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sabato 8 ottobre 2016

Roma, museo archeologico di Palazzo Venezia



Roma è un unico immenso museo.
Le strade, i palazzi, le case, i monumenti di ogni parte del mondo, stanno li a ricordarti i tre millenni di storia.
Uno dei musei più interessanti è quello di Palazzo Venezia.
 All'interno vi è solo l'imbarazzo della scelta.
Bellissimi bronzetti,
 statue lignee e in marmo
 mobili antichi, lavorati in modo stupendo.
 Quadri, pale d'altare, crocifissi
 opere d'arte pittorica, questo è il bellissimo san Pietro piangente, del Guercino. Provate ad ingrandire la foto e ammirate le lacrime sugli occhi di san Pietro...
 Stupende ceramiche
 La statua di san Michele, con fattezze da giovane donna.



 e una splendida fontana, nel giardino
 vi lasceranno a bocca aperta.
Roma, splendida città...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 7 ottobre 2016

Giacobini o Grillini?

Su Wikipedia, alla voce "giacobinismo", ad un certo punto si legge:
Jean Paul Marat
"Iniziava la stagione della "Repubblica giacobina": in seno al club si discutevano preliminarmente tutti i decreti che sarebbero stati successivamente adottati dalla Convenzione, si definivano gli orientamenti politici, si tracciava la linea di demarcazione tra ciò che era rivoluzionario e ciò che era controrivoluzionario. I giacobini, scriverà François Furet, divennero in quel momento "gli iniziatori di un nuovo tipo di partito", fondato sull'ortodossia, espressa da strumenti come l'obbligo dell'unanimità nelle deliberazioni del club, i continui scrutini epuratori con cui venivano espulsi gli esponenti non graditi, il clima di sospetto e l'ossessione per la cospirazione che convinsero i giacobini di essere gli unici custodi della volontà popolare e dell'ortodossia rivoluzionaria."

Ora, faccio un esperimento: sostituisco il termine giacobino con il termine Grillino, vediamo cosa accade...

"Iniziava la stagione della "Repubblica Grillina": in seno al club si discutevano
Beppe Grillo
preliminarmente tutti i decreti che sarebbero stati successivamente adottati dalla Convenzione, si definivano gli orientamenti politici, si tracciava la linea di demarcazione tra ciò che era rivoluzionario e ciò che era controrivoluzionario. I grillini, scriverà un giornalista, divennero in quel momento "gli iniziatori di un nuovo tipo di partito", fondato sull'ortodossia, espressa da strumenti come l'obbligo dell'unanimità nelle deliberazioni del club, i continui scrutini epuratori con cui venivano espulsi gli esponenti non graditi, il clima di sospetto e l'ossessione per la cospirazione che convinsero i grillini di essere gli unici custodi della volontà popolare e dell'ortodossia rivoluzionaria."

Ebbene, vi ricorda qualcosa? Inquietanti similitudini...

Mi auguro solo che l'epilogo possa essere diverso!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO 

mercoledì 5 ottobre 2016

Poesias Sardas, di Giuseppe Pirastru

La terza domenica di ottobre, a Gesico, il mio paese d'origine, si festeggia la festa di Sant'Amatore, un misto di sacro e profano in cui, negli ultimi anni ha preso corpo soprattutto la sagra della lumaca (siamo ora alla XXIV edizione!).
In questo breve articolo però vi voglio parlare di una cosa che non è più presente.
Anni addietro si aggirava per le strade di Gesico, nei giorni di festa, un vecchietto, con una cassettina in legno appesa al collo, piena di libretti di poesie in sardo.
Non so come si chiamasse, ma quando riuscivo gli compravo sempre qualche libretto, un po per curiosità, un po perchè mi piace leggere le poesie in sardo, anche se non sempre sono in grado di capire tutto al volo.
I poeti infatti non usavano sempre la lingua della mia zona, il campidanese. Talvolta le poesie sono scritte in logudorese, ma più spesso vengono usate parole di tutti i dialetti.
Il risultato di questi miei acquisti è un settore della mia libreria, in cui si trovano una ventina di libretti che di tanto in tanto sfoglio con curiosità, sperando prima o poi che qualcuno torni a passare per la festa di Sant'Amatore a vendere le opere di poesia sarda.
Forse sono solo un illuso, forse un giorno quel venditore di libretti di poesia sarda sarò io, chissà!
Per tornare ai nostri giorni, la settimana scorsa ho riletto un libretto di Giuseppe Pirastru, con alcune poesie sarde scritte all'inizio del 1900 e diffuse da Antonio Cuccu.
Ora, pensi sia importante che qualcuno si prenda la briga di continuare l'opera di Antonio Cuccu e diffondere la cultura sarda per cui ho pensato di pubblicare sul mio blog la poesia e la sua traduzione in italiano.
Non tutto sarà corretto, immagino, per cui alcune parti saranno in giallo e spero che qualche lettore possa aiutarmi a migliorare la traduzione.
Ma basta con le parole e diamo inizio all'opera.

Il poeta Pirastru di Ozieri descrive le testuali parole del siniscolese prigioniero di Guerra (immagino ci si riferisca alla prima guerra mondiale).

1. Carissimos parentes
como chi so torradu
A Siniscola a ue non creia.
A inue dolentes
Bos aia lassadu
Dai cando a soldadu andadu via
Como chi in domo sò
notizias bos dò
de sa disventurada vida mia
e de cantu suffresi
Dai s'ora chi prisoneri istesi.

1. Carissimi parenti,
visto che sono tornato
a Siniscola, cosa che non credevo più possibile,

dove, disperati, vi avevo lasciati
da quando ero andato via, soldato,
Visto che a casa ora stò
qualche notizia vi dò
della sventurata vita mia
e di quanto soffrii
dal momento che fui preso prigioniero.

2. Minde leo mastrattu
candu bi cunsidero
Ch'instat su coro meu fini vini
Presoneri mi han fattu
sutta a Monte Nero
su vintisese de santu aini
Istemus disarmados
non parian soldados
ma pius de demonios non fini
Sos chi nos disarmesini
Miraculu chi a bida nos lasseini.

2. Mi sento distrutto
quando ci penso
mi duole il cuore
Prigioniero mi hanno fatto
sotto Monte Nero
il ventisei di  ottobre
venimmo disarmati
non sembravano soldati
non erano altro che demoni
coloro che ci disarmarono
è un miracolo se ci lasciarono in vita.


3. Sempre gitt'impremidu,
in coro e in sa mente
su die sette e millenoighentos
Su ch'ap'Eo suffridu
L'ischit s'Onnipotente
Attere non los cre cussos turmentos
Sidis de agonia,
famini Gesù Maria
pro me no esistiad'alimentos
Ne perunu consolu,
M'alimentao de piantu solu.

3. Per sempre mi resterà impresso,
nel cuore e nella mente,
il millenovecento diciassette
quanto ho sofferto
lo sa l'Onnipotente
altri non potrebbero credere a quei tormenti
sete di agonia,
fame, Gesù e Maria,
per me non esisteva cibo
ne alcuna consolazione,
mi alimentavo di solo pianto.

4. Appenas disarmados,
nos lein sas provistas
chi gighiamus a nos manigare.
Che canes airados
cussas figuras tristas
Intran sa cosa nostra a divorare
Gridende avanti avanti
No si ponen innanti
e guai nessunu a si ostare
Su chi si asatiada,
Sa morte a oios subitu s'aiada.

4. non appena ci disarmarono,
ci levarono le provviste
che portavamo per mangiare
come cani furiosi
quei tristi figuri
cominciarono a divorare le nostre cose
gridando: avanti, avanti
a ci misero dinnanzi
e guai a chi si opponeva
colui che li osteggiava
in un attimo veniva raggiunto dalla morte.


5. Intramus a marciare,
asciutos e ispintos
pro arrivare a su nostru destinu.
Pro poder manigare,
non bidemus custrintos
A pascher s'erva che paru erveghinu
Ei cussos vigliaccos
idendenos istraccos
E cantos nde occhiana in caminu
O a bastones viles?
O a ispunzonadas de fusiles.

5. Cominciammo a marciare
contro voglia
per raggiungere la nostra destinazione
Per poter mangiare
ci vedemmo costretti
a pascolare l'erba come fossimo agnelli
E quei vigliacchi
vedendoci stanchi
quanti ne uccidevano per strada
o bastonavano, vili?
o pungolavano coi fucili.

6. Istemus caminende,
bindighi zorronadas
Sempre a pe ite pena ite turmentu
Su ch'idian pasende,
bi fin sas bastonadas
Subra sas palas nostras a mamentu
E nois affriggidos
istraccos e famidos
E mazzados e sempre in pattimentu
Chi mancu minutu,
Fit mai de piangher s'ojju asciuttu.

6. Camminammo,
per venti giorni
sempre a piedi, che pena, che tormento
colui che vedevano riposare,
vaniva bastonato
anche sulle nostre spalle di tanto in tanto
E noi (poveri) afflitti
stanchi e affamati
bastonati e sofferenti
che neppure per un minuto
fu mai l'occhio asciugato dal pianto.

7. Finalmente a Germania
Eo so arrividu
Cun sos cumpagnos mios pianghende
Sa morte momentania
pro cument'hamus bidu
Istaiamus tottu disizzende
No esistiat pane,
E ne s'agattat cane
De cantos nd'had'in su mundu esistende
Ch'happat mai pattidu,
cant'app'eo in Germania suffridu!

7. Infine, in Germania
io sono arrivato
con i miei compagni, piangendo,
La morte istantanea
per ciò che avevamo passato
stavamo tutti desiderando.
Non esisteva pane,
e non si trova cane
tra quanti ve ne sono al mondo
che abbia mai patito
quanto abbia sofferto io in Germania! 

8. Arriv'a Baviera,
Ma isfattu e confusu
A Melbu campu de cuncentramentu
Peus se in galera,
tres meses rinchiusu
M'ana mantesu e cun pagu alimentu
E d'ogni die haia
tres unzas de pan'ibbia
Però nieddu chei su turmentu
E una sola trudda,
de raba arribisale atteru nudda.

8. Arrivai in Baviera,
disfatto e confuso,
a Melbu, nel campo di concentramento
peggio della galera,
tre mesi rinchiuso
mi hanno mantenuto e con poco cipo
e ogni giorno vi erano
solo tre once di pane
però di quello nero come il tormento
e un solo mestolo
di rape in umido e nient'altro.

9. Anzis no raba, pero
Fi brou tottugantu
De raba paga e nudda bind'aiada
A sas otto ogni sero
su suspiradu tantu
Rangiu famosu dadu nes beniada
Cun abbundante sale
chi mancu s'animale
De logu nostru assazare nde diada
E deo suspirende,
Paria cordiales manighende.

9. Anzi, non di rape, ma
di solo brodo
di rape poco o niente ve n'era.
Alle otto ogni sera
il tanto sospirato
rancio famoso, ci veniva distribuito
molto salato
che neppure gli animali
delle nostre parti avrebbero assaggiato
E io sospirando
sembravo mangiare con gusto.


10. E senza cussu fia,
in tott'isculz'e nudu
E tres meses che intro e presone
trattu trattu idia
nende chi fit saladu
Chi mi faghian un'inizione
No mi reia in pese
prima de unu mese
Gighia punta tottu sa persone
Fia tottu dolente,
No mi podia mover pro niente.

10. E oltre a ciò ero
scalzo e completamente nudo
per tre mesi dentro la prigione
ogni tanto
dicendo che ero ....... (?)
mi facevano un'iniezione
non mi reggevo in piedi
prima di un mese
avevo tutto il corpo punto
ed ero tutto dolorante,
non riuscivo a muovermi per niente.

11. E pro nos ristorare
Cussos canes limbriscosos
Nos forzaian quasi onzi die
in s'ierru a intrare
tott'in sos bagnos friscos
chi bind'haiat de morre inie
Eo ponia mente,
si no subitamente
In d'una zella ponian a mie e a dogni punidu
Sessant'oras ne manigu ne bidu!

11. E per farci rinvigorire,
quei cani avidi
ci costringevano, quasi ogni giorno
in inverno, ad entrare
tutti nei bagni freddi
che c'era da morirne dentro.
Io ubbidivo,
altrimenti, immediatamente
mi avrebbero messo in cella
come ad ogni punito,
per sessanta ore senza mangiare ne bere!

12. Nos ponian in rangu
Ite duru martoriu
Chi non si podet crer pro lu contare
Duos palmos de fangu
B'ad'in s'ambulatoriu
Inue nos faghian ispozare
Su chi no s'ispozzada
bi fit sa bastonada
A conca e lu faghian istrasciare
E cantos disgrasciados!
Sun'inie cadaveres restados.

12. Ci raggruppavano
che duro martirio,
che a raccontarlo non lo credereste mai possibile
Due palmi di fango
vi erano nell'ambulatorio
dove ci facevano spogliare.
E chi non si spogliava
riceveva una bastonata
in testa che lo buttava a terra
E quanti, disgraziati!
là sono restati, cadaveri.

13. Cussa razza maligna
Causadu a terrore
Disisperazione e ispaventos
Cando dae Sardigna
sos nostros genitores (s)
Paccos nos mandaiana de alimentos
Appenas los rezziana
si los manigaiana
A faccia nostra allegros e cuntentos
Poi cussos vigliaccos,
Nollos daian bodios sos paccos.

13. Quella razza maligna
ha causato terrore
disperazione e spavento
quando dalla Sardegna
i nostri genitori
pacchi di cibo ci mandavano
appena li ricevevano
se li mangiavano
alla faccia nostra, allegri e contenti.
Poi, quei vigliacchi
ci davano, vuoti, i pacchi.

14. No lù pot'ispricare
su ch'apo 'eo suffridu
in battordighi meses derdiciadu
Nè mi chelz'ammentare
De cant'apo patidu
Siat s'Ente Supremu laudadu
Pro miraculu solu,
tent'hapo su consolu
A Siniscola de nd'esser torradu
Coment'haia in brama,
Abbrazzare parentes babbu e mama.

Non posso spiegare
ciò che ho sofferto
in quattordici mesi imprigionato
nè desidero ricordare
ciò che ho patito.
Sia lodato l'Ente supremo (Dio)
per il solo miracolo,
di aver trovato consolazione
di esser tornato a Siniscola.

Finisce la poesia con la firma del poeta, Giuseppe Pirastru, poeta di Ozieri.

Aggiungo solo che a Monte Nero, nel 1917, il 26 ottobre, c'è stata una delle più grandi battaglie della prima guerra mondiale, la battaglia di Caporetto, che non penso di dover spiegare qui, ritenendola nota a tutti!
Il protagonista è uno degli sfortunati uomini che finirono prigionieri, dimenticati da tutti.
Giuseppe Pirastru da Ozieri ce lo riporta in mente, seppur senza nome, un soldato sardo di Siniscola, uno dei fortunati che, finita la guerra, riesce a tornare a casa. 
Ringrazio per l'aiuto nella traduzione l'amico Salvatore Scanu di Ploaghe e chiedo agli amici e conoscenti della lingua sarda la cortesia di aiutarmi a completarla o migliorarla.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 2 ottobre 2016

Roma, musei Capitolini

Questa è la mia terza volta, ma ogni volta resto colpito nonostante abbia già visto tutto.

Una stupenda statua di Bacco, color del vino...

La statua della Venere Capitolina, quasi due metri di marmorea bellezza
La statua di Nettuno
 Un bellissimo sarcofago in marmo
Un giovinetto in bronzo si toglie una spina dal piede
La lupa, Romolo e Remo... e sullo sfondo i nomi degli uomini che contribuirono alla grandezza di Roma
 Ercole, con la clava e la pelle del leone sulle spalle
Ancora una bellissima Venere
Marco Aurelio a cavallo
E con questo sarcofago splendidamente decorato termina la gita.
A quando la prossima?



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 1 ottobre 2016

Nazario Sauro: storia di un marinaio

"Vardila ben quela bandiera tricolor che xe la mia ma anca la tua e dei tuoi fradei. Mi per ela son pronto a morir quando vegnerà el momento."

E' il 25 aprile del 1912 quando, nell'occasione di una visita a Venezia nel giorno dell'inaugurazione del ricostruito campanile di San Marco, secondo i ricordi di Nino, Nazario pronuncia quelle parole di fronte alla bandiera dell'Italia. 
Forse già immagina quale sarà il suo destino, forse è solo la promessa di non tirarsi indietro di fronte a niente per quella che considera la sua patria.
Di certo c'è che di li a pochi anni Nazario Sauro darà tutto quanto possedeva di più prezioso per l'Italia, la sua vita.
Romano e Francesco Sauro sono gli autori del libro e nello stesso tempo sono nipote e bisnipote di Nazario. 
Il libro è un libro dei ricordi che ci permette di ricostruire il carattere, oltre che le avventure, dell'uomo Nazario Sauro per il tramite delle parole e dei ricordi di tutta la famiglia e delle persone che l'hanno conosciuto nella veste di uomo di mare, di irredentista, di patriota italiano, di fiancheggiatore degli albanesi, di compagno di scherzi ai danni degli austriaci e di uomo di famiglia, figlio, marito e padre.
Perchè Nazario Sauro è tutto questo assieme, nonostante la sua breve vita, morirà infatti a Pola il 10 agosto del 1916 ad opera degli austriaci, impiccato per alto tradimento. 
Traditore per l'Impero Austro-Ungarico, eroe per l'Italia, Nazario Sauro correva dietro alla libertà.
A cento anni dalla sua morte esce la seconda edizione del libro che rievoca un pezzo di storia, forse non a tutti nota, quello della lotta per l'appartenenza all'Italia dei territori dell'Istria, Trieste e Capodistria. 
Nel 1920 Trieste ridivenne italiana mentre Capodistria, la città dove nacque Nazario, appartiene oggi alla slovenia.
Nazario Sauro era prima di tutto un marinaio e passò la sua vita sul mare.
Conosceva a fondo ogni porto, ogni secca, ogni scoglio della costa dove operava e questo gli consentì di dare informazioni all'Italia in guerra ma anche di svolgere ardite operazioni potendo contare sulla sua superiore conoscenza del luogo. Nazario prese senza riserve le parti dell'Italia e anche grazie al suo lavoro approfittava dei suoi spostamenti per inviare notizie al Ministero della Marina italiana sui movimenti delle navi militari austriache.
Nel 1914 Nazario, e nel 1915 (quasi) tutta la sua famiglia, lasciò Capodistria per trasferirsi a Venezia, poco prima dell'entrata in guerra dell'Italia.
Il 21 maggio 1915 Nazario indossa l'uniforme e il 23 entra ufficialmente nella Marina Militare Italiana con il grado di Tenente di Vascello; il giorno dopo l'Italia entra in guerra contro l'Impero Austro-Ungarico.
Nello stesso giorno Nazario si imbarca sul cacciatorpediniere "Bersagliere" per la sua prima missione, un'azione di fuoco contro Monfalcone. 
In poco più di un anno di guerra, dall'aprile 1915 all'agosto 1916, Nazario prese parte a tante missioni sapendo benissimo che, se fosse stato preso, sarebbe stato condannato all'impiccagione per alto tradimento. Fin dal marzo 1915 infatti era imputato di alto tradimento e nel febbraio del 1916 era stato condannato in contumacia. Ma ciò non gli impedì di partecipare alle missioni di guerra o di esplorazione e osservazione contro le principali basi nemiche di Trieste,  Monfalcone, Pirano, Fiume e Parenzo.
La sua ultima missione fu a bordo del sommergibile "Giacinto Pullino", in missione di guerra contro Fiume, dove avrebbe dovuto silurare i battelli presenti nel porto. Nazario si imbarcò il 30 luglio, sicuro di poter dare ancora una volta il suo contributo.
Era mezzanotte e venticinque quando il sommergibile si incagliò sullo scoglio dell'isolotto della Galiola. Nazario, forse per sfuggire alla cattura, si allontanò al mattino su un piccolo battello a remi ma fu intercettato dal cacciatorpediniere "Satellit" e fatto prigioniero...

Nazario Sauro, storia di un marinaio, storia di patriottismo e di avventure, storia che non può mancare nella libreria degli italiani.






Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 23 settembre 2016

La cattedrale di Sant'Antioco di Bisarcio


Nel nord della Sardegna, lungo la strada Olbia - Sassari, notiamo un maestoso edificio di colore rossiccio a poca distanza, mai notato prima. Torno indietro e mi infilo nella strada che mi conduce alla base di un colle roccioso sul quale si staglia una vecchia chiesa.
Siamo in territorio del comune di Ozieri. Il cartello alla base dice che si tratta della cattedrale di Sant'Antioco di Bisarcio. Ci avviciniamo con curiosità, attirati dai colori e dal roteare di uno stormo di uccelli rapaci annidati sulla torre. Purtroppo è lunedì e l'antica cattedrale è chiusa.
Non ci perdiamo d'animo e il giorno dopo decidiamo di tornare sul posto per visitarla. Non siamo soli. 
Un gruppo di studenti dell'Università di Sassari sta lavorando agli scavi del cimitero che si trova sul retro della cattedrale.
La guida e la responsabile degli scavi sono molto gentili e ci spiegano il loro lavoro.
Visitiamo la cattedrale, sitratta di una costruzione del XII secolo, in stile romanico, costruita su una precedente chiesa andata distrutta da un incendio intorno al 1090 d.C. 
Comprendeva un tempo il palazzo vescovile e la canonica. Oggi resta solo la cattedrale e alcune rovine degli altri edifici.
La facciata esterna della basilica è molto ricca di decorazioni in pietra lavorata. Al piano terra vi sono tre arcate. L'arcata di destra è molto bella, trattandosi di una bifora la cui colonnina centrale è poggiata su un leone ancora riconoscibile anche se rovinato dal tempo inclemente.   
Nel XV secolo la parte sinistra della facciata della cattedrale crollò e fu ricostruita senza badare troppo a restituirle la forma iniziale. 
Nella facciata vi sono molte altre decorazioni in pietra, sugli archi principalmente, che rappresentano santi o animali e che danno un aspetto curioso alla cattedrale.
Eppure, ci spiegano, la facciata è stata aggiunta dopo la costruzione della cattedrale, la cui facciata originale è ora nascosta.
Quando saliamo al primo piano è infatti possibile vedere una piccola bifora che dagli appartamenti privati del vescovo consente di vedere l'interno della chiesa.

Al piano superiore si trova un camino in pietra molto interessante a forma di mitra vescovile. Non avevo mai visto un'opera simile. 
Incisa nella pietra vi è la formula di consacrazione dell'altare (o della chiesa, non sono certo della cosa). La guida attira la nostra attenzione su una leggera incisione a forma di sandalo. Testimonianza del passaggio dei pellegrini.
L'interno della chiesa è molto semplice. Il tetto è in legno e in fondo, nei pressi dell'altare, si trova una statua del santo.
Si tratta di Sant'Antioco, il cui culto è molto diffuso nell'isola. 
Antioco arrivò in Sardegna dall'Africa, dove venne esiliato dall'imperatore Adriano. Antioco in Sardegna vi morì, nell'anno 125, a Sulci, l'odierna isola di Sant'Antioco. La statua rappresenta il santo con in mano la palma del martirio. 



La visita è terminata e andiamo via soddisfatti, ripromettendoci di tornare l'anno prossimo per una nuova visita agli scavi e per vedere le domus de janas e i graffiti rupestri che si trovano nell'altopiano alle spalle della chiesa.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 19 settembre 2016

Appunti storici sulla Cattedrale di Sorres, tradotti in italiano dal Logudorese

Il titolo originale dell'opera era: "Appuntos istoricos de sa Cattedrale de Sorres traduidos in ottavas dialettales Logudorese, libretto scritto da Salvatore Antonio


Sai di Borutta o, in Logudorese, Farantoni Sai de Urutta.
Dopo aver visitato la Cattedrale e l'annesso monastero benedettino (per quanto possibile), dove ho preso il libretto, ho deciso di provare a tradurlo in italiano.
Farantoni Sai lo pubblicò nel 1949 ed era in vendita al prezzo di 100 lire a beneficio della ricostruzione del chiostro.
La Cattedrale infatti era in restauro. Dopo alcuni secoli di abbandono i frati benedettini avevano deciso di ripopolare il convento e restaurare la Cattedrale.
La lettura del libretto non è stata semplice anche perchè il mio dialetto non è il Logudorese, e mi ha permesso di scoprire alcune parole mai sentite prima. Alcune frasi non mi sono molto chiare ma spero che scrivendo ed eventualmente grazie all'aiuto dei lettori, il testo possa essere chiarito per intero.
Ho avuto comunque l'aiuto di mia moglie Giusy e di alcuni amici e amiche che ringrazio: Paola, Gianna e Giommaria. Come è giusto che sia, se meriti vi sono, sono di tutti, se mancanze vi sono, quelle sono solo mie.
Buona lettura.

Unu cantante de mente ottusa
dilettante de sarda poesia,
poverittu e vena e melodia
chi no possedit regula ne musa.
A sos poetas domandat iscusa
e a sos ignorantes cumpagnia.
Riccu de una sola passione
de sa cale nde tratta sa rejone:

Intendide s'isfogu e su coro
in ottavas chi devene sighire,
e solamente pro fagherischire
cennos chi nos presentat su tesoro.
So eo chi defendo e chi adoro
che in puntu e morte pro finire.
Mi presento, no canto pro disputa,
so Farantoni Sai de Urutta.

Trad.
        Un cantante dalla mente ottusa
dilettante nella sarda poesia,
povero di ispirazione e di melodia
senza regola ne musa.
Ai poeti chiede scusa
e agli ignoranti compagnia.
Ricco di una sola passione
da cui trae la ragione:

Ascoltatene lo sfogo del cuore
in ottave, che seguirà,
e solo per farci conoscere alcuni
cenni che ci presenta il suo tesoro.
Sono io che la difendo e che l'adoro
anche in punto di morte, fino alla fine.
Mi presento, non canto per gara,
sono Salvatore Antonio Sai di Borutta.

Istoria e biografia

Faedda maestosa cattedrale!
c'has bidu noe seculos finire,
sa vida tua faghennos'ischire
Ervina de tempus immortale.

Storia e biografia

Parlaci maestosa cattedrale!
che hai visto nove secoli passare,
la vita tua facci conoscere
Rovina (?) dei tempi, immortale.

1. Parizzas boltas in tempus passadu      
pubblichein de te calchi memoria:           
invochende chi torret a s'istoria
dogni bene chi t'hana defrodadu,
e... intantu, nisciunu b'hat pensadu
a ti torrare a s'antiga gloria,
lassende chi domandes caridade
a chie non nde tenet piedade.

Parecchie volte nei tempi passati
pubblicarono su di tealcune memorie:
chiedendo che si restituisca alla storia
ogni bene che ti è stato sottratto,
e... intanto, nessuno ha pensato
di riportarti all'antica gloria,
lasciandoti a chiedere la carità
a chi di te non ha alcuna pietà.

2. Pro sos meritos tuos de valore
pro su Santu chi t'hana cussagrada,
no tias esser gai abbandonada
in dun'istadu chi faghet orrore;
mentre chi rappresenta su fiore
de tantas in Sardigna edificado.
Tue ses bella de ponner a parte
ricca de iscolturas e de arte.

Per merito del tuo valore
per il Santo cui fosti consascrata,
non saresti dovuta esser mai abbandonata
in questo stato che fa orrore;
mentre tu rappresenti il fiore
delle tante (chiese) in Sardegna edificate.
Tu sei bella da conservarti
ricca di sculture e d'arte.

3. Indunu logu su pius adattu
a vista immensa de vastos pianos
ti costruesin sos dottos Pisanos
in su milli vintotto no infattu;
imitende in te unu retrattu
dignu de operosas bonas manos.
Simile a s'insoro Santuariu
de pagu variante s'iscenariu.

In una  località tra le più adatte
con vista immensa sui vasti piani
ti costruirono i dotti Pisani
nel mille e ventotto e non oltre;
copiandoti da un ritratto
degno di mani buone e operose.
Simile al loro Santuario
poco diverso lo scenario.


4. Indun'altura bella e sontuosa
estremidade de monte Sovranu,
dominante de tottu su pianu
chi pares un'istella luminosa;
e visuale de Limbari a Bosa
pares i sa pianta e sa manu.
E dae Alaerru a Macumere
tue ses sa padrona e se sa mere.

Sopra un'altura bella e sontuosa
all'estremità del monte Sovrano,
che domini su tutto il piano
che sembri una stella luminosa;
con vista da Limbara a Bosa
sembri nella pianta della mano.
E da Laerru a Macomer
tu sei la padrona e la dominatrice.

5. Tue se sa Reina e sa bellesa
opera de su geniu infinitu,
e tenes de corona ogni dirittu
ca pro dirittu tene sa difesa;
sas campanas chi sonan a distesa
in sas biddas vicinas a su situ,
indican'a su bonu viandante
a ti mirare ca ses trionfante.

Tu sei la regina della bellezza
opera del genio infinito,
e hai il diritto di corona (?)
che per diritto tieni la difesa; (?)
le campane che suonano a distesa
nei paesi vicini al tuo sito,
invitano il buon viandante
a guardarti, perchè sei trionfante.

6. A ti mirare dae logu tesu
a ti pensare da logu lontanu,
pares unu fiore a su manzanu
collocad'in giardinu mesu i mesu;
ea nisciuna tempesta ti hada offesu
suavemente che è su eranu.
Tale sa bella faccia ti assimizza
ca traschias ne bentos no ti allizza.

A guardarti da lontano
a pensarti da lontano,
sembri un fiore al mattino
collocato nel mezzo del giardino;
dove nessuna tempesta ti ha mai colpito
soavemente come in primavera.
Così un bel viso ti assomiglia
perchè ne gelata ne vento ti fa sfiorire.

7. Cale tet esser s'ora e cale die
c'hat tentu sorte su tou nadale?
A sa mezus ted esser eguale
cale sa manu ted esser'e chie?
Paret chi ballet e gioghet e rie
comente donu sou naturale.
T'hat fattu forte, antiga e moderna
a su matessi tempu ses'eterna.

Qual è stata l'ora e quale il giorno
che hanno avuto la fortuna dei tuoi natali?
Al meglio è a te uguale (?)
qual è la mano e di chi è (?)
Sembra che balli e giochi e rida
come fosse un dono suo di natura.
Ti hanno fatto forte, antica e moderna
allo stesso tempo, sei eterna.

8. Cale ted esser sa bella istajone
e de cal'annu ted esser s'abrile?
Caru fiore a chie se simile
e a chie ti ponzo in paragone?
Dogni coro ti tenet passione
dogni coro ch'est nobil'e gentile.
Ma... tantu no si movet ne s'ischida
a ti torrare a novella vida.

Qual è stata per te la bella stagione
e quale anno è stato il tuo aprile?
Caro fiore, a chi somigli
a chi posso io paragonarti?
Ogni cuore di te si appassiona
ogni cuore nobile e gentile.
Ma... tanto non si muove ne si sveglia (nessuno)
per riportarti a nuova vita.

9. A ti torrare sos derettos tuos
comente l'hamus nois supplicadu;
pro s'ignotos chi t'hana ispozzadu
bi pensen sos guvernus ambos duos.
Torren'a tie sos meritos tuos
dae possessu chi l'hana ocultadu.
E ti torren s'istoria remunida
ca daigussu has perdidu sa vida!

Che ti restituiscano i tuoi diritti
come noi abbiamo supplicato;
e agli sconosciuti che ti hanno spogliato
ci pensino entrambi i due governi.
Ti siano restituiti i tuoi meriti
di possesso chi li ha nascosti.
E ti sia restituita la storia nascosta
che da questo hai perso la vita! (?)
 
10. Vida e noe seculos passados
no si podet no custu trascurare;
tiad esser a cherre calpestare
sos benes dae Deu ereditados.
Si los had'a su mundu signalados
proite los cherides debellare?
Pro unu logu de su Sacru cultu
su trattamentu sou no est cultu.

Vita di nove secoli passati
non si può questo trascurare;
e come volerti calpestare
i beni da Dio ereditati.
Se sono stati destinati al mondo
perchè li volete distruggere?
Per un luogo del culto Sacro
questo non è il trattamento giusto.

11. Deus che sezis tantu poderosu
e Santu Pedru ch'est su Titolare,
su tempus chi li restat a passare
faghide chi no siat dolorosu;
s'un'e i s'ateru sezis'isposu
de custa mama nostra singulare.
Faghide chi entrambos sos guvernos
torren a Issa sos benes internos.

Dio che siedi così potente
e San Pietro che è il Titolare (della Chiesa),
il tempo che le resta da esistere
ffate si che non sia doloroso;
l'uno e l'altro siete sposi
di questa nostra madre eccellente.
Fate si che entrambi i governi
le restituiscano i suoi beni.

12. Faghide chi sos bonos cristianos
generosos si mustren dae coro,
impignende sa volontade insoro
e i sas forzas de ment'e de manos;
particolare sos diocesanos
e abitantes de su Logudoro.
Incutide sa ostra piedade
pro custa mama nostra supplicada.

Fate si che i buoni cristiani
generosi si mostrino di cuore,
impegnando la loro volontà
e le forze di mente e di braccia;
in particolare i diocesani
e gli abitanti del Logudoro. 
Incutete in loro la vostra pietà
per questa nostra madre supplicate.

13. Si bos movides a cumpassione
e chi enides a la visitare,
devides fortemente lagrimare
osservende sa trista cundescione.
Si bos ponides in devossione
bos devide sos muros adorare.
Cando no b'agatades mancu Santu,
zertamente bos benit su piantu.

Se siete presi da compassione
e se venite a visitarla,
dovrete piangere molto
osservandone la triste condizione.
Se ne diventate devoti
dovrete adorarne le mura.
Quando non vi troverete neanche un Santo,
certamente vi verrà il pianto.

14. E' riservada solu pro sa festa
sa presenzia Sua in pompa magna
poi athaversada sa campagna
inghirlandadu cun corona in testa
intrat in domo Sua e si appresta
a sa Vergine Santa si accumpagna.
Si collocat a pese de s'altare
attirende su populus a pregare.

E' riservata solo per la festa
la sua presenza in pompa magna
poi, attraversata la campagna
inghirlandato e con la corona in testa
entra in casa sua e si prepara
alla Santa Vergine si accompagna.
Si colloca ai piedi dell'altare
attirando il popolo a pregare.

15. A ultimada santa funzione
poi e pagas oras mattutinas,
in testa, cumpagnias caddazzinas
e poi, sighit sa pruzessione;
restat sa cheja in desolazione

canto e muros e de moridinas.
Isettat s'aterannu a sa torrada
una olta sa festa zelebrada.

Alla fine della santa funzione
poi, alla mattina presto,
in testa compagnie a cavallo
e poi, segue la processione;
resta la chiesa desolata
come le mura e i muretti.
Si aspetta che arrivi l'anno successivo
una volta celebrata la festa.

16. Beru ch'est logu e pellegrinaggiu
e calchi missa intro de annada;
bei restat sa Vergine adorada
pius de tottu i su mes'e maggiu.
No b'hat difficultade ne disaggiu
como b'est sa piazza e i s'istrada.
Aria frisca dae sa marina
sana finz'a sa festa settembrina.

Vero è che è luogo di pellegrinaggio
e qualche messa nell'arco dell'anno (si celebra);
vi resta la Vergine adorata
maggiormente nel mese di maggio.
Non vi è difficoltà ne disagio
perchè vi è la piazza e la strada.
Aria fresca che viene dal mare
sana fino alla festa settembrina.

17. Memore si cunservat sa tragedia
de enti tres prelado seserciziu,
zelebresin sinsoro sant'uffiziu
treghentos norantannos cussa sedia;
finida santamente sa cumedia
andesit tottugantu in pregiudiziu.
Ultimada sa trista papione
fit distrutta sa popolassione.

Memore si conserva la tragedia
di venti tre prelati l'esercizio (?),
che celebravano il loro sant'ufficio
trecento novant'anni ...... (?)
finita santamente la commedia
se ne andò tutto in malora.
Ultimata la triste farsa (?)
fu distrutta la popolazione.

Vittima e sa plebe saracina
e ateros domimos de usura;
sa zittade tenzesit sepultura
pro iscopu e furtu e de rapina.
E poi su guvernu malispina
Aragona e attera... mistura.
Totta fit zente chi godiat fama
fiza e bonu babbu e bona mama!

Vittima della plebe saracena
e d'altri capi usurai;
la città ebbe sepoltura
a causa di furto e rapina.
E poi il governo Malaspina
Aragona e altre... razze miste.
Tutta era gente che godeva fama
di esser figlia di buon padre e buona mamma!

19. In cussu tempus de calamidade
de guerriglias e de pestilenzia,
gulpa e s'inumana cuscienzia
de Sorres fit distrutta sa zittade,
inue regnaiat s'innossenzia.
E cando fid'i su mezus fiore
bi semenesin tremendu terrore.

In quei tempi di calamità
di guerriglia e di pestilenza,
colpa dell'inumana coscienza
la città di Sorres fu distrutta,
dove regnava l'innocenza.
E quando era nel fior fiore dei suoi anni
vi seminarono tremendo terrore.

20. Cu sa religione de s'ispada
de su samben'e de saccheggiamentos,
ateros duros e bruttos momentos
custa Sardigna nostra tormentada,
dae so Saracinos invasada
suttopost'a sa vida de istentos.
Su settighentos doighi fit s'iniziu
e ruesit in tale sacrifiziu.

Con la religione della spada
del sangue e dei saccheggiamenti.
altri duri e brutti momenti
questa Sardegna nostra tormentata,
dai saraceni invasa
sottoposta a vita di stenti.
Il settecento dodici fu l'inizio
e cadde in tale sacrificio. (?)

21. Antigos iscrittores rinomados
pubblichesini liberos de vaglia,
e dipinghen sa razza e canaglia
ladrona senza tregua ispudorados!
nisciuna caridade ispiedados!
fiumana maligna de iscaglia.
Barbara cantu mai che paganos
contra sa vida de sos cristianos.

Antichi scrittori rinomati
pubblicarono libri di valore,
e descrissero la specie di canaglia
ladrona e senza riposo e senza pudore!
nessuna carità senza pietà!
fiumana maligna bestiale.
Barbari come non mai come pagani
contro la vita dei cristiani.

22. A sa minuscola povera zente
ispaventada dae su terrore,
finant a sos montes cun dolore
pro si salvare sa vida innozente,
e i s'istadu su pius dolente
fit pissighida cun pius furore.
Unu de custos in monte Sorranu
assediada cun s'ispada in manu.

Alla povera gente del popolino
spaventata dal terrore,
fino ai monti con dolore
per salvarsi la vita innocente,
e nello stato più dolente
fu perseguitata con maggior furore.
Uno di questi nel monte di Sorres
assediata con la spada in mano.

23. In su seculo decimu quartu
(segundu opinione de Zurita)
giusta s'opera sua chi ada iscritta
e paret de zertesa pius'inaltu;
sa zittade fit cintas e pedra e crastu
fortificada e bene provista.
Cando dominaiat Aragona
atera custa puru: zente ona!...

Nel secolo decimo quarto
(secondo l'opinione di Zurita)
come dice nell'opera che lui ha scritto
e sembra con massima certezza;
la città fu cinta di pietre e massi
fortificata e ben provvista.
Quando dominava Aragona
anche questa pure: gente buona!

24. Poi e tanta tribulassione
de impoverimentu e de oltraggiu,
de haer fattu fronte a su disaggiu
oprimida e tanta impressione;
fit colpida sa popolassione
de peste, carestia de passaggiu
a sa pius dicciosa eterna vida
cu sa zittade mesu distruida.

Dopo tanta tribolazione
di povertà e di oltraggio,
di aver fatto fronte al disagio
oppressa da tante impressioni
fu colpita la popolazione
dalla peste, carestia di passaggio
alla più dolce vita eterna
con la città mezzo distrutta.

25. Restesit calchi mesu casolare,
truncos de turres e muros crollante,
ateras operas perigulante
e han deidu poi tramontare;
solu su monumentu seculare
chi restesit ancora trionfante.
No bidimus'unateru signale
chi siat testimonzu e tantu male.

Restò (in piedi) qualche mezzo casolare,
tronchi di torri e muri crollanti,
altre opere pericolanti
e che poi sono scomparse;
solo il monumento secolare
è sopravvissuto ancora, trionfante.
Non vediamo nessun altra vestigia
che sia stato testimone di tanto male.

26. A ultimadu passiu cungiuntu
de tempus dolorosu hamontadu,
devo narrer su c'happo sonniadu
e nezessariu fatto unu suntu,
fora e sa rejone de ogni appuntu
subra sos versos chi appo cantadu.
E gai torro como a su cunzettu
de s'istadu dolent'e su soggettu.

Al termine di questo percorso di passione congiunta
di tempi dolorosi appesantito (?)
devo dire ciò che ho sognato
e necessariamente farne un sunto,
al di la di questi appunti ragionati
sopra i versi che ho cantato.
E così torno ancora al concetto
dello stato dolente del soggetto.

27. Su soggettu ses tue cosa amada
mama de custu mundu ifidiadu,
chi su coro ingratu hat dimustradu
dae seculos vivese ispozada;
quasi tottalmente abbandonada
passat doni presettu inosservadu.
Sos fizos tuo si giran'intundu
dedichende s'a cosas de su mundu.

Il soggetto sei tu, cosa amata,
madre di questo mondo senza fede
che di avere il cuore ingrato ha dimostrato
da secoli vivi spogliata;
quasi totalmente abbandonata
passa ogni precetto inosservato.
I tuoi figli si guardano intorno
occupandosi delle cose mondane.

28. Tantu rispettu pro sa vanidade
e poesia pro s'ambizione,
a tenner sempre inaltu sa persone
mancari siat i sa povertade;
e nalzende sa santa veridade
tott'est'ingannu tottu illusione.
Ma contra sa superbia savarizia
Deus emanat sa Sua giustizia.

Tanto rispetto per la vanità
e poesia per l'ambizione,
mantiene sempre in alto le persone
anche se vivono in povertà;
e dicendo la santa verità
tutto è inganno, tutto è illusione.
Ma contro la superbia e l'avarizia
Dio emette la sua giustizia.

29. Deus cheret sos fizos a sa manu
in domo Sua pro los guidare,
e no cheret su logu a disertare
istabilidu pro su cristianu;
unu de custos in monte Sorranu
ses tus monumentu seculare.
De tantos chi faghias numer'unu
e como no ti calculat nisciunu!

Dio vuol prendere per mano i suoi figli
nella sua casa, per guidarli,
e non vuole che il luogo sia abbandonato
stabilito per i cristiani;
uno di questi (luoghi è) nel monte di Sorres
sei tu monumento secolare.
Da quando eri il numero uno
a quando non ti considera più nessuno. 


30. Nara cantos dolores has passadu
cantas penas'ancora se suffrende!
forsi solu ti miro pianghende
cu su coro feridu e attristadu;
e cantas boltas t'appo sonnìadu
che in tempus antigu trionfende!
Mi ses cumparsa totta illuminada
e de arazzos a festa parada.

Racconta quanto dolorehai sofferto
quante pene ancora ti affliggono!
forse solo ti vedo piangere
col cuore ferito e triste;
e quante volte t'ho sognato
trionfante, nei tempi antichi.
Mi sei apparsa tutta illuminata
e di arazzi a festa parata.

31. Comente mi parias lussuosa!
abbellida e santa funzione
sa festosa illuminassione
che in passadu sa pius dicciosa;
dogni pedra pariat una rosa
in oro cunvertidu ogni cantone.
Amada e istatuas e Santos
sos muros risplendian tottugantos.

Come mi sembravi ricca!
abbellita dalla santa funzione
con la festosa illuminazione
che in passato eri la più beata;
ogni pietra sembrava una rosa
in oro trasformato ogni blocco (di pietra).
Amata, e di statue di santi
 le mura risplendevano tutte quante.

32 Santu Pedru cumpalfidu i s'Altare
subra de una musa risplendente;
cantu fit bellu pariat vivente
ispicchende su passu a caminare.
Sos'Anghelos deviana cantare
cun musica sas lodes dulzemente,
poi cun'armonia pius forte
atero Santos li faghian corte.

San Pietro comparso sull'altare
sopra una musa risplendente;
com'era bello sembrava vivo
spiccando il passo per camminare.
Gli angeli cantavano
con la musica le lodi, dolcemente,
poi con armonia, più forte
altri santi gli facevano il coro.

33. Sa Vergine de grazia piena
in'altu tronu si fit presentada,
de sa gloria Sua coronada
cumpariat cu Santa Filomena;
e li fini fatende sa novena
poi su pesperu e missa cantada.
Su populu Sorranu in unione
zelebrende solenne funzione.

La Vergine, di grazia risplendente
su l'alto trono si presentò
coronata della sua gloria
compariva con santa Filomena;
e infine facendo la novena
poi il Vespro e messa cantata.
Il popolo di Sorres tutto unito
celebrando la solenne funzione.

34. Tue fist tottaganta trasformada
ancora pius manna e pius bella,
de lugore parias un'istella
dae sos fizos tuos venerada.
A sughelu t'haiana inalzada
de saltu Regnu parias gemella.
No fisti unu terrenu monumentu
puru chessaret de oro e argentu.

Tu eri tutta trasformata
ancora più grande e più bella,
dal fulgore sembravi una stella
dai figli tuoi venerata.
Al cielo t'avevano innalzata
dell'alto Regno sembravi gemella.
Non eri un monumento terreno
anche se ti mancava oro e argento (?)

35. Cale misteriosu sonnu meu!
e de tantu no poto esser dignu,
ma chi siat de te unu carignu
o palpitu e custu coro meu?
Forsi suggerimentu dae Deu
o de s'anima mia calch'impignu?
De haer fattu votu no mi ammento
e de haer peccadu già mi pento.

Che sogno misterioso!
di tanto non posso esser degno,
ma che sia di te una carezza (?)
o un palpito di questo mio cuore?
Forse fu un suggerimento di Dio
odella mia anima qualche impegno?
Di aver fatto voto non ricordo
e di aver peccato già mi pento.

36. No una olta sola est capitada
custa bella suggesta visione,
provocada e calda passione
ch'intro e coro meu est'incarnada.
Ses continuamente sonniada
doedando tenzusu e rejone.
E meda oltos los'appo isvelados
sos sonnos chi mi sunu capitados.

Non una sola volta mi è capitata
questa bella suggestiva visione,
provocata da calda passione
che dentro il mio cuore s'è incarnata.
Sei continuamente nei miei sogni
da quando ho iniziato a capire.
E molte volte ho rivelato
i sogni che mi sono capitati.

37. Insargumentu chi appo trattadu
no si firmat sa mia attenzione:
atera pius bella visione
durante vida mia appo sonadu,
e in modu diversu e variadu
cun pius giara cumbinazione.
Appo devidu puru faeddare
cun chia? no lu potto ispiegare.

Sull'argomento che ho trattato
non si ferma la mia attenzione:
altre più belle visioni
durante la mia vita ho sognato,
e in modo diverso e vario
con tante combinazioni.
Avrei dovuto parlarne
con chi? non lo potevo spiegare.

38. Si naro custu mi lean pro maccu
e mezus conservare su segretu;
mancari siat in sonnu perfetu
podet a su sabine dare intaccu,
attribuende sonnos a su... baccu
pro su cale bi tenzo pagu affettu.
Pensende viceversa calmu e seriu
so sonnos tenen tott'unu misteriu.

Se raccontassi questo mi prenderebbero per matto
è meglio conservare il segreto;
anche se è un sogno perfetto
può al saggio recare danno,
attribuendo i sogni al... vino
per il quale io ho poco affetto
Pensando, invece, con calma e serietà
i sogni mantengono tutto il loro mistero.

39. Mi dispiaghet chi resto delusu
dae sas visiones ingannadu,
e cantas boltas mi so ischidadu
mi battiat su coro e fit confusu;
sas veridades no fini piusu
ischende chi mi fia sonniadu.
Poi, currende prestu a su balcone
bido sa Cheja in desolassione!

Mi dispiace se resto deluso
dalle visioni ingannato,
e quante volte mi sono risvegliato
mi batteva il cuore ed ero confuso
le verità non finiscono più (?)
sapendo ciò che avevo sognato.(?)
Poi, correndo veloce al balcone
vedo la chiesa in abbandono!

40. Bido sa mama mia isconsolada
inistadu e pena e de piantu;
no intendo più su dulze cantu
e ne Anhelos bido i sa contrada;
apparit dae nou cambiada
orfana, sola senza b'haer Santu.
Già chi s'altare Sua l'han distrutta
Santu Pedru allogiat in Burutta.

Vedo la madre mia sconsolata
in stato pietoso e in pianto;
non sento più il dolce canto
e neppure angeli vedo nel quartiere;
appare di nuovo trasformata
orfana, sola e senza Santo.
Da quando il suo altare è stato distrutto
San Pietro alloggia a Borutta.

41. Su milli noighentos vintisese
tempus de una noa volontade, chi pariat amore caridade
basende a tottu sos manos e pese;
visitas e... prommissas pius de trese
bei faghiat s'autoridade.
Poi, unu terribile flagellu
ha postu tottu su logu in burdellu.

Nel millenovecento ventisei
tempi di nuove volontà,
che sembrava d'amore e carità
baciando a tutti mani e piedi;
visite e... promesse più di tre
ci facevano le autorità.
Poi, un terribile flagello
ha messo tutto in disordine.

42. In custu noighentos barantotto
s'affacciat dae nou a s'orizzonte,
e paret chi si ponzat pius de fronte
su trattadu progettu postu i mottu,
sutta sa bona guida e dotto
pro su risvegliu dei cussu monte.
A riedificare su Guventu
comente prima dae fundamentu.

In questo millenovecento quarantotto
s'affaccia di nuovo all'orizzonte,
e sembra stia per realizzarsi
il già detto progetto rimesso in moto,
sotto la buona guida d'un dotto
per il risveglio di quel monte.
Per riedificare il convvento
com'era un tempo, dalle fondamenta.

43. A riedificare sa memoria
de s'antigu tesoro abbandonadu,
de su tempus c'hat perdidu e lassadu
de un'era chi torrat a s'istoria.
A laude, osanna e gloria
de s'Altu Regnu chi l'hat motivadu.
E poi chi no restet a sa sola
torran sos Padres e faghen'iscola.

A ricostruire la memoria
dell'antico tesoro abbandonato
del tempo perduto e passato
di un'era che torna alla storia.
A lode, osanna e gloria
dell'Alto Regno che l'ha voluto.
E poi affinchè non resti sola
tornano i Padri a farvi scuola.

44. Pro custa noa generazione
dae bonu caminu traviada,
dae tempus hat perdidu s'istrada
pro elementos fora e rijone;
contrari a su cultu in funzione
cheret s'idea sua rispettada.
E no approdat a su cumprendoniu
de l'opera maligna e su dimoniu.

Per questa nuova generazione
bal buon cammino traviata,
che da tempo ha perso la strada
a causa di elementi estranei
contrari al culto in vigore
vogliono che la loro idea sia rispettata
e non riescono a capire
che è opera del diavolo.

45. Custu cheret sa zente Uruttesa
cun sas vicinas popolassiones
In sa Cheja Sorrana funzione
e Sazerdotes a s'antiga mesa.
Sa cristianidade sa difesa
chi li pretendet sa religione.
Da edade minore professada
dae sos genitores imparados.

Questo vuole la gente di Borutta
con le vicine popolazioni.
Nella chiesa di Sorres, funzione
e sacerdoti all'antico altare (tornino).
La difesa della cristianità
che la religione pretende
Sin da piccoli professata
dai genitori insegnata.

46. Ecco finidu su cantigu meu
e i como li ponzo su cappellu.
Mancari chi no sia tantu bellu
so seguru chi mi perdonat Deu;
si no appo cantadu tottu a reu
siet s'antigu che i su novellu.
Chie legge mi devet cumpatire
si cosas noas no li fato ischire.

Ecco terminato il mio canto
e questa è la chiusura.
Anche se non sarà tanto bello
sono sicuro che Dio mi perdonerà;
se non ho cantato tutto in giro
sia il vecchio che il nuovo.
Chi legge mi deve compatire
se cose nuove non ho fatto conoscere.

Fine

Aggiungo a quest'opera solo poche righe, per cercare una spiegazione ad alcuni fatti accennati in alcuni dei versi storici.
Partiamo dal n. 17: potrebbe trattarsi infatti dei ricordi di un fatto storico accaduto nel 390 d.C., l'autore probabilmente si riferisce alla strage di Tessalonica. In quegli anni a Tessalonica fu ucciso il Magister Militum Boterico che a causa di continui disordini in città aveva impedito agli abitanti di Tessalonica di presentarsi ai giochi con la propria fazione. Questi si erano ribellati e l'avevano ucciso e fatto a pezzi. Teodosio è allora imperatore e si vendica dell'uccisione di Boterico organizzando dei giochi solo per i cittadini, poi chiuse le porte dell'arena, fa uccidere tutti. Si dice che fossero novemila le vittime, in pratica fu distrutta una città.
L'autore nel n.20 ci parla dei saccheggi dei saraceni avvenuti nel settecento dodici, effettivamente in quegli anni i saraceni attaccano la Sardegna, e non per la prima volta.
Al numero 23 e 24 infine ci parla di una peste che colpì la città nel XIV secolo.

Sono convinto che la traduzione sia approssimativa e chiedo l'aiuto della rete per completarla, in particolare alcune frasi non trovano un completo significato e nel testo sono evidenziate in giallo.
Ringrazio chi è arrivato alla fine per la pazienza e spero di aver contribuito a riportare alla luce un bel pezzo di poesia sarda e la memoria del suo autore: Farantoni Sai.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO