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martedì 20 aprile 2021

Il CISCO Co-Innovation Centre di Milano ad un anno dall'apertura

Nel gennaio 2020, ha aperto a Milano, all’interno della struttura del Museo delle Scienze, primo in Europa, il Cisco Cybersecurity Co-Innovation Center. 
A distanza di poco più di un anno ci è sembrato utile capire come vanno le cose. Così abbiamo pensato di intervistare il direttore, Fabio Florio. 
Fabio ci ha raccontato le sue esperienze in Cisco (tra cui la digitalizzazione di Expo Milano) e le attività svolte nel primo anno di vita del co-innovation centre. 

Fabio, il Co-Innovation Centre di Milano è l’ultimo investimento di Cisco in Italia. Il Centro ha aperto ormai da un anno per cui è tempo di trarre qualche insegnamento. Ci potete raccontare di cosa vi occupate, in quali settori agite? 

Il Co-Innovation Centre fa parte di un più ampio programma di investimenti della multinazionale Cisco nel mondo. Facciamo parte di una rete di centri di ricerca, ognuno si occupa di argomenti specifici, nel nostro caso i settori individuati sono la cybersecurity e la data privacy, aree in cui a nostro parere è necessario mettere assieme le competenze, anche per trovare le leve giuste per combattere questa guerra, perché di questo si tratta. 
Il nostro compito è quello di favorire l’innovazione in Italia attraverso investimenti mirati anche alla formazione. 
Per poter svolgere il nostro lavoro abbiamo bisogno di competenze in diversi campi, ed è per questo che diciamo “co-innovation” e non “innovation”. Co-innovare significa creare nuove soluzioni, insieme. 


Nel settore della ricerca e innovazione Cisco è all’avanguardia nel mondo. Quali sono le iniziative in Italia? Quali sono le partnership con Università e centri di ricerca? La collaborazione è limitata, può migliorare o ha raggiunto un buon livello?


Crediamo fermamente nell’importanza di lavorare in rete per cui le nostre iniziative non sono mirate solo a far conoscere i prodotti di Cisco ma coinvolgono anche altri attori, in primo luogo i nostri clienti, i nostri partner, le start up, le Università e le scuole più in generale. Per esempio lavoriamo molto con il CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica), anch’esso molto attivo nella cybersecurity. 
Le competenze più forti sono nel campo della formazione e il nostro obiettivo consiste nell’avvicinare i giovani alle tecnologie digitali, è anche per questo che abbiamo scelto il Museo della Scienza e della tecnica di Milano come sede. 
Spesso si sente dire che le tecnologie digitali, comprendendo sia il software che l’hardware, possiedono delle vulnerabilità ed è vero, ma non dobbiamo dimenticare che la vulnerabilità principale, l’anello debole della catena della sicurezza, è ancora l’uomo. 
La scarsa conoscenza dei sistemi, la tendenza ad ignorare le procedure di sicurezza per semplicità e a volte la mala fede, sono il vero problema. 
In questo settore c’è ancora molto da fare. Quello che occorre fare è sicuramente favorire la crescita della cultura nell’ambito della cyber security. Tra i temi più importanti vi è quello della “threat intelligence”, infatti in Cisco abbiamo un team di ingegneri e analisti che si occupa di ricerca e analisi dei rischi legati al mondo cyber, Talos. 
In media, giornalmente, vengono raccolti in tutto il mondo i dati relativi a circa 20 miliardi di attacchi, dati raccolti dai nostri sistemi e dai sistemi dei nostri clienti che decidono di condividerli per aiutarci a migliorare la sicurezza su Internet. Il nostro team lavora quotidianamente all’analisi di questi dati. 

Cisco è una multinazionale basata principalmente sul networking. Le cose stanno ancora così? 

In realtà le cose stanno cambiando. Certo, il networking è sempre importante, circa l’80-85% degli apparati di rete nel mondo è Cisco, ma altri settori si sono affiancati: la cyber security e le piattaforme di collaboration, videocomunicazione e telefonia, data center e soluzioni di virtualizzazione. A questi si affianca anche l’IoT. 
Oramai, sempre più, i nostri sistemi di rete sono integrati con i sistemi di sicurezza. Il nostro approccio è basato sulle architetture. Non si può più lavorare sulla sicurezza a posteriori, ma occorre pensare la sicurezza al momento in cui si crea l’architettura. 
Ormai essere attaccati è una cosa prevedibile, prima o poi tutti vengono attaccati. E’ importante essere in grado di difendersi ma anche di intercettare un attacco, rimediare e reagire. Non sono in tanti ad averlo capito, e questo è un problema. 

Per tornare alla formazione, qual è il vostro tipo di utenza? 

Sulla formazione noi facciamo leva sulla Cisco Networking Academy, creiamo contenuti che poi distribuiamo attraverso la nostra rete di partner educativi (le Academy). 
Principalmente ci rivolgiamo a giovani dalla quarta superiore in su, perché riusciamo a contribuire dando delle competenze che li aiutano a trovare lavoro, ma lavoriamo anche con istituzioni, realtà non profit, enti di formazione. 
Esistono corsi generalisti e anche specifici sulle tecnologie Cisco. Di solito chi si prende le certificazioni specialistiche nel giro di qualche mese riesce a trovare lavoro in quanto c’è una grande richiesta nel panorama italiano anche per chi non è laureato. 
Abbiamo rafforzato questo impegno nel quadro del programma Digitaliani e ormai abbiamo una media di 50.000 studenti l’anno, 8.000 che si certificano, e 345 Academy. 
Rendiamo disponibili questi corsi anche per il “re-skilling”, in ambito aziendale e pubblica amministrazione, che mira a riqualificare il personale nei nuovi settori e nel campo della digitalizzazione. 
Lavoriamo anche in contesti diversi. Per esempio, fin dal 2001 abbiamo portato una Networking Academy presso il carcere di Bollate. In questo modo cerchiamo di aiutare chi ha avuto problemi e magari, grazie a nuove motivazioni e nuove capacità, riesce a trovare un lavoro. In Italia ci sono già dieci carceri maschili e tre femminili che fanno parte del programma.
Tutti i processi interni aziendali stanno cambiando e non è facile trovare persone con le giuste competenze per ridisegnare i processi per il mondo digitale. 
Quello che vedo in Italia è che pian piano si sta migliorando ma manca ancora la capacità di capire come la digitalizzazione può aiutare a cambiare il lavoro. 

Cosa ci dici del mondo della Pubblica Amministrazione? 

Io vedo un ambiente che viaggia a marce diverse. Se parliamo a livello PA locale, esistono comuni preparati, ma sono pochi. Normalmente facciamo fatica a creare qualcosa perché sono molto ingolfati nella gestione quotidiana. 
A livello regionale le cose sono migliori in generale, anche perché spesso ci sono delle società “in-house” che si occupano proprio della digitalizzazione. 
A livello ministeriale è ancora diverso in quanto le risorse disponibili sono maggiori. 
Uno dei problemi che noi affrontiamo giornalmente è quello di far capire che per digitalizzare occorre studiare i processi interni e spesso modificarli per poter impiegare proficuamente le potenzialità delle nuove tecnologie. 
Noi cerchiamo di far capire che, al di là della tecnologia, occorre porsi delle domande: 
- quali sono gli aspetti organizzativi che occorre tenere in considerazione? 
- quali sono le competenze che il personale aziendale deve avere per gestire il nuovo processo digitale rispetto ad un processo analogico? 
Uno degli aspetti importanti se si vuol cambiare è che occorre essere coraggiosi e che bisogna avere voglia di cambiare le cose. 

Le vulnerabilità spesso sono anche hardware, non solo software. Quanto è importante l’hardware nella sicurezza? 

Hai toccato un aspetto importante in quanto non solo il software deve essere sicuro ma anche l’hardware. Noi pensiamo che la soluzione stia nello sviluppo chiamato “secure by design”. In ogni prodotto che noi sviluppiamo abbiamo due figure che partecipano al progetto sin dall’inizio, il security engineer e il privacy engineer. 

Una delle problematiche attuali su cui in Europa (e anche in Italia) si dibatte è quella della supremazia nazionale di alcuni settori strategici e anche dei dati. Cosa ne pensi? 

Secondo me è una cosa importante ma non so quanto sia fattibile. Credo che sia più importante sapere che chi ti dà il servizio è affidabile e capace di fornirti il servizio di cui hai bisogno. Devono esistere delle regole chiare che devono essere gestite in modo trasparente. 

Nuovi progetti per il futuro? 

Credo che adesso sia molto importante concentrarsi sui fondi che arriveranno sul Recovery Fund. Intorno a questi fondi (57% circa del totale) dovranno essere sviluppati tanti progetti per spendere le risorse che arriveranno e spenderle bene, su progetti che ci aiuteranno a cambiare realmente la nostra società. 
La pandemia ci ha portato ad un mondo quasi totalmente virtuale, il futuro probabilmente sarà ibrido e sarà importante avere dei progetti ben fatti. 
In questo ambito noi siamo impegnati sia nel settore collaboration che della sicurezza. 

Cosa ne pensi del concetto di “gamification” nell’ambito della cyber? Cosa fate voi in questo settore? 
Noi usiamo il principio anche per lo sviluppo della formazione interna di Cisco. E’ un po’ il futuro ed è sicuramente utile in quanto aiuta a completare dei percorsi e a mantenere vivo l’interesse. Non è facile ma probabilmente occorre abbinare il gaming al corso classico, per alzare la motivazione e stimolarti ad andare avanti. Noi abbiamo un’altra iniziativa di responsabilità sociale che chiamiamo “A scuola di internet”. In pratica noi dipendenti Cisco andiamo in giro per le scuole e spieghiamo a studenti e genitori le nuove tecnologie e i rischi che si devono affrontare. In quest’ambito per esempio abbiamo impiegato queste metodologie per stimolare l’audience e penso che sia un ottimo metodo per coinvolgere le persone. 

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