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venerdì 29 aprile 2011

La sapienza greca, di Giorgio COLLI

Durante queste vacanze pasquali ho passato parte del mio tempo libero immerso nella lettura di alcuni volumi sulla sapienza graca. Lettura interessante e ricca di curiosità.
Se avete qualche minuto da dedicare alla lettura proverò a condividere con voi alcune curiosità, cercando di non essere troppo noioso.
L'opera, di cui ho letto i primi due volumi, comprende frammenti di e su vari autori dell'antichità su diversi argomenti. In particolare Dioniso, Apollo, Eleusi, Orfeo, Museo, Iperborei, Enigma, Epimenide, Ferecide, Talete, Anassimandro, Anassimene, Onomacrito, Senofane, Pitagora, Eraclito, Parmenide, Zenone, Melisso, Empedocle, i Pitagorici, Filolao, Archita, Anassagora, Gorgia, Protagora, Diogene di Apollonia, Leucippo, Democrito, Prodico, Ippia, Antifonte e Crizia.  
Ecco alcuni brani che mi sembra meritino approfondimento.

Pindaro, Olimpiche
"...Si, se chi possiede la ricchezza conosce l'avvenire, se sa che gli animi violenti dei morti quassù subito pagarono la pena - mentre sotto terra qualcuno giudica i misfatti in questo reame di Zeus, dichiarando la sentenza con ostile necessità; ma godendo la luce del sole in notti sempre uguali, i nobili ricevono una vita meno travagliata, senza turbare la terra col vigore della loro mano, né l'acqua marina, per una vuota sussistenza; e invece presso i favoriti degli dei che godettero della fedeltà ai giuramenti - essi percorrono un tratto di vita senza lacrime, mentre gli altri sopportano una prova cui lo sguardo non regge.
E quanti ebbero il coraggio di rimanere per tre volte nell'uno e nell'altro mondo, e di ritrarre del tutto l'anima da atti ingiusti, percorsero sino in fondo la strada di Zeus verso le terre di Crono, là le brezze oceanine soffiano intorno all'isola dei beati..."

Aristotele, Protrettico
"... hanno detto che noi siamo nati per pagare il fio di alcuni delitti commessi in una vita anteriore, e sembra che sia vero ciò che si trova presso Aristotele, ossia che noi subiamo un supplizio simile a quello patito da coloro che in altri tempi, quando cadevano nelle mani dei predoni Etruschi, venivano uccisi con una crudeltà ricercata: i corpi vivi di costoro erano legati assieme a dei morti con la massima precisione, dopo che la parte anteriore di ogni vivo era stata adattata alla parte anteriore di un morto..."

Aristofane, Uccelli
"Da principio c'era Caos e Notte ed Erebo nero e l'ampio Tartaro,
ma non c'era terra né aria né cielo;
e nel seno sconfinato di Erebo Notte dalle ali nere genera anzitutto un uovo sollevato dal vento,
da cui nelle stagioni ritornanti in cerchio sbocciò Eros il desiderabile,
con il dorso rifulgente per due ali d'oro,
simili a rapidi turbini di vento.
E costui di notte mescolandosi con Caos alato, nell'ampio Tartaro, fece schiudere la nostra stirpe, e per prima la condusse alla luce.
Sino allora non c'era la stirpe degli immortali, prima che Eros avesse mescolato assieme ogni cosa; 
ma essendo mescolate le une alle altre, nacquero Cielo e Oceano e Terra e la stirpe senza distruzione di tutti gli dei felici."

Proclo, Commento al Timeo di Platone
"La luna infatti è una terra in alto nell'etere; ciò invero ha detto chiaramente anche il teologo: "e suscitò un'altra terra immensa, che gli immortali celebrano come Selene, gli uomini sulla terra invece come Mene, la quale ha molte montagne, molte città, molti tetti..."

Diodoro Siculo, su Orfeo cantore, poeta e sacerdote che visse in grecia ai tempi di Eretteo, diciamo intorno a 1400-1300 a.C.. Marmo Pario affermava che Orfeo visse ed operò ai tempi in cui Eretteo regnava ad Atene.
"Orfeo invero portò indietro dagli Egizi la maggior parte delle iniziazioni mistiche, i riti segreti intorno alle sue proprie peregrinazioni e l'invenzione dei miti riguardante l'Ade. Infatti il rito di iniziazione di Osiride è lo stesso di quello di Dioniso, mentre quello di Iside risulta qualsi identico a quello di Demetra, e soltanto i nomi sono scambiati. Egli introdusse poi le punizioni degli empi nell'Ade, le praterie per gli uomini pii e la produzione di immagini in presenza delle moltitudine, imitando ciò che accadeva intorno ai luoghi di sepoltura in Egitto."

Giovanni Malalas, Cronografia
"Della miserabile stirpe degli uomini lo stesso Orfeo dà un'espressione poetica in molti versi, di cui ecco una parte:"... fiere e uccelli e stirpi inutili di uomini mortali, pesi per la terra, immagini artificiose, senza sapere nulla di nulla, né, quando il male s'avvicina, abili a vederlo, né esperti a evitare proprio da lontano la miseria, né accorti, quando il bene è presente, nel rivolgersi ad esso e impadronirsene, ma a casaccio ignoranti, imprevidenti."

Ecco, per ora basta così, solo alcuni accenni che facciano venir voglia di approfondire... io intanto proseguo la lettura del terzo volume... Eraclito.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 16 aprile 2011

Deputati a 18 anni e senatori a 25?

Oggi ho letto un articolo su "Il giorno" che mi ha fatto sorridere... il titolo era "Largo ai giovani in Parlamento - Deputati a 18 anni e senatori a 25".
Sembra infatti che il Governo abbia dato il via libera ad un ddl costituzionale che potrebbe portare, nel giro di qualche anno, i giovani diciottenni alla Camera e i venticinquenni al Senato.

"Finalmente! Largo ai giovani...
Finalmente svecchiamento...
Nel resto dell'Europa si va nella stessa direzione..."

Sembra quasi di sentire queste urla del popolo italiano che non vede il momento di vivere questa rivoluzione. Ma siamo sicuri che sia la strada giusta?

Una mia prima considerazione sullo svecchiamento: se si volesse realmente svecchiare il Parlamento non sarebbe più logico mettere un tetto massimo all'età di deputati e senatori invece che abbassare il tetto minimo dell'età?
Io farei così: I deputati non possono avere meno di 40 anni e non più di 50 anni!
I Senatori non possono avere meno di 50 anni e non possono avere più di 60 anni!
Questo sarebbe svecchiamento, non pensate?

Largo ai giovani, si dice... ma quali giovani? I figli dei politici? Cosicché i genitori possano guidarli per mano lungo la strada da loro percorsa?
E che mi dite, avremo gente che lavora una vita e gente che fa politica per la vita? Mi spiace, non condivido!

I giovani devono studiare, vivere, lavorare, possibilmente onestamente e solo dopo aver capito cosa significhi fare sacrifici e aver raggiunto il giusto livello di maturità possono, anzi devono, provare a far politica!

Vogliamo cambiare l'Italia? Sono d'accordo, ma non é questo il modo!
Per cambiare l'Italia dobbiamo far si che quello del "Politico" sia un incarico che non dà più benefici del lavoro onesto di chiunque di noi. Perché i politici hanno diritto alla pensione dopo appena mezza legislatura? Perché gli italiani devono invece lavorare per 40 anni? Perché nessun politico propone una legge del tipo: "la pensione dei Politici non può essere superiore alla pensione minima garantita a tutti"? Eppure, se ci fosse io lo voterei, se fosse onesto, sottinteso!

Un'altra domanda, nel mondo attuale, in cui la preparazione richiesta ad un funzionario statale di un certo livello è quantomeno la Laurea e la lingua inglese, avremo Deputati col Diploma e che parlano il dialetto?

Riflettete gente, riflettete... è vero che il titolo non fa la persona, ma cerchiamo di non esagerare!

Mi dispiace Ministro Meloni, non condivido la sua proposta!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 3 aprile 2011

Il Diluvio Universale e l'Arca di Noè

Quando si parla di “arca” viene spontaneo pensare all’arca di Noè, ma esistono altre tradizioni, forse anche più antiche dei racconti della Genesi biblica, che annoverano l’arca tra le cose strane…




Ma andiamo con ordine.




Con il termine arca si intende comunemente una grande imbarcazione utilizzata per salvare le specie viventi dall’estinzione dovuta al diluvio inviato da Dio. Autore del salvataggio, il mitico Noè. Dio, resosi conto della malvagità dell’Uomo, decide di sterminare la specie umana e con essa tutti gli esseri viventi. Qui entra in gioco Noè che, considerato uomo giusto, viene invitato a salvarsi unitamente alla propria famiglia e agli esseri viventi, costruendo un’arca. Vediamo cosa ci dice la Bibbia:




[Genesi, 6,14]




“Fatti un’arca di legno di Cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore.”




Il resto, al momento, non ci interessa.




Ciò che sappiamo sull’arca di Noè, si può riassumere in poche informazioni: é costruita in legno di Cipresso, è compartimentata, è impermeabilizzata per mezzo del bitume, ha un tetto e una porta. In merito alle dimensioni, in linea di massima possiamo considerare un cubito circa cinquanta centimetri, per cui siamo di fronte ad una nave di 150x25x15 metri! Un vero mostro per quei tempi!




In apertura ho parlato di altre tradizioni che ci riportano di un’arca, vediamone una, il racconto del diluvio della saga di Gilgamesh. Il testo ci dice che in quei giorni il mondo pullulava di persone e il loro rumore era tale che il grande Dio, venne destato e unitamente agli altri dei fu deciso di distruggere l’umanità. Ma Ea, altra dea, volle salvare l’umanità così avvisò Utnapistim, il Noè di Suruppak, città sulle rive dell’Eufrate. Ma sentiamo cosa dice Ea:




“Uomo di Suruppak, figlio di Ubara-Tutu, abbatti la tua casa e costruisci una nave, [..] Ecco le misure del battello, così come lo costruirai: che la sua larghezza sia pari alla sua lunghezza, che il suo ponte abbia un tetto come la volta che copre l’abisso; [..] Alla prima luce dell’alba la mia famiglia si riunì intorno a me, i bambini portarono pece e gli uomini tutto il necessario. Il quinto giorno misi in posa la chiglia e le coste, poi fissai il fasciame. Di un acro era la sua area di terreno, ogni lato del ponte misurava cento e venti cubiti e costituiva un quadrato. Sotto coperta costruii sei ponti, sette in tutto; li divisi in nove sezioni con paratie fra di loro. Dove era necessario infissi dei cunei, provvidi alle pertiche di spinta e caricai provviste. I portatori recarono olio in canestri, versai pece nella fornace e asfalto e olio; altro olio venne consumato per calafatare, altro ancora lo mise tra le sue provviste il nocchiero.[..] Al settimo giorno la nave era pronta. Venne poi il varo pieno di difficoltà, lo spostamento della zavorra di sopra e di sotto finché due terzi rimasero sommersi. [..] Guardai fuori e il tempo era terribile, così anche io salii a bordo della nave e chiusi i boccaporti. Era tutto finito, la chiusura e la calafatura, diedi dunque il timone al timoniere Puzur-Amurri, assieme alla navigazione e alla cura di tutta la nave.”




L’arca di Utnapistim, come possiamo vedere, è leggermente diversa da quella di Noè, forma quadrata, sette ponti in tutto divisi in nove sezioni tramite paratie. E così via. Interessante e particolare la parte relativa alle “pertiche di spinta”, i remi forse? Ancora più interessante la parte dei “portatori” che recarono l’olio in canestri, versato insieme a pece e asfalto “nella fornace”, per far che? Non per calafatare, quello lo dice subito dopo, e poi a cosa serve altro altro olio tra le provviste del nocchiero?




Al di là delle domande che io mi pongo e che sicuramente troverebbero una spiegazione logica se avessimo più elementi, resta il fatto che due testi antichissimi di due popoli diversi riportano il medesimo racconto…


Ma vediamo che ci dice un altro grande del passato... Ovidio!


Nel precedente articolo sulle Metamorfosi ho concluso parlando dell'età del ferro, l'era delle guerre.

Giove, stancatosi di vedere e sentire gli uomini riunì il concilio degli dei per decidere sulla punizione da dare alla razza umana e dopo aver valutato attentamente decide di usare l'acqua per distruggere questa razza malvagia. I fulmini, sua arma preferita, avrebbero potuto dar fuoco al "sacro etere" e causare distruzioni incontrollabili. Si sarebbe potuto infiammare e bruciare il lungo asse terrestre, ci riporta Ovidio! E dunque é meglio distruggere "la stirpe dei mortali con un'inondazionee mandare un diluvio da ogni parte del cielo".

E così l'acqua sommerse il mondo, trascinando via tutto "e le torri strette dall'acqua restano invisibili sotto i gorghi; ormai non c'era nessuna separazione tra mare e terra: tutto era mare ma al mare mancavano i lidi...

Solo in due si salveranno, Deucalione e la moglie, Pirra. Su una fragile barca sopravvissero ed approdarono sul monte Parnaso e, resisi conto di essere soli al mondo si rivolgono agli dei perché li consiglino su come ripopolare la terra con la stirpe degli uomini. Temi, interpellata dai due sopravvissuti risponde: "Allontanatevi dal tempio e copritevi il capo, sciogliete le vesti e buttate dietro le spalle le ossa della gran madre..."

Deucalione, figlio di Prometeo, interpreta come "pietre", le ossa della gran madre "Terra" e così, ubbidendo alla dea, inizia il lancio delle pietre... e "le pietre lanciate dalle mani di Deucalione assunsero l'aspetto di maschi, mentre le femmine ripresero vita con il lancio effettuato dalla donna"...

 
Censorino ci da una serie di informazioni sulle età passate... prendendo come guida uno storico enciclopedico latino, Marco Terenzio Varrone (Rieti 116-27 a.C.) autore, tra l'altro dei "Logistorici" e delle "Antichità", opere di storia memorabili e di cui resta poco o niente! Censorino però ci permette di conoscere alcune informazioni tratte da Varrone.




Devo però mettere i lettori sull'avviso, Censorino l'ho letto in francese e, quando poco chiaro, ho consultato la versione in latino. Data la mia conoscenza del Francese e del Latino, potrebbero esservi degli errori! Se volete, potete leggere voi stessi i testi su http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/home.html.
Detto ciò, vediamo cosa ci dice il nostro Censorino...

"Io vado ora a parlare di quel periodo di tempo che Varrone chiama "storico". Questo autore, in effetti, divise il tempo in tre periodi: il primo periodo che va dall'origine degli uomini al primo diluvio Varrone lo chiama "incerto", a causa delle tenebre che lo ricoprono. Il secondo periodo va dal primo diluvio fino alla prima olimpiade e siccome si raccontano tante storie fantastiche, Varrone lo chiama "mitico"; il terzo periodo va dalla prima olimpiade a oggi e Varrone lo chiama "storico" perché i fatti principali accaduti ci sono riportati da storici veri."

Ecco dunque che uno storico, nella sua suddivisione delle ere, utilizza come confine un Diluvio... ma quale? E quando si sarebbe verificato?

"Sul primo periodo, se abbia avuto o meno un inizio, non si potrà mai dire di quanti anni fu. Non sappiamo con precisione di quanti anni sia stato il secondo periodo ma si pensa a circa 1.600 anni. Dal primo diluvio, in effetti, chiamato diluvio d 'Ogigia, fino al regno di Inaco, si contano circa 400 anni, da li all'eccidio di Troia se ne contano circa 800, poco più di 400 poi da li alla prima olimpiade. E siccome questi ultimi, nonostante appartengano alla fine dell'epoca mitologica, si avvicinano più degli altri all'epoca degli scrivani, qualcuno ha cercato di meglio precisare il numero degli anni. Così Sosibius ha fissato il numero degli anni a 395; Eratostene a 407, Timeo a 417, Aretes a 514. Altre cifre ancora sono state indicate da altri autori ma il loro stesso disaccordo è testimone dell'incertezza del numero degli anni trascorsi."

Dunque sappiamo che si parla del Diluvio di Ogigia... e che si verificò circa 1600 anni prima della prima olimpiade... secondo il nostro calendario la prima olimpiade fu celebrata verso il 776 a.C. , il diluvio di Ogigia si sarebbe dunque verificato nel 2376 a.C., anno più, anno meno!

E sempre secondo la cronologia indicata, nell'anno 1176 a.C. circa si ebbe la fine di Troia. Nel 1976 a.C. si ebbe invece il regno di Inaco, chiunque esso sia!

Diluvio di Ogigia... occorre tornare indietro al periodo delle scuole per cercare nella memoria e poi nel libro, l'Odissea, qualche notizia su Ogigia... sappiamo infatti che al tempo della guerra di Troia, quindi intorno al 1176 a.C secondo la cronologia di Censorino/Varrone, Ogigia esisteva ma era pressoché disabitata, e questo ce lo conferma Omero quando ci dice che...

[Odissea, Libro I, 80-87]

"O nostro padre Cronide, sovrano tra i potenti, se questo é caro ai numi beati, che alla sua casa torni l'accorto Odisseo, allora, Ermete messaggero, argheifonte mandiamo all'isola Ogigia, che subito alla dea trecce belle dica decreto immutabile, il ritorno del forte Odisseo, perché possa tornare."

E' chiaro che Odisseo si trovava ad Ogigia... ma di quale terra si tratta? Per scoprirlo, o almeno per avere delle informazioni utili, occorre spostarci più avanti...

[Odissea, Libro V, 13-17]

"Là nell'isola giace, dure pene soffrendo, nella dimora della ninfa Calipso, che a forza lo tiene. E non può ritornare alla terra paterna, perché non ha navi armate di remi, non ha compagni che lo trasportino sul dorso ampio del mare."

E' Atena che parla agli dei, ricordando loro le pene di Odisseo. E' Atena che parla di isola, dimora della ninfa Calipso, ed è là che è diretto dunque Ermete messaggero... Ed è dunque nell'isola Ogigia che ci spostiamo ora, sempre nell'Odissea... é Zeus ora che parla...

[Odissea, Libro V, 29-35]

"Ermete, tu sempre sei il messaggero; alla ninfa bei riccioli porta decreto immutabile, il ritorno del costante Odisseo; che ritorni senza accompagno né di numi né d'uomini, ma sopra una zattera di molti legami, soffrendo dolori, arrivi al ventesimo giorno alla Scherìa fertili zolle, dei Feaci alla terra, che sono parenti agli dei."

Dunque il viaggio di Odisseo dovrà riprendere dietro ordine di Zeus e Odisseo partirà da Ogigia, l'isola, come abbiamo detto poco sopra, e a bordo di una zattera si dirigerà verso Scherìa... fertili zolle, terra dei Feaci parenti degli dei, terra che raggiungerà dopo venti giorni di navigazione... Ma oggi a noi interessa qualcosa di più su Ogigia, non Scherìa... che vedremo in altra occasione! Vediamo se troviamo qualcosa che possa aiutarci a capire quale sia la famosa e introvabile isola di Ogigia... E allora seguiamo Ermete, il messaggero degli dei, nel suo viaggio verso l'isola, attraverso il mare, fino alla grande spelonca in cui la ninfa abitava...

[Odissea, Libro V, 59-74]

"Gran fuoco nel focolare bruciava e lontano un odore di cedro e di fissile tuia odorava per l'isola, ardenti [..] Un bosco intorno alla grotta cresceva, lussureggiante: ontano, pioppo e cipresso odoroso. Qui uccelli dall'ampie ali facevano il nido, ghiandaie, sparvieri, cornacchie che gracchiano a lingua distesa, le cornacchie marine, cui piace la vita del mare. Si distendeva intorno alla grotta profonda una vite domestica, florida, feconda di grappoli. Quattro polle sgorgavano in fila, di limpida acqua, una vicina all'altra, ma in parti opposte volgendosi. Intorno molli prati di viola e di sedano erano in fiore..."

E così sappiamo che l'isola Ogigia aveva una grande grotta, vi cresceva la vite domestica, era ricca di uccelli e il clima era tale da permettere la crescita delle viole e del sedano. E niente altro? vediamo se Ermete ci aiuta...

[Odissea, Libro V, 99-101]

"Zeus m'ha costretto a venir quaggiù, contro voglia; e chi volentieri traverserebbe tant'acqua marina, infinita? non è neppure vicina qualche città di mortali..."

Dunque Ogigia è un'isola priva di città di mortali, posta in mezzo al mare infinito, ma qualcuno comunque vi abitava o vi aveva abitato in passato...

Ermete va via... ora chi potremo seguire alla ricerca di informazioni? Seguiamo Calipso, mentre guida Odisseo nella preparazione della zattera per il ritorno...

[Odissea, Libro V, 234-240]

"Per Odisseo magnanimo, poi, preparò la partenza. Gli diede una gran scure, ben maneggevole, di bronzo, a due tagli: e un manico c'era molto bello, d'ulivo, solidamente incastrato. Gli diede anche un'ascia lucida e gli insegnava la via verso l'estremo dell'isola, dov'erano gli alberi alti, ontano e pioppo e pino, che al cielo si leva, secchi da tempo, ben stagionati, da galleggiare benissimo."

Ecco altre preziose informazioni, c'era il bronzo, che veniva usato per fabbricare asce, c'era l'ulivo, e tra gli alberi vi era anche il pino, oltre al pioppo e all'ontano... Poi Calipso, terminata la zattera e munitala di vele, da ad Odisseo le informazioni per il viaggio di ritorno...

[Odissea, Libro V, 270-290]

Così col timone drizzava il cammino sapientemente, seduto: mai sonno sugli occhi cadeva, fissi alle Pleiadi, fissi a Boòte che tardi tramonta, e all'Orsa, che chiamano pure col nome di Carro, e sempre si gira e Orione guarda paurosa, e sola non ha parte ai lavacri d'Oceano; quella infatti gli aveva ordinato Calipso, la dea luminosa, di tenere a sinistra nel traversare il mare. Per diciassette giorni navigò traversando l'abisso, al diciottesimo apparvero i monti ombrosi della terra feacia: era già vicinissima, sembrava come uno scudo, là nel mare nebbioso."

Ecco le ultime informazioni... per andar alla terra dei feaci, Odisseo avrebbe dovuto navigare per circa 17 giorni tenendo gli occhi fissi alle Pleiadi e tenere Orione sulla sinistra durante la traversata... Dove si trova la terra dei feaci? Dove si trova Ogigia? Le domande aumentano... o Omero ha inventato tutto?

Ma ora finalmente Odisseo approda tra i Feaci e noi riprendiamo la strada indicataci dalla nostra guida, Censorino... con nella mente, però, un po più di notizie su Ogigia, quella del Diluvio...

"In merito al terzo periodo, tra gli autori esiste una divergenza di 6 o 7 anni sulla sua estensione, ma questa incertezza è stata pienamente dissipata da Varrone, che, dotato della più rara sagacia, pervenne, risalendo i tempi di alcune città, basandosi sulle eclissi e calcolandone gli intervalli, a far riemergere la verità e ad illuminare questo punto con tale luce che oggi è possibile precisare non solo il numero di anni ma addirittura il numero dei giorni di quest'epoca! Se non erro, seguendo questi calcoli, l'anno in cui ci troviamo e del quale il consolato di Ulpius e Ponziano é indice e titolo, a partire dalla prima olimpiade fino ai giorni estivi in cui si celebrano i giochi olimpici sono passati 1014 anni. se invece si inizia a contare dalla fondazione di Roma, ci troviamo nell'anno 991 a partire dalla festa "des Parilies", festa usata per il conteggio degli anni della città. Se invece si inizia a contare secondo l'anno Giuliano, ci troviamo nell'anno 283, a partire dalle calende di gennaio, periodo in cui Giulio Cesare ha voluto che cominciasse l'anno da lui stabilito. Se invece si conta a partire dall'anno detto degli Imperatori, siamo nell'anno 265, a partire sempre dalle calende di gennaio, nonostante solo il 16 delle calende di febbraio sotto la proposta di L. Munatus Plancus, il senato e il resto dei cittadini diedero il nome di "Imperatore Augusto" a Cesare Ottaviano, figlio del divino Cesare, allora console per la settima volta assieme a Vipsanius Agrippa che lo era per la terza volta. In merito agli egizi, siccome essi si trovavano, a quell'epoca, già da due anni sotto il dominio del popolo romano, il presente anno è per loro il 267 degli Imperatori."

Dunque, così apprendiamo che l'opera fu scritta nell'anno 238 d.C.... e che siamo in grado di fare questi conto lo dobbiamo, ancora una volta, a Varrone!

"Anche la storia d'Egitto, come la nostra, ha dato luogo a differenti ere: così distinguiamo l'era di Nabonassar, così chiamata dal nome del principe Nabonassar e che ad oggi ha raggiunto la cifra di 986 anni dalla data di inizio del suo regno. Quindi si parla dell'era di Filippo, che a partire dalla morte di Alessandro il Grande e contando fino ad oggi abbraccia un periodo di 562 anni. Tutte queste epoche degli egiziani cominciano sempre al primo giorno del mese da essi chiamato "thoth", giorno che quest'anno corrisponde al 7 di calende di luglio, tanto che cento anni fa, durante il secondo consolato di dell'Imperatore Antonino Pio e di Bruttius Praesens, questo giorno corrispondeva al 12 di calende d'agosto, epoca del levarsi della canicola in Egitto. Dunque, possiamo vedere che noi siamo oggi nel centesimo anno di questo Grande Anno che, come ho detto prima, è chiamato "solare", "canicolare" o anno di Dio."

E così ora sappiamo che nell'anno 138 d.C. iniziò un altro Grande Anno...

"Ho dovuto indicare in quale epoca cominciano gli anni per evitare che si pensi che questi comincino tutti alle calende di gennaio o a qualche altro giorno simile, perché sulla questione delle diverse ere si sottolineano non meno opinioni divergenti nelle volontà dei loro fondatori che nelle opinioni dei filosofi. Così alcuni fanno cominciare l'anno naturale al levar del sole nuovo, cioè in inverno, altri autori al solstizio d'estate, altri all'equinozio di primavera, altri ancora all'equinozio d'autunno, questi al levare, quelli al calare delle Pleiadi, altri ancora, infine al levare di Canicola."

Un bel caos, dunque, ma mai un dubbio sul fatto che gli antichi conoscessero alla perfezione l'anno solare, anche se con qualche approssimazione... e chissà che più avanti Censorino non possa raccontarci qualche altra cosa di interessante sul sapere dei suoi tempi, o magari, Varrone vorrà prender parte alla nostra tavola rotonda!?!







Ancora un grande:  Apollodoro: la creazione della razza umana e il Diluvio





Abbiamo già visto qualcosa su Apollodoro e la sua opera, ora proseguiamo...
Nel libro primo Apollodoro ci parla della cosmogonia greca, la nascita dell'universo e degli dei, ma anche la nascita della razza umana e del furto del fuoco...

(Biblioteca, Libro I, 7)

Dall'acqua e dalla terra Prometeo plasmò gli uomini e inoltre donò loro il fuoco racchiudendolo, di nascosto da Zeus, dentro una canna.

Prometeo per il suo furto venne condannato da Zeus ad una pena eterna... ma evidentemente aveva già dato vita alla sua discendenza, perché Apollodoro ci dice che

"Figlio di Prometeo fu Deucalione. Questi, mentre regnava sulle regioni circostanti Ftia, sposò Pirra, figlia di Epimeteo e di Pandora, la prima donna che gli dei avevano plasmato.

Quando Zeus decise di annientare la stirpe dell'età del bronzo, Deucalione per suggerimento di Prometeo costruì un'arca, la equipaggiò con il necessario e vi salì insieme a Pirra.

E Zeus, riversando una gran pioggia dal cielo, sommerse la maggior parte della Grecia tanto che tutti gli uomini perirono ad eccezione di quei pochi che si erano rifugiate sulle cime dei monti vicini: fu a quel tempo che le montagne della Tessaglia si separarono e tutto il mondo al di là dell'Istmo e del Peloponneso fu inondato".

Deucalione, sulla sua arca viene trasportato fino al Monte Parnaso dopo aver navigato per nove giorni e nove notti.

Deucalione e Pirra dopo aver sacrificato a Zeus Salvatore ripopolano il mondo lanciandosi pietre dietro le spalle, nascono così i popoli del mondo dopo il Diluvio...


Solo poche righe per aggiungere un piccolissimo riferimento storico a chi studia il diluvio di Deucalione...


 
[Apollodoro, Biblioteca, Libro III, 8]

Fu durante il regno di Nittimo che si verificò il diluvio di Deucalione e alcuni dicono che esso avvenne proprio a causa dell'empietà dei figli di Licaone".

Poco più avanti un altro riferimento:

[Apollodoro, Biblioteca, Libro III, 14]

Dopo la morte di Cecrope, divenne re Cranao, che era nato dalla terra; fu ai suoi tempi (si dice) che ebbe luogo il diluvio di Deucalione".

Licaone e suo figlio Nittimo, sovrani della regione Arcadia, Cecrope e il suo successore al trono di Atene, Cranao, mitiche figure o personaggi storici?

Di Licaone sappiamo ciò che ci ha raccontato Ovidio nelle Metamorfosi... e i miti sugli uomini lupo.

Ma di che periodo parliamo?

Secondo alcuni si tratta del 1500 a.C.... e questi pongono dunque in quel periodo il diluvio, ma non esiste niente di certo!
 
Un altro piccolo tassello a quanto già sappiamo sul diluvio...



Considerazioni interessanti: non solo la Bibbia!


Vogliamo vedere cosa dicono i testi sacri indiani?

SRIMAD BHAGAVATAM - Kapila

[Canto 1, Cap. 3, verso 10]

Il quinto avatara fu Kapila, il più elevato di tutti gli esseri realizzati. Egli espose ad Asuri Brahmana la conoscenza della metafisica e degli elementi della creazione, poichè nel corso del tempo questa conoscenza era andata perduta.

Se volessimo prendere per buono ciò che ci dice questo verso, si potrebbe dire che Kapila è colui che ha recuperato il sapere del passato.

Ma perchè la conoscenza andatò perduta?

Di che periodo si parla?

Chi era Kapila?

Queste cose non mi è dato saperle... e dal testo che ho non si evince niente di più!

Sembra però che apparve prima "dell'inondazione totale"... Questa avvenne durante la presenza del decimo avatara...

ma vediamo cosa dice...

[Canto 1, Cap. 3, verso 15]

Quando soppraggiunse l'inondazione totale dopo l'era di Caksusa Manu e il mondo intero fu completamente sommerso dalle acque, il Signore assunse la forma di un pesce e protesse Vaivasvata Manu facendolo salire su un vascello.

Se vogliamo dar credito a quando riportato in questo verso, vi fu una grande inondazione, non si parla di diluvio... potrebbe però essere un effetto dello stesso evento verificatosi in altre parti del mondo?

Nella spiegazione del versetto si parla comunque di diluvio, affermando che "si scatena sempre un diluvio alla fine di ogni Manu".

In ogni caso vi è un sopravvissuto, Vaivasvata Manu, un altro Noè, Ziusudra (o Utmapistim), Xisuthrus, Deucalione... e chissà quanti altri!

Finirà qui?

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 1 aprile 2011

La forza dell'esempio...

La società italiana è quello che è a causa dei suoi vertici in tutti i campi!

Voi direte che questa affermazione è la solita lamentela senza alcun senso. Con questo articolo cercherò di dimostrarvi che ho ragione.

Uno dei metodi più efficaci per insegnare consiste nel fare qualcosa che gli allievi devono fare subito dopo. Si chiama insegnamento per imitazione ed è utilizzato in alcune materie anche nelle scuole ma è prevalentemente alla base del vecchio metodo dell'apprendistato: l'apprendista guarda il maestro e cerca di copiare ciò che egli fa. Dopo molte prove e molti anni diventa indipendente e magari svilupperà un suo stile.

I grandi trascinatori di folle erano sempre i primi a buttarsi in avanti, erano coloro che con l'esempio erano in grado di trascinare grandi folle. Così alcuni grandi uomini politici, Ghandi per esempio, usavano se stessi per rappresentare un'idea, la loro idea, ed erano disposti ad arrivare fino alle estreme conseguenze per il raggiungimento dei loro ideali, dando l'esempio in prima persona. 

L'insegnamento per imitazione è alla base anche dell'insegnamento militare: si dice infatti che il Comandante deve dare l'esempio, cioè deve mostrare ai propri subordinati che è in grado di fare le cose e che le fa meglio dei propri uomini. Questo perché questi uomini devono credere al proprio comandante senza porsi alcun dubbio. Devono crederci così tanto che devono essere disposti ad andare a morire per il proprio Comandante.

D'altra parte, così come l'esempio è una potente arma per il raggiungimento di scopi eticamente e moralmente corretti è altrettanto potente nel campo opposto!

Oggi i ragazzi guardano la Televisione, ricevono insegnamenti assolutamente immorali e sono spinti ad imitare  comportamenti socialmente pericolosi e distruttivi. Così torme di ragazzi vogliono essere alla moda, imitare i loro idoli senza anima ma soprattutto senza cervello.

Così i giovani si affacciano al mondo del lavoro dopo aver passato anni all'Università, senza grossi risultati ma sicuri che tanto alla fine la laurea la prenderanno lo stesso. E poi si aspettano pure un lavoro da laureato con uno stipendio da laureato, senza pensare che ogni posto di lavoro deve essere occupato da chi ha le capacità per ricoprirlo, perché vi sono delle responsabilità che derivano dal ricoprire una determinata posizione. Responsabilità personali ma soprattutto sociali. 

Vi fareste curare da un medico che ha preso la laurea dopo quindici anni di "studi" solo per sfinimento o perché è stato "aiutato"? Forse che una volta che tutti avranno la laurea il mondo sarà migliore e nessuno dovrà più lavorare? Poveri illusi...

Seguireste in guerra il vostro Comandante se sapeste che non ha spina dorsale e ha paura della sua ombra?

Sareste disposti a seguire gli ideali di una persona che parla in un modo e si comporta in un altro?

Io no! Ve lo garantisco...

E così è per la politica. Così sono i nostri politici.

Tutti i giorni ci dimostrano di non essere meritevoli della nostra fiducia. Tutti i giorni sentiamo che qualcuno dei nostri rappresentanti è inquisito, arrestato, accusato, a torto o a ragione, sia chiaro. Destra, centro e sinistra sono accomunati da un unico filo conduttore: la mancanza assoluta di serietà, la demagogia, la continua e sempre più assurda partecipazione a teatrini che di politico non anno nient'altro che un nome usato e riusato, abusato e consunto al punto che nessuno sa più cosa significhi politica!

Politica...

Eppure un tempo chi sbagliava pagava, o forse è tutto falso? Non è mai stato così ma è stata solo una grande immensa farsa? Un teatrino, per l'appunto?

Il mondo va sempre più affondo, l'Italia riuscirà a galleggiare ancora, come ha fatto finora, aggrappata ai suoi mediocri dirigenti, mediocri politici, mediocri... oppure finirà a fondo?

Vedremo! Intanto continuiamo a sentire che coloro che dovrebbero guidarci litigano in Aula, nel Parlamento, si lanciano quello che capita e fanno roboanti discorsi in Televisione al solo scopo di distrarre coloro che un giorno saranno ancora una volta chiamati a votarli!

Io dico basta!
Basta con la mediocrità. Basta con l'incompetenza, basta con il ritirarsi di fronte alle difficoltà.

E' ora che chi è di un'altra pasta, chi non si sente un mediocre, chi ha voglia di dire la sua e fare qualcosa di buono si metta in gioco e usi tutte le sue capacità per cambiare questa nostra povera Italia, così giovane eppure così vecchia...


A voi politici rivolgo un appello: finitela! 
Smettetela di litigare!
Discutete nelle sedi previste i problemi della nostra terra e trovate la soluzione migliore.
Dimostrate di non essere quei mediocri che fino ad ora avete mostrato di essere! 
Lasciate perdere l'apparire in Televisione. Non è il vostro apparire in televisione che mi convincerà a darvi il mio voto. 

Date, voi, prima di tutti, l'esempio



Vedrete che l'Italia cambierà.




Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 27 marzo 2011

Un anno con il 27° Reggimento Artiglieria "Legnano" di Paolo CRIPPA

"Tutto nasce, come molte cose, per caso..."

Così inizia una giornata qualunque, un sabato tra tanti, in una città particolare, Legnano.

Così conosco l'autore, il modellista, l'appassionato di storia, Paolo Crippa.

Di questo incontro mi resta l'impressione di aver parlato con una persona preparata e appassionata di storia, e uno dei suoi libri...

La domenica mattina, come faccio spesso, la dedico alla lettura e questa volta decido di mettere per un attimo da parte il libro di Arriano per passare a quello di Paolo Crippa e così faccio.

L'idea di percorrere la storia delle unità militari intitolate alla città di Legnano è buona e, unita alle foto di un incognito ragazzo del 1937 che raccontano la sua storia presso il 27° Reggimento Artiglieria a cavallo "legnano", rende il libro ancora più interessante... 

In complesso un bel libro dal quale si può intuire quale doveva essere la vita di un giovane militare di quei tempi lontani.

Complimenti, paolo... vai avanti così!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 26 marzo 2011

Racconto fantasy: Diluvio universale...

"Ciao..."

.............................

"Ciao...

Scusa Signore, ti potresti spostare un pochino più in là che devo costruire il mio castello?"

La voce era arrivata inaspettata, completamente inaspettata!

Era una vocina squillante, come non ne aveva sentite da tanto tempo. Era una vocina amica, pungente, di quelle che ti mettono voglia di vivere.

La solitudine era stata tanta che per un attimo non sapeva cosa dire. 
Come comportarsi?
Poteva far finta di niente e continuare a fissare il mare, verso l'orizzonte lontano, da seduto sopra quel piccolo scoglio di roccia lavica?!? Oppure doveva rispondere e magari spostarsi? Che assurdità, spostarsi... perché avrebbe dovuto farlo?
No, avrebbe semplicemente proseguito nel suo progetto, senza guardarla in faccia, senza pensare, senza tornare indietro sulle decisioni già prese!

"Signore, mi senti?  
Perché non rispondi? 
Ti senti male?"

Ancora quella voce. Se ne stava seduto, in silenzio, da tempo immemorabile ascoltando, sperando di sentire qualcosa, ed ora che qualcosa sentiva non sapeva più che fare! 
Assurdo...

"Signore, signore... mi aiuti a costruire il mio castello?
Per favore, ti sposti un poco?"

... ma vero! 
Lei lo guardava, gli parlava, e lo tirava per i pantaloni per scuoterlo dal torpore che lo rendeva immobile, insensibile a tutto. 
Eppure iniziava a pensare, se lei lo vedeva, gli parlava, lo scuoteva... forse, non sarebbe stato più solo, forse avrebbe avuto compagnia, forse le cose potevano ancora cambiare.

"Ehi, signore, dico a te... mi senti?"

Dopo i primi tempi si era abituato a sentire le loro parole, le loro preghiere, sempre uguali, sempre a chiedere, sempre noiosamente prevedibili...

"Signore, se ti senti male ti aiuto io. Perché non fai un bel respiro?"

Poi aveva dovuto sopportare la loro stupidità, aveva provato a capirli, aveva provato a farli ragionare, aveva provato a cambiarli, a convincerli, a obbligarli a ragionare, ma senza successo!

"Ti prego... svegliati, mi spaventi!"

Così aveva preso una decisione, l'unica possibile, quella estrema... e l'aveva fatto! Una, due, tre volte... e questa sarebbe stata la... non ricordava!
Eppure qualcosa lo tratteneva, un pensiero, una strana sensazione di malessere, una vocina piccola, squillante, allegra, innocente. 
La voce di una piccola bimba che continuava a chiamarlo e tirarlo per la maglia, scuoterlo senza sosta... 

"adesso ti sveglio io..." 

Uno schizzo d'acqua fresca lo colpì sul viso, ridestandolo dal torpore millenario in cui era sprofondato dall'ultima volta...

"Come ti chiami bimba?"

Le parole gli erano uscite di bocca quasi senza volerlo. Quel suono che non sentiva da tanto tempo, il suono della sua voce, lo riportò alla realtà. Aveva deciso, sarebbe stato per un'altra volta. 
Il Diluvio avrebbe dovuto aspettare, adesso aveva qualcosa di più importante a cui pensare.

Doveva giocare con la sua nuova piccola amica a costruire castelli di sabbia...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 19 marzo 2011

Il vecchio cotonificio...

"La mia storia è come quella di tanti ragazzi del sud...
una vita spesa a lavorare, cercando di mettere qualche soldo da parte per poter un giorno tornare al paese.
Ma, sedetevi, la mia casa è povera ma una sedia e un bicchiere d'acqua fresca non si nega a nessuno".

Il vecchio signor Peppino era sempre gentile con noi e ogni volta che andavamo a trovarlo ci raccontava qualche storia di quando era giovane...
Io avevo 10 anni quando lo conobbi per la prima volta, ora ne ho molti di più, ma non l'ho mai dimenticato... 

Un giorno la maestra di quarta elementare ci aveva detto che dovevamo fare una ricerca, dovevamo parlare dei lavori del 1800 nella Lombardia. Così ai miei genitori venne in mente di portarmi a Gorla, un piccolo paese subito fuori Legnano (dove abitavamo) dove qualche anno prima avevano conosciuto per caso un vecchio signore che aveva allora almeno ottanta anni e che aveva lavorato nel vecchio cotonificio Cantoni. Lui avrebbe saputo render sicuramente interessante la ricerca...

"Volete sapere come si lavorava in un cotonificio? Mh... è stato tanti anni fa che non ricordo più neanche il nome del proprietario..."

Oggi so bene che scherzava, il vecchio signor Peppino aveva sempre voglia di scherzare, ciò che non gli era mai mancato era proprio una memoria di ferro e la voglia di vivere che lo portava sempre a vedere il lato positivo delle cose... eppure allora mi sembrò quasi una inutile perdita di tempo. Non capivo perché mio padre mi avesse voluto far conoscere quello strano vecchio. Avrei potuto semplicemente andare in biblioteca, sedermi ad un tavolo e sfogliare uno di quei grossi libri pieni di foto del passato... ma mentre pensavo, il vecchio assunse un'aria pensosa e, chinata la testa come se portasse sulle spalle tutti gli anni del mondo, cominciò a parlare. 
La voce era roca, profonda, come se venisse direttamente dal passato... le parole erano poche e misurate, ne più ne meno di quelle che servivano per descrivere la vita di una Legnano del 1800 e dei sui tanti abitanti di allora, come se ci fosse stato anche lui!

"Allora Legnano era un bella cittadina, certo, non così estesa come oggi, ma comunque bella... la gente camminava per le strade con passo svelto, tutti andavano al lavoro o a sbrigare qualche commissione che non poteva aspettare oltre. Le signorine di buona famiglia erano sempre vestite a festa, scarpette lucide che si impolveravano subito per le strade di Legnano, abiti bellissimi in cotone fresco e colorato, adatti per la tarda primavera e l'estate, un po' meno per le altre stagioni. E quegli abiti, proprio quelli che esse indossavano, erano ciò che ci dava da mangiare... la mia famiglia lavorava al cotonificio Cantoni già dal 1830, quando era una semplice filanda. Il lavoro era duro ma onesto..."

All'inizio avevo pensato che il vecchio signor Peppino ci prendesse in giro, era il 1975, lui non poteva certo parlare di se stesso quando raccontava di ciò che accadeva nel 1830! Ma non mi importava più, il suo modo di parlare, la sua voce profonda e suadente avevano la capacità di portarmi indietro nel tempo, ascoltavo e vedevo le immagini di quelle persone, delle giovani ragazze che passeggiavano, del vecchio signor Peppino che lavorava alla filanda, vecchio già allora!

Senza rendermene conto riempii pagine e pagine di quaderno senza mai fermarmi, come guidato da una mano invisibile e sapiente... Il giorno dopo la maestra fu molto contenta del lavoro e disse che avrebbe conosciuto con piacere quel vecchio che era stato capace di ispirarmi.

Il tempo passò e io crescevo. L'esperienza con il signor Peppino era stata bellissima e toccante, e così ogni anno i miei genitori con una scusa qualsiasi tornavano a trovarlo. Ci presentavamo al cancello del giardino e mio padre lo chiamava da fuori, per nome, aspettando un cenno di autorizzazione per andare oltre. Poi entravamo, io correvo sempre avanti, i miei genitori seguivano con passo svelto. Ogni volta portavamo qualcosa, un pane di grano duro, una salsiccia, una bottiglia di vino. E lui, come quella prima volta, ci offriva da sedere, un bicchiere d'acqua fresca e poi cominciava a raccontare... ed ogni volta era come quella prima volta per me. Restavo incantato ad ascoltare per ore, senza quasi parlare. Poi, poco prima di cena andavamo via dopo aver ringraziato e salutato con rispetto quel vecchio pezzo di storia. Così ogni anno fino a quando non dovetti partire.

Avevo 19 anni quando andai via da casa, ero stato preso in Marina e dovetti partire per la Sicilia... Ero contento, la Sicilia era la terra del vecchio signor Peppino, forse non l'avrei più visto ma almeno avrei potuto conoscere la sua terra.
Il tempo passò, mi sposai, mi trasferii a Roma dopo aver lasciato la Marina e grazie agli studi assidui e alla voglia di lavorare trovai un bel posto sicuro e riuscii a comprarmi una piccola casa in periferia... Tornavo a casa, a Legnano, di tanto in tanto, per trovare i miei genitori che invecchiavano. Col tempo dimenticai le visite al signor Peppino, probabilmente era morto ormai, e i miei genitori non dissero più niente.

Era il 25 aprile del 2000 quando nacque mio figlio. Lo chiamammo Francesco e fu una festa per tutta la famiglia. Per i miei genitori era il primo nipote ed ogni anno, in estate, pretendevano che stesse da loro almeno per un mese. Avevano tante cose da insegnargli, dicevano... io e mia moglie eravamo contenti e li lasciavamo fare.

Per il decimo compleanno di Francesco, il 25 aprile 2010, decidemmo di festeggiare in famiglia. Arrivammo a casa mia la sera del 24, in aereo. L'aeroporto di Malpensa era vicino e così mio padre venne a prenderci in macchina. La sera incartammo i regali e mio padre disse che il regalo per Francesco non si poteva incartare... ma non disse niente di più, aveva un'aria misteriosa che non era da lui. 

La mattina del 25 aprile Francesco ricevette i suoi regali e come tutti i bambini dei nostri giorni venne sommerso da giocattoli elettronici e qualche libro. Mio padre disse che ancora non era arrivato il momento del suo regalo, occorreva aspettare alle cinque del pomeriggio...
Pranzammo tutti assieme, prendemmo il caffè e aspettavamo con ansia di scoprire quale fosse il regalo del nonno che non era stato mai così misterioso!

Mancava mezz'ora alle cinque e Francesco era visibilmente impaziente, forse sperava di ricevere la nuova play station, magari con qualche gioco che avrebbe potuto mostrare ai suoi amici di scuola... 
Poi finalmente, mio padre si alzò dalla sedia, in silenzio e fece cenno di seguirlo. Salimmo in macchina. Guidò per venti minuti, nel traffico di Legnano... lungo la strada semafori rossi, fabbriche, persone in bicicletta, alberi grigi lungo i viali... poi un cartello: Gorla, indicava la nostra destinazione. Eravamo arrivati!

Di colpo mi tornò in mente il volto del vecchio signor Peppino, la sua voce, i suoi racconti e un'idea pazza, per un attimo, mi passò per la mente.
Mio padre si fermò di fronte ad un giardino che conoscevo bene. Scendemmo dalla macchina in silenzio, ci dirigemmo verso il vecchio cancello grigio e li ci fermammo. Mio padre pronunciò il nome a voce alta, secondo un rituale antico, che ben conoscevo... attendemmo alcuni secondi, come tanti anni prima, finché ad un cenno entrammo nel giardino. Francesco corse avanti, come se si trovasse a suo agio, d'altra parte stava per ricevere il suo regalo di compleanno...
Un vecchio dalla pelle scurita dal tempo stava sulla porta e ci aspettava, ci accolse cordialmente, ci offrì una sedia e un bicchiere d'acqua fresca... 

Poi, cominciò a raccontare...  

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO