Traduttore automatico - Read this site in another language

giovedì 21 giugno 2018

Ombre sull'Ofanto, di Raffaele Nigro

Come tutte le estati, la voglia di riposo e di mare è accompagnata da quella di dedicare qualche ora a letture, diciamo così, rilassanti, per cui mi rivolgo lla mia libreria alla ricerca di qualcosa di accattivante comperato in passato e lasciato li, in attesa del momento giusto per essere letto.
Dopo qualche minuto ho selezionato alcuni libri, il volume "mostruoso" di Stephen king, IT, romanzo horror già letto diversi anni fa, la biografia della famiglia Rothschild e poi un volumetto dal titolo "Ombre sull'Ofanto", di Raffaele Nigro.
E' proprio quest'ultimo che mi attrae maggiormente e, pensando di avere a che fare con un qualche genere di racconto di fantasmi (non so proprio il perchè!) come spesso accade, per curiosità, leggo le prime pagine.
Il libro è nella libreria da diversi anni, non ricordo di averlo acquistato io per cui deve essere di mia moglie Giusy o di mio figlio.
Sin dalle prime pagine mi rendo conto di essermi sbagliato, niente a che vedere con i fantasmi, o almeno niente a che vedere con i fantasmi che si possono trovare nei racconti di Edgar Allan Poe o di Meyrink o ancora di Walpole... ma sempre si fantasmi si tratta, a ben guardare, ma di quelli di una società malata.
La storia si svolge nel meridione, tra Venosa e il territorio circostante, fino ad arrivare a Napoli.
E' la storia di una ragazzo, Arminio, appassionato studioso del poeta romano Orazio, nato appunto nella cittadina di Venosa.
Tra citazioni dai testi di Orazio, ricordi di gioventù, bravate da ragazzi e assassini spietati, l'autore racconta come sia facile passare dall'essere vittima a diventare aguzzino in una terra senza legge.
Arminio, figlio di un impresario di pompe funebri, nonostante sia uno studioso si lascia trascinare dagli eventi e nel giro di poco tempo diventa assassino lui stesso e biografo di un capobanda, il Vicciere (ovvero il macellaio).
La storia potrebbe essere quella di un qualunque ragazzo del sud, un sud abbandonato dallo Stato ma anche dai suoi abitanti che non vogliono o non riescono ad uscire dal loro malessere.
Non voglio raccontarvi altro se non che, se volete passare qualche ora sotto l'ombrellone immersi nella lettura, Ombre sull'Ofanto è il libro che fa per voi.

Buona lettura,

Alessandro Rugolo


sabato 16 giugno 2018

AK, l’arma più celebre e il suo genitore

Image result for KalashnikovLa vita di Mikhail Kalashnikov comincia e finisce come una di quelle storie che potrebbe essere stata raccontata ai giovani russi durante gli anni dell’Unione Sovietica per dare loro un esempio di comportamento: un giovane proveniente da una famiglia di umili origini che, grazie al suo genio, porta grandezza e lustro alla sua madre patria.
Ma cominciamo dall’inizio, Mikhail Timofeyevich Kalashnikov nasce nel 1919 a Kray una provincia situata nell’odierno distretto federale della Siberia, diciassettesimo di diciannove figli viene deportato in un villaggio siberiano a causa della campagna di repressione russa nei confronti dei kulak, ossia l’espropriazione di terreni e possedimenti appartenenti ai contadini e proprietari terrieri.
Le condizioni di povertà in cui la famiglia si ritrovò furono letali per il padre che morì durante il primo inverno. Mikhail visse con la sua famiglia fino ai dodici anni, quando decise di ritornare nella sua città natale e lavorare come meccanico in una stazione: sin da piccolo fu attratto dalla meccanica ma anche dalla poesia e durante il suo lavoro sviluppò un grande interesse nelle armi.
Nel 1938 si arruolò nell’Armata Rossa e, grazie alle sue capacità tecniche, fu impiegato come meccanico per carri armati. Divenne in seguito comandante e cominciò a sviluppare progetti ed invenzioni che avrebbero migliorato i meccanismi dei tank russi e non solo: propose miglioramenti per armi e fucili e nel 1941 durante il periodo di riabilitazione dopo essere stato ferito in battaglia cominciò il suo progetto più famoso, quello di un fucile automatico che diventò in seguito il primo modello di AK-47.
Dopo alcuni anni di tentativi, nel 1947, il suo progetto fu finalmente approvato e dal 1949 l’AK-47 diventò il nuovo fucile in dotazione all’armata russa e alla maggior parte delle nazioni facenti parte del Patto di Varsavia. Mikhail non smise di lavorare sul suo fucile che fu migliorato più volte nel corso degli anni e numerosi modelli furono creati partendo dal design del primo AK1, come ad esempio i fucili Saiga, di cui si possono trovare le varianti semiautomatiche o a canna liscia o il Vityaz-SN, variante SMG dell’ AK-74.
Ma cosa ha reso questo fucile così famoso e diffuso rispetto ad altri modelli?
L’AK è un fucile economico e molto resistente a condizioni climatiche avverse, dal deserto alla tundra, ed è di facile utilizzo rispetto ad altri fucili dello stesso genere come ad esempio l’M16 di produzione americana.
L’affidabilità dell’AK è sicuramente il punto forte dell’arma, si racconta che durante la guerra del Vietnam le truppe americane preferissero utilizzare gli AK sottratti ai nemici rispetto agli M16 in dotazione. Gli M16 infatti a causa del clima estremamente umido si inceppavano spesso e avevano problemi di arrugginimento mentre gli AK non soffrivano di nessun problema, montando oltretutto caricatori più capienti (30 colpi rispetto ai 20 del fucile americano) e resistenti.
Il modello originale di AK utilizzava munizioni di calibro 7.62x39 che uscendo dalla canna dell’arma ad una velocità di circa 715 metri al secondo potevano causare danni ingenti e penetrare attraverso muri o veicoli.
Il copricanna e l’impugnatura in compensato laminato di legno di betulla sono resistenti a deformazione ed urti, di facile produzione e molto economici.
L’AK con gli anni diventò simbolo di guerra e liberazione, la sua immagine divenne parte di bandiere, il suo impatto nella cultura e società è stato grande e in tutto il mondo le sue varianti sono state usate da eserciti regolari, rivoluzionari o terroristi rendendolo una delle armi più contraffatte e connesse al traffico illegale di sempre.
Sei mesi prima della sua morte Mikhail spedì una lettera al leader della Chiesa Ortodossa russa, il patriarca Kirill scrivendo del rimorso che ha provato negli anni per le vite sottratte nelle guerre a causa dell’utilizzo delle sue armi. Il patriarca rispose con parole rassicuranti: Mikhail, disse, agì per il bene della madre patria.
Mikhail Timofeyevich Kalashnikov morì il 23 Dicembre 2013 a causa di una emorragia gastrica e fu seppellito nel cimitero militare federale a Mosca.

Francesco RUGOLO

1https://www.militaryfactory.com/smallarms/kalashnikov-guns.asp breve lista delle principali varianti dell’AK
(foto: web)

L'arte si incontra a Porto Torres: Giovanni Dettori e Enrico Mereu.

Giovanni Dettori (a destra) ed Enrico Mereu (a sinistra).
Anche quest'anno, tra poche ore, iniziano le vacanze a Porto Torres. 

Stiamo per imbarcarci sulla nave per tornare nella nostra isola quando trovo la telefonata di Giovanni Dettori, il nostro amico xilografo, e così lo richiamo:
- Domani mattina inauguriamo una mostra a Porto Torres... siamo io e un amico scultore, Enrico Mereu. 
E' nato tutto per caso e ne approfittiamo per rendere omaggio ad un ragazzo di Porto Torres che è morto da poco in un incidente, Alessandro Ortu.
-  Noi stiamo per imbarcarci, dovremmo arrivare domani mattina verso le sette. Non ti prometto niente ma cercheremo di esserci! 
- Dai, magari. Saluta Giusy. Ciao Alessandro. 
- Ciao Giovanni...

Il viaggio è tranquillo, nonostante la presenza di ragazzi spagnoli in gita, ma si sa, sono ragazzi. 
Sbarchiamo alle otto e mezza, in ritardo come accade spesso, ma ancora in tempo per la mostra. 
Un caffè e poi ci prepariamo di corsa, così alle undici in punto siamo alla mostra.
Siamo tra i primi e riusciamo a vedere le opere esposte senza troppa ressa. 
Giovanni Dettori, pittore e incisore, espone alcune stampe della sua "Via crucis", opera sulla quale ha lavorato negli ultimi quattro anni e che ha esposto con grande successo in Sardegna e in giro per il mondo. 
Noi che lo conosciamo sappiamo com'è fatto: sardo fino al midollo, con la coppoletta sempre in testa e con gli occhi che gli si illuminano quando parla d'arte, è un artista vero, sempre in cerca di ispirazione. Al suo fianco Elena, la sua compagna e musa. 
Giovanni per l'incisione predilige lo scuro legno di ciliegio.


Affianco alle opere di Giovanni questa volta possiamo ammirare le sculture di un altro artista sardo, lo scultore del legno Enrico Mereu. E' la prima volta che lo incontriamo ma si dimostra subito affabile e iniziamo a parlare. Enrico è di Nurri, un paese che si trova a pochi chilometri da Gesico, il nostro paese d'origine. Ex guardia carcere dell'Asinara, ha deciso di restare sull'isola dove abita e lavora. Predilige il legno di ginepro e dalle sue radici, accompagnandone le curve e valorizzandone i nodi, riesce a creare splendide opere d'arte. 
Nel corso dell'inaugurazione il presidente del Circolo Culturale "Il golfo", Professor Giovanni Canu, dopo aver letto un breve cenno biografico sugli artisti, ha voluto ricordare Alessandro Ortu che "ha rappresentato un modello positivo di giovane, coerente con lo spirito che anima la nostra associazione culturale, nel suo dire, nel suo fare, nel suo essere".
Anche noi ci uniamo al dolore dei genitori e di tutti coloro che lo conoscevano e apprezzavano.

L'inaugurazione della mostra degli artisti Giovanni Dettori ed Enrico Mereu è senza dubbio un interessante momento culturale nella cittadina che ci ha adottati, Porto Torres. 
Ci auguriamo che vi siano tante altre iniziative simili in futuro che arricchiscano la città e facciano da contorno allo splendido mare.

La mostra, organizzata dal Circolo Culturale “Il golfo”, può essere visitata fino al 24 giugno in Corso Vittorio Emanuele II, n. 78.


Alessandro Rugolo e Giusy Schirru

Per approfondire:

- www.loscultoredellasinara.com;
- http://tuttologi-accademia.blogspot.com/2017/05/porto-torres-lincisore-giovanni-dettori.html;

US e Thailandia: l’impiego del personale della riserva in ambiente Cyber.



Come si deve affrontare militarmente l’ormai costante pericolo derivante dalla quinta dimensione conosciuta col nome di cyberspace?
C’è chi si è posto il problema già da tempo e sta lavorando per risolverlo facendo ricorso ad un approccio misto, c’è chi invece non ha ancora capito che il problema non si può rimandare ma va affrontato, questo perché il tempo da dedicare a studiare il problema non c’è più!

Nel 2014 una notizia passata praticamente sotto silenzio, pubblicata sul “militarytimes” a firma di Andrew Tilghman, annunciava che negli Stati Uniti si era tenuta una esercitazione Cyber da cui era emerso che i “cyberwarriors” militari in servizio erano stati sconfitti dai “cyberwarrior” riservisti, questo perché nel settore molti civili sono impiegati a tempo pieno nel loro lavoro ormai da anni.

La questione fu subito portata all’attenzione degli strateghi per capire quale ruolo dovessero avere i riservisti all’interno della forza cyber del Pentagono.
La risposta è stata data nel 2015 con la pubblicazione del documento “The DoD Cyber Strategy dell’aprile 2015 in cui nell’ambito della definizione dello “Strategic Goal I” è detto chiaramente che: “The Reserve Component offers a unique capability for supporting each of DoD’s missions, including for engaging the defense industrial base and the commercial sector. It represents DoD’s critical surge capacity for cyber responders”.
Quanto accaduto negli Stati Uniti trova logica spiegazione nei forti legami da sempre esistenti tra l’ambiente industriale e quello militare che si può ritrovare in tantissimi programmi di ricerca e sviluppo portati avanti in primis dalla DARPA.
Il ricorso al mondo civile (di cui la riserva fa parte) per portare all’interno dell’ambiente militare uomini e capacità non facili da formare e da mantenere aggiornate è sicuramente importante in un ambiente come quello Cyber in cui l’evoluzione della minaccia richiede un continuo aggiornamento.
La lezione sembra quindi essere stata appresa dagli americani, ma che dire degli altri?
Un secondo esempio dell’impiego della riserva nell’ambiente cyber viene dalla Thailandia.
Il 18 maggio scorso sul Bangkok times è apparso un articolo firmato da Wassana Nanuam dal titolo “Military eyes taking on civilian cyber warriors” nel quale si afferma che il Ministero della Difesa sta lavorando ad un programma per l’arruolamento di civili riservisti all’interno dei team di cyber security.
Ci si potrebbe chiedere quali sono i vantaggi di reclutare esperti del settore dalla riserva:
- arruolamento di personale già preparato, senza dover aspettare anni e senza dover mettere in piedi la struttura organizzativa a supporto dell’addestramento;
- sempre personale nuovo disponibile (a patto che l’arruolamento sia fatto col criterio di mantenere i riservisti in servizio per un numero di anni limitato).
Tra le controindicazioni occorre mettere in conto che i riservisti più preparati vengono dall’ambiente industriale, che è lo stesso che fornisce le tecnologie alle Forze Armate, con le ovvie conseguenze, inoltre bisogna pensare che il personale più preparato non accetterà mai di lavorare al livello degli attuali stipendi quando fuori può guadagnare molto di più.
Naturalmente esistono molti altri pro e contro e ogni Stato si sta muovendo in direzioni diverse ma in ogni caso la discussione è aperta.
Qual’è la situazione in Italia nel settore? Si intende impiegare personale della riserva? Qual’è la preparazione del personale e delle strutture deputate al settore cyber?
Alcune risposte potrebbero arrivare dall’analisi dei risultati delle esercitazioni (come per esempio dalla Locked Shield) e dalla discussione aperta e franca che ne dovrebbe scaturire, ma sembra che vi siano ben poche informazioni disponibili al grande pubblico. Ci si potrebbe chiedere o forse, dovrebbe chiedere, il perché di una tale mancanza di discussione. Infatti ritengo che il modo migliore di migliorare si basi su una aperta e franca discussione sugli obiettivi da raggiungere e sui risultati intermedi conseguiti.


Alessandro RUGOLO

(immagine tratta da: https://www.militarytimes.com/news/your-military/2014/08/04/in-supersecret-cyberwar-game-civilian-sector-techies-pummel-active-duty-cyberwarriors/)

Per approfondire:
- https://www.militarytimes.com/news/your-military/2014/08/04/in-supersecret-cyberwar-game-civilian-sector-techies-pummel-active-duty-cyberwarriors/;
- https://www.bangkokpost.com/news/general/1467494;
- https://www.fifthdomain.com/dod/2018/04/25/defense-panels-want-the-pentagon-to-form-a-cyber-reserve-team-to-help-states/;
- https://www.reuters.com/article/us-usa-cyberwar/special-report-the-pentagons-new-cyber-warriors-idUSTRE69433120101005;

martedì 1 maggio 2018

Leonardo, ingegnere militare.

Quando si parla di Leonardo da Vinci non si può fare a meno di pensare alla sua
arte e alla grandezza come inventore visionario (per quei tempi), difficilmente ci si ricorda che Leonardo era anche un ingegnere, e in particolare un ingegnere militare!
Certo, non fece alcuna accademia militare, non vestì mai una uniforme, ma cionondimeno è innegabile il suo ruolo.
Ma procediamo con ordine e per farlo mi farò aiutare da uno scrittore di qualche tempo fa, tale Dimitri Mereskowskij, nato a San Pietroburgo nella Russia Imperiale del 1866, autore di novelle, scritti poetici, critica letteraria, pensatore e uomo religioso.
Tra le sue opere Dimitri può annoverare anche un gioiello come la biografia di Leonardo da Vinci ed è per questo che lo chiamerò al mio fianco per sostenere la tesi: "Leonardo era, tra l'altro, un ingegnere militare".

- Cosa ne pensi Dimitri?

- Buongiorno Alessandro, ci incontriamo ancora! Con piacere...

- Buongionoa Te, Dimitri. Ebbene si, non ho resistito alla tentazione. Ho ripreso tra le mani il tuo libro su Leonardo e ancora una volta ripeto ciò che ho detto anni fa, al termine della prima lettura. Il libro è forse uno dei più belli, toccanti e interessanti che abbia mai letto. Complimenti!

- Grazie per i complimenti. Ma dimmi, cosa posso fare per te?

- Bene, vedo che vai subito al sodo. E sia! 
Ciò che mi interessa è discutere la tesi se Leonardo sia stato o meno un ingegnere militare, ci puoi aiutare?

- Come ben sai, se hai letto il mio libro (e so che l'hai letto) Leonardo fu tante cose. Leonardo fu un genio come ne sono esistiti pochi nella storia dell'umanità e si occupò di tutto lo scibile. Se vuoi posso citarti un documento che in effetti mette in evidenza quelle conoscenze che immagino dovrebbe avere una persona per poter essere definito "ingegnere militare". 
Come sai Leonado lavorò per la Signoria di Firenze e poi ad un certo punto decise di spostarsi. Cercò lavoro a Milano, presso Ludovico Maria Sforza (il Moro) dove restò per circa vent'anni.
Leonado partì da Firenze verso il 1482 per Milano e vi restò fino al 1499.
Detto ciò, solo per inquadrare il periodo, ebbene si, Alessandro, Leonardo fu sicuramente un ingegnere militare e il primo documento che posso mostrare è una lettera di presentazione. La lettera di presentazione con cui Leonardo entra nelle grazie di Ludovico il Moro. 
Ma lasciamo parlare i fatti. Ecco la lettera nella sua interezza, ancora conservata all'interno del Codice Atlantico:
                  
            "Avendo, Signor mio Illustrissimo, visto et considerato oramai ad sufficienzia le prove di tutti quelli che si reputono maestri et compositori de instrumenti bellici, et che le invenzione e operazione di dicti instrumenti non sono niente alieni dal comune uso, mi exforzerò, non derogando a nessuno altro, farmi intender da V. Excellentia, aprendo a quella li secreti mei, et appresso offerendoli ad omni suo piacimento in tempi opportuni, operare cum effecto circa tutte quelle cose che sub brevità in parte saranno qui di sotto notate:
  1. Ho modi de ponti leggerissimi et forti, et atti ad portare facilissimamente, et cum quelli seguire, et alcuna volta fuggire li inimici, et altri securi et inoffensibili da foco et battaglia, facili et commodi da levare et ponere. Et modi de arder et disfare quelli de l’inimico.
  2. So in la obsidione de una terra toglier via l’acqua de’ fossi, et fare infiniti ponti, gatti et scale et altri instrumenti pertinenti ad dicta expedizione.
  3. Item, se per altezza de argine, o per fortezza di loco et di sito, non si potesse in la obsidione de una terra usare l’officio de le bombarde, ho modi di ruinare omni rocca o altra fortezza, se già non fusse fondata in su el saxo.
  4. Ho ancora modi de bombarde commodissime et facile ad portare, et cum quelle buttare minuti (saxi a similitudine) di tempesta; et cum el fumo di quella dando grande spavento all’inimico, cum grave suo danno et confusione.
  5. Et quando accadesse essere in mare, ho modi de molti instrumenti actissimi da offender et defender, et navili che faranno resistenzia al trarre de omni g[r]ossissima bombarda et polver & fumi.
  6. Item, ho modi, per cave et vie secrete et distorte, facte senza alcuno strepito, per venire (ad uno certo) et disegnato[loco], ancora che bisognasse passare sotto fossi o alcuno fiume.
  7. Item, farò carri coperti, securi et inoffensibili, e quali intrando intra li inimica cum sue artiglierie, non è sì gran de multitudine di gente d’arme che non rompessino. Et dietro a questi poteranno seg[ui]re fanterie assai, illesi e senza alcuno impedimento.
  8. Item, occurrendo di bisogno, farò bombarde, mortari et passavolanti di bellissime et utile forme, fora del comune uso.
  9. Dove mancassi la operazione de le bombarde, componerò briccole, mangani, trabucchi et altri instrumenti di mirabile efficacia, et fora del usato; et insomma, secondo la varietà de’ casi, componerò varie et infinite cose da offender et di[fendere].
  10. In tempo di pace credo satisfare benissimo ad paragone de omni altro in architectura, in composizione di edificii et pubblici et privati, et in conducer acqua da uno loco ad uno altro. Item, conducerò in sculptura di marmore, di bronzo et di terra, similiter in pictura, ciò che si possa fare ad paragone de onni altro, et sia chi vole. Ancora si poterà dare opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immortale et eterno onore de la felice memoria del Signor vostro patre et de la inclita casa Sforzesca. Et se alcuna de le sopra dicte cose a alcuno paressino impossibile e infactibile, me offero paratissimo ad farne experimento in el parco vostro, o in qual loco piacerà a Vostr’Excellenzia, ad la quale humilmente quanto più posso me recomando."
- Sei soddisfatto Alessandro? Ecco la lettera di presentazione, in dieci punti, nove dei quali incentrati sulle capacità belliche. Eccoti il tuo Leonardo ingegnere militare, tra le tante cose. Grande genio in tutto, anche nel campo militare. Naturalmente Leonardo fu assunto. E, come tu sai, in quegli anni Leonardo conobbe un uomo, con cui discusse di arte militare, tale Niccolò...

- Grazie Dimitri, Leonardo conobbe tanti grandi uomini, tante personalità del tempo. Persone che ancora oggi sono lette da noi, ma questa è un'altra storia. Ti saluto e ti ringrazio Dimitri, alla prossima.

- Grazie a te, Alessandro, per il pensiero. Chiamami pure di nuovo, felice di esserti utile...


Alessandro RUGOLO


Per approfondire:
- Leonardo da Vinci, di Dimitri Mereskowskij, Ed. Giunti;
- http://www.scudit.net/mdcurriculum_leo.htm;
- https://alessandrosicurocomunication.com/2015/04/26/la-lettera-trovata-nel-codice-atlantico-di-leonardo-da-vinci/.

lunedì 30 aprile 2018

Progetto Manhattan: Klaus Fuchs, la spia


Quando si parla di Progetto Manhattan si va subito a pensare a grandi personalità quali Enrico Fermi, Albert Einstein e Robert Oppenheimer che parteciparono al programma che dal 1941 ebbe come intento la realizzazione della bomba atomica.
Il Progetto Manhattan si venne a costituire proprio per merito di questi scienziati che venendo a conoscenza delle scoperte svolte nel 1939 in ambito nucleare da parte delle potenze dell’Asse informarono il Presidente Roosevelt dei rischi a cui si sarebbe potuti incorrere ignorando la faccenda.
Nel 1941 fu stabilito il progetto che vide l’impegno di oltre 120.000 americani e inglese tra personale e scienziati con un costo finale di oltre due miliardi di dollari.

Tra questi scienziati vi era una personalità meno conosciuta, ma non meno brillante, che occupò tra le fila degli scienziati anche un posto come spia.
Stiamo parlando di Klaus Fuchs, fisico teorico nato in Germania nel 1911, simpatizzante del partito comunista tedesco e trasferitosi in Gran Bretagna a causa delle persecuzioni naziste nel 1933 dove conseguì il suo PhD.
Nel 1939 dopo che la sua richiesta di cittadinanza britannica fu scartata a causa della guerra, fu confinato in Quebec ma fu fatto tornare in Gran Bretagna poco dopo dove cominciò a lavorare per il progetto “Tube Alloys”nel 1941, si trattava del progetto atomico inglese, e da qui cominciò la sua esperienza come spia per la Russia.
Nel 1943 Fuchs andò alla Columbia University a New York e nel 1944 cominciò a lavorare al Progetto Manhattan a Los Alamos e fu uno degli scienziati ad assistere al famoso Trinity Test, che passò alla storia come il primo test nucleare mai effettuato, dove l’ordigno denominato “The Gadget” fu fatto esplodere nel deserto del New Mexico il quale generò un’esplosione dalla potenza di circa 22 kilotoni di TNT che fu registrata a 160 km di distanza dall’epicentro.
Durante il suo periodo di ricerche a Los Alamos Fuchs entrò in contatto con un'altra spia del KGB, Herry Gold che fungeva da messaggero.


Gold,figlio di immigrati russi di cultura ebraica che dalla Svizzera si trasferirono in America nel 1914 entrò nel team di ricerca di Los Alamos come chimico di laboratorio e fu un intermediario tra molte delle spie sovietiche che lavoravano in incognito al progetto Manhattan.
Fuchs fu uno degli scienziati più brillanti che parteciparono al progetto e continuò il suo lavoro in America anche dopo la guerrae nel 1946 tornò in Gran Bretagna.
Nel 1949 il progetto di controspionaggio americano (Venona Project) accusò Fuchs di aver passato ai Russi una grande quantità di informazioni sui metodi di produzione dell’Uranio-235 e altri particolari tecnici sul lavoro fatto a Los Alamos, nel 1950 Fuchs ammise di aver fatto il doppio gioco e fu condannato a 14 anni di reclusione, il massimo per spionaggio, di cui ne scontò nove prima di venire rilasciato. Anche Gold fu arrestato grazie alle dichiarazioni di Fuchs.
Ritornato in Germania, Fuchs si sposò e divenne direttore dell’istituto di ricerca nucleare a Rossendorf per circa vent’anni prima di ritirarsi a vita privata, morì a Berlino nel 1988.
L’utilità dei dati che Fuchs passò in segreto ai russi è materia di dibattito, per alcuni le informazioni aiutarono i Russi a sviluppare ordigni nucleari con uno o due anni di anticipo rispetto a quanto previsto mentre per altri le informazioni di Fuchs non furono utilizzate appieno e risultarono di secondaria importanza poiché gli scienziati Russi al tempo non possedevano le conoscenze necessarie.
A trent’anni dalla sua morte ancora si dibatte sull’effettivo impatto che le attività spionistiche nei confronti del progetto Manhattan hanno avuto negli sviluppi delle tecnologie atomiche. 

Francesco RUGOLO
 
Per approfondire:

domenica 29 aprile 2018

Cyber e Giappone: annunciato l'ingresso nel club del CCDCOE

E' del gennaio scorso la notizia che il Giappone si sta preparando ad entrare nel club cyber di Tallin come Stato partner.
Ciò conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, il livello di interesse per la materia nel mondo. 
La notizia è stata data dopo un incontro tra il Primo Ministro estone Jüri Ratas e il Primo Ministro giapponese Shinzō Abe. 
La notizia è stata accolta con soddisfazione dal direttore del CCDCOE, Merle Maigre. 
Ma diamo uno sguardo, data l'occasione, alle attività del Giappone in ambito Cyber.
Cominciamo dal fatto che nel 2015, il 4 settembre per la precisione, il governo del Giappone ha rilasciato pubblicamente il documento strategico relativo alla cybersecurity. Nelle generalità è ben evidenziato che il documento ha lo scopo di dettare le linee guida per i "prossimi" tre anni, ciò significa che probabilmente al termine dell'anno in corso o al massimo nei primi mesi del 2019 vedremo un nuovo documento strategico giapponese.
E' molto interessante leggere il paragrafo 3, visione futura e obiettivi, da cui emerge con chiarezza che la sicurezza del cyberspace è vitale per la società giapponese, nella quale progetti di infrastrutture sociali quali "smart communities" o sistemi autonomi per veicoli automatici sono ormai dati per scontati. Nello stesso capitolo sono infatti indirizzati a livello di policy e con estrema chiarezza gli obiettivi legati al IoT.
Il capitolo 5 descrive la modalità di approccio da seguire per lo sviluppo delle capacità cyber ed ancora una volta è posto ben in evidenza il concetto legato alle esigenze dettate dall'IoT, si parla infatti di "cyber-physical space" e non solo di cyber space, questo per meglio descrivere l'impatto che questo nuovo dominio esercita sul mondo fisico. Nel capitolo infatti si parla esattamente di "creazione di sistemi IoT sicuri", da tutti  i punti di vista, compresa la promozione delle imprese che pongono la gestione in sicurezza al centro. La precisione con cui il documento entra nel merito potrebbe quasi essere considerata "puntigliosità" (se non fosse che per me hanno perfettamente ragione!) quando viene analizzata la necessità che i concetti di cybersecurity e IoT security siano ben compresi soprattutto a livello di Senior Executive Management. Questo perchè le persone più esperte dell'area di business possono essere un facilitatore ma, se non restano aderenti ai tempi, possono diventare in breve tempo un freno all'evoluzione; il documento arriva ad indicare che la figura e le funzioni del Chief Information Security Officer (CISO) devono essere posizionate, sia nel pubblico che nel privato, a livello di senior executive management.
Di un certo interesse è anche notare che la strategia giapponese è a tutto tondo, sia in termini di rafforzamento della cooperazione nel campo cyber con il resto del mondo (dall'ASEAN, al Nord America passando per l'Europa e l'Africa) sia in termini di capacità da sviluppare (da quelle tecnicnologiche alla preparazione del personale); proprio in questo senso va visto il recente annuncio di collaborazione con il CCDCOE.
Infine, ma non meno importante, il documento esamina le necessità di migliorare il settore della Ricerca e Sviluppo del mondo cyber. A tal fine si dice che tutti gli sforzi dovranno essere fatti per assicurare le risorse necessarie al settore, anche riallocando quelle già allocate in altri settori. Da ciò si può capire la differenza tra chi crede e investe nel settore cyber e chi invece pensa che sia sufficiente dire cosa fare senza però dedicare le necessarie risorse.
Tra le tante iniziative portate avanti in Giappone vi sono i corsi del SANS Institute, che mirano a creare una classe dirigente consapevole, capace in un prossimo futuro di guidare il nuovo mondo interlacciato in cui l'IoT sarà la norma e le smart cities il nostro nuovo ambiente sociale.

Detto questo, una domanda: ma in Italia che si sta facendo?


Alessandro RUGOLO

Per approfondire:
- https://news.err.ee/653903/japan-to-join-nato-cyber-defense-center-in-tallinn;
- https://www.sans.org/event/cyber-defence-japan-2018;
- http://www.mofa.go.jp/policy/page18e_000015.html.