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mercoledì 18 dicembre 2013

Parole, soltanto parole...

- Chiare e ben distinte, mi raccomando!
 
Mi dice l'assistente di regia senza guardarmi in faccia. Sono solo una delle tante centinaia di ragazze in fila per il provino, alla ricerca di un posto da doppiatrice.
 
- Legga prima di tutto le due pagine che le daranno l'idea del contesto, si cali nella parte e poi quando le faccio cenno legga la frase che ha sul foglio, quella in neretto.
Cerchi di dare il massimo la prima volta, non c'è un secondo tentativo. Oggi è tardi...
 
Come dire, diamoci una mossa che me ne devo andare a casa. Grazie per l'incoraggiamento, mi verrebbe da dire, ma poi mi trattengo, nel mondo dello spettacolo sono tutti suscettibili e non vorrei che mi cacciassero senza neppure aver provato a leggere la mia frase "in neretto".
 
- Si ricordi di avvicinarsi bene il microfono alle labbra
 
Si, lo so, è il settantaquattresimo provino che faccio!
Pensai, senza aprir bocca. La guardai in faccia sperando che alzasse lo sguardo ma ancora una volta l'assistente di regia mi ignorò, sembrava lo facesse apposta. E poi quando parlava era così impersonale, semprava che parlasse al muro, non ad una persona. Odiosa...
 
- Ha detto qualcosa? Non ho sentito bene...
 
Accidenti!
Che mi fosse sfuggita una parola? E ora? Cosa dovevo rispondere? Forse era meglio far finta di niente... Meglio girarsi dall'altra parte e far finta di non aver sentito. Eppure mi era parso, per un attimo, che mi avesse guardato in faccia, proprio mentre pensavo che era odiosa. Che sfiga! E se mi avesse letto nel pensiero? Ma no, è impossibile, queste cose accadono solo in tv e nei romanzi. Probabilmente avrò mosso le labbra e lei avrà intuito qualcosa. Magari le sono antipatica, come lei è antipatica a me. Se fosse così sono rovinata!
 
- Aspetti un attimo, la regia non è ancora pronta...
 
Che strega, ancora quella voce stridula nelle orecchie. Non la sopportavo proprio. Non vedo l'ora che finisca questo provino, e dire che questa mattina non volevo neanche venire! Che razza di vita, non ne posso proprio più! E se dovessero assumermi come farò? Non credo che la sopporterei tutti i giorni.
 
- Può andare, è il suo momento...
 
Se mi dovessero assumere... avrei fatto di tutto per starle lontano...
 
- Signorina tocca a lei...
 
Se mi dovessero assumere farò di tutto per farla licenziare. Non la sopporto proprio, non la posso vedere ne sentire...
 
- Signorina, legga la sua frase, quella in neretto...
 
Se mi assumono... devono assumermi! Io sono brava, sono la migliore e poi...
 
- Signorina, la prego, non faccia come le altre volte, legga la sua frase!
 
Ormai ho una certa esperienza di provini!
Tutta colpa di quella strega, non la sopporto!
 
- Signorina, la prego, non so più che fare per aiutarla. Dica qualcosa, la prego...
 
Non può andare avanti così!
L'assistente di regia mi guardava dritta negli occhi e parlava, parlava... ma io non la sentivo più. Mi girai come le altre settantatre volte e me ne andai verso la porta, scoraggiata e delusa! Non sapevo se avrei avuto il coraggio di tornare ancora.
Non ne posso più di quella. 
E' tutta colpa sua, mi fa paura come mi guarda,
e poi quella voce...
 
...la prossima volta la uccido! 

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 15 dicembre 2013

Sulla Biblioteca di Alessandria, dal Poliorama pittoresco anno quarto - semestre primo (1839-1840)

Proseguendo la ricerca sulla biblioteca di Alessandria mi sono imbattuto in alcune ulteriori informazioni, cercherò di essere sintetico e non ripetitivo, spero di riuscirci.
Come già detto nel precedente articolo: notizie varie sulla Biblioteca di Alessandria d'Egitto, la biblioteca nasce dall'idea di Demetrio Falereo, egli consigliò al re Tolomeo I di:
"comporre una biblioteca di autori di politica, e di cercar tutti gli autori che trattassero di materie di stato, ne' quali troverebbe de' consigli che nessuno de' suoi amici oserebbe dargli. Piaciuto a Tolomeo questo avviso, Demetrio per lui raccolse de' libri politici, nè di ciò pago,persuase al re di fare ad imitazion di Pisistrato e di Aristotile, una collezione di tutt'i libri poetici filosofici e storici di ogni nazione, perchè i dotti potessero studiare e paragonare le conoscenze diverse e perfezionar le scienze."
Secondo Eusebio, alla morte del re la biblioteca conteneva 100.000 volumi.
Con il suo successore, la biblioteca crebbe e molti studiosi furono invogliati dall'attitudine del nuovo re di proteggere gli studi:
"Un gran numero d'ingengi distinti vissero alla sua corte ed arricchiron la sempre crescente libreria, delle lor opere. Il poeta Callimaco pubblicò degl'Inni; il sacerdote Manetone dettò una storia d'Egitto, di cui avanzano de' preziosi frammenti."
Ma chi guidò la Biblioteca?
Ufficialmente il primo bibliotecario fu Zenodoto di Efeso (330-260 a.C.),
"che aveva studiato la poesia con lui (il re Tolomeo Filadelfo) e la grammatica con un Fileta. Ei comprò dagli ateniesi le ricche biblioteche di Aristotile e di Teofrasto."
ma, se volessimo essere corretti il primo fu il fondatore, Demetrio Falereo.
Poi fu la volta di Eratostene (275 - 195 a.C.) nominato da Tolomeo Evergete (284 - 222 a.C., terzo della dinastia), anche se pare che vi siano stati altri bibliotecari nel mezzo.
"Questi era celebre soprattutto come geografo e come storico."
Il terzo bibliotecario sarebbe stato Apollonio, autore di un poema sugli Argonauti, dunque immagino si sia trattato di Apollonio Rodio (295 - 215 a.C.). Alcuni invertono l'ordine dei bibliotecari, Apollonio prima di Eratostene, chissà come è andata veramente.
Il testo prosegue indicando il bibliotecario che custodì i libri sotto il nuovo re Tolomeo Epifane (210 - 180 a.C.) lasciando un buco relativo a Tolomeo IV Filopatore (244 - 205 a.C.).
"Sotto Tolomeo Epifane il conservator de' libri fu il poeta Aristonimo. A que' tempi, Eumene I, re di Pergamo, stabilì nella capitale del suo regno una biblioteca che poi divenne rivale di quella di Alessandria. Aristonimo disegnò di recarsi appresso Eumene; ma Tolomeo Epifane per tema che Aristonimo accrescesse la biblioteca del suo nemico il fe' chiuder per qualche tempo in prigione: proibì pure l'esportazion del papiro. Allora inventossi a Pergamo quella carta che dal luogo fu detta pergamena."
Se devo dire la verità di questo Aristonimo non ho trovato traccia da altre parti, ma ciò non significa niente, magari troverò qualcosa più avanti.
Interessante questa guerra per la conoscenza, evidentemente i sovrani di quel periodo si rendevano ben conto dell'importanza della conoscenza e del vantaggio che questa dava nel mondo reale. Sapere è potere!
Interessante anche la storia della nascita della pergamena.
Il testo prosegue la storia della Biblioteca passando al re Tolomeo Fiscone (detto il Ventruto) ovvero Tolomeo VIII Evergete II (182 - 116 a.C.), l'ottavo re della dinastia.
"Sotto il regno di Tolomeo Fiscone (il Ventruto) fu creata un'altra biblioteca, quella del Serapione cosiddetta dal dio Serapide nel cui tempio allogossi. Fiscone esigeva da tutti quelli che approdasser ad Alessandria, che gli portasser de' libri per farli copiare; ma egli ritenevasi gli originali e rendeva in loro vece copie. Chiese agli Ateniesi le opere di Eschilo, di Sofocle e di Euripide, promettendo loro di render gli originali, e diè quindici talenti in guarentigia della promessa; ma ottenuti què preziosi manoscritti, non liberò la sua parola, lasciando senza rammarico il dato pegno. Con modi si poco onesti il Ventruto fè una numerosa collezione."
Certo che questo re era un fior d'imbroglione, anche se per il bene della sua biblioteca. Sotto di lui fu bibliotecario un certo Aristofane, non quello delle "Nuvole".
La storia della distruzione della biblioteca sotto Cleopatra a causa dell'incendio che Cesare fece appiccare e il fatto che poi Antonio ricostituì la collezione è più o meno simile, anche se si dice che Antonio per la sua donazione fece ricorso ai 200.000 volumi della biblioteca di Pergamo, evidentemente passati di mano!
Nella biblioteca vennero custodite le opere storiche delle antichità etrusche e cartaginesi, di cui ora non ci resta purtroppo praticamente niente.
In questo testo si introduce però una ulteriore distruzione, non presente nel precedente, si dice infatti:
"Nel 390 i dotti del paganesimo coltivavan pacificamente le lettere nel Serapione allorché Teofilo, patriarca d'Alessandria, risolvette distrugger la idolatria nella sua diocesi. Egli ottenne un editto di Teodosio il Grande, che gli permettea di distrugger tutt'i tempi de' falsi dei. Mentre intendeva metterlo in esecuzione, i pagani indignati ritiraronsi nel Serapione e coraggiosamente vi si difesero. Sostenuto dalle truppe imperiali, Teofilo forzò i filosofi e i grammatici nel loro asilo: essi furono obbligati a salvarsi con la fuga; il Serapione fu saccheggiato e distrutto; ed Orosio che visitò Alessandria nel 410 non trovò più biblioteca ne ivi ne altrove."
Ecco dunque che ancora una volta, questa volta a causa dell'intolleranza religiosa cristiana, il compimento di un crimine contro l'Umanità, la distruzione della conoscenza.
Nello stesso testo si dice che la presunta distruzione della biblioteca ad opera degli invasori mussulmani del 640 sia un falso. Questo perché gli autori del periodo successivo non ne parlano. Si dice infatti:
"Gli autori greci che han raccontata la espugnazione di Alessandria, e'l patriarca Eutichio, non dicono una parola di questa pretesa distruzione."
Si dice inoltre che la legge islamica proibisce di dare alle fiamme i libri cristiani e giudei acquisiti in guerra.
Allora, forse, la distruzione avvenne 390 e non nel 640 d.C.!
Chissà qual è la realtà, ormai nascosta dalle nebbie dei tempi?
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 14 dicembre 2013

Notizie varie sulla Biblioteca di Alessandria d'Egitto

I libri, a mio parere, sono una delle massime opere dell'ingegno dell'uomo e gli spazi che li custodiscono sono il loro equivalente per quanto riguarda i luoghi.
Io adoro le biblioteche, luoghi in cui sono capace di perdermi per ore ed ore, dimenticando tutto!
Una delle biblioteche più famose è la biblioteca di Alessandria d'Egitto, secondo alcuni vi erano custoditi centinaia di migliaia di testi di ogni genere.
Purtroppo la sua storia è legata a diversi incendi che di volta in volta ne hanno distrutto il contenuto.
Questa fantastica biblioteca però, come la Fenice, ogni volta rinacque!
 
Vediamo cosa ci dice il Nobile Don Luigi dei Conti Odescalchi nella sua opera sull'Egitto: "L'antica Memfi, ossia, Scorsa in Alessandria d'Egitto al Nilo, al Cairo, Eliopoli ed all'antica Memfi", pubblicata a Pisa nel 1840. Parlando del porto nuovo di Alessandria, dice che
 
           "Il fortino che ver ponente forma la sua punta passava sotto il nome di piccolo faro e sarebbe quì poco distante che Norden e Denon situano quella famosa Biblioteca riunita da Tolomeo Filadelfo per opera di Demetrio Falereo riguardata come la bellissima del mondo."
 
Tolomeo Filadelfo (308-246 a.C.) fu il secondo re della dinastia dei Tolomei d'Egitto, sotto cui sembra sia stata fondata la Biblioteca. Demetrio Falereo invece fu un politico e filosofo greco, secondo Strabone fu lui, durante il suo periodo di esilio ad Alessandria, già dal periodo del primo dei Tolomei, ad avere l'idea della biblioteca. Ma andiamo avanti con il testo:
 
          "La sua costruzione debbesi a Tolomeo Lago il primo di questa dinastia, che la divise in due fabbricati, uno detto Biblioteca madre, conteneva trecentomila volumi; e l'altro col nome di Biblioteca figlia ne raccoglieva ancora duecentomila."
 
Tolomeo Lago, ovvero Tolomeo I Sotere (367-283 a.C.) fu il primo re della dinastia dei Tolomei d'Egitto, morì nel 283 a.C.. Demetri Falereo fu suo consigliere.
La Biblioteca, dunque, organizzata in due differenti edifici, sembra contenesse cinquecento mila volumi, un numero immenso visto il periodo. Immaginate quali tesori doveva contenere...
 
          "Bruciò questa in gran parte pel fuoco comunicatole dalla flotta egizia, allorchè Giulio Cesare venuto a giornata con Achilla generale di Tolomeo, nel proprio porto l'incendiò."
 
La distruzione della Biblioteca avvenne nel 48 a.C., più per errore che per volontà. Purtroppo in quell'incendio furono distrutti libri di cui noi non avremo mai alcuna notizia!
 
          "Venne in seguito riedificata da Cleopatra, che Antonio presentò di altri duecento mila volumi, de' quali in uno co' stati suoi Attalo re di Pergamo elesse in erede il popolo Romano 146 anni A.C.
 
Sembra che l'Attalo di cui si parla sia Attalo III, re di Pergamo (in Turchia), non aveva alcun interesse a regnare e lasciò il regno alla repubblica Romana. Esistono varie ipotesi che contestano la distruzione della Biblioteca. Sembra infatti che solo una parte sia stata distrutta.
 
          "Ma il califfo Omar di quanto era in Egitto facendovi ruina, ordinò si consegnasse alle fiamme dicendo: Se tale Biblioteca rinchiude ciò che trovasi nel Corano, ella è cosa inutile; e se tutt'altro capisce io la stimo pregiudiziale."

Tale distruzione sembra sia avvenuta nel 642 d.C.. Vi sono però alcuni sostenitori di altre distruzioni.
Il Califfo Omar (581-644 d.C.) fu califfo dopo Abu Bakr.

Ma la Biblioteca di Alessandria non fu la prima ne la più antica, nello stesso libro si parla infatti di una Biblioteca a Memfi, chiamata biblioteca di Vulcano.

          "La biblioteca di Vulcano in Memfi venne consultata dai primi savj dell'Universo, tra i quali da Ometo e da Pittagora. Si desidererebbe conoscere in quale idioma e su qual materia erano vergati i libri di tal biblioteca, massime i 38.000 volumi scritti da Ermete 2226 anni circa A.C.. e consultati dal saccente Manetone intessendo la sua istoria d'Egitto."

E con queste notizie mi fermo, ma non finisce qui!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
 
 
 

Il potere del silenzio, di Carlos Castaneda

Se non sono vent'anni che questo libro fa parte della mia biblioteca, poco ci manca!
Nel tempo ha cambiato posizione nella libraria e nelle varie case in cui ho abitato, assecondando le tendenze di lettura del momento. I giorni scorsi, durante il riordino della libreria, è riemerso ancora una volta e così, dopo averlo iniziato e abbandonato diverse volte, almeno tante quante "Il pendolo di Foucault", sono riuscito ad arrivare alla fine.
Comincio col dire che leggere "il potere del silenzio" è stata un'impresa non banale. Non avevo mai letto niente di Castaneda (1925-1998) e non ne conoscevo la storia. Antropologo peruviano naturalizzato USA, scrittore di successo, nagual ovvero stregone e maestro, se non ho capito male.
Avrei dovuto cominciare a leggere il primo suo libro (Gli insegnamenti di Don Juan, una via Yaqui alla Conoscenza), forse avrei capito prima in cosa mi ero imbattuto, ma a volte non si può scegliere, alcune cose succedono e basta.
Dopo un primo momento di stupore, in cui cercavo di capire tutto ciò che leggevo, procedendo quasi a marcia indietro nella lettura, ho cambiato approccio cercando di trovare delle somiglianze tra le esperienze descritte e la mia vita. Probabilmente Don Juan avrebbe detto "Stupido, devi separarti dal mondo reale", ma tutto sommato io ho trovato utile fare così.
Il libro racconta parte dell'esperienza dell'autore nel suo percorso verso la magia Yaqui (o verso una diversa forma di Conoscenza?), sotto la guida esperta dello stregone, il suo maestro, Don Juan.
Storie bizzarre si susseguono a momenti di riflessione sullo spirito e sulle tecniche per congiungersi con esso. Essenziale, in ogni caso, la presenza di un nagual!
Durante la lettura mi sono sentito diverse volte scoraggiato e pensavo di abbandonare ancora una volta, però alla fine mi sento soddisfatto e penso che acquisterò presto il primo libro della serie di dodici, per cercare di approfondire. Credo che sia interessante anche leggere la biografia di Castaneda per capire se alla fine, sia da considerare scrittore, antropologo o nagual, oppure, come probabilmente è, tutte e tre le cose assieme...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 13 dicembre 2013

Natura...

Che incredibile forza, la Natura!

Nascosta dietro l'apparente fragilità di una farfalla,
quanta forza creativa,
quanta bellezza in quelle forme simmetriche.

Mascherata dalla improbabile goffaggine di un panda,
dalla nuotata sinuosa di una manta,
quanta forza vitale in ogni essere vivente.

Nella sabbia del deserto o nelle profondità oceaniche,
nell'agitazione dei freddi venti polari,
nella pacatezza delle acque di una laguna,
nelle forme perfette di un atollo polinesiano
o nelle cime affilate dell'Everest,
quanta possenza in ogni Sua manifestazione.

Quanta violenza creatrice nel fuoco di un vulcano,
quanta forza distruttiva nel cadere di una valanga,
morte e rinascita, indissolubilmente legate tra loro.

Quanto tempo evolutivo
dietro la nascita di un microorganismo
o nella struttura del nostro codice genetico.
Migliaia, miliardi di anni di evoluzione
e di conoscenze ancora per noi incomprensibili.

Che maestosa rappresentazione di un Dio incommensurabile,
la Natura!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Revue des deux mondes - Ricordi dell'isola di Sardegna (Parte quarta)

Proseguo la traduzione dell'articolo della Revue des deux mondes, del primo febbraio 1863: "Souvenirs de la Sardaigne" del Conte di Minerva.

Per chi non avesse letto i precedenti ecco i link ai precedenti:

- Revue des deux mondes: Ricordi dell'Isola di Sardegna (Parte prima);
- Revue des deux mondes: Ricordi dell'Isola di Sardegna (Parte seconda).
- Revue des deux mondes - Ricordi dell'isola di Sardegna (Parte terza).

Ricordi dell'isola di Sardegna
del Conte di Minerva
(Parte quarta)
 
Al momento del nostro arrivo, dei paesani della fattoria e alcuni pescatori facevano una frugale colazione all'ombra degli olivi. Dei cani da guardia arrivarono furiosi su di noi; si affrettarono a trattenerli. Il signor Feralli non era ancora alla fattoria, ma una elegante barca che avevamo appena intravvisto in direzione sud-ovest, verso la punta del giglio, sembrava essere la sua e si calcolava che non avrebbe tardato a toccar terra. In effetti ben presto si poterono distinguere due uomini e tre donne sotto la tenda che ricopriva la parte posteriore del bastimento. Gian-Gianu me li nominò. C'era il signor Feralli, la sua donna e la loro figlia Argenia; un amico del signor Feralli, zio di Gian-Gianu, lo zio Gambini, come lui lo chiamava, con sua figlia Efisia.
Quando la Feluca arrivò a non più di cento metri dalla riva buttarono giù le vele e i due uomini scesero su un canotto che li condusse sulla spiaggia, dove noi eravamo andati loro incontro.
Il signor Feralli a prima vista non aveva niente che colpisse. Il suo viso, osservato ugualmente con attenzione, non esprimeva altro che sincera bonomia, unita a una certa sagacità dovuta alla conoscenza umana e l'abitudine agli affari.
Il suo modo di essere era quello d'un ricco proprietario di campagna della Beauce o della Brie.
"Vi chiedo scusa signore", mi disse avvicinandosi velocementee tendendomi la mano. Avvisato troppo tardi, non ho potuto venirvi incontro fino a Porto Torres. Sono stato trattenuto ad Alghero per un affare urgente con il mio amico Gambini, e lui stesso è voluto venire a scusarsi di essere stato, in qualche modo, causa della mia mancanza di cortesia-
Mi girai verso il signor Gambini per salutarlo e la sua fisionomia (me lo lasciate dire?) mi diede una impressione poco favorevole.
Si poteva sentire una sorta di fierezza selvaggia mal contenuta. I suoi capelli, completamente ricci, erano un tutt'uno con la sua barba e nonostante la sua corporatura diritta e ben composta, la sua attitudine orgogliosa, i suoi gesti bruschi e nervosi, annunciavano un vigore praticamente giovanile.
Appresi più tardi che egli aveva quarantotto anni e che possedeva tutta una grande regione del Campidano, il monte Minerva. Discendeva dai conti dei quali questa montagna porta il nome e sembrava che lui personificasse tutte le loro passioni violente. Il Conte di Minerva, che chiameremo più familiarmente Gambini era, come Gian-Gianu, restato fedele al costume nazionale: aveva solamente sostituito il "collete" in pelle di cervo con un giustacuore di drappo nero e il berretto frigio con un grande cappello di feltro. Alla cintura, una specie di cartucciera a tubi allineati, era inserito un pugnale col manico d'ebano, incrostato di madreperla, sul quale era poggiata la sua mano, fine, secca e nera. Portava in bandoliera un bel fucile a due colpi.
Si era appena chinato, con gravità cerimoniosa, per rendermi il saluto quando si raddrizzò bruscamente mettendosi a correre verso la spiaggia. Un bambino che proveniva dalla fattoria con una galletta di mais in mano era alle prese con un enorme cane di montagna, il cane dello stesso Gambini, che aveva rotto la catena, lasciata la feluca e guadagnato la riva a seguito del suo padrone. Una volta a terra, il cane s'era gettato sul bambino e gli aveva strappato la galletta, non senza dilaniare una delle sue piccole povere mani. E' in quel momento che Gambini intervenne tra i due in lotta. Correre sul vincitore, che si accucciò terrorizzato, estrarre dalla sua gola schiumante la galletta per gettarla al bambino, lanciare quindi il cane in mare, quasi accoppato dai quattro o cinque pugni ricevuti, fu questione di qualche secondo; ma il cane non aveva intenzione di tornare sul vascello sul quale era stato recluso: si mise a nuotare in direzione d'una roccia vicino alla riva.
"Riccio! Riccio! gridava Gambini con voce allettante e rauca, correndo lungo la riva. Il cane nuotava ancora. Allora Gambini si fermò, afferrò velocemente il suo fucile e dopo un ultimo appello premette il grilletto. Il cane, colpito a morte, si rigirò su se stesso e cadde in acqua che presto divenne rossa del suo sangue. In quanto a Gambini, tornò verso di noi, e con tono calmo disse: "Scusatemi, questi cani sono così indisciplinati di natura."
Strano carattere, mi dissi tra me e me. In un momento di collera avrebbe potuto uccidere un uomo come ha ucciso il suo cane?
In acqua! in acqua! gridò tosto Gianu, che faceva avanzare il canotto. Noi vi discendemmo tutti assieme e qualche minuto dopo ci trovavamo a bordo della feluca. Il signor Feralli mi presentò alle signore. La moglie dell'armatore era genovese e la figlia lo era divenuta. L'una aveva ancora, l'altra aveva avuto, quel genere di bellezza esuberante propria delle donne genovesi. Il carattere saliente della loro fisionomia era una docile benevolenza. Entrambe erano vestite come le donne di ricchi commercianti di città. Il taglio dei loro abiti era improntato ai giornali di moda francesi e la cultura locale veniva rivelata nei loro abiti solo dal "pezzoto" di mussola che costituiva la loro cuffia. La signorina Gambini era una persona di tutt'altra originalità. Alta, svelta, con un viso d'un ovale affascinante e quasi infantile, aveva pertanto l'aspetto serio e quasi severo, una piccola bocca vermiglia con un filo di broncio, la fronte unita e leggermente stretta, occhi neri, calmi e profondi. Il suo costume era completamente diverso da quello del paese di Alghero: ricordava invece quella regione montagnosa e selvaggia dell'isola di Sardegna che si chiama campidano d'Oristano, il paese in cui era nata la madre e in cui lei stessa era stata cresciuta.
 
Ora però, chi è interessato dovrà attendere alla prossima puntata,
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


giovedì 12 dicembre 2013

Revue des deux mondes - Ricordi dell'isola di Sardegna (Parte terza)

E' passato un po di tempo da quando ho pubblicato la seconda parte, vi chiedo scusa, proseguo ora la traduzione dell'articolo della Revue des deux mondes, del primo febbraio 1863: "Souvenirs de la Sardaigne" del Conte di Minerva.

Per chi non avesse letto i precedenti ecco i link ai precedenti:
- Revue des deux mondes: Ricordi dell'Isola di Sardegna (Parte prima);
- Revue des deux mondes: Ricordi dell'Isola di Sardegna (Parte seconda).


Ricordi dell'isola di Sardegna
del Conte di Minerva
(Parte Terza)
Questa campagna è la Nurra, che conserva ancora il suo soprannome primitivo di "terra dei pastori".
Prima di arrivare a Porto Conte, dovevamo scendere in questa vasta regione e attraversarla rapidamente. I nostri cavalli si sarebbero buttati al galoppo lungo un sentiero che fungeva da limite tra due alti splendidi pascoli (1). Non si sarebbero fermati che alla capanna situata sull'ultimo pendio della montagna, dove Gian-Gianu mi propose di entrare. Accettai l'offerta, certo che la sosta non sarebbe durata più di qualche istante.
La capanna era preceduta dall'"ovile"recinto riservato alle mandrie e formato da pali intrecciati con traverse. All'udire il rumore che annunciava il nostro arrivo, un giovane uomo coperto con una larga sopravveste in pelle d'agnello apparve sulla soglia. Dietro di lui arrivarono prontamente suo fratello e un vegliardo dall'aspetto fiero. Quest'ultimo mi strinse la mano così premurosamente, allo stesso tempo degno e cordiale, che ricordava veramente le età bibliche.
Venimmo invitati a passare un'ora in un "madao" o capanna dei pastori sardi. Entrammo.
L'abitazione, all'interno, era composta da un solo ambiente in cui il focolare, contornato da un cerchio di mattoni al centro del quale si elevava l'antico treppiede, occupava il centro. In quel momento nel focolare vi era acceso un gran fuoco e tanto fumo dentro la capanna, perché un foro obliquo praticato sul tetto offriva un'uscita di molto insufficiente al passaggio del fumo denso che riempiva il madao. I preparativi per la cena cominciarono sotto i nostri occhi: due spiedi reggevano l'uno due quarti d'agnello, l'altro le interiora dell'animale (uno dei cibi più ricercati della cucina sarda) furono esposti abilmente, dal padre e da uno dei figli, alla fiamma del focolare, mentre l'altro preparava la tavola.
Carlo Stefanoni, cui noi dovemmo questa rustica ospitalità, aveva quattro figli: possedeva quattrocento pecore e centoventi buoi. Egli era proprietario del "salto" di Dentolaccio e di due tancas su San-Govino.
Mentre ci dava questi dettagli i suoi ultimi figli, seguiti da due enormi cani, entrarono nella capanna e qualche istante dopo i due arrosti d'agnello fumavano tra un piatto di legumi ed uno di uova sode, sulla tavola di quercia, sulla quale erano state poste ancora, con una corbula piena di piccoli pani bianchi di forma bizzarra, una grande terrina contenente fianco a fianco delle salsicce e dei formaggi cagliati. Due vasi d'argilla somiglianti alle anfore antiche completavano il servizio, da una si poteva attingere dell'acqua fresca, dall'altra un vino denso, ma saporito.
La storia di questa onesta famiglia mi venne raccontata mentre facevamo onore all'arrosto d'agnello e alla cordula di interiora.
Il vegliardo si scusava, diceva lui, per non averci potuto ricevere come avrebbe voluto. Egli aveva perduto, ormai erano cinque anni, la sua povera figlia Maria: da allora lui diveva ricorrere alle figlie di Brangiu, il suo vicino, per impastare il pane e fare i formaggi; inoltre si attendeva di vedere uno dei suoi figli lasciare la famiglia prossimamente per andare a sposarsi. Tutte queste confidenze furono fatte senza amarezza.
Il pasto fu breve. Dopo l'espediente di Gian-Gianu, si sarebbe giunti a Porto-Conte in quattro ore, e sarebbe stato circa mezzogiorno. Nel giro di qualche istante prendemmo congedo dai nostri ospiti. Ad un segno del padre, due dei giovani pastori corsero in avanti e all'uscita del madao trovammo i nostri cavalli completamente sellati. Altri quattro cavalli erano pronti per i quattro fratelli che vollero scortarci fino ad un torrente vicino alla capanna. Tre ore dopo aver preso congedo da loro con una stretta di mano, così nobilmente ospitali, scoprimmo il mare immenso, d'un blu nerastro, tutto scintillante sotto il sole e coperto di piccole vele latine. Erano le barche dei pescatori di coralli sardi, toscani o anche napoletani, che in quel periodo dell'anno si davano appuntamento nel golfo deserto di Porto Conte e vi installavano per alcuni mesi la loro colonia errante. E' a Porto Conte, ci si ricordi, che dovevo incontrare il signor Feralli.
Nei pressi del golfo Gian-Gianu possedeva una piccola fattoria in cui sembrava impossibile entrare in altro modo che dalle finestre e qui egli ageva dato appuntamento all'armatore genovese.
Dovemmo arrampicarci per un pendio tra i più scoscesi, scendere una sorta di scala curva scavata nella roccia, impraticabile per dei cavalli diversi da quelli sardi, e ci trovammo all'ingresso di un cortile molto ingombrato e rustico. Ci trovavamo alla fattoria di Gian-Gianu e otto ore erano trascorse da quando avevamo lasciato Porto Torres.
Anche per oggi credo sia sufficiente, la prossima parte al più presto.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
Nota 1: I pascoli di pianura si chiamano "tancas", da una parola (senza dubbio celtica) che si ritrova presso i Pirenei e nella bassa Bretagna - tanca, chiudere.