“Moritzingerstrasse”,
annunciava la voce semimetallica del bus, linea 10A, a
Bolzano…
Era una calda giornata d’estate. L’afa contribuiva a
togliere il respiro. Sul bus solo qualche occasionale viaggiatore, dovevano
essere tutti in ferie per ferragosto.
Un passeggero era salito alla fermata di Piazza Domenicani,
curvo dall’età e dal caldo.
Si era aiutato con le braccia per salire a bordo, forse il
caldo gli toglieva quel poco di forze che ancora animavano il suo corpo.
Doveva avere almeno ottant’anni. Da giovane era stato alto e
robusto, forse era stato uno sportivo o forse un agricoltore del luogo, un
montanaro abituato alla durezza della vita di campagna. Le spalle erano ampie e
ancora tradivano la forza che le aveva animate.
L’avevo osservato bene in faccia quando era venuto a sedersi
al mio fianco. La pelle era grinzosa e macchiata, i capelli e le sopracciglia
bianchi candidi, ancora folti. Le orecchie piccole erano coperte da un ciuffo
di capelli arruffati, come se non si fosse pettinato la mattina.
Per il resto era ben curato.
La barba rasata di recente, le mani pulite, le unghie ben
tagliate. Non fumava, non sentivo alcun odore di sigaretta. Gli occhi erano
azzurri, profondi, un po’ tristi, come se sapesse di essere arrivato alla fine
della corsa…
Indossava un paio di jeans puliti, non proprio nuovi, una
taglia più grande del necessario, retti dalle bretelle. Una camicia chiara e un
paio di scarpe in pelle, marrone. A tracolla portava un borsello di altri
tempi, in pelle scura, che stringeva sotto il braccio.
Avevamo viaggiato fianco a fianco per tutto il viaggio senza
dire niente. Io lo guardavo ma lui non mi vedeva. Soffriva ma non parlava,
neanche un mugolio. Solo una smorfia di dolore, di tanto in tanto, quando il
bus andava troppo forte per lui.
“Krankenhaus”, annunciava la voce sul bus… e
quella fu l’ultima parola che il vecchio sentì.
Si accasciò senza forze sul sedile, il conduttore non si
accorse di niente fino alla fermata successiva, quando fermò il bus di fronte
all’ospedale, ma era tardi.
Io ero al suo fianco, quando spirò! Presi la sua anima per
mano, lo consolai, gli spiegai cosa doveva fare e lo indirizzai sulla giusta
strada… Mentre si allontanava veloce si girò un attimo, mi chiese chi fossi…
chi doveva ringraziare.
Gli risposi che ero uno come lui, spirato sullo stesso bus… tanti
anni prima.
“Europa Stadium”, già diceva la voce semimetallica…
ancora una corsa, ancora una…
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
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