mercoledì 5 ottobre 2016

Poesias Sardas, di Giuseppe Pirastru

La terza domenica di ottobre, a Gesico, il mio paese d'origine, si festeggia la festa di Sant'Amatore, un misto di sacro e profano in cui, negli ultimi anni ha preso corpo soprattutto la sagra della lumaca (siamo ora alla XXIV edizione!).
In questo breve articolo però vi voglio parlare di una cosa che non è più presente.
Anni addietro si aggirava per le strade di Gesico, nei giorni di festa, un vecchietto, con una cassettina in legno appesa al collo, piena di libretti di poesie in sardo.
Non so come si chiamasse, ma quando riuscivo gli compravo sempre qualche libretto, un po per curiosità, un po perchè mi piace leggere le poesie in sardo, anche se non sempre sono in grado di capire tutto al volo.
I poeti infatti non usavano sempre la lingua della mia zona, il campidanese. Talvolta le poesie sono scritte in logudorese, ma più spesso vengono usate parole di tutti i dialetti.
Il risultato di questi miei acquisti è un settore della mia libreria, in cui si trovano una ventina di libretti che di tanto in tanto sfoglio con curiosità, sperando prima o poi che qualcuno torni a passare per la festa di Sant'Amatore a vendere le opere di poesia sarda.
Forse sono solo un illuso, forse un giorno quel venditore di libretti di poesia sarda sarò io, chissà!
Per tornare ai nostri giorni, la settimana scorsa ho riletto un libretto di Giuseppe Pirastru, con alcune poesie sarde scritte all'inizio del 1900 e diffuse da Antonio Cuccu.
Ora, pensi sia importante che qualcuno si prenda la briga di continuare l'opera di Antonio Cuccu e diffondere la cultura sarda per cui ho pensato di pubblicare sul mio blog la poesia e la sua traduzione in italiano.
Non tutto sarà corretto, immagino, per cui alcune parti saranno in giallo e spero che qualche lettore possa aiutarmi a migliorare la traduzione.
Ma basta con le parole e diamo inizio all'opera.

Il poeta Pirastru di Ozieri descrive le testuali parole del siniscolese prigioniero di Guerra (immagino ci si riferisca alla prima guerra mondiale).

1. Carissimos parentes
como chi so torradu
A Siniscola a ue non creia.
A inue dolentes
Bos aia lassadu
Dai cando a soldadu andadu via
Como chi in domo sò
notizias bos dò
de sa disventurada vida mia
e de cantu suffresi
Dai s'ora chi prisoneri istesi.

1. Carissimi parenti,
visto che sono tornato
a Siniscola, cosa che non credevo più possibile,

dove, disperati, vi avevo lasciati
da quando ero andato via, soldato,
Visto che a casa ora stò
qualche notizia vi dò
della sventurata vita mia
e di quanto soffrii
dal momento che fui preso prigioniero.

2. Minde leo mastrattu
candu bi cunsidero
Ch'instat su coro meu fini vini
Presoneri mi han fattu
sutta a Monte Nero
su vintisese de santu aini
Istemus disarmados
non parian soldados
ma pius de demonios non fini
Sos chi nos disarmesini
Miraculu chi a bida nos lasseini.

2. Mi sento distrutto
quando ci penso
mi duole il cuore
Prigioniero mi hanno fatto
sotto Monte Nero
il ventisei di  ottobre
venimmo disarmati
non sembravano soldati
non erano altro che demoni
coloro che ci disarmarono
è un miracolo se ci lasciarono in vita.


3. Sempre gitt'impremidu,
in coro e in sa mente
su die sette e millenoighentos
Su ch'ap'Eo suffridu
L'ischit s'Onnipotente
Attere non los cre cussos turmentos
Sidis de agonia,
famini Gesù Maria
pro me no esistiad'alimentos
Ne perunu consolu,
M'alimentao de piantu solu.

3. Per sempre mi resterà impresso,
nel cuore e nella mente,
il millenovecento diciassette
quanto ho sofferto
lo sa l'Onnipotente
altri non potrebbero credere a quei tormenti
sete di agonia,
fame, Gesù e Maria,
per me non esisteva cibo
ne alcuna consolazione,
mi alimentavo di solo pianto.

4. Appenas disarmados,
nos lein sas provistas
chi gighiamus a nos manigare.
Che canes airados
cussas figuras tristas
Intran sa cosa nostra a divorare
Gridende avanti avanti
No si ponen innanti
e guai nessunu a si ostare
Su chi si asatiada,
Sa morte a oios subitu s'aiada.

4. non appena ci disarmarono,
ci levarono le provviste
che portavamo per mangiare
come cani furiosi
quei tristi figuri
cominciarono a divorare le nostre cose
gridando: avanti, avanti
a ci misero dinnanzi
e guai a chi si opponeva
colui che li osteggiava
in un attimo veniva raggiunto dalla morte.


5. Intramus a marciare,
asciutos e ispintos
pro arrivare a su nostru destinu.
Pro poder manigare,
non bidemus custrintos
A pascher s'erva che paru erveghinu
Ei cussos vigliaccos
idendenos istraccos
E cantos nde occhiana in caminu
O a bastones viles?
O a ispunzonadas de fusiles.

5. Cominciammo a marciare
contro voglia
per raggiungere la nostra destinazione
Per poter mangiare
ci vedemmo costretti
a pascolare l'erba come fossimo agnelli
E quei vigliacchi
vedendoci stanchi
quanti ne uccidevano per strada
o bastonavano, vili?
o pungolavano coi fucili.

6. Istemus caminende,
bindighi zorronadas
Sempre a pe ite pena ite turmentu
Su ch'idian pasende,
bi fin sas bastonadas
Subra sas palas nostras a mamentu
E nois affriggidos
istraccos e famidos
E mazzados e sempre in pattimentu
Chi mancu minutu,
Fit mai de piangher s'ojju asciuttu.

6. Camminammo,
per venti giorni
sempre a piedi, che pena, che tormento
colui che vedevano riposare,
vaniva bastonato
anche sulle nostre spalle di tanto in tanto
E noi (poveri) afflitti
stanchi e affamati
bastonati e sofferenti
che neppure per un minuto
fu mai l'occhio asciugato dal pianto.

7. Finalmente a Germania
Eo so arrividu
Cun sos cumpagnos mios pianghende
Sa morte momentania
pro cument'hamus bidu
Istaiamus tottu disizzende
No esistiat pane,
E ne s'agattat cane
De cantos nd'had'in su mundu esistende
Ch'happat mai pattidu,
cant'app'eo in Germania suffridu!

7. Infine, in Germania
io sono arrivato
con i miei compagni, piangendo,
La morte istantanea
per ciò che avevamo passato
stavamo tutti desiderando.
Non esisteva pane,
e non si trova cane
tra quanti ve ne sono al mondo
che abbia mai patito
quanto abbia sofferto io in Germania! 

8. Arriv'a Baviera,
Ma isfattu e confusu
A Melbu campu de cuncentramentu
Peus se in galera,
tres meses rinchiusu
M'ana mantesu e cun pagu alimentu
E d'ogni die haia
tres unzas de pan'ibbia
Però nieddu chei su turmentu
E una sola trudda,
de raba arribisale atteru nudda.

8. Arrivai in Baviera,
disfatto e confuso,
a Melbu, nel campo di concentramento
peggio della galera,
tre mesi rinchiuso
mi hanno mantenuto e con poco cipo
e ogni giorno vi erano
solo tre once di pane
però di quello nero come il tormento
e un solo mestolo
di rape in umido e nient'altro.

9. Anzis no raba, pero
Fi brou tottugantu
De raba paga e nudda bind'aiada
A sas otto ogni sero
su suspiradu tantu
Rangiu famosu dadu nes beniada
Cun abbundante sale
chi mancu s'animale
De logu nostru assazare nde diada
E deo suspirende,
Paria cordiales manighende.

9. Anzi, non di rape, ma
di solo brodo
di rape poco o niente ve n'era.
Alle otto ogni sera
il tanto sospirato
rancio famoso, ci veniva distribuito
molto salato
che neppure gli animali
delle nostre parti avrebbero assaggiato
E io sospirando
sembravo mangiare con gusto.


10. E senza cussu fia,
in tott'isculz'e nudu
E tres meses che intro e presone
trattu trattu idia
nende chi fit saladu
Chi mi faghian un'inizione
No mi reia in pese
prima de unu mese
Gighia punta tottu sa persone
Fia tottu dolente,
No mi podia mover pro niente.

10. E oltre a ciò ero
scalzo e completamente nudo
per tre mesi dentro la prigione
ogni tanto
dicendo che ero ....... (?)
mi facevano un'iniezione
non mi reggevo in piedi
prima di un mese
avevo tutto il corpo punto
ed ero tutto dolorante,
non riuscivo a muovermi per niente.

11. E pro nos ristorare
Cussos canes limbriscosos
Nos forzaian quasi onzi die
in s'ierru a intrare
tott'in sos bagnos friscos
chi bind'haiat de morre inie
Eo ponia mente,
si no subitamente
In d'una zella ponian a mie e a dogni punidu
Sessant'oras ne manigu ne bidu!

11. E per farci rinvigorire,
quei cani avidi
ci costringevano, quasi ogni giorno
in inverno, ad entrare
tutti nei bagni freddi
che c'era da morirne dentro.
Io ubbidivo,
altrimenti, immediatamente
mi avrebbero messo in cella
come ad ogni punito,
per sessanta ore senza mangiare ne bere!

12. Nos ponian in rangu
Ite duru martoriu
Chi non si podet crer pro lu contare
Duos palmos de fangu
B'ad'in s'ambulatoriu
Inue nos faghian ispozare
Su chi no s'ispozzada
bi fit sa bastonada
A conca e lu faghian istrasciare
E cantos disgrasciados!
Sun'inie cadaveres restados.

12. Ci raggruppavano
che duro martirio,
che a raccontarlo non lo credereste mai possibile
Due palmi di fango
vi erano nell'ambulatorio
dove ci facevano spogliare.
E chi non si spogliava
riceveva una bastonata
in testa che lo buttava a terra
E quanti, disgraziati!
là sono restati, cadaveri.

13. Cussa razza maligna
Causadu a terrore
Disisperazione e ispaventos
Cando dae Sardigna
sos nostros genitores (s)
Paccos nos mandaiana de alimentos
Appenas los rezziana
si los manigaiana
A faccia nostra allegros e cuntentos
Poi cussos vigliaccos,
Nollos daian bodios sos paccos.

13. Quella razza maligna
ha causato terrore
disperazione e spavento
quando dalla Sardegna
i nostri genitori
pacchi di cibo ci mandavano
appena li ricevevano
se li mangiavano
alla faccia nostra, allegri e contenti.
Poi, quei vigliacchi
ci davano, vuoti, i pacchi.

14. No lù pot'ispricare
su ch'apo 'eo suffridu
in battordighi meses derdiciadu
Nè mi chelz'ammentare
De cant'apo patidu
Siat s'Ente Supremu laudadu
Pro miraculu solu,
tent'hapo su consolu
A Siniscola de nd'esser torradu
Coment'haia in brama,
Abbrazzare parentes babbu e mama.

Non posso spiegare
ciò che ho sofferto
in quattordici mesi imprigionato
nè desidero ricordare
ciò che ho patito.
Sia lodato l'Ente supremo (Dio)
per il solo miracolo,
di aver trovato consolazione
di esser tornato a Siniscola.

Finisce la poesia con la firma del poeta, Giuseppe Pirastru, poeta di Ozieri.

Aggiungo solo che a Monte Nero, nel 1917, il 26 ottobre, c'è stata una delle più grandi battaglie della prima guerra mondiale, la battaglia di Caporetto, che non penso di dover spiegare qui, ritenendola nota a tutti!
Il protagonista è uno degli sfortunati uomini che finirono prigionieri, dimenticati da tutti.
Giuseppe Pirastru da Ozieri ce lo riporta in mente, seppur senza nome, un soldato sardo di Siniscola, uno dei fortunati che, finita la guerra, riesce a tornare a casa. 
Ringrazio per l'aiuto nella traduzione l'amico Salvatore Scanu di Ploaghe e chiedo agli amici e conoscenti della lingua sarda la cortesia di aiutarmi a completarla o migliorarla.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

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