Solino, autore del testo "Delle cose meravigliose" è vissuto ed ha operato nel III secolo dopo Cristo.
Il titolo originale dell'opera, scritta in latino, era "Collectanea rerum memorabilium" e raccoglieva le cose che meritavano a suo parere di essere ricordate dei popoli del passato e della loro storia.
Ciò che mi interessa è, come spesso ho già detto, ogni riferimento alla mia Terra, la Sardegna, così ecco cosa è possibile leggere al capitolo IX, intitolato: "Della isola detta Sardegna; d'una sorte di formiche venenose, dell'herba Sardonia, e delle maravigliose forze dell'acque".
Ed è questo capitolo che vado ora a riportarvi integralmente, dato che è abbastanza breve da consentirlo.
La lingua in cui ve lo riporto è l'italiano di alcuni secoli fa, tradotto dal latino da Don Giovan Vincenzo Belprato Conte d'Anversa e pubblicato nel 1559 a Venezia.
Ma vediamo infine che cosa ci dice Solino su quest'isola meravigliosa che è la Sardegna:
"Egli è cosa molto pubblica, in qual mare è posta Sardegna, laquale ho letto appresso di Timeo, che si chiamava etiandio Sandaliote, e appresso di Crispo Ichnusa, e da chi abbiano havuto origine i suoi habitatori. Non è a proposito dunque di dire che Sardo fosse generato da Hercole, e Norace da Mercurio, essendo venuto l'uno dalla Libia, et l'altro da Tarteso di Spagna in questo medesimo paese, e che Sardo fosse dato il nome alla isola, e da Norace al Castello Nora."
Dunque, prima di andare avanti, mi piace sottolineare che al tempo in cui Solino scriveva, la Sardegna e la sua storia era abbastanza nota, quasi da rendere superfluo parlarne. Solino ci dice anche quali fonti utilizzò per il suo libro, cioè Timeo (forse lo storico greco Timeo di Tauromenion, vissuto nel IV secolo avanti Cristo) e Crispo (immagino si riferisca a Crisippo). Per chi non è abituato a leggere testi antichi, devo inoltre avvertire che con il termine Libia si intendeva più genericamente l'Africa e che Tartesso dovrebbe essere una città della Spagna anche se da molti si dubita che sia mai esistita. Da questi autori Solino trae i nomi noti dell'isola, Sandaliotes e Ichnusa. Ma ora proseguiamo:
"Ne manco è a tempo di soggiungere, che poco dopo Aristeo regnando appresso a questi nella città di Carale (Cagliari), laquale egli aveva edificata, e che havendo fatto di due popoli un solo, egli egualmente congiunse quelle genti in modo, che poneva sei huomini a un carro: e così gli faceva condurre dinanzi a lui, e che per quella insolenza non ricusavano si fatto dominio. Questo Aristeo generò Iolao, ilquale fece la residenza in que' luoghi. Più oltre lassarò di dire de gli Iliensi, e de' Locrensi. La Sardegna non produce serpi, ma quello effetto che fanno le serpi altrove, fa in quel paese un picciolo animaletto, chiamato solifuga, simile di forma al ragno: così detto, perchè il giorno si asconde: ve n'è copia nelle miniere d'argento: percioche quella terra è riccadi questo metallo. Egli occultamente camina, e coloro, che scioccamente l'offendono, uccide."
Dunque, in queste poche righe Solino riassume una storia antica della Sardegna, riportata anche da altri autori antichi. A partire da Aristeo, re di Cagliari, unificatore dell'Isola. Poi si parla del figlio, Iolao, che diede vita al popolo degli Iliensi. Dovrò leggere con attenzione tutto il libro se voglio trovare notizie sugli Iliensi e sui Locrensi... lo farò quando sarà il momento! Ma ora andiamo avanti...
"Con questo male vi è di più l'herba Sardonia, questa nasce abbondantissimamente più del giusto ne i rivoli, che corrono. Se si mangia, ritira i nervi, e in modo distende le labra, che coloro, che ne muoiono, par che moiano ridendo. Al contrario, ciò che vi è d'acqua, serve a diversi commodi. Gli stagni sono copiosissimi di pesce, le piogge del verno sono riserbate per la penuria della state: percioche i paesani di quella isola si arricchiscono molto per la quantità delle piogge. Si servono dell'acque raccolte, perche siano a bastanza all'uso tutte lee volte che mancano le sorgenti: lequali si sogliono usare per il vitto: in molti luoghi bollono fontane calde, e sane, lequali giovano a saldare l'ossa rotte, o a scacciare il veleno delle solifughe, o veramente guariscono le infirmità de gli occhi, ma essendo utili a gli occhi, sono nocive a i furti: percioche havendo alcuno rubato, e giura di non haverlo fatto, quell'acque lo accecano, se non è pergiuro, vede più chiaramente: s'egli ostinatamente nega, il fallo si scuopre con la cecità, e essendo offuscato della vista, confessa l'errore."
E così termina per ora il testo, che apassa a parlare dell'isola di Sicilia. Interessante il racconto dell'erba Sardonia, responsabile della morte e del detto "riso sardonico". Per il resto c'è poco da dire, se non che non appena trovo ulteriori riferimenti, sarà mia cura informarvi.
A presto dunque...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
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