sabato 19 ottobre 2013

Sull'apertura del Mediterraneo secondo Gian Francesco Masdeu Barcellonese

Pubblicata a Firenze nel 1787, la "Storia critica di Spagna", riporta per il piacere degli appassionati di antichità del mondo tantissime notizie sui fenici, sulle colonne d'ercole e Tartesso.
Tra le notizie curiose vi è anche il ricordo dell'apertura del Mediterraneo a causa di un terremoto, notizia che ho già trovato in altre occasioni ma che merita tutta l'attenzione del caso viste le eventuali implicazioni sul passato sviluppo della civiltà umana ed europea in particolare.
Ma vediamo cosa dice il nostro autore (Tomo I, parte II, XXIV), mentre parla delle Colonne d'Ercole:

"Fu antica tradizione, che i suddetti monti di Abila e di Calpe, ultimi termini dell'Africa e Europa, fossero anticamente congiunti insieme, e che Ercole Fenice vi aprisse quella foce, per cui comunica l'Oceano con il Mediterraneo. Questa impresa, che sarebbe stata gloriosissima, da Plinio, e da Pomponio Mela, è stata tenuta per favolosa. Nondimeno Strabone, ed altri scrittori, l'hanno accennato, che l'apertura, che non facesse Ercole, potè veramente essere stata fatta dalla vemenza d'un terremoto, dalla forza d'una straordinaria marea, o da qualche altro simile sconvolgimento della Natura.
Alcuni dotti Ispagnuoli hanno abbracciato questo secondo sistema: e il Ferreras, avendo attribuito quest'accidente a quella gran siccità, di cui parlai nella Spagna Favolosa, ne stabilisce l'epoca negli anni 2.302 del mondo che corrispondono secondo la sua cronologia agli anni 1.698 prima di Cristo.
Ciò che sembra indubitabile si è, che lo stretto Gaditano coll'andar dei secoli si è andato successivamente slargando. Il geografo Scilace, vissuto cinquecent'anni prima dell'era cristiana, gli dà mezzo miglio solo di larghezza, Eustemone del secolo IV, quattro miglia scarse; Turranio Gracile, tragico spagnolo, anteriore di un secolo alla venuta di Cristo, cinque miglia; Tito Livio del secolo primo cristiano, sette miglia; Vittore Vitense del secolo V, dodici miglia; gli odierni Spagniuoli vi trovano nella minor distanza quattordici miglia di larghezza."

La distanza minima tra le due coste, oggigiorno, è di circa quattordici chilometri per cui sembra essersi stretto, probabilmente dipende dal differente livello del mare.

"Queste riflessioni fatte dopo il Florez dal Chiarissimo Lopez de Ayala nella sua storia di Gibilterra, gli resero probabile l'antica comunicazione dell'Africa con la Spagna, e la rottura poi succedutane per qualche accidente.
Io rilevo, dagli antichi autori, che lo stretto Gaditano una volta non solamente era men largo d'adesso, ma ancora men lungo.
Se da' tempi di Strabone e di Solino ha acquistata doppia larghezza, ha parimente acquistata doppia lunghezza. Descrivendolo essi lungo sol quindici miglia, mentre al presente ne ha più di trenta.
Dunque le due lingue di terra, l'Africana e la Spagnuola, quanto più si avvicinavano fra loro, tanto erano più strette e sottili. Possiamo con buona ragione immaginare che la terra, che separava l'Oceano dal Mediterraneo, fosse primitivamente uno spazio di cinque miglia, e forse non tanto. Non dovea poi quel terreno esser molto alto, giacché il successivo allargamento dello stretto, operato a poco a poco dalla forza dell'onde e delle maree, è segno evidente, che le due montagne di Abila e di Calpe, quanto più l'una all'altra si avvicinavano, tanto più andavano in declinazione formando falda e pianura.
Queste riflessioni non sol mi presentano possibile e facile la rottura dello stretto cagionata da qualche rivoluzione naturale ma mi rendon credibile ancora la tradizione antica che ne attribuiva ai Fenici l'aprimento. In una lingua di terra, o piana o poco montuosa, e di sole cinque miglia di larghezza, o forse meno, non era molto difficile aprire un canale di poca profondità, quanta bastasse perché le acque potessero superarlo, colla speranza che lo stesso mare dipoi dovesse per se medesimo andarlo sempre più affondando.
Il canale, progettato da Sesostri per congiungere il Nilo col Mar Rosso, era ben più difficile e faticoso del Gaditano, dovendo aver una lunghezza molto maggiore senza paragone: e pur fu cominciato da quel Re Egiziano, continuato da Dario Re de' Persi e terminato dal primo Tolomeo. Perché dunque non potrà darsi fede alla tradizione del canal Gaditano fatto dai Fenici? Questi eran ricchi e potenti, per testimonianza di tutti gli antichi scrittori crebbero smisuratamente in potere ed in ricchezza fin dal primo loro arrivo in Ispagna: dunque avean danaro e capitali per eseguire il gran progetto. Erano uomini ingegnosi ed industriosi, avvezzi a imprese grandi, e a superare i maggiori ostacoli; dunque non doveano atterirsi per la difficoltà dell'opra. Erano amantissimi della navigazione e trasportati pel commercio: dunque volentieri doveano intraprendere un lavoro che non avea altro oggetto che quel medesimo della loro passione. Apriron, come poi si dirà, per l'Andaluzzia molti altri canali: era dunque in voga, presso loro il sistema di aprir nuove strade, e nuove comunicazioni alle acque per facilitare il commercio, ed avean pratica in quel genere di lavori.
Io non arrossisco di richiamare a vita l'antica tradizione, a cui ordinariamente i severi scrittori di Spagna si vergognano di dar fede."

Ecco, qui mi fermo, non perché il testo non presenti più interesse ma perché vorrei che tutti riflettessimo su quanto letto.
Se fosse vero infatti la storia dell'Europa andrebbe riscritta.

Se volete leggere anche voi il testo potete trovarlo su Google books all'indirizzo: storia critica di Spagna...

Oppure precedenti interventi sullo stesso argomento:
- Dialogo dei massimi sistemi: sull'apertura dello stretto di Gibilterra
- Questioni Naturali (Seneca)



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

3 commenti:

  1. Mikkelj Tzoroddu, mi chiede di trasmettervi quanto segue:

    Il "nostro" superbo ricercatore Alessandro, ci fornisce altro argomento di studio sull'annosa questione che noi moderni definiamo collegata al piano Messiniano. Essendo al momento, privo del mio personale computer, non posso dilungarmi, ma con piacere (perché sempre s'impara qualcosa in ogni occasione) tornerò a breve sulla questione, se mi si permetterà di qui trasmettere miei pensieri.
    Grazie, mikkelj tzoroddu.

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  2. Ricordo che ciò che affermo, lo copio e faccio mio e vostro, da varie pubblicazioni.
    Nel commento che inviai nel 2012 e qui sopra richiamato, riportai ciò che era “lo stato dell’arte” (estratto da alcune pubblicazioni) posto in chiaro a grandi linee, di quel complesso fenomeno del Messiniano, alla cui generazione, prosieguo e cessazione, ebbero a concorrere non pochi elementi geologici. Fra tali elementi viene data importanza alle forze che interagiscono fra la “placca” africana e quella europea (riporto essere, il vocabolo “placca”, definito come un frammento di “litosfera”, il guscio più esterno della Terra, che si muove autonomamente).
    Bene, ora possiamo sentire cosa dica il Gian Francesco Masdeu Barcellonese, alla fine del XVIII secolo della nostra era..
    Il nostro storiografo pare stia trattando il momento dell’apertura del varco fra Africa ed Europa, che vedemmo essersi verificato alla fine del Messiniano cioè verso 5,4 milioni di anni fa.
    Egli dice: «Ciò che sembra indubitabile si è, che lo stretto Gaditano coll'andar dei secoli si è andato successivamente slargando. Il geografo Scilace, vissuto cinquecent'anni prima dell'era cristiana, gli dà mezzo miglio solo di larghezza».
    Bisogna, giocoforza qui osservare che se lo Stretto di Gibilterra, cinque secoli prima di Cristo, fosse stato largo appena mezzo miglio (quale miglio? Supponiamo per semplicità, l’autore si riferisse ad un miglio marino di lunghezza vicina a quella dell’attuale misura, cioè m.1852) cioè di m.900, il Mare Mediterraneo sarebbe stato quasi completamente salato!
    D’altro canto, se assumessimo valida (fin da 2500 anni fa) la supposta attuale velocità di avvicinamento fra le due placche d’Europa e d’Africa, in questo lasso di tempo lo stretto di Gibilterra si sarebbe ancor più ristretto di cm. 75 e noi oggi non avremmo neanche la più pallida idea di una Costa Smeralda! Peggio! Non saremmo qui a vivere questa nostra vicenda terrena!
    Ovviamente tutto ciò non toglie al Gian Francesco Masdeu Barcellonese, i godibili meriti del suo scritto, che ci mette nella condizione di conoscere una parte del sapere, di quel consesso umano che portava suoi pensieri verso la fine del XVIII secolo. E, debbo dire, i “fenici” la fan da padrone! Come peraltro ancora oggi accade, a causa del sordo, pigro e dormiente mondo accademico archeologico e storico, che mantiene ben nascosta la verità sugli pseudofenici, perché torna utile ai loro meschini interessi: mungervi ancora molti libri, pubblicazioni e congressi, come quello che si sta svolgendo a Carbonia-Sant’Antioco in questi giorni!
    Grazie, mikkelj tzoroddu

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  3. Caro Mikkelj, grazie per il tuo commento!
    E' molto difficile paragonare le conoscenze attuali con quelle di secoli fa, specialmente quando i nostri antichi ci riferiscono cose a dir poco incredibili, ma siamo sicuri di aver ragione noi moderni?
    Non so se e quanto dar credito agli antichi che sostenevano che il Mediterraneo si formo in un'epoca in cui l'Uomo viveva già in quello che è oggi il Mediterrraneo e a causa di terremoti e maremoti subì distruzione e morte, ma credo che la cosa vada approfondita e io, come al solito, lo farò!
    A presto...

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