giovedì 21 giugno 2018

Ombre sull'Ofanto, di Raffaele Nigro

Come tutte le estati, la voglia di riposo e di mare è accompagnata da quella di dedicare qualche ora a letture, diciamo così, rilassanti, per cui mi rivolgo lla mia libreria alla ricerca di qualcosa di accattivante comperato in passato e lasciato li, in attesa del momento giusto per essere letto.
Dopo qualche minuto ho selezionato alcuni libri, il volume "mostruoso" di Stephen king, IT, romanzo horror già letto diversi anni fa, la biografia della famiglia Rothschild e poi un volumetto dal titolo "Ombre sull'Ofanto", di Raffaele Nigro.
E' proprio quest'ultimo che mi attrae maggiormente e, pensando di avere a che fare con un qualche genere di racconto di fantasmi (non so proprio il perchè!) come spesso accade, per curiosità, leggo le prime pagine.
Il libro è nella libreria da diversi anni, non ricordo di averlo acquistato io per cui deve essere di mia moglie Giusy o di mio figlio.
Sin dalle prime pagine mi rendo conto di essermi sbagliato, niente a che vedere con i fantasmi, o almeno niente a che vedere con i fantasmi che si possono trovare nei racconti di Edgar Allan Poe o di Meyrink o ancora di Walpole... ma sempre si fantasmi si tratta, a ben guardare, ma di quelli di una società malata.
La storia si svolge nel meridione, tra Venosa e il territorio circostante, fino ad arrivare a Napoli.
E' la storia di una ragazzo, Arminio, appassionato studioso del poeta romano Orazio, nato appunto nella cittadina di Venosa.
Tra citazioni dai testi di Orazio, ricordi di gioventù, bravate da ragazzi e assassini spietati, l'autore racconta come sia facile passare dall'essere vittima a diventare aguzzino in una terra senza legge.
Arminio, figlio di un impresario di pompe funebri, nonostante sia uno studioso si lascia trascinare dagli eventi e nel giro di poco tempo diventa assassino lui stesso e biografo di un capobanda, il Vicciere (ovvero il macellaio).
La storia potrebbe essere quella di un qualunque ragazzo del sud, un sud abbandonato dallo Stato ma anche dai suoi abitanti che non vogliono o non riescono ad uscire dal loro malessere.
Non voglio raccontarvi altro se non che, se volete passare qualche ora sotto l'ombrellone immersi nella lettura, Ombre sull'Ofanto è il libro che fa per voi.

Buona lettura,

Alessandro Rugolo


sabato 16 giugno 2018

AK, l’arma più celebre e il suo genitore

Image result for KalashnikovLa vita di Mikhail Kalashnikov comincia e finisce come una di quelle storie che potrebbe essere stata raccontata ai giovani russi durante gli anni dell’Unione Sovietica per dare loro un esempio di comportamento: un giovane proveniente da una famiglia di umili origini che, grazie al suo genio, porta grandezza e lustro alla sua madre patria.
Ma cominciamo dall’inizio, Mikhail Timofeyevich Kalashnikov nasce nel 1919 a Kray una provincia situata nell’odierno distretto federale della Siberia, diciassettesimo di diciannove figli viene deportato in un villaggio siberiano a causa della campagna di repressione russa nei confronti dei kulak, ossia l’espropriazione di terreni e possedimenti appartenenti ai contadini e proprietari terrieri.
Le condizioni di povertà in cui la famiglia si ritrovò furono letali per il padre che morì durante il primo inverno. Mikhail visse con la sua famiglia fino ai dodici anni, quando decise di ritornare nella sua città natale e lavorare come meccanico in una stazione: sin da piccolo fu attratto dalla meccanica ma anche dalla poesia e durante il suo lavoro sviluppò un grande interesse nelle armi.
Nel 1938 si arruolò nell’Armata Rossa e, grazie alle sue capacità tecniche, fu impiegato come meccanico per carri armati. Divenne in seguito comandante e cominciò a sviluppare progetti ed invenzioni che avrebbero migliorato i meccanismi dei tank russi e non solo: propose miglioramenti per armi e fucili e nel 1941 durante il periodo di riabilitazione dopo essere stato ferito in battaglia cominciò il suo progetto più famoso, quello di un fucile automatico che diventò in seguito il primo modello di AK-47.
Dopo alcuni anni di tentativi, nel 1947, il suo progetto fu finalmente approvato e dal 1949 l’AK-47 diventò il nuovo fucile in dotazione all’armata russa e alla maggior parte delle nazioni facenti parte del Patto di Varsavia. Mikhail non smise di lavorare sul suo fucile che fu migliorato più volte nel corso degli anni e numerosi modelli furono creati partendo dal design del primo AK1, come ad esempio i fucili Saiga, di cui si possono trovare le varianti semiautomatiche o a canna liscia o il Vityaz-SN, variante SMG dell’ AK-74.
Ma cosa ha reso questo fucile così famoso e diffuso rispetto ad altri modelli?
L’AK è un fucile economico e molto resistente a condizioni climatiche avverse, dal deserto alla tundra, ed è di facile utilizzo rispetto ad altri fucili dello stesso genere come ad esempio l’M16 di produzione americana.
L’affidabilità dell’AK è sicuramente il punto forte dell’arma, si racconta che durante la guerra del Vietnam le truppe americane preferissero utilizzare gli AK sottratti ai nemici rispetto agli M16 in dotazione. Gli M16 infatti a causa del clima estremamente umido si inceppavano spesso e avevano problemi di arrugginimento mentre gli AK non soffrivano di nessun problema, montando oltretutto caricatori più capienti (30 colpi rispetto ai 20 del fucile americano) e resistenti.
Il modello originale di AK utilizzava munizioni di calibro 7.62x39 che uscendo dalla canna dell’arma ad una velocità di circa 715 metri al secondo potevano causare danni ingenti e penetrare attraverso muri o veicoli.
Il copricanna e l’impugnatura in compensato laminato di legno di betulla sono resistenti a deformazione ed urti, di facile produzione e molto economici.
L’AK con gli anni diventò simbolo di guerra e liberazione, la sua immagine divenne parte di bandiere, il suo impatto nella cultura e società è stato grande e in tutto il mondo le sue varianti sono state usate da eserciti regolari, rivoluzionari o terroristi rendendolo una delle armi più contraffatte e connesse al traffico illegale di sempre.
Sei mesi prima della sua morte Mikhail spedì una lettera al leader della Chiesa Ortodossa russa, il patriarca Kirill scrivendo del rimorso che ha provato negli anni per le vite sottratte nelle guerre a causa dell’utilizzo delle sue armi. Il patriarca rispose con parole rassicuranti: Mikhail, disse, agì per il bene della madre patria.
Mikhail Timofeyevich Kalashnikov morì il 23 Dicembre 2013 a causa di una emorragia gastrica e fu seppellito nel cimitero militare federale a Mosca.

Francesco RUGOLO

1https://www.militaryfactory.com/smallarms/kalashnikov-guns.asp breve lista delle principali varianti dell’AK
(foto: web)

L'arte si incontra a Porto Torres: Giovanni Dettori e Enrico Mereu.

Giovanni Dettori (a destra) ed Enrico Mereu (a sinistra).
Anche quest'anno, tra poche ore, iniziano le vacanze a Porto Torres. 

Stiamo per imbarcarci sulla nave per tornare nella nostra isola quando trovo la telefonata di Giovanni Dettori, il nostro amico xilografo, e così lo richiamo:
- Domani mattina inauguriamo una mostra a Porto Torres... siamo io e un amico scultore, Enrico Mereu. 
E' nato tutto per caso e ne approfittiamo per rendere omaggio ad un ragazzo di Porto Torres che è morto da poco in un incidente, Alessandro Ortu.
-  Noi stiamo per imbarcarci, dovremmo arrivare domani mattina verso le sette. Non ti prometto niente ma cercheremo di esserci! 
- Dai, magari. Saluta Giusy. Ciao Alessandro. 
- Ciao Giovanni...

Il viaggio è tranquillo, nonostante la presenza di ragazzi spagnoli in gita, ma si sa, sono ragazzi. 
Sbarchiamo alle otto e mezza, in ritardo come accade spesso, ma ancora in tempo per la mostra. 
Un caffè e poi ci prepariamo di corsa, così alle undici in punto siamo alla mostra.
Siamo tra i primi e riusciamo a vedere le opere esposte senza troppa ressa. 
Giovanni Dettori, pittore e incisore, espone alcune stampe della sua "Via crucis", opera sulla quale ha lavorato negli ultimi quattro anni e che ha esposto con grande successo in Sardegna e in giro per il mondo. 
Noi che lo conosciamo sappiamo com'è fatto: sardo fino al midollo, con la coppoletta sempre in testa e con gli occhi che gli si illuminano quando parla d'arte, è un artista vero, sempre in cerca di ispirazione. Al suo fianco Elena, la sua compagna e musa. 
Giovanni per l'incisione predilige lo scuro legno di ciliegio.


Affianco alle opere di Giovanni questa volta possiamo ammirare le sculture di un altro artista sardo, lo scultore del legno Enrico Mereu. E' la prima volta che lo incontriamo ma si dimostra subito affabile e iniziamo a parlare. Enrico è di Nurri, un paese che si trova a pochi chilometri da Gesico, il nostro paese d'origine. Ex guardia carcere dell'Asinara, ha deciso di restare sull'isola dove abita e lavora. Predilige il legno di ginepro e dalle sue radici, accompagnandone le curve e valorizzandone i nodi, riesce a creare splendide opere d'arte. 
Nel corso dell'inaugurazione il presidente del Circolo Culturale "Il golfo", Professor Giovanni Canu, dopo aver letto un breve cenno biografico sugli artisti, ha voluto ricordare Alessandro Ortu che "ha rappresentato un modello positivo di giovane, coerente con lo spirito che anima la nostra associazione culturale, nel suo dire, nel suo fare, nel suo essere".
Anche noi ci uniamo al dolore dei genitori e di tutti coloro che lo conoscevano e apprezzavano.

L'inaugurazione della mostra degli artisti Giovanni Dettori ed Enrico Mereu è senza dubbio un interessante momento culturale nella cittadina che ci ha adottati, Porto Torres. 
Ci auguriamo che vi siano tante altre iniziative simili in futuro che arricchiscano la città e facciano da contorno allo splendido mare.

La mostra, organizzata dal Circolo Culturale “Il golfo”, può essere visitata fino al 24 giugno in Corso Vittorio Emanuele II, n. 78.


Alessandro Rugolo e Giusy Schirru

Per approfondire:

- www.loscultoredellasinara.com;
- http://tuttologi-accademia.blogspot.com/2017/05/porto-torres-lincisore-giovanni-dettori.html;

US e Thailandia: l’impiego del personale della riserva in ambiente Cyber.



Come si deve affrontare militarmente l’ormai costante pericolo derivante dalla quinta dimensione conosciuta col nome di cyberspace?
C’è chi si è posto il problema già da tempo e sta lavorando per risolverlo facendo ricorso ad un approccio misto, c’è chi invece non ha ancora capito che il problema non si può rimandare ma va affrontato, questo perché il tempo da dedicare a studiare il problema non c’è più!

Nel 2014 una notizia passata praticamente sotto silenzio, pubblicata sul “militarytimes” a firma di Andrew Tilghman, annunciava che negli Stati Uniti si era tenuta una esercitazione Cyber da cui era emerso che i “cyberwarriors” militari in servizio erano stati sconfitti dai “cyberwarrior” riservisti, questo perché nel settore molti civili sono impiegati a tempo pieno nel loro lavoro ormai da anni.

La questione fu subito portata all’attenzione degli strateghi per capire quale ruolo dovessero avere i riservisti all’interno della forza cyber del Pentagono.
La risposta è stata data nel 2015 con la pubblicazione del documento “The DoD Cyber Strategy dell’aprile 2015 in cui nell’ambito della definizione dello “Strategic Goal I” è detto chiaramente che: “The Reserve Component offers a unique capability for supporting each of DoD’s missions, including for engaging the defense industrial base and the commercial sector. It represents DoD’s critical surge capacity for cyber responders”.
Quanto accaduto negli Stati Uniti trova logica spiegazione nei forti legami da sempre esistenti tra l’ambiente industriale e quello militare che si può ritrovare in tantissimi programmi di ricerca e sviluppo portati avanti in primis dalla DARPA.
Il ricorso al mondo civile (di cui la riserva fa parte) per portare all’interno dell’ambiente militare uomini e capacità non facili da formare e da mantenere aggiornate è sicuramente importante in un ambiente come quello Cyber in cui l’evoluzione della minaccia richiede un continuo aggiornamento.
La lezione sembra quindi essere stata appresa dagli americani, ma che dire degli altri?
Un secondo esempio dell’impiego della riserva nell’ambiente cyber viene dalla Thailandia.
Il 18 maggio scorso sul Bangkok times è apparso un articolo firmato da Wassana Nanuam dal titolo “Military eyes taking on civilian cyber warriors” nel quale si afferma che il Ministero della Difesa sta lavorando ad un programma per l’arruolamento di civili riservisti all’interno dei team di cyber security.
Ci si potrebbe chiedere quali sono i vantaggi di reclutare esperti del settore dalla riserva:
- arruolamento di personale già preparato, senza dover aspettare anni e senza dover mettere in piedi la struttura organizzativa a supporto dell’addestramento;
- sempre personale nuovo disponibile (a patto che l’arruolamento sia fatto col criterio di mantenere i riservisti in servizio per un numero di anni limitato).
Tra le controindicazioni occorre mettere in conto che i riservisti più preparati vengono dall’ambiente industriale, che è lo stesso che fornisce le tecnologie alle Forze Armate, con le ovvie conseguenze, inoltre bisogna pensare che il personale più preparato non accetterà mai di lavorare al livello degli attuali stipendi quando fuori può guadagnare molto di più.
Naturalmente esistono molti altri pro e contro e ogni Stato si sta muovendo in direzioni diverse ma in ogni caso la discussione è aperta.
Qual’è la situazione in Italia nel settore? Si intende impiegare personale della riserva? Qual’è la preparazione del personale e delle strutture deputate al settore cyber?
Alcune risposte potrebbero arrivare dall’analisi dei risultati delle esercitazioni (come per esempio dalla Locked Shield) e dalla discussione aperta e franca che ne dovrebbe scaturire, ma sembra che vi siano ben poche informazioni disponibili al grande pubblico. Ci si potrebbe chiedere o forse, dovrebbe chiedere, il perché di una tale mancanza di discussione. Infatti ritengo che il modo migliore di migliorare si basi su una aperta e franca discussione sugli obiettivi da raggiungere e sui risultati intermedi conseguiti.


Alessandro RUGOLO

(immagine tratta da: https://www.militarytimes.com/news/your-military/2014/08/04/in-supersecret-cyberwar-game-civilian-sector-techies-pummel-active-duty-cyberwarriors/)

Per approfondire:
- https://www.militarytimes.com/news/your-military/2014/08/04/in-supersecret-cyberwar-game-civilian-sector-techies-pummel-active-duty-cyberwarriors/;
- https://www.bangkokpost.com/news/general/1467494;
- https://www.fifthdomain.com/dod/2018/04/25/defense-panels-want-the-pentagon-to-form-a-cyber-reserve-team-to-help-states/;
- https://www.reuters.com/article/us-usa-cyberwar/special-report-the-pentagons-new-cyber-warriors-idUSTRE69433120101005;