In questi giorni la televisione e le principali testate giornalistiche nazionali hanno dedicato ampio spazio alle imprese belliche del neo presidente americano Donald Trump.
Prima l'attacco in Siria, condotto attraverso l'attacco della US Navy con missili da crociera Tomahawk contro la base aerea di Al Sharyat, attacco che è avvenuto attraverso il lancio di 60 missili da crociera. In termini di costi dichiarati, solo per i missili sono stati letteralmente bruciati circa 112 milioni di dollari.
Poi, a distanza di qualche giorno la notizia da parte del Comando centrale americano di aver impiegato una super bomba, la GBU-43 Massive Ordnance Air Blast bomb (MOAB), contro un obiettivo costituito da un complesso reticolo di tunnel impiegato dall'ISIS in Afghanistan. La MOAB per le sue dimensioni e la potenza distruttrice è anche chiamata "Mother of All Bombs", pessimo nomignolo dato che la madre è solitamente associata alla "nascita" della vita e non alla distruzione. Il costo di una singola bomba, operativa dal 2003, fu commissionata in quattro esemplari nel 2009. Il costo dell'attacco contro il reticolo dei cunicoli, con riferimento alla sola bomba è stato di quasi 15 milioni di dollari.
Infine, le dichiarazioni bellicose nei confronti della Corea del Nord, richiamata all'ordine, dichiarazioni bellicose americane con risposta, altrettanto bellicosa del Mareciallo Choe Ryong Hae che ha risposto alle minacce americane con un secco: "Risponderemo alla guerra con la guerra totale e al nucleare col nucleare".
Ma sembra che gli USA non intendano ragioni.
Da poliziotto mondiale si sono trasformati, con l'arrivo di Trump, in padroni del mondo?
Così sembra. Non che la cosa desti molto stupore dato che l'assegnazione del compito di regolare le questioni più spinose alle Nazioni Unite attraverso il suo organo principale, il Consiglio di Sicurezza, non ha finora portato a niente.
Che dire, chi poteva aspettarsi un simile comportamento da parte del presidente Trump, salito alla Casa Bianca dietro auspici di pace con la Russia?
In effetti tempo addietro riflettevo proprio su questo. Lo spunto della riflessione mi era stato dato da un articolo letto sul numero di gennaio di "The Economist".
L'articolo, dal titolo "Briefing The Trump administration" illustrava la composizione del team del nuovo presidente e metteva in evidenza le differenze principali tra questo e il team del presidente Obama.
La cosa che mi ha colpito di più di quell'articolo è la percentuale di ex-generali presenti nel team, il 9%!
Il secondo dato che mi ha colpito è relativo ai miliardari: una percentuale ancora maggiore di quella degli ex-generali, il 14%.
Mi chiesi cosa poteva significare questa combinazione di potenziali all'interno del team del presidente.
Forse mi sbagliavo e mi sbaglio ancora, ma l'unione di uomini di guerra e finanza dove volete che porti?
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO