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venerdì 5 maggio 2017

Non è uno scherzo: l’Arabia Saudita eletta alla Women's Rights Commission

Qualche giorno fa sono apparsi, anche sui giornali italiani, diversi articoli riportanti la notizia “bomba” dell’elezione dell’Arabia Saudita tra gli Stati Membri della Commissione dell’ONU sui Diritti delle donne per gli anni 2018-2022. 
La notizia ha destato scalpore in quanto l’Arabia Saudita nella graduatoria 2016, stilata dalla stessa Commissione, si trova al 141° posto su un campione di 144° Stati del mondo per il rispetto dei diritti delle donne. 
Peggio hanno fatto solo Siria, Pakistan e Yemen. 
Chi per primo ha portato il fatto all’attenzione delle cronache è il gruppo per i diritti umani chiamato UN Watch, ONG con base a Ginevra. 
Il Direttore esecutivo, Hillel Neuer, noto avvocato, diplomatico e attivista, ha commentato così il fatto: “Electing Saudi Arabia to protect women’s rights is like making an arsonist into the town fire chief”, ovvero, “Eleggere l’Arabia Saudita a protezione dei diritti delle donne è come mettere un piromane a capo dei pompieri”, ed ancora: “Today the UN sent a message that women’s rights can be sold out for petro-dollars and politics”, ovvero: “Oggi le Nazioni Unite hanno inviato il messaggio che i diritti delle donne possono essere svenduti in cambio di petrodollari e politica”. 
Naturalmente la frase ha fatto immediatamente il giro del mondo, in alcuni casi creando anche un certo imbarazzo in alcuni ambienti, come nel caso del Belgio dove è cresciuta la polemica quando si è saputo che il governo ha appoggiato la candidatura dell’Arabia Saudita. 
In effetti l’Arabia Saudita, nonostante le recenti modifiche normative che hanno garantito anche alle donne alcuni diritti fondamentali, tra cui il decreto reale del 2011 che da loro la possibilità di votare e di candidarsi alle elezioni, non si può certo annoverare tra gli Stati più virtuosi in materia.
L’elezione dell’Arabia Saudita è avvenuta a scrutinio segreto; tra i 54 membri dell’ECOSOC (Economic and Social Council) vengono eletti 45 membri (non tutti contemporaneamente). Quest’anno, lo scorso mese di aprile, sono stati eletti 13 nuovi membri che saranno in carica per gli anni 2018-2022: Algeria, Comore, Congo, Ghana, Kenya, Iraq, Giappone, Repubblica di Corea, Arabia Saudita, Turkmenistan, Ecuador, Haiti e Nicaragua. Per approfondire è utile dare uno sguardo al Global Gender Gap report del 2016 da cui sono stati presi i dati relativi alla posizione dell’Arabia Saudita. Si tratta di un documento complesso introdotto per la prima volta nel 2006 nell’ambito del World Economic Forum per evidenziare le disparità di genere e tracciare i progressi nel tempo. E’ così possibile vedere come sono stati valutati gli Stati negli anni scorsi e come l’indice è variato nel tempo. 
L’indice misura le differenze esistenti in campo economico, educativo, della salute e politico. Al primo posto nel 2016 si è posizionata l’Islanda, seguita dalla Finlandia, Norvegia, Svezia e Ruanda. In effetti trovare il Ruanda al 5 posto mi ha lasciato un po stupito! Vorrei ricordare che il Ministero della Salute del Ruanda nel 2012 ha dichiarato che il 56% delle donne tra i 15 e i 49 anni ha subito violenze fisiche o sessuali dal proprio partner. Sono passati 5 anni da allora e tutto è cambiato? Forse qualche dubbio sul come viene calcolata la posizione nella graduatoria e sul come la stessa tenga conto degli anni precedenti è legittimo. 
Ancora: che dire della Cina e della pratica di aborto selettivo? Nonostante ciò sia oggi illegale è un dato di fatto che vi sia uno sbilanciamento delle nascite a favore dei maschi. Eppure, come si tiene conto di ciò nel calcolo della uguaglianza dei diritti? Semplicemente con un numero che non sembra riflettersi nella graduatoria finale dove la Cina appare al 99° posto, a poca distanza dalla Grecia! 
Oppure del Burundi e della Namibia, anche questi tra i primi venti Stati, molto avanti rispetto alla stessa Italia, che si trova solo al 50° posto, poco dopo la Serbia (48°)! 
Eppure, a ben vedere, se si volesse valutare il livello di disuguaglianza di trattamento tra uomini e donne, occorrerebbe fare riferimento al “Gender Inequality Index”, un indice che riflette per l’appunto la disuguaglianza di genere, utilizzato, ancora una volta, dalle stesse Nazioni Unite nell’ambito dello United Nations Development Programme (Human Development Report). 
Se si va a leggere il “Gender Inequality Index” si scoprirà che le cose stanno diversamente, il Ruanda, a titolo d’esempio, è 159° su 188 (dati del 2015), l’Arabia Saudita è al 38° posto, l’Italia è al 26° posto e la Norvegia è al 1°. Naturalmente al primo posto si trova lo Stato con valore di disuguaglianza più basso. 
Se usassimo questa scala per valutare chi può far parte e chi no del gruppo, scopriremo che la classifica sarebbe la seguente: Algeria (83°), Comore (160°), Congo (176°), Ghana (139°), Kenya (146°), Iraq (121°), Giappone (17°), Repubblica di Corea (18°), Arabia Saudita (38°), Turkmenistan (111°), Ecuador (89°), Haiti (163°) e Nicaragua (124°). Eppure non mi sembra di aver sentito niente a proposito dell’elezione del Congo tra gli Stati Membri della Commissione dell’ONU sui Diritti delle donne per gli anni 2018-2022! 
Sembra che tutti siano concentrati solo ed esclusivamente sull’Arabia Saudita. Forse il motivo di tanto interessamento è da ricercare tra quelli economici e, dunque, di potere? 
Si dice che a pensar male si compie peccato, ma spesso ci s’azzecca... 
Non per voler difendere l’Arabia Saudita, eppure, se si considera che il consiglio per i diritti delle donne è un comitato eletto nell’ambito dell’ECOSOC e che quindi si occupa dello sviluppo della parità delle donne nell’ottica di un maggior sviluppo economico mondiale - in quanto si presume (senza però dimostrarlo!) che in un mondo in cui vi sia eguaglianza tra uomo e donna vi sia maggior sviluppo economico - è ancora tanto strano che uno Stato come l’Arabia Saudita ne faccia parte? 
Al signor Neuer invece va forse ricordato che l’ONU altro non è che un mezzo atto al governo mondiale. Cosa c’è da stupirsi se poi le logiche di potere, e tra queste il denaro la fa da padrone, riempiono ogni spazio utile?

Comunque sia, se volessimo fare come in Belgio dovremmo chiederci: “Qual’è stata la posizione ufficiale dell’Italia in questa vicenda?” 

Alessandro Rugolo 

Fonti:
https://www.unwatch.org/no-joke-u-n-elects-saudi-arabia-womens-rights-commission;
https://www.sciencedaily.com/releases/2011/03/110314132244.htm;
https://unstats.un.org/unsd/gender/downloads/WorldsWomen2015_report.pdf;
http://hdr.undp.org/en/composite/GI.

martedì 2 maggio 2017

Locked Shield 2017: la più importante esercitazione Cyber del mondo

Foto Ministero della Difesa

Nei giorni tra il 24 e il 28 aprile si è tenuta presso il NATO Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence (CCDCOE), in Tallin, l’esercitazione Locked Shields, la più grande e avanzata esercitazione di cyber defence al mondo.
L’esercitazione ha avuto lo scopo di esercitare gli esperti di sicurezza informatica nel proteggere i sistemi IT nazionali.
Ai team partecipanti è stato assegnato il compito di proteggere e mantenere efficienti i sistemi e i servizi di una ipotetica nazione (questi team di persone provenienti da tutto il mondo sono chiamati Blue Team). Nel corso dell’esercitazione i team sono stati sottoposti ad una serie di prove, dalla gestione di incidenti informatici a più ampie considerazioni di carattere legale, giuridico o strategico. Tutto è stato predisposto affinché l’esercitazione fosse il più realistico possibile, a tal scopo è stato fatto largo uso di tecniche di difesa e di attacco di nuova concezione e impiegate tutte le tecnologie emergenti disponibili.
Nello specifico, l’esercitazione Locked Shield 2017 consisteva nel mantenere l’operatività di reti e servizi di una base militare aerea di una nazione fittizia soggetta a complessi attacchi al sistema elettrico, agli UAV (unmanned aerial vehicles), ai sistemi di Comando e Controllo, alle infrastrutture informatiche critiche e così via.
Credo sia chiaro che la dimensione di questa esercitazione e la tipologia di problemi cui sono sottoposti i Blue Team pone sfide che spaziano all’interno dell’intero Cyber Space, quale che sia la definizione adottata.1
Più di 2500 possibili differenti tipologie di attacco possono essere eseguiti per testare le capacità dei Blue Team. Per questa esercitazione a partiti contrapposti infatti esistono anche i Red Team che hanno il compito opposto ai Blue Team, ovvero attaccare e distruggere (o rubare i dati, modificarli, renderli inservibili e distruggere così le capacità di Comando e Controllo avversarie), la rete e i servizi.
Oltre agli aspetti tattici dell’operazione, che mirano ad ottenere dei vantaggi pratici sul campo, una operazione di Cyber Defence (o di Cyber Attack!) può avere degli aspetti strategici per esempio agendo sul morale di una intera Nazione o mettendo alla berlina una industria mondiale del software. L’esercitazione Locked Shield quest’anno , per la prima volta, ha tenuto conto anche degli aspetti strategici di operazioni condotte nel Cyber Space.
L’esercitazione non è aperta a tutti ma la partecipazione avviene su invito. Alla attuale edizione hanno partecipato Team di 25 nazioni per un totale di 800 partecipanti. La sede stanziale dell’esercitazione è Tallin, in Estonia, ma i Blue Team hanno partecipato all’esercitazione dal proprio Paese, attraverso accessi sicuri alla rete.
L’esercitazione si è svolta in due tempi. In un primo tempo, il 18 e 19 aprile, è stata data a tutti la possibilità di esplorare la rete di esercitazione. Nel corso di tale fase i Team Blue hanno potuto costruire le mappe occorrenti per la difesa.
La seconda fase, quella attiva, ha visto impegnati i contendenti, tra questi il Blue Team italiano.
Dopo questa piccola introduzione che mira a dare a tutti un minimo di conoscenze sull’attività, ora vediamo più in dettaglio cosa è successo, attraverso la voce di alcuni partecipanti al Blue Team italiano appartenenti al gruppo di ricerca del Prof. Luigi V. Mancini del Dipartimento di Informatica della Università la Sapienza di Roma.
Professor Mancini,
come era composto il Team nazionale? Avete giocato tutti come Blue Team, è corretto?
Si. Il Team era composto da componenti della Difesa, Università ed Industrie, abbiamo lavorato tutti come Blue Team ma con compiti specifici, come ad esempio Legale, Forense, Rapid Response, Pubblica Informazione, Ticketing etc etc.
Avete avuto a disposizione i documenti dell’esercitazione? Che tipo di documentazione vi è stata resa disponibile? Avevate, o avete ricostruito, gli schemi di rete?
Naturalmente abbiamo avuto accesso alla piattaforma condivisa utilizzata per l’esercitazione in cui avevamo una descrizione sommaria dei sistemi. Abbiamo avuto l’accesso effettivo solo con la familiarizzazione del 18-19 Aprile, a quel punto avevamo accesso ai sistemi per toccare con mano alcune configurazioni.
Avevamo lo schema di rete, non dettagliato al massimo ma con i soli sistemi che dovevano essere a noi noti. Lo schema completo, con eventuali Rouge AP o macchine non segnalate, non era noto.
Quali erano gli obiettivi del Blue Team?
Il nostro obiettivo, come Blue Team, consisteva nel monitorare la rete ed effettuare una gestione degli eventuali incidenti, sotto l’aspetto tecnico, legale e comunicativo.
Chi giocava la parte del Red Team?
Il Red Team è composto da membri delle nazioni stesse collocati a Tallinn, in aggiunta a membri del CCDCOE e aziende. Rappresenta un gruppo tecnico che conosce in anticipo l'intera infrastruttura, e le relative vulnerabilità, ed in modo sistematico attacca i vari team in modo da valutare la capacità di risposta e monitoraggio.
Professor Mancini, secondo la sua esperienza, quanto può essere considerata realistica una siffatta esercitazione? Nel mondo reale il Cyberspace viene sottoposto a modifiche continue nei suoi componenti e gli eventuali attaccanti hanno dalla loro il tempo (APT è considerato il rischio maggiore), in questa esercitazione invece non vi è il tempo per studiare le abitudini degli utenti e per esplorare modalità di attacco. Questo limita fortemente le possibilità di attacco a un sottoinsieme del reale. Cosa ne pensa? Come dovrebbe essere organizzata e realizzata una esercitazione affinché sia il più possibile realistica?
L'esercitazione così composta è sicuramente un modo di addestrarsi a scenari reali, si inizia con il presupposto che i sistemi siano compromessi, quindi sicuramente una mentalità che dovrebbe essere utilizzata più spesso. La gestione di una infrastruttura complessa come quella della Locked Shield è sicuramente uno stimolo per i tecnici, e deve essere utilizzata dal sistema per sperimentare soluzioni innovative o  testare nuovi prodotti, siano essi Proprietari o Open Source. Uno degli aspetti più challenging dell'esercitazione è dato sicuramente dalle limitazioni in tempo e risorse, ad esempio il Blue Team non può monitorare tutto al meglio ma deve effettuare delle scelte ed il conseguente triage degli eventi in modo da capire cosa trattare con maggiore dettaglio o meno, il tutto garantendo l'esperienza utente, che deve continuare a lavorare senza alcun tipo di problema. Ci siamo trovati ad affrontare azioni utente che portavano rischi a livello di sicurezza, e quindi avevamo la necessità di mitigare queste azioni senza intaccare l'operatività dell'utente.
Professore,
la ringraziamo per queste sue prime risposte, sperando di poter approfondire ancora con Lei alcuni aspetti di questa esercitazione e, più in generale, di questo “cyberspace” che giorno dopo giorno stiamo cominciando a conoscere.

Alessandro RUGOLO, Ciro Metaggiata.

Note:
1Non esiste una definizione condivisa di Cyber Space. Potremmo adottare quella italiana prevista nel recente DPCM del 17 febbraio 2017 pubblicato in GU del 13 aprile 2017. L’Art. 2.h definisce lo spazio cibernetico come: “l’insieme delle infrastrutture informatiche interconnesse, comprensivo di hardware, software, dati ed utenti, nonché delle relazioni logiche, comunque stabilite, tra di essi”. Altre definizioni ufficiali possono essere reperite al link: https://ccdcoe.org/cyber-definitions.html.
Fonti:


http://www.difesa.it/SMD_/Eventi/Pagine/Locked-Shields-2017-termina-esercitazione-internazionale-tecnica-Cyber-Defence.aspx

domenica 30 aprile 2017

“A' la guerre comme à la guerre”: Florence Nightingale, ovvero, se la lampada non basta... meglio il martello!

Come abbiamo già avuto modo di notare, spesso il “carnaio”della guerra, spudoratamente nascosto dalla “foglia di fico” di “vari ed eventuali” ideali, serve per fini “politici”. Tuttavia, sorvolando sulla crudezza della considerazione predetta, occorre notare che, a causa della guerra, emergono figure che, pur non avendo nulla di eroico secondo le regole del “kamasutra” militare, hanno saputo affondare un'impronta tutt'altro che superficiale nella storia umana!
Come sappiamo, la Guerra di Crimea, all'epoca chiamata  Guerra d'Oriente, fu un conflitto combattuto dal 4 ottobre 1853 al 1º febbraio 1856 fra l'Impero Russo, da un lato, e un'alleanza composta da Impero Ottomano, Francia, Inghilterra e Regno di Sardegna, dall'altro.
Le drammatiche condizioni di abbandono dei feriti e dei malati inglesi (per i francesi c’erano le Suore di Carità e per i russi le 300 Sorelle dell’Esaltazione della Croce di Helen Paulowna) durante le operazioni belliche, rese note sul “Times” dal primo reporter di guerra, indusse il Governo britannico ad intervenire sotto le pressioni, rapidamente crescenti, di un'opinione pubblica da sempre molto ascoltata e potente.
Non c’era una Organizzazione precostituita che fosse all’altezza del compito in una zona, tra l’altro, assai impervia ed insalubre.
Alla fine fu inviata l’Angel Band: 38 infermiere agli ordini di F. Nightingale.
La Nightingale, inglese, ma nata in Italia, aveva di fronte due possibili soluzioni per affrontare il difficile compito: quella “latina” e quella “teutonica”.
La prima, epifenomeno dell’antropologia assistenziale “cattolica romana”, forniva una preparazione “umana”, forse, ma, sicuramente, non “professionale”. L’infermiera, umile e sottomessa al medico, non poteva avere alcun ruolo autonomo o responsabilizzante!
La seconda, come espressione dell’antropologia “riformata”, prevedeva un iter formativo, teorico – pratico, tale da rendere l’infermiera vera e propria “manager dell’assistenza” ante litteram! Florence fece la sua scelta e si recò a studiare in Germania presso la scuola delle Infermiere Diaconesse di Kaiserwerth fondata nel 1836. Al ritorno le si pose il difficile problema di scegliere le sue infermiere da impiegare sul campo.“
Le donne, preparate a dedicarsi alla cura dei malati, avevano due concetti totalmente contrapposti sui compiti dell’infermiera. Quella d’ospedale, alcolizzata, scostumata e turbolenta, considerava suo compito curare il corpo malato del paziente riconducendolo alla salute secondo le prescrizioni dei medici; quella proveniente da istituti religiosi…non alcolizzata né scostumata, era però più incline ad occuparsi dell’anima del malato che del suo corpo. Questo pensiero non era solo degli appartenenti ad Ordini religiosi, ma era condiviso da un discreto numero di donne colte che si dedicavano al volontariato assistenziale come “signore o dame”, non infermiere. Florence non volle nel suo “gruppo”né le une né le altre! Le sue dovevano essere tutte infermiere!”1
Per unanime consenso (tranne quello dei comandi militari che le si opporranno strenuamente, lottando anche contro l'evidenza!) l’azione delle infermiere sul campo fu risolutiva!
Le condizioni generali migliorarono, calò in 6 mesi la mortalità per infezioni dal 42,7 al 2,2% e a tutti fu offerto supporto psicologico.
La storia è, da sempre, “cosa da uomini”, interpretata da uomini e per uomini. Da ciò consegue che “la verità” è solo quella degli uomini! Quindi la maggior parte delle testimonianze deve essere riletta alla luce di questa realtà!
Florence non fu mai chiamata “la signora con la lampada”, bensì “signora col martello”2, immagine abilmente rimaneggiata dal cronista di guerra del “Times”, che la riteneva un po’ troppo volgare per i suoi lettori. Lungi dall’aggirarsi silenziosa per l’ospedale tenendo alta la sua lampada, la Nightingale si guadagnò l’appellativo per aver forzato la porta chiusa a chiave di un deposito, quando un ufficiale rifiutò di fornirle i medicinali che le servivano per alleviare le sofferenze dei malati.” 3
Al suo ritorno venne festeggiata come un’eroina, a lei ed alla sua missione si ispirò una letteratura sentimentale volta a coprire la durezza della realtà lavorativa.
Fondi, fama e prestigio le permisero di istituire una scuola nonostante le fortissime opposizioni della classe medica per la quale: “Le infermiere sono come domestiche, hanno bisogno di pochi insegnamenti…” Si occupò, mediante l’applicazione della statistica e di opportune ricerche sul campo, di migliorare gli ospedali civili.
A lei si deve la ristrutturazione dei servizi sanitari militari inglesi: nonostante l'opposizione degli Stati Maggiori, venne istituita la Scuola Medica Militare. Come c'era da aspettarsi, i suoi insegnamenti tardarono ad essere accolti da parte delle istituzioni militari che pure avevano provato la loro efficacia: durante la Guerra Boera (1899 – 1902) le malattie provocarono una mortalità cinque volte superiore alle ferite belliche! Fu solo durante la Guerra Russo – giapponese (1904 – 1905) che le intuizioni della Nightingale circa l'igiene, l'assistenza e l'alimentazione delle truppe, finalmente applicate su vasta scala, dimostrarono a pieno la loro efficacia!
Il governo britannico avviò una riforma della scuola per gli infermieri che prevedeva tirocini pratici presso ospedali validati!
Venne interpellata, anche Oltreoceano, non solo come esperta in organizzazione sanitaria, ma anche come intelligente consigliera in tema di edilizia sanitaria.
Morì a 90 anni dopo avere dato alla professione infermieristica un contributo incommensurabile soprattutto modificandone l’immagine pubblica.
La cultura infermieristica è stata profondamente influenzata dalle sue opere: educazione sanitaria, formazione, professionalizzazione, autonomia, indipendenza.
Alla base della teoria del nursing, secondo la Nightingale, vi doveva necessariamente l’ambiente: microclima, igiene e dieta, erano i fattori su cui l’infermiera (abile, preparata, vigilante e perseverante) doveva agire per non ostacolare la vis medicatrix naturae stimolando la eventuale “passività” del “patiens” a cooperare verso la guarigione. “La donna aveva trovato un suo posto nel sistema sanitario, ma un posto subordinato. I Medici, inizialmente ostili, finiranno per accettare ben volentieri la sua collaborazione obbediente e sottomessa.”4
Lei, però, si oppose alla batteriologia ed al femminismo e i limiti della sua teoria furono quelli del contesto socioculturale di riferimento riassunti nell’assioma secondo cui: “Ogni donna è un’infermiera”.
Adottò i modelli maschilisti e vittoriani dei ruoli di moglie, madre e massaia trapiantandoli nella realtà infermieristica!

Luisa CARINI, Enzo CANTARANO, Federico BIZZARRI.

Bibliografia
Angeletti L R, Storia, filosofia ed etica generale della Medicina, Masson, 2004
Cantarano E, Carini L, Storia della Medicina e della Assistenza per le Professioni sanitarie, UniversItalia, Roma, 2013, pag. 159 -161.
Cosmacini G, L'arte lunga, Laterza, 2006
Fornaciari G, Giuffra V, Manuale di storia della medicina, Felici ed. 2011

1 da “Florence Nightingale”, Woodham Smith 1954
2 cfr: Votes for Women, 9 aprile 1912, pag 737
3 da “Storia femminile del mondo” Rosalind Miles, Elliot Ed. 2009, Roma
4 Calamandrei C, L'assistenza infermieristica: storia, teoria, metodi, Carocci Editore, 1983.

mercoledì 26 aprile 2017

La filosofia degli automi

L'editore Boringhieri, nel 1965, la avuto il gran merito di pubblicare questo stupendo libro.
Gli autori sono, almeno penso, conosciuti a tutti coloro che si occupano in qualche modo di informatica: von Neumann, Ryle, Shannon, Sherrington, Turing e Wiener.
Il libro è una raccolta di saggi e curiosità aventi per oggetto gli automi. Da questi scritti e grazie a questi autori la nostra società è ciò che conosciamo, con i computer, le reti, le App, i robot... 
Tutto naturalmente parte dall'analisi del cervello e più in generale del sistema nervoso, della coscienza, della memoria e delle funzioni del cervello. Gli appunti sul cervello non hanno comunque altro scopo che quello di dare lo spunto al ragionamento sugli automi, le macchine calcolatrici e le macchine universali, quelle che oggi chiamiamo computer, capaci di svolgere qualunque compito se opportunamente programmate.
Leggere la descrizione dei calcolatori fatta da von Neumann sapendo quali evoluzioni vi sono state nel tempo è una cosa fantastica!
Tra i saggisti vi è anche Norbert Wiener, creatore del termine "cibernetica" per indicare un campo di ricerca che pone al centro la proprietà di autocontrollarsi e autoregolarsi tipica del cervello umano. Termine oggi utilizzato comunemente anche se distorcendone il parte il significato.
La discussione tra questi grandi della scienza passa attraverso il significato della mente per arrivare fino al concetto di autoapprendimento, senza mai trascurare gli aspetti sociali di un ipotetico mondo futuro (il nostro?) dominato dalla presenza delle macchine e il mondo futuro (di Samuel Butler) in cui le macchine vengono distrutte per paura che un giorno prendano il sopravvento!

Che dire, una lettura non proprio semplice ma sicuramente appassionante.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


domenica 23 aprile 2017

Un Reggimento alla conquista di un... Gran Magistero!

Duca Francesco Farnese, foto tratta da Wikipedia



Dai tempi più antichi le operazioni militari furono utilizzate in ambito politico per giustificare varie pretese e questo da prima che personaggi come Sun Tzu o Vegezio o von Clausewitz lo notassero!
Un esempio noto a pochissimi cultori di storia è l'affaire della “successione” dei Farnese, duchi di Parma e Piacenza, al Gran Magistero dell'Ordine Costantiniano. Il fatto non era assolutamente pacifico a causa dei numerosi interessi in gioco. La manovra diplomatica per legittimarne l’acquisizione doveva essere, quindi, di ampio respiro e il duca Francesco Farnese voleva assolutamente completarla attraverso il conseguimento di benemerenze militari. A tale scopo, il Duca avrebbe partecipato all’ennesima campagna anti-turca della Serenissima non in veste di Sovrano di un piccolo Stato, ma come Gran Maestro di un antico e glorioso Ordine Equestre, erede della tradizione Imperiale d'Oriente, negli stessi territori dell'antico Despotato d'Epiro, ora contesi alla Sublime Porta1, in cui l'Ordine si era stabilito ed aveva operato nei secoli precedenti.
La riconquista di queste terre avrebbe assicurato, tra l’altro, ovvie benemerenze da parte di papa Clemente XI2 che stava elaborando la Bolla definitiva d’approvazione della cessione dell’Ordine alla famiglia Farnese da parte dell' ultimo Gran Maestro Angelo Comneno rimasto senza eredi legittimi.
La guerra condotta in quel tempo da una Lega costituita dal Sacro Romano Imperatore Carlo VI, dalla Serenissima Repubblica di Venezia, dal Granduca di Toscana, dall’Ordine di Malta e dal Papa contro l’avanzata del Sultano Amet in Dalmazia era il fatto più rilevante in politica internazionale. Il Sultano voleva vendicare la sconfitta del 1683 a Vienna, ad opera di Giovanni Sobieski e quella del 1690 a Salankemen e Zeula, ad opera di Eugenio di Savoia, che avevano costretto i Turchi a sottoscrivere, nel 1699, il gravosissimo Trattato di Carlowitz.
Proprio per l’elevatissima posta in gioco il reclutamento e le dotazioni dei Militi Costantiniani furono oggetto della più meticolosa cura da parte del Farnese che, nella sua veste di Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano di san Giorgio, si impegnava a reclutare un Reggimento su due Battaglioni di otto Compagnie ciascuna, il cui soldo sarebbe stato a carico, però, della Repubblica di Venezia. Era stato convenuto che l’organico di ogni Compagnia sarebbe stato di: 1 capitano, 1 tenente, 1 alfiere, 2 sergenti, 4 caporali, 2 tamburi, 12 granatieri, 100 fucilieri.
Dopo qualche contrasto all'arrivo in territorio veneto, il 1° Battaglione del Reggimento partì per Spalato,3 roccaforte della Serenissima in Dalmazia, il giorno 17 giugno 1717.
In luglio iniziarono le operazioni verso Sinj4 per attaccare la roccaforte turca di Livno nella Bosnia occidentale. Il Reggimento, della forza effettiva di un Battaglione, venne posto alle dirette dipendenze del Comandante veneziano, il Provveditore Generale, conte Alvise Sebastiano Mocenigo. Per questo motivo e in quanto considerato non veterano e inadatto al servizio di campagna vero e proprio, venne tenuto nelle retrovie. Nonostante ciò ebbe perdite pari al 54% degli effettivi a causa di malattie e infezioni!!! 
L’anno successivo, 1718, il Reggimento, ormai veterano, venne impiegato in prima linea presso Dulcigno (Ulcinj nel Montenegro meridionale) ad oltre 160 chilometri a sud-est delle sue primitive postazioni, ma a breve distanza da Scutari e, quindi, dalla antica sede Gran Magisteriale di Drivasto.5 In effetti nell’agosto 1717 la flotta cristiana, dopo essere stata impegnata in sanguinosi combattimenti nel Mare Egeo, aveva chiesto immediato soccorso o sul mare o mediante azioni in terraferma che costringessero i Turchi a ridurre la pressione navale. L'attacco di Dulcigno rispondeva proprio a queste esigenze di alleggerimento richieste. Invece, la flotta promessa dal Re Cattolico Filippo V Borbone non giunse mai al soccorso perché deviata nelle acque sarde e siciliane. Ciò irritò moltissimo il Papa, Clemente XI, che rimproverò duramente il Re di Spagna e chiese al Duca Francesco, zio della Regina di Spagna, Elisabetta Farnese, di interporre, presso la Corte Cattolica i suoi buoni uffici affidandogli, al contempo, un ruolo che sicuramente conveniva all’ambizioso Duca e collimava con il suo desiderio di fungere da ago della bilancia nel teatro balcanico anche grazie alla presenza di truppe proprie.
Numerose sono le testimonianze delle difficoltà incontrate durante la Campagna da parte delle Truppe Costantiniane, sia per l’attività del nemico, che combatteva già con le tecniche proprie della “guerriglia”, sia, soprattutto, per l’ostilità dell’Alleato veneto che negò il necessario supporto logistico in particolare il “comodo di Medico e di Spedale” e “la poca cura che si è avuta…la quale abbia dato causa alla morte e diserzione di soldati ed a molte infermità che ancora regnano nelle truppe.” (Lettere del 28 e 31/10/ 1717 del Duca al suo Colonnello Comandante). 
Proprio per fare fronte all’enorme numero di perdite per morte e diserzione il Colonnello dal Verme tornò a Venezia per reclutare soldati da incorporare nel suo Reggimento. Ricompostosi, il Reggimento, forte di 1200 uomini, venne impegnato in operazioni nelle zone di Spalato, Cattaro, Dulcigno (Ulcinj), e presso la fortezza di Sinj. Il 21 luglio 1718 l’Impero e la Sublime Porta stipularono la pace di Passarowitz. La Repubblica Veneta non era in grado di gestire da sola l’impari lotta contro il Sultano e chiese, a sua volta, nel 1719, la pace. Il Reggimento venne immediatamente rimpatriato a giugno dello stesso anno. Le ulteriori perdite erano state di 439 uomini. 
Finì così la Campagna Dalmata della Milizia Costantiniana. Essa non conseguì tutti gli scopi prefissati dal Farnese in ordine alle sue mire di politica internazionale e dinastica a coronamento delle sue ambizioni espansionistiche su di un trono regale, ma gli permisero di assicurarsi la benevola attenzione della santa Sede e la pacifica successione ai Comneno nel titolo Gran Magistrale dell’Ordine Costantiniano.  
La riconoscenza del papa Clemente XI, che era stato Cardinale Protettore dell’Ordine, si manifestò con la tanto sospirata ed attesa emissione della Bolla Militantis Ecclesiae di concessione del Gran Magistero al Farnese in forma piena ed incondizionata e con il conferimento all’Ordine ed ai suoi Cavalieri di un altissimo ed amplissimo numero di privilegi e guarentigie guadagnati sul campo e non in virtù di un nebuloso ed incerto passato.
Non esistono fonti certe circa la Bandiera Colonnella6 del Reggimento. Gli Ufficiali vestivano Uniformi assai elaborate, ricche ed appariscenti: un sontuoso giaccone turchino a risvolti rossi recante, sul

cuore, la Grande Croce Costantiniana, con sottabito di colore rosso, calzoni e calze bianchi, cintura di velluto celeste, spada con le insegne dell’Ordine, mantello turchino e Croce di Giustizia al collo. L’Uniforme della truppa era la più curata di quelle di tutti gli altri Corpi Militari del Ducato: giustacuore blu a mostre rosse, panciotto rosso bordato in oro con galloni, calzoni al ginocchio blu, calze al polpaccio bianche, tricorno nero bordato in oro con effige dell’Ordine, tracolla in cuoio naturale con porta-miccia in ottone e bisaccia con stemma dell’Ordine, cinturone in cuoio con spada.


1 La Sublime Porta ossia "Porta Superiore o Suprema", o anche Porta ottomana, è uno degli elementi architettonici più noti ed evidenti del Palazzzo Topkapi di Istambul, antica residenza del Sultano. Al di là di essa stava l'inaccessibile residenza imperiale il cui simbolismo rimandava al Paradiso islamico. L'espressione, nel corso dei secoli, è stata usata come metafora per indicare il governo dell'Impero Ottomano assieme a quello di Divan o Divano. Il termine dīwān,  di origine forse persiana, o dal verbo arabo dawwana (radunare), è usato nella cultura arabo-islamica per identificare, tra l'altro, la sede di un dicastero incaricato di svolgere l'amministrazione della cosa pubblica, in particolare il luogo dove si riuniva il Consiglio di Stato del Sultano fino al 1654.
2 Papa Clemente XI, nato Giovanni Francesco Albani, è stato il 243º papa della Chiesa cattolica dal 1700 alla sua morte nel 1721.
3Città della Croazia e principale centro della Dalmazia, dopo le vicissitudini conseguenti l' avvicendarsi del dominio bizantino, croato, magiaro-croato, fece parte per quasi quattro secoli dei domini della Repubblica di Venezia e non cadde mai in potere degli Ottomani.
4 Si trova nell'entroterra dalmata e dista circa 35 Km a nord-est da Spalato.
5 Cfr pag 35.
6 La Bandiera colonnella era una bandiera utilizzata negli eserciti dell'Antico Regime. Era la bandiera più importante di un reggimento. Nel Seicento ogni compagnia di un reggimento aveva una propria bandiera che raffigurava le "imprese" del capitano. Secondo le consuetudini dell'epoca il Colonnello era egli stesso capitano della compagnia più anziana del reggimento (anche se effettivamente era comandata da un altro ufficiale, spesso denominato capitano-tenente), quindi la bandiera di questa compagnia raffigurava lo stemma del Colonnello. In seguito durante il Settecento venne impedito di raffigurare stemmi personali su questi stendardi, che vennero sostituiti con la bandiera del Sovrano, uguale o simile per tutti i reggimenti. 



Enzo CANTARANO, Luisa CARINI


Bibliografia
Auda-Gioanet I, Is it really possible to assert the extinction of Souverain or Noble Houses? Ed. Ferrari, Roma, 1952
AAVV L'Ordine Costantiniano di san Giorgio, Ermano Albertelli Editore 2002
Bascapè G C, Gli Ordini Cavallereschi in Italia – storia e diritto, Milano 1992
Bisogni G, Storia e genealogia della Imperiali Famiglie Angelo Comneno e Tocco Paleologo d'Angiò, Ed. Ferrari, Roma 1950
Cantarano E. Carini L. Elementi di Antropologia culturale di un fenomeno intramontabile: la Cavalleria. Il Sacro Militare Ordine Costantiniano di san Giorgio. UniversItalia, Roma, 2016
Comneno A M, La teoria della sovranità attraverso i secoli, Ed. Urbinati, Roma, 1954
Ducellier A, Kapla M, Bisanzio, San Paolo, Milano 2002
Saenz A, La Cavalleria. La forza delle armi al servizio della verità inerme. Rimini,Il Cerchio, 2000
Volpe M Segni d'onore, 2 voll, Roma, 2004

giovedì 20 aprile 2017

Giuseppe Brotzu, un sardo contro la malaria

Spesso le guerre più combattute non sono quelle che si svolgono su un campo di battaglia, ma quelle, ignote ai più, volte a far trionfare un'idea o un'intuizione o una ricerca o una scoperta che può portare vantaggi e soluzioni a problemi vitali non solo di un Popolo o di uno Stato, ma del Mondo intero! Abbiamo visto Vincenzo Tiberio e Aldo Castellani, Medici e Militari, alle prese con simili “combattimenti”, ma non furono, ovviamente, i soli a doversi battere sul campo della salute!
Giuseppe Brotzu (Cagliari, 1895 – 1976), si laureò in medicina, mantenendo le tradizioni di famiglia, presso la Regia Università di Cagliari nel 1919. Fu esonerato dal Servizio Militare proprio perché, dotato unicamente della sua competenza professionale, combattesse da subito la battaglia contro una malattia allora devastante: la malaria! Appena laureato, infatti, gli venne affidata la Direzione degli ambulatori antimalarici di Cagliari. Dopo gli studi d'Igiene e la Didattica, prima a Siena e poi a Bologna, nel 1933, tornò a Cagliari e assunse la direzione dell'Istituto di Igiene della Città. Fu Preside della facoltà di Medicina (1935 – 36) e poi Rettore (1936 – 1943). Lasciato l'insegnamento nel 1965 per limiti d'età, continuò a frequentare l'Istituto di Igiene fino a oltre ottant'anni. Nel 1945, dopo anni di studi e di ricerca, arrivò alla scoperta delle cefalosporine.
Alla carriera accademica affiancò quella politica: Assessore Regionale all'Igiene e Sanità (1949 – 1955), Presidente della Regione (1955 -1958) e Sindaco di Cagliari (1960 – 1969).
Costantemente impegnato nel sociale, assunse un ruolo decisivo nella campagna della Fondazione Rockefeller per l'eradicazione della malaria dalla Sardegna. “L'impegno nella lotta alla più antica e subdola malattia nella storia della Sardegna - la malaria - attraversa l'intero arco della vita scientifica, accademica e politico-istituzionale di Giuseppe Brotzu.” Morì a Cagliari l'8 aprile del 1976. A lui è dedicata la struttura sanitaria più importante di Cagliari e della Sardegna.
Brotzu, dal 1920, iniziò la sua ricerca in ambito microbiologico con un'attenta osservazione delle acque del porto di Cagliari, fortemente inquinate dagli scarichi fognari urbani, nelle quali tuttavia molti giovani facevano ogni giorno il bagno senza che si manifestassero episodi singoli o epidemie almeno di infezioni come tifo o paratifo!
Si ipotizzava che, poiché vi erano pessime condizioni sanitarie ma pochissimi casi di infezioni, i sardi, e in particolare i Cagliaritani, godessero di una stranezza immunologica. Se questo per molti studiosi rappresentava un dato inspiegabile, ma di fatto ormai assodato, per Brotzu era una prova evidente della presenza, in quelle acque, di un agente immunizzante. Dimostrò, infatti, che in Città esisteva un'endemia tifica, ma in forma lieve, nota come “infezione eberthiana”, senza che si manifestassero epidemie come accadeva in simili situazioni in Italia. Brotzu e il collaboratore Spanedda, "cultori della ricerca anche in tempo di guerra", iniziarono a raccogliere campioni d'acqua dalla zona orientale del Golfo commerciale di Cagliari, detta “su Siccu”, alla ricerca di “antagonismi batterici”. Inizialmente Brotzu pensò che le condizioni ambientali fossero talmente sfavorevoli per i batteri da inibirne i caratteri patogeni.
I microrganismi contenuti nei campioni prelevati, vennero “seminati su terreno comune e fatti sviluppare a temperatura ambiente... A sviluppo completo le colonie di numerosissimi germi erano state isolate e di ciascuna di esse era stato saggiato il potere antagonistico” verso diversi batteri responsabili di infezioni. “Seguendo questa tecnica assai semplice fu possibile studiare delle centinaia di germi e scegliere tra di essi il micete che fin dai primi isolamenti si mostrò dotato di particolari e spiccate attività inibenti”. In particolare, il 20 luglio 1945 Brotzu e il suo collaboratore Spanedda poterono ammirare “la colonia [di un fungo del genere Cephalosporinium] color ocra con tonalità rosa che inibiva diversi microrganismi tra cui la salmonella typhi.” Nello stesso anno, venne isolata la “micetina Brotzu” che il Professore e il suo collaboratore sperimentarono personalmente per testarne l'efficacia, o la tossicità.
All'inizio del 1947 Brotzu trattò pazienti malati gravemente di tifo che guarirono. "Le condizioni generale di un malato risentono in genere di un miglioramento notevole[...]già dopo le prime due o tre inoculazioni il materiale prelevato è risultato batteriologicamente sterile".
Brotzu inoltrò istanze ai vari Ministeri ed Enti interessati per avere fondi e attrezzature, ma, come spesso avviene in Paesi in cui “il tempo dedicato al lavoro è sottratto alla carriera”, fu completamente ignorato. Su richiesta di Sir Howard Florey dell'Università di Oxford, il ricercatore che aveva prodotto la Penicillina ri-scoperta da Alexander Fleming dopo le intuizioni del nostro Vincenzo Tiberio, Brotzu inviò una sua coltura del Microrganismo antibiotico da lui individuato. Tra il 1951 ed il 1961 vennero isolate e purificate differenti sostanze ad attività antibiotica; tra queste la cefalosporina C, che divenne il capostipite di una nuova generazione di antibiotici. Il brevetto del principio attivo, all'insaputa di Brotzu, venne venduto a due importantissime Industrie farmaceutiche che ottennero con esso enormi profitti. La paternità scientifica dell'antibiotico fu riconosciuta allo scienziato cagliaritano dalla comunità scientifica internazionale solo negli anni settanta!
Non minore fu il suo impegno civile negli anni difficili del dopoguerra e della ricostruzione, quando gli furono affidate le cariche di Sovrintendente sanitario regionale e Presidente degli Ospedali riuniti di Cagliari. Brotzu, già prima che si diffondesse l'uso su larga scala del DDT, cercò di contrastare il bimillenario flagello della malaria, “causa intima del silenzio di tomba che da tanti secoli opprime l'isola” e “bavaglio che ne intralcia l'evoluzione”. Fra tutti i problemi uno ha avuto nella storia della Sardegna un'importanza fondamentale: la malaria. Chi non è sardo e non bene a conoscenza della storia del nostro popolo, non potrà intendere lo stato d'animo e la nostra sensibilità al problema della malaria che ha oppresso, debilitato, piegato il popolo sardo per oltre 2000 anni e gli ha impresso delle stigmate che forse, solo tra qualche generazione, potranno essere cancellate… Il mantenere lontano dalla nostra isola il pericolo della malaria è quindi il primo compito da affrontare… Occorre infatti ricordare che senza salute non vi è benessere e ricchezza in un popolo”.
Brotzu divenne membro dell'Alto Commissariato all'Igiene e Sanità e poté quindi seguire da vicino i primi passi del Sardinian Project, il grandioso esperimento naturale che aveva come obiettivo l'eradicazione della malaria in Sardegna. Fu membro anche dell'Ente Regionale per la Lotta Anti anofelica in Sardegna e collaborò con la Rockefeller Foundation per la riuscita di un “Piano di Rinascita” confortato dagli ottimi risultati conseguiti in USA ed in altri Paesi.
Una volta sconfitta la malaria, nei primi anni cinquanta, da Assessore all'Igiene e alla Sanità Brotzu sostenne l'istituzione del Centro regionale antimalarico e anti-insetti per consolidare i risultati ottenuti attraverso la piccola e media bonifica. “Combattè” anche per la realizzazione di ospedali, poliambulatori, mattatoi igienici, acquedotti per l'approvvigionamento di acqua potabile, zone residenziali idonee anche ad opporsi alle malattie sociali, opere di risanamento e tutela dell'ambiente,…

Enzo Cantarano, Luisa Carini


Bibliografia
  • Abraham, E. P.  The Cephalosporin C Group, in Quarterly Reviews n. 21, 1967
  • Baldry P, The Battle Against Bacteria: A Fresh Look : a History of Man's Fight Against Bacterial Disease with Special Reference to the Development of Antibacterial Drugs, Ed. CUP Archive, 1976
  • Bo G:, G. Brotzu and the discovery of cephalosporins, in Clin Microbiol Infect, 6, 3 pp. 6–9
  • Brotzu G, Osservazioni e ricerche sull'endemia tifica in Cagliari, in L'Igiene moderna, XVI 1923
  • Brotzu G, La malaria nella storia della Sardegna, in "Mediterranea", n°8, 1934, pag. 19
  • Brotzu G, Ricerche su di un nuovo antibiotico, Cagliari, 1948 pag. 3
  • Cantarano E, Carini L. Storia della Medicina e della Assistenza Sanitaria per le Professioni Sanitarie, UniversItalia, 2013, pag. 175.
  • Cornaglia, G To the memory of an angel, in Clinical microbiology and infection, European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases, Ed. Decker Europe, 1995
  • Del Piano L. (a cura di), Per Giuseppe Brotzu , Edizioni Della Torre, Cagliari, 1998
  • Greenwood D. Antimicrobial Drugs: Chronicle of a twentieth century medical triumph, Ed. Oxford University Press, 2008
  • Landau R, Achilladelis B, Scriabine A, Pharmaceutical Innovation: Revolutionizing Human Health, Ed. Chemical Heritage Foundation, 1999
  • Paracchini R. Il signore delle Cefalosporine. Storia di una scoperta. Demos, Cagliari, 1992.

lunedì 17 aprile 2017

Aldo Castellani, Italiano e medico: una storia di dignità e coerenza!


Aldo Castellani con i suoi allievi”, olio di Roberto Fantuzzi, 1935
Androne Clinica delle Malattie Tropicali - Policlinico Umberto I - Roma
Spesso si sente accusare il nazionalismo di ogni nefandezza o depravazione. Tuttavia, come sempre accade quando si parla di attività umane di qualunque genere, non è corretto generalizzare giudizi spesso erogati solo per sentito dire o per qualunquismo o conformismo o piaggeria!
Il senso di appartenenza, l'attaccamento alle proprie origini, se non diventa ipocrita ideologia, facile alibi per vuote rivendicazioni di un presunto potere, che logora chi non lo ha mai esercitato, non possono essere che naturali, genetiche, direi, pulsioni di ogni spirito libero.
Come può un albero dare frutto buono se le sue radici affondano in un terreno instabile, incerto, sterile,...
Ebbene, la stessa cosa accade anche per gli uomini!
Non tutti si lasciano, infatti, strappare i propri ideali dal fiume in piena dei cambiamenti epocali o lo fanno per convenienza quando non per stupidità o per interesse di carriera!
Una volta, si parlava di dignità....
Proprio per la strenua difesa della sua dignità di Italiano e di Medico, tra i tanti miei antichi Maestri ho voluto tributare un modesto omaggio al fondatore della Scuola delle Malattie Tropicali nel nostro Paese: SIR ALDO CASTELLANI.
Egli nacque a Firenze l'8 settembre 1874. Dopo varie vicissitudini familiari e scolastiche nel 1893 si iscrisse alla Facoltà di Medicina della Regia Università di Firenze dove si laureò maxima cum laude nel 1899. Il suo interesse per le Malattie Tropicali lo portò a frequentare istituzioni universitarie specializzate in Inghilterra e Germania.
Nel 1902 partecipò ad una spedizione in Africa per condurre ricerche su una gravissima epidemia di un morbo che allora era noto come “Malattia del sonno”. Notò in numerosi malati la presenza di un protozoo parassita, il tripanosoma, veicolato da una mosca, la Glossina palpalis o mosca tze-tze. Castellani, oltre a isolare l'agente etiologico in vivo, ne dimostrò il ciclo vitale e sperimentò anche trattamenti farmacologici.
Esclusiva del continente africano, affligge ancora oggi più di 60 milioni di persone in 36 Nazioni. Ma egli riuscì ad isolare anche il treponema agente etiologico della framboesia e studiò molte altre malattie come la broncospirochetosi emorragica (Morbo di Castellani), la quartana non-malarica ed altre febbri tropicali.
Sembra che, sebbene le ricerche fossero condotte sotto l'egida di Sua Maestà britannica ed a sue spese, però Castellani non ne rese subito noti i risultati, ma si fece inviare per qualche tempo nei Possedimenti Italiani d'Africa così da far assegnare alla sua Patria il merito delle scoperte!
Dal 1903 al 1915 fu docente nella Facoltà di Medicina a Colombo, capitale dell'odierno Sri Lanka, allora colonia britannica. Lì individuò diverse forme morbose, soprattutto ad etiopatogenesi parassitaria, isolandone gli agenti causali. Nel 1910 sposò, in Inghilterra, Josephine Ambler Stead, dalla quale ebbe la sua unica figlia.
Nel 1915 fu richiamato in Italia e assegnato al servizio militare attivo. Durante il Primo Conflitto Mondiale fu a Salonicco, in Macedonia, in Serbia e in Italia, dopo Caporetto, fu incaricato soprattutto della profilassi della malaria nell'Esercito mediante chinino. Dal 1918 rappresentò l'Italia presso l'Office International d'Hygiène Publigue.
Ebbe l'occasione di curare Benito Mussolini, suo Fratello e sua Moglie dal 1925 al '43 ed anche molti ministri ed altri personaggi dell'entourage del Duce.
Per oltre vent'anni, dal 1920 al '40, praticò la sua professione a Londra. In questo periodo fu medico del Presidente Roosevelt, di Rodolfo Valentino, di sovrani, europei ed orientali, di molti illustri diplomatici, di alti gradi militari, di aristocratici, influenti personaggi politici, dello spettacolo, della musica, nonché dell'arte, pittori, scultori e architetti. Nel 1928 gli fu conferito il titolo di Sir. Dal 1929 fu Accademico dei Lincei e, dal 1936, Accademico Pontificio.
Nel 1935, rientrato in Italia, gli venne conferito il grado di generale medico con l'incarico dell'organizzazione sanitaria, soprattutto della profilassi contro le malattie tropicali, della guerra contro l'Impero etiope.
I risultati favorevoli furono così eclatanti da suscitare interesse in tutto il Mondo. Le aspettative di morte per malattia fra le nostre truppe erano state stimate in circa 22.000 uomini a causa di malaria, dissenteria, tifo e paratifo, febbri, vaiolo, colpi di sole, beriberi, pellagra, scorbuto, avitaminosi, tetano, meningite, colera, punture di scorpioni e serpenti ma, grazie ad Aldo Castellani, furono “solo” 599 su quasi mezzo milione di soldati mobilitati.
Per i servigi resi, il re Vittorio Emanuele III gli conferì il titolo ereditario di Conte di Chisimaio.
La fama internazionale acquisita da Castellani in ambito clinico, soprattutto delle Malattie tropicali e Dermatologia, gli valse la nomina a Senatore del Regno d'Italia nel 1929. Dal 1930 resse la Cattedra di Medicina Tropicale a Roma pur mantenendo i suoi innumerevoli incarichi di clinica e ricerca a Londra e New Orleans.
Il 10 giugno 1940, Italia ed Inghilterra entrarono in guerra. Castellani rientrò, con un viaggio rocambolesco per mare e per terra, in Patria, passando anche per Parigi per fare rifornimento di sieri e vaccini. Venne subito inviato in Libia, dove meritò la Medaglia d'Argento al Valore sul Campo. Assicurò, infatti, nonostante difficoltà, carenze e incompetenze, condizioni di salute soddisfacenti a tutto il Personale, migliori di quelle dell'Esercito Tedesco! Il 27 ottobre 1942 fu nominato generale medico responsabile di tutti i teatri di guerra.
Pochi furono i casi di malattie infettive grazie all'uso della profilassi vaccinale. In Africa oggetto particolare di studio da parte di Castellani furono le reazioni mentali e fisiche dei soldati e dei civili esposti a bombardamenti ed azioni nemiche di vario genere.
Dopo la caduta di Mussolini, Castellani scelse di prestare servizio per la Repubblica Sociale. Tuttavia, negli ultimi giorni della dominazione tedesca la sua clinica era piena di pseudopazienti con nomi e diagnosi fittizie in cerca di protezione. Quando gli Americani giunsero a Roma, Castellani fu consulente senior per la Medicina e l'Igiene Pubblica presso il Comando Militare Alleato. Colpito temporaneamente dalle epurazioni antifasciste, fu prontamente reintegrato nel suo ruolo all'Università di Roma come Direttore della Clinica delle Malattie Tropicali. Nel 1946 il Principe di Piemonte lo chiamò al Quirinale con l'incarico di organizzare un ambulatorio.
Dopo il Plebiscito da cui nacque la Repubblica, l'ex re Umberto II incaricò Castellani di organizzare il trasferimento della Famiglia reale in Portogallo. In questo Paese emigrò anche lui e visse per un periodo con i Reali deposti. Questa situazione gli diede la possibilità di viaggiare molto in veste di accompagnatore ufficiale della Regina e di incontrare personaggi illustri. Nel 1947 il Governo Portoghese lo nominò titolare di una cattedra nell'Istituto delle Malattie Tropicali di Lisbona dove poté proseguire le sue ricerche nei campi della medicina tropicale, dermatologia tropicale, batteriologia e micologia. Il suo titolo comitale venne elevato a quello Marchionale: Marchese di Chisimaio.
Morì a Lisbona il 3 ottobre 1971. 

Enzo CANTARANO

Bibliografia
  • Cantarano E, Carini L, Storia della Medicina e della Assistenza per le Professioni Sanitarie, Roma, UniversItalia 2013, pag.
  • Castellani A, “Tra microbi e Re”, Editori Rusconi e Paolazzi, Milano, 1961.
  • Porter R,(a cura di), Dizionario Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali (tomo I A-E), Franco Maria Ricci editore, 1985-1988, Milano.