Capitano Federico Caprilli |
Il come ed il perché saranno gli argomenti di questo articolo.
Comincerò introducendovi il protagonista di questa storia: un giovane ufficiale Italiano della cavalleria chiamato Federico Caprilli. Nato nel 1868 a Livorno sulla costa ovest della penisola italiana, entrò nel Collegio Militare di Firenze all’età di tredici anni e fu selezionato per fare parte dell’Accademia Militare di Modena nell’anno 1886. Inizialmente giudicato non adatto per servire nella cavalleria dalle autorità mediche riuscì comunque ad essere selezionato dal Reggimento di cavalleria Piemonte Reale a Saluzzo e seguire i corsi alla Regia Scuola Militare di Equitazione a Pinerolo.
Nel suo reggimento si distinse come cavallerizzo di talento ( sfidando le autorità mediche che lo avevano giudicato non adatto) e fu selezionato per seguire il corso da istruttore alla scuola di equitazione di Pinerolo nel 1891 e nell’Ottobre dello stesso anno fu inviato nel neo costituito Ippodromo Militare di Tor di Quinto, appena fuori Roma. Questo fu creato con lo scopo di migliorare le pessime prestazioni delle forze di cavalleria nel superare gli ostacoli nel campo di battaglia. Proprio qui il giovale Tenente Caprilli cominciò a distinguersi, come cominceremo subito a vedere.
Prima di continuare, è necessaria una breve panoramica storica. Siccome l’introduzione di armi da fuoco moderne sul campo di battaglia fece dei cavalieri in armatura pesante uno strumento obsoleto, l’uso dei cavalli a fini militari fu suddiviso in tre rami con distinte (anche se a volte sovrapposte) aree di responsabilità. Queste erano fanteria montata, cavalleria pesante e cavalleria leggera. Nei prossimi paragrafi, le analizzerò una per una spiegandone le particolarità per capire al meglio il contesto della nostra storia.
La fanteria montata era il ramo meno prestigioso – e tecnicamente non si trattava di cavalleria in quanto il compito dei suoi membri non era quello di combattere a cavallo ( per questo motivo non erano dotati di sciabole o lance). Spesso vestiti in uniformi semplici e a cavallo di esemplari di qualità più bassa rispetto a quelli utilizzati dai colleghi della cavalleria, il loro compito era quello di avanzare velocemente ed occupare il territorio prima del nemico (lo stesso ruolo dell’odierna fanteria motorizzata) . Per questa ragione, erano spesso dotati di fucili da battaglia e non di carabine ed erano addestrati in tattiche di fanteria.
La cavalleria pesante era considerata da molti il ramo più prestigioso della cavalleria a causa dei costi di mantenimento e addestramento di ogni unità. Questa era l’arma di punta di molte armate (non diversa dall’odierno carro armato da combattimento) e il loro compito era attaccare e mandare in frantumi le formazioni della fanteria nemiche - in particolare la cosiddetta formazione a quadrato – una volta che questa veniva indebolita dal fuoco dell’artiglieria. Ciò richiedeva uomini forti su cavalli pesanti, equipaggiati con spade pesanti e capaci di controllare perfettamente le loro cavalcature al fine di presentarsi come fronte omogeneo durante l’attacco.
Per ultima, la cavalleria leggera doveva essere gli occhi e le orecchie dell’armata. A cavallo di esemplari vigorosi operava in piccoli gruppi che avevano il compito di seguire i movimenti dei nemici, trasportare ordini avanti e indietro per il fronte e compiere veloci e precisi attacchi a bersagli di opportunità come carovane di rifornimento nemiche o soldati non organizzati e in fuga dal campo di battaglia.
Ciò richiedeva uomini dotati di arguzia e spirito di sopravvivenza, la cavalleria leggera si evolverà in seguito in ciò che ai giorni nostri viene chiamato gruppo di ricognizione.
Alla fine del diciannovesimo secolo quando la nostra storia prende inizio, entrambi i rami della cavalleria erano ancora formalmente esistenti, tuttavia le linee di confine tra essi erano diventate sempre più sfocate. Tutte le truppe di cavalleria dovevano ricoprire una moltitudine di ruoli che includevano ricognizione e attacchi a cavallo – particolarmente contro altre unità a cavallo o di fanteria sorprese in campo aperto. Allo stesso tempo le armature ed elmetti in metallo scomparvero per l’uso sul campo (tranne che per l’armata Francese) e le fastose armature di una volta stavano diventando sempre più pratiche.
Comunque, la cavalleria non era l’unico ramo delle armate che si era evoluto in questo periodo. Il soldato di fanteria medio era ora equipaggiato con fucili dotati di caricatori e capaci di ratei di fuoco che non si erano mai visti in precedenza ed erano dotati di mitragliatori alimentati a nastro con sistemi di raffreddamento ad acqua e cannoni retrocaricati ed ammortizzati idraulicamente che potevano sparare munizioni esplosive dotate di congegni a tempo. Ciò significava che qualunque attacco di cavalleria contro un nemico ben preparato – e questa era la raison d’etre della cavalleria pesante – sarebbe stato un attacco suicida.
Il giovane tenente Caprilli realizzò ciò e capì che il futuro della cavalleria come arma a sé stante sarebbe stato a rischio se non si fosse presa alcuna misura per assicurare che il militare a cavallo potesse rimanere una figura rilevante sul moderno campo di battaglia. La risposta a questa sfida fu semplice e brillante. La cavalleria avrebbe dovuto trasformarsi nell’equivalente del diciannovesimo secolo del drone moderno, capace di trasportare informazioni e colpire bersagli di opportunità ovunque sul campo di battaglia – su qualunque terreno.
Un metodo per ottenere questo obiettivo era quello di trasformare la combinazione cavallo-cavaliere in un vero e proprio veicolo da fuoristrada capace di attraversare ostacoli che in precedenza sembravano impossibili da oltrepassare e dunque poter colpire da direzioni inaspettate. Nel contesto italiano ciò voleva dire – tra le altre cose – poter saltare muri di pietra e staccionate che separavano i campi nelle zone di campagna e salire e discendere dirupi in velocità. Ciò richiedeva un approccio completamente nuovo nella cavalcata e fortunatamente Caprilli era l’uomo giusto per questo compito.
Salvo vecchio stile |
Il salto ad ostacoli a cavallo esisteva come disciplina da ben prima dell’arrivo di Caprilli, soprattutto nei circoli di caccia alla volpe come è stato illustrato più volte in passato, ed è stato utilizzato già dalla cavalleria come metodo di fuga, con il salto di torrenti o staccionate. Il problema risiedeva nello stile del salto che richiedeva al fantino di piegarsi all’indietro sulla sella per bilanciare il suo equilibrio. Questo forzava il cavallo ad atterrare sulle sue zampe posteriori causando sconforto all’animale – ciò significava che l’altezza e la lunghezza del salto erano severamente limitate.
Caprilli decise per prima cosa di scoprire quale era la tecnica di salto dei cavalli quando non erano impediti dal peso e dalla guida del fantino. Usando una fotocamera per documentare le sue scoperte fece saltare vari ostacoli ai cavalli senza il fantino (il cosiddetto salto libero) per osservarne i movimenti. Ciò che scoprì fu che quando il cavallo saltava senza fantino, esso utilizzava le sue potenti zampe posteriori per darsi lo slancio mentre utilizzava le zampe anteriori per atterrare, utilizzando un movimento rotatorio – riferito come “bascule” – per bilanciarsi e sorpassare l’ostacolo.
Lo stile "Caprilli" |
Dopo aver stabilito le sequenze del salto naturale come fatto veritiero grazie alle fotografie, Caprilli dunque determinò quale dovesse esser la miglior tecnica del salto con il fantino presente sulla sella. La semplicità della risposta era solo pari alla sua brillantezza. Caprilli accorciò le staffe considerevolmente e spostò il suo seggiolino sulla parte posteriore della sella mentre manteneva le mani sul collo del cavallo. Questo gli permetteva di seguirne da vicino i movimenti e sollevarsi sulle staffe nel momento dello slancio e dell’atterraggio provocando meno fastidio al cavallo durante il salto.
Un altro elemento che Caprilli cambiò fu il ruolo del fantino. Nel vecchio sistema il cavallo era cavalcato verso l’ostacolo con l’aiuto (gamba inferiore, sella e redini) del fantino e veniva costretto a saltare in un preciso istante – essenzialmente facendo del salto un esercizio di dressage (un termine che può essere tradotto come addestramento). Caprilli decise invece di dare al cavallo molta più libertà fidandosi della sua innata abilità nel navigare attraverso gli ostacoli ed aggiustare velocità e momento di slancio per conto proprio. In breve fece del cavallo un compagno attivo e non uno schiavo del fantino.
I risultati di questo nuovo approccio furono spettacolari. Come il Fosbury Flop nelle competizioni di salto in alto della fine degli anni sessanta, questa nuova tecnica permetteva ai cavalli ed ai fantini di saltare più in alto e più in lungo, ben più di quanto si sarebbe mai potuto immaginare. Così Caprilli, nel 1894, fu reso istruttore di equitazione a Tor di Quinto. Tuttavia l’armata italiana fu lenta ad implementare i suoi insegnamenti e dopo essere tornato a Pinerolo nel 1895 fu subito inviato ad un reggimento di lancieri a Nola nel sud Italia. Tuttavia la causa di ciò potrebbe essere stata la sua reputazione da donnaiolo.
Non
scoraggiatosi, Caprilli continuò a sviluppare il suo “sistema”,
dimostrandone la sua efficacia vincendo competizioni di salto ad
ostacoli – a volte impiegando cavalli di qualità “mediocre”
per battere i suoi avversari che montavano cavalli decisamente
migliori ma che adottavano il vecchio stile. Continuò a raccogliere
sostenitori per il suo sistema e nel Giugno del 1902 fu promosso
capitano. Nel 1902 battè il record mondiale di salto in alto a
cavallo superando un ostacolo di 2.08 metri e nel 1904 gli fu chiesto
di tornare a Pinerolo dal comandante della scuola.
Nel 1905 divenne il direttore dei dipartimento e cominciò a mettere assieme le sue note per fissare su carta le sue riflessioni e dunque preservarle per i posteri. Sfortunatamente, il destino volle diversamente. In un fredda mattina di Dicembre del 1907 il suo cavallo scivolò e cadde su un ciottolato ricoperto di neve a Pinerolo. Il capitano Caprilli fu sbalzato a terra e svenne. All’ospedale gli fu diagnosticata una frattura cranica e morì senza mai risvegliarsi – portando con sé nella sua tomba le sue brillanti idee.
Fortunatamente per tutti gli studenti di equitazione (che include il salto agli ostacoli) vi erano molti discepoli che furono in grado di portare avanti la torcia di Caprilli e negli anni venti e trenta Pinerolo e Tor di Quinto erano considerate universalmente la Mecca dell’equitazione cross country con ufficiali da tutto il mondo che viaggiavano in Italia per imparare lo stile Italiano di equitazione. L’ eredità Italiana vive anche nella nomenclatura dello sport del salto ad ostacoli dove gli ostacoli utilizzati per il salto verticale sono chiamati “staccionata” e i piccoli ostacoli costituiti da una singola barra sono chiamati “cavalletti”.
Il disastro che fu la Seconda Guerra Mondiale pose fine a questa era, ma al giorno d’oggi lo spirito di Caprilli vive ancora non solo nello scenario italiano di equitazione ma nei molti fantini di tutto il mondo che saltano ostacoli ogni giorno utilizzando i movimenti naturali dei loro cavalli e mantenendo viva la sua brillante eredità.
Soren Anker Larsen*
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L'articolo, originariamente in lingua inglese, è stato tradotto da Francesco Rugolo.