In
quei primi anni di studio mi ero appassionato sempre più alla storia
antica. Avevo seguito il corso che più mi si attagliava,
l'archeologia e la storia degli antichi popoli mediorientali era il
nucleo centrale del mio corso di studi ma mi ero interessato anche
delle culture primitive centroamericane senza perdere occasione di
approfondire la storia della mia isola nei ritagli di tempo
sfruttando le enormi risorse della biblioteca.
La
biblioteca era quasi la mia seconda casa, almeno per numero di ore
passate al suo interno. Era enorme, custodiva decine di migliaia di
libri la cui consultazione era abbastanza semplice per gli studenti.
Divenni quasi subito buon amico dei bibliotecari e spesso mi lasciavo
guidare da loro nella scelta dei libri su cui approfondire i miei
studi.
Uno
di loro si chiamava Andrea, aveva una decina d'anni più di me e
lavorava li da quando si era laureato. Alto, biondo, colorito
pallido, sembrava provenire dal nord Europa, invece era siciliano, di
un paese in provincia di Enna che si chiama Nicosia. Era nato per
fare il bibliotecario, diceva sempre, e lo faceva con passione. Fu
proprio Andrea ad introdurmi nel mondo della biblioteca. Mi spiegò i
vari metodi di classificazione dei libri, come trovare velocemente
ciò che mi serviva consultando gli indici per titolo ed autore, mi
illustrò la disposizione dei libri sugli scaffali. Tutte cose di
comune utilità per un bibliotecario, ma non solo. Andrea era
innamorato dei libri, erano tutta la sua vita, sin da bambino per cui
mi raccontava la storia dei libri a stampa o i metodi di rilegazione
come ai bimbi si raccontano le fiabe. Le sue conoscenze erano
veramente enormi e quando si aveva bisogno di sapere qualcosa su una
particolare edizione di un certo libro bastava chiedere a lui e
raramente la richiesta non veniva soddisfatta! Fu lui che mi suggerì
di studiare i testi antichi possibilmente nella lingua in cui erano
stati scritti in origine. Diceva infatti che ogni traduzione
mascherava il testo originale non solo con una lingua diversa ma
anche con la cultura di chi lo traduceva e del periodo in cui ciò
veniva fatto.
Così,
per migliorare le mie conoscenze linguistiche frequentai dei corsi
paralleli di lingua greca antica e di ebraico senza trascurare le
lingue moderne, inglese e francese, che mi sarebbero state utili per
seguire i colleghi studiosi degli altri paesi.
Mi
laureai con una tesi sulla storia antica dei Caldei e mi iscrissi
immediatamente al Dottorato di ricerca. Il mio professore, Claudio,
divenne il mio mentore e quasi il fratello maggiore che non avevo mai
avuto.
Claudio
era basso di statura, leggermente sovrappeso e con i capelli grigi.
Indossava sempre un paio di occhiali a fondo di bottiglia che lo
facevano assomigliare ad un vecchio topo di biblioteca. Sotto il
braccio destro portava sempre un vecchio tomo dalla copertina rossa,
solo più tardi scoprii trattarsi della sua agenda personale di cui
era estremamente geloso e su cui prendeva appunti sulle novità e
scoperte della storia che più lo incuriosivano. La sua vita sociale
era inesistente, a meno che non si voglia considerare tale la sua
frequentazione della biblioteca dell'istituto. Non era sposato e
raramente si allontanava per andare a trovare l'anziano padre che
viveva solo a Pavia. Passammo assieme un fine settimana a Pavia,
durante il quale approfittai per visitare la Certosa.
Claudio
era un grande studioso, intelligente, paziente, con l'animo del
ricercatore e una enorme passione per l'insegnamento, cosa non comune
neanche tra gli insegnanti migliori. Anche da professore infatti non
si tirava mai indietro e conduceva le sue ricerche in prima persona
facendosi sempre promotore di nuove iniziative culturali. Era
difficile non innamorarsi della storia antica con un professore come
lui e infatti il suo corso era sempre il più seguito.
Solitamente
il sabato pomeriggio ci si incontrava nella biblioteca e scelto un
volume antico tra le migliaia di titoli disponibili, i partecipanti
si alternavano nella sua lettura ad alta voce e poi si discuteva
ciò che si era letto. Poteva sembrare una attività da scuola
superiore ma così non era, in questo modo noi studenti
approfondivamo la
conoscenza delle lingue antiche e degli autori classici e
allo stesso tempo imparavamo a conoscerci meglio.
La
vita da dottorando proseguiva tranquilla tra studi, lezioni e lavoro
da portinaio. Non mi potevo certo lamentare anche se quando avevo
lasciato la mia terra aspiravo a qualcosa di più.
Poi,
un giorno, Claudio mi chiamò per telefono annunciandomi di aver
fatto una scoperta che avrebbe cambiato non solo la sua vita ma –
disse – il mondo intero. Disse che avrebbe avuto bisogno di
qualcuno che gli desse una mano perché ci sarebbe stato molto lavoro
da fare e voleva che quello fossi io, mi chiese di diventare suo
assistente. Io non riuscivo a crederci, ma accettai immediatamente.
-
Certo Claudio, sai che puoi contare su di me. Ma cosa dovrò fare? Di
cosa mi dovrò occupare?
-
Alessandro, ne parliamo al mio rientro a Milano. Ora ho fretta e non
posso stare al telefono. Puoi venire a prendermi all'aeroporto?
-
Certamente, a domani sera Professore. Mi capitava spesso di chiamarlo
ancora professore nonostante ci conoscessimo da diversi anni e
fossimo ora buoni amici.
Mi
avrebbe raccontato tutto al suo rientro a Milano, sarei dovuto andare
a prenderlo il giorno dopo, a Malpensa alle 22.00, scalo
internazionale.
Claudio
negli ultimi due anni si era assentato diverse volte per lavoro,
stava svolgendo alcune ricerche nel sud America ma non mi aveva mai
parlato di questi suoi studi. Quando facevo qualche domanda
rispondeva sempre evasivamente e dopo un po' avevo pensato che fosse
meglio non fare domande sull'argomento. Ma ora cambiava tutto. Se
aveva bisogno di un assistente avrebbe dovuto spiegarmi di cosa si
stava occupando e del perché di tanta segretezza.
Passai
la serata in compagnia di alcuni amici nel pub irlandese che si
trovava vicino a casa cercando di non pensare troppo al futuro.
Diventare assistente di Claudio mi inorgogliva ma allo stesso tempo
significava che avrei dovuto lasciare il mio lavoro da portiere. La
cosa mi dispiaceva in fondo. Il lavoro non era pesante, mi piaceva e
mi piacevano soprattutto i condomini. Col tempo avevo imparato a
conoscerli bene. Oltre l'avvocato vi erano altre undici famiglie che
mi avevano quasi adottato. Mi sentivo un po' in colpa, ma non potevo
rinunciare all'opportunità di diventare assistente di Claudio.
Magari avrei potuto cercare un ragazzo del primo anno che avesse
bisogno di lavorare e presentarlo all'avvocato. Poi sarebbe stato lui
a decidere.
Quella
notte andai a letto tardi, non riuscivo a prendere sonno e così
passai alcune ore leggendo un libro.
Il
giorno dopo come al solito andai all'università. Il tempo sembrava
non passare mai.
Quella
sera come al solito pioveva.
Si
trattava di una pioggerellina sottile e fastidiosa e il vento
pungente proveniente dalle Alpi si sentiva nelle ossa, la nebbia
fitta inoltre rendeva le strade della periferia milanese molto
pericolose.
Decisi
di uscire di casa con largo anticipo e arrivai all'aeroporto mezz'ora
prima del previsto atterraggio. Fortunatamente trovai parcheggio
proprio di fronte agli arrivi internazionali così evitai di bagnarmi
troppo. Trovai un posto libero nella grande sala antistante gli
arrivi e nell'attesa lessi qualche pagina della biografia di Isaac
Newton. Un bel libro, ma la mente non faceva altro che pensare alle
parole del professore e poi il freddo della sera non mi lasciava un
attimo.
Lasciai
perdere la lettura e cominciai a guardarmi attorno alla ricerca di un
bar. Mi alzai e decisi di attendere l'arrivo del volo gustando una
tazza di cioccolata calda e cercando di trovare le risposte alle
tante domande che mi passavano per la mente.
Ero
curioso di sapere a cosa andavo incontro. Per telefono il professore
era stato evasivo, ma dalla sua voce intuivo che doveva trattarsi di
qualcosa di straordinario. Non l'avevo mai sentito così entusiasta
come la sera prima, al telefono.
Avevamo
parlato tante volte di misteri della storia che affascinavano
entrambi che vi era solo l'imbarazzo della scelta. Ancora pochi
minuti e avrei saputo di che si trattava.
Un
allarme fastidioso mi richiamò alla realtà.
Non
vi era stato alcun annuncio ancora ma diversi passeggeri si erano
diretti verso le vetrate che davano su una delle piste e parevano
visibilmente agitati. Mi resi conto che sotto il brusio generale si
sentivano in lontananza le sirene dei vigili del fuoco. Doveva essere
accaduto qualcosa.
Qualche
istante dopo una folla di gente si affacciava alle vetrate che davano
sulla pista. Un bagliore rosso fuoco la illuminava a giorno e le
esplosioni si succedevano spaventose.
Un
747 in fase di atterraggio con i suoi centosettanta passeggeri era
andato a impattare sulla pista esplodendo all'istante. Nessun
sopravvissuto!
Il
mio Professore, l'amico Claudio, avrebbe portato il suo segreto con
se, nella tomba, per sempre.
Vai al Cap. IV: Terra!
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Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
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