccia e possa diventare uno dei libri della vostra libreria.

Buona lettura e a presto.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


sabato 28 febbraio 2015

I custodi della Storia (Capitolo I) - Addio Sardegna

Il nuraghe vicino a casa mia era un ottimo nascondiglio.

L'aria al suo interno era sempre fresca, il buio profondo accoglieva gli ospiti non appena si varcava la soglia, proiettandoli in un mondo antico e ancora sconosciuto.

Ogni volta che vi entravo mi sembrava che il tempo si fermasse. Respiravo lentamente addossato alle rocce fredde, ascoltando il battito del cuore, osservando protetto dal buio, che nessuno venisse a cercarmi.

Ero sempre stato ossessionato dal mistero rappresentato da quegli enormi torrioni di roccia costruiti con blocchi appena sbozzati. 
Non ne avevo paura, anzi, tra le rocce mi sentivo a mio agio, mi trasmettevano una sensazione di sicurezza e forza che aveva del soprannaturale.

I miei compagni di gioco correvano per i campi, frugavano tra i cespugli, giravano attorno al nuraghe ma raramente vi si addentravano, forse spaventati dal buio, forse dall'odore penetrante del muschio che indipendentemente dalla stagione era sempre presente al suo interno.

Il nuraghe era un nascondiglio perfetto e al suo interno, appiattito contro le spesse pareti, mi sentivo perfettamente a mio agio, come se vi fossi nato.

Uno dei miei preferiti era il nuraghe “Is paras”, così chiamato perché nell'ottocento era appartenuto ai padri scolopi. Si trovava a poche centinai di metri dalla scuola media e io vi andavo spesso a giocare con i miei fratelli o con gli amici.

Vi giravo attorno come per controllare che niente fosse cambiato dall'ultima visita e poi mi arrampicavo lungo le mura per raggiungere la sommità. Non era difficile salire anche perché qualcuno aveva inserito dei ferri tra le rocce che permettevano di salire agevolmente, anche se occorreva fare attenzione perché se si cadeva si rischiava un volo di diversi metri con atterraggio sulle rocce. Arrivato in cima mi sedevo su uno dei grossi massi e restavo a pensare, cingendo le ginocchia con le braccia, insensibile al vento freddo che non più ostacolato dalla vegetazione mi colpiva la faccia. Immaginavo guerrieri antichi dalle forme più strane che protetti dalle mura lanciavano frecce dalla punta di pietra verso aggressori stranieri che avanzavano veloci. I guerrieri nuragici indossavano corte tuniche e elmi cornuti. Braccia e gambe erano protette da placche di cuoio, come nelle riproduzioni dei bronzetti ritrovati nei nuraghi e spesso raffigurati nei libri di storia presi in prestito dalla biblioteca. Altre volte raggiungevo la mia postazione di osservazione portando con me un vecchio album da disegno e disegnavo il paesaggio circostante. 
Nel mio disegno solitamente le colline, ciuffi d'erba e vecchie querce da sughero circondavano l'elemento principale, il nuraghe alto e maestoso, che si stagliava contro il cielo al tramonto. Oppure salivo e scendevo per la stretta scala in pietra, ricavata all'interno delle mura facendo attenzione a non mettere un piede in fallo per evitare brutte cadute. Quelle pietre enormi utilizzate per costruire mura spesse anche cinque metri mi proteggevano da tutto e da tutti e sicuramente avevano svolto lo stesso compito nei confronti delle antiche popolazioni.

-Alessandro, noi rientriamo a casa! Mi urlavano gli amici stanchi di aspettare, allontanandosi di corsa verso il paese. Solo allora mi destavo dai miei pensieri e li raggiungevo per continuare a giocare con loro a pallone lungo la strada.

Quello era il mio mondo o forse lo è ancora, ed io lo vivevo intensamente e senza preoccupazioni. Come era bello essere ragazzo!

Col tempo lasciai perdere il gioco ma continuai a visitare i nuraghi, alla ricerca di ricordi dell'antichità. Chissà quanti avevano abitato quelle torri, vi avevano vissuto e vi erano morti.

Ne visitai tantissimi, più e più volte, girando la Sardegna in lungo e in largo sempre alla ricerca di un punto di vista nuovo che mi permettesse di avvicinarmi maggiormente ai segreti che ai miei occhi, da chissà quanti millenni, essi custodivano.

Poi un giorno mi risvegliai cresciuto e a malincuore lasciai la mia terra per andare a studiare in Continente.

Era una cosa ancora molto frequente per noi sardi.

Arrivati ad una certa età l'isola sembra farsi stretta, troppo piccola per la voglia di scoprire il mondo, troppo povera per chi vuole costruirsi un futuro e una famiglia.

Così un giorno si acquista un biglietto di sola andata e ci si lascia dietro i parenti, il paese, gli amici, la ragazzetta e tutte le fantasie accumulate negli anni su quelle fantastiche costruzioni tronco coniche per partire alla ricerca di qualcosa che nella maggior parte dei casi non arriverà mai: un pizzico di fortuna!

Molti di questi giovani un giorno faranno ritorno nella loro terra, acquisteranno una casa in un paese di mille abitanti e vi passeranno gli ultimi anni della loro vita, spesso soli e dimenticati.

Ma non io, questa cosa non l'avevo mai messa tra le opzioni possibili. Io avrei fatto una vita diversa, mi sarei realizzato, sarei diventato un archeologo o giornalista (o forse scrittore) e sarei tornato in Sardegna di tanto in tanto per vedere i miei parenti nel piccolo paese di Gesico, nella Trexenta del Campidano, in provincia di Cagliari o a Isili per trovare gli amici e magari entrare ancora una volta nel nuraghe della mia gioventù.

Solo buoni propositi, forse sogni di un ragazzo la cui vita era ancora tutta da scrivere!

Partii per Milano dove avrei frequentato l'Università degli Studi, avrei seguito un percorso che mi consentisse di approfondire la storia, la mia materia preferita e le lingue antiche.

Avevo vinto una borsa di studio, l'impegno alle scuole superiori mi consentì di iscrivermi gratuitamente al primo anno di corso. Avevo diritto all'alloggio e alla mensa e con i risparmi che avevo messo da parte lavorando durante l'estate la vita non sarebbe stata male almeno per i primi tempi.

Comunque, arrivato a Milano mi resi conto che la vita era più cara di quanto potesse apparirmi da ragazzo, quando le spese sono sostenute dai genitori. Così, per cercare di vivere un po' meglio senza gravare sulle loro spalle mi trovai un lavoretto che mi portava via poco tempo e mi consentiva di studiare. Solo alcune ore al giorno ma andava bene così.

Appena arrivato all'università avevo notato un cartello appeso al cancello di un ricco condominio, “cercasi portiere”, diceva. Sembrava proprio il lavoro adatto a me. Mi presentai all'amministratore, un vecchio avvocato piegato in due dagli anni e con indosso un impeccabile completo nero d'altri tempi che mi interrogò come fossi stato un ragazzino delle elementari. Le domande vertevano sulle mie origini, la famiglia, la mia presenza a Milano e sul perché volevo lavorare. Risposi a tutto senza esitazione e così superai il colloquio. Cominciai a lavorare prima ancora di iniziare a frequentare i corsi all'università. Un vero colpo di fortuna!

Milano era una città caotica.

Passare da un paese di poco più di mille abitanti dove tutti si conoscono ad una metropoli di quelle dimensioni era stato scioccante ma mi abituai velocemente. Imparai subito a muovermi con la metropolitana e cominciai a girare a piedi per visitare i luoghi più suggestivi. La mia prima volta in centro fu indimenticabile.

Sbucai fuori dalla metroproprio ai piedi della Galleria Vittorio Emanuele II, che con il suo imponente Arco Trionfale ti fa sentire una formica! Che mente doveva essere il suo architetto, Giuseppe Mengoni; che abilità gli artisti che vi lasciarono la loro impronta a metà Ottocento. Impiegarono due anniper congiungere Piazza del Duomo e Piazza della Scala. Epoi finalmentel'inaugurazione alla presenza del Re! Il loro lavoro era tutt'ora ammirabile. Mi chiedo se oggi esistano ancora simili ingegni.

Ricordo che mi voltai d'istinto e sulla mia sinistra comparve il Duomo. Come descriverlo? Era una costruzione maestosa per le dimensioni e la ricchezza delle decorazioni. Restai senza parole e vi girai intorno con il naso all'insù rischiando in diverse occasioni di andare a sbattere contro alcuni turisti che come me ammiravano il duomo.

Appresi poi che la costruzione ebbe inizio nel 1386, come ricordava la targa della posa della prima pietra, su impulso dell'Arcivescovo Antonio de Saluzzi e del Duca della Città, Gian Galeazzo Visconti e terminò cinque secoli più tardi per volere di Napoleone. Più grande del Duomo di Milano c'era solo San Pietro, la Cattedrale di Siviglia eSaintPaul a Londra.

All'interno mi persi. L'oscurità del luogo mi intimoriva! O forse era lo spazio immenso che mi sovrastava a darmi le vertigini.

Le vetrate, enormi, stupende, lasciavano filtrare pochissima luce che rendeva appena apprezzabile la maestosità della costruzione e le opere che conteneva. Sopra il Duomo, protetta dalle guglie della Cattedrale, la Madonnina realizzata da Giuseppe Perego e messa in opera nel 1774, diventata simbolo di Milano.

Uscii dal Duomo impressionato dalle dimensioni e passeggiai a lungo per le vie attorno.

Una delle cose che notai subito fu l'immagine di un serpente che ingoia un bambino. La si trovava ovunque, dipinta o scolpita su stemmi in pietra nei grandi palazzi lungo le vie di Milano.

Cosa poteva significare, mi chiedevo? Era il simbolo del casato dei Visconti – scoprii poi – e simboleggiava potenza ed eternità della stirpe. Eraun simbolo particolare e inquietante che mi metteva a disagio.

Apoche centinaia di metri dall'uscita della galleria Vittorio Emanuele II si apriva piazza della Scala conal centro la statua dedicata a Leonardo da Vinci. Avevo sempre provato una grande ammirazione per il grande scienziato toscano e mi fermai qualche istante a riposare nella panchina ai suoi piedi.

Mi guardai attorno e cominciai a percorrere la strada che portava in direzione del Castello che si intravvede in lontananza, appartenuto prima ai Visconti e poi agli Sforza. Visitai il castello impressionato dalle dimensioni. Conoscevo bene l'immagine per averla vista tante volte impresso sul francobollo marroncino da dieci lire ma dal vivo era tutta un'altra cosa. Il castello più grande che avevo visitato in precedenza era quello di Sanluri ma non si poteva fare nessun paragone. Quella sera, al mio rientro in stanza, passai delle ore a studiare la guida di Milano che avevo acquistato la mattina per cercare di capire ciò che avevo visto e di conoscere la storia della città che mi avrebbe ospitato per i prossimi anni. Era tutto così grande intorno a me che i nuraghi in un attimo erano diventati minuscoli.

L'idea che tra loro e la Milano che mi circondava erano passati almeno tremila anni non mi passava minimamente per la mente.

Vai al capitolo II: Il viaggio

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


mercoledì 25 febbraio 2015

Siamo fatti di stelle, di Margherita Hack e Marco Morelli


Margherita Hack... un nome che mi porta indietro a quando, ancora ragazzino, guardavo i documentari di Piero Angela in TV. Non ricordo di preciso ma sono sicuro che fu in quegli anni, fine anni settanta o inizi anni ottanta che vidi per la prima volta quella donna con forte accento toscano e subito rimasi affascinato dal modo in cui raccontava l'Universo che ci circondava. 

E' da quegli anni che mi è rimasta la passione per l'Astronomia. 
Qualche tempo fa appresi della sua morte e mi resi conto che il tempo passa per tutti e anche quelli che uno considera punti fermi nella propria vita, prima o poi scompaiono.
Così quando alcuni mesi fa nel corso di una delle solite ma sempre piacevoli visite in libreria mi imbattei nel libro di Margherita senza pensarci su troppo lo acquistai. Margherita avrebbe continuato ad accompagnarmi, come fanno le stelle fisse nel cielo, dalla libreria di casa.
Il libro è scritto a quattro mani, con Marco Morelli, direttore del Museo di scienze planetarie di Prato.
I due autori sono a Trieste e seduti su una panchina di fronte al mare, in attesa di un ospite che non arriverà mai, si tuffano nei ricordi della vita di Margherita.
E' la storia di una vita fatta di successi e delusioni, di amore per la scienza e dispiacere per la situazione dell'Italia.
Margherita e Marco, con l'aiuto di Aldo, marito di Margherita, ripercorrono la vita fatta di tanti piccoli episodi con leggerezza, mettendo in evidenza le cose in cui margherita ha sempre creduto. Il libro non è una vera biografia, semmai è un libro di ricordi, condito dalle battute piccanti di una donna che oltre ad essere la più grande astrofisica italiana era anche una donna senza peli sulla lingua.
Mi piace ricordare solo un episodio del libro, quando Morelli parla delle tipologie di studenti universitari, "sono cinque gli studenti con la S maiuscola, i mezzi studenti, gli studenticchi, i paraculo e i quaquaraqua..."
Al termine della disamina Margherita chiede infine cosa si intenda per quaquaraqua, "I quaquaraqua sono quelli che parlano, parlano, parlano e non fanno nulla! [..] Si arrabattano tra la loro meschinità, l'ambizione di voler essere qualcuno e l'intima consapevolezza di non essere nessuno..."
E margherita sbottò: "Ma questi sono i nostri politici! Altro che gli studenti...

Libro veramente bello, pungente, toccante, da leggere tutto d'un fiato e conservare per sempre nella propria biblioteca...

Grande Margherita Hack e un grazie anche a Marco Morelli!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO