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domenica 28 maggio 2017

L'Accademia dei Tuttologi compie dieci anni sul web.

Cari amici lettori, non avrei mai immaginato di poter festeggiare, un giorno, i dieci anni di vita di questo piccolo spazio dedicato alle riflessioni mie e di qualche amico.
Eppure è così!
Oggi l'Accademia compie dieci anni sul web (23 dall'inizio del percorso!).

Credo sia opportuno fare un punto di situazione.
L'Accademia, in quanto associazione di persone, può essere considerata di poco successo. Dopo un breve periodo durante il quale diversi amici hanno partecipato pubblicando qualche articolo, ormai quasi tutti gli articoli portano la mia firma.
Di tanto in tanto però qualche amico mi manda ancora qualche articolo, tra questi devo ringraziare Enzo Cantarano.

In quanto a collaborazioni invece, il blog mi ha consentito di conoscere diverse persone con le quali collaboro pubblicando articoli su siti, blog e giornali on line. Tra questi, principalmente Difesaonline e di ciò ringrazio il Direttore Andrea Cucco.

Le statistiche non le riporto anche perchè non sono veritiere. Alcuni anni fa infatti persi tutte le statistiche e dovetti ricominciare daccapo. Oggigiorno ho circa 7.000 contatti al mese, non sono tanti ma neanche pochi.
In quanto alla mia produzione spero di riuscire a mantenere una media di 60 o 70 articoli all'anno anche per il futuro o, magari, aumentare con l'aiuto di qualche amico.
Sono pochi invece i commenti e le interazioni con i lettori. Ciò mi dispiace ma spero che comunque i miei lettori, seppure non hanno voglia di scrivere, leggano con interesse e diffondano almeno parte delle cose che io scrivo.

Perchè scrivere è per me così importante?
Perchè scrivere significa lasciare ad altri in eredità il proprio pensiero. Ogni articolo, poesia, recensione o racconto infatti, è comunque una parte di me.
Spero che ciò che scrivo un giorno serva da guida a generazioni di ragazzi, come io sono stato guidato dai tanti libri che ho letto nel corso della mia vita e dalle trasmissioni di Piero Angela!

Detto ciò auguri all'Accademia dei Tuttologi e a presto.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 27 maggio 2017

L'assedio di Rodi

L'Isle Adam lascia Rodi
"When shall we scape from the delay of Rome? 
And when, slow Venice, will thy Soccours come? 
How often too have we in vain Sought ayd from long consulting Spain? 
The German Eagle does no more about our barren Island sore." 
Cosi si esprimeva Alfonso, Maresciallo di Rodi, nell'opera teatrale "The Siege of Rhodes", di Sir W. Davenant. 
Ma cosa lo portava a lamentarsi in questo modo dei suoi sostenitori e alleati? 
Per capirlo occorre fare qualche passo indietro. 

Nel 1522, nel corso di una seduta del Divano Turco, alla presenza del Sultano Solimano il Magnifico da poco asceso al potere al posto del padre, l'Ammiraglio della Flotta turca prende la parola per sostenere la necessità di sottomettere Rodi all'Impero Ottomano: "Quale guerra potrebbe mai procurarti più facilmente una fama immortale, se non la vittoria e la conquista di Rodi, baluardo della Cristianità, che da sola ci preclude l'accesso ai territori degli infedeli? 
Cortug-Ogli ha ragione. 
Rodi è un ostacolo all'espansione degli Ottomani in Europa. Rodi e l'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme. 
Nel 1048 alcuni mercanti della città marinara di Amalfi ottengono l'autorizzazione per creare un Ospedale con annesso Monastero, per ospitare i pellegrini desiderosi di recarsi a Gerusalemme.
Nel 1113 l'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni diviene indipendente e sovrano. 
Nel 1187 cade il Regno di Gerusalemme e i Cavalieri sono costretti a ritirarsi nella Contea di Tripoli da cui, nel 1291, si spostano a Cipro.
Nel 1309 i Cavalieri conquistano Rodi e qui li troviamo ancora nel 1522. 

Nella sala in cui si riuniva il Divano vi era chi era contrario a quanto chiedeva Cortug-Ogli. 
Le mura di Rodi si erano già dimostrate, in passato, un osso troppo duro anche per gli eserciti Ottomani. 
Lo stesso Mohammed II aveva visto infrangersi i suoi sforzi. Eppure Solimano decide di attaccare! 
Missive con richieste di soccorso erano partite da tempo alla volta del papa e dei capi degli stati europei rappresentanti della Cristianità. 
Qualche sporadico rinforzo arrivò... 

E' il 6 giugno del 1522 quando la flotta turca giunge in vista dell'Isola. 
Rodi è difesa da 600 cavalieri, 4500 fanti e arcieri e circa 7000 tra cittadini e contadini. I conquistatori turchi erano circa 115.000! 

Le artiglierie di ambo le parti si fecero sentire immediatamente. 
Due uomini tra tutti sono ricordati ancora oggi, dai pochi appassionati di storia: il Gran Maestro Philippe de Villiers de L'Isle Adam e il primo artigliere e ingegnere d'assedio Gabriele Tadino da Martinengo.

Nonostante la superiorità numerica degli Ottomani le difese resistettero e i Turchi, spinti in avanti dai propri comandanti, continuavano a cadere, finché un giorno si ammutinarono. 
Il Gran Visir, Piri, si vide costretto a scrivere al Sultano per richiedere la sua presenza sul posto. 
Il 28 agosto Solimano arriva a Rodi, porta con se un nuovo esercito e affronta immediatamente la rivolta interna ristabilendo l'ordine. Con nuove energie rianimò gli eserciti che ripresero a combattere. 
La battaglia riprese più cruenta di prima. 
L'Isle Adam non si dava mai per vinto e dove sorgeva la necessità lui c'era, con la sua figura imponente e la sua esperienza! 
Bombe, bombarde e basilischi mietevano vite umane da entrambe le parti. La guerra proseguiva anche sotto terra dove gli zappatori Turchi si opponevano agli uomini del Tadino. 
Gabriele Tadino da Martinengo
Gabriele Tadino era nato a Martinengo, responsabile delle difese di Candia (città cretese), venne invitato dal Gran Maestro ad unirsi ai suoi uomini. Esperto in assedi, aveva inventato un metodo per scoprire se vi fossero in corso lavori di scavo sotto le mura della città. Effettuava degli scavi sotto le mura e vi posizionava i suoi uomini muniti di uno strumento dotato di una pelle di tamburo, questa rivelava le vibrazioni degli scavi del nemico e permetteva di intervenire. 
Il 4 settembre una mina fa saltare il bastione dei Cavalieri della Langue Inglese. I turchi si precipitano all'interno della breccia apertasi nelle mura, subito ostacolati e respinti fuori da L'Isle Adam precipitatosi con alcuni cavalieri sui nemici. 
Nella battaglia che ne seguì morirono 2000 turchi da una parte e 50 cavalieri dall'altra. 
Pochi giorni dopo Solimano ordina un nuovo attacco che ottiene lo stesso risultato: nulla di fatto! 
Gabriele Tadino viene però ferito gravemente. 
Le spie infiltratesi tra gli abitanti di Rodi, intanto, agivano alle spalle. Una schiava turca e i suoi complici furono catturati, impiccati e squartati. Un medico ebreo e un cavaliere, accusati di tradimento, furono giustiziati. 
Nel campo turco la situazione non era migliore. 
Si combatte per la vita. 
Il Gran Maestro corre da un bastione all'altro per rintuzzare gli attacchi dei turchi. 
Solimano, di fronte all'inutilità del suo ultimo attacco e ai 20.000 uomini morti fa suonare la ritirata. 
Arriva il momento di punire chi ha mal consigliato il Sultano. 
I vertici militari sono rimossi con ignominia e allontanati, seppure la prima idea di Solimano fosse stata quella di decollare tutti! 
Poi ancora attacchi e nuovi morti, a migliaia. 
Non riuscendo però a vincere con la forza, Solimano diffonde la voce che se Rodi si fosse arresa avrebbe ricevuto clemenza. 
L'Isle Adam non è tipo da arrendersi: "Non sia mai detto che il nostro onore debba soccombere, se non con noi stessi!", ma i cittadini sono di diverso avviso. Lo supplicano, lo convincono a trattare. 
L'Isle Adam e un gruppo di cavalieri scelti vengono ricevuti, dopo una giornata di attesa sotto la pioggia, nella sontuosa tenda del Sultano. 
Il Gran Maestro si china e bacia la mano del Sultano, Solimano gli porge una ricca veste d'onore e gli offre un'alta carica nell'Impero. 
L'Isle Adam rifiuta: "Essere sconfitti è semplicemente il rischio di ogni guerra, ma abbandonare la propria gente e passare al nemico è, per me, una vergognosa codardia e un abbominevole tradimento." 
Solimano è colpito da quest'uomo, dalla sua forza, dalla sua integrità morale e concede condizioni di resa proporzionali al valore dell'avversario. 
I cavalieri poterono lasciare l'isola col le loro armi, i loro averi e con tutti coloro che li avrebbero voluti seguire. 
I Rodiesi che fossero restati sull'isola avrebbero potuto conservare la libertà, i propri beni e la libertà di professare la propria religione. 
Il 25 dicembre 1522 Solimano il Magnifico entra dalla porta principale di Rodi. Il 1° gennaio 1523 L'Isle Adam e il suo seguito abbandona Rodi. 
Sulle galee, in vece della bandiera dell'Ordine sventolava l'immagine della Vergine Maria che teneva Gesù fra le braccia, a voler indicare il tradimento da parte della Cristianità che li aveva abbandonati al proprio destino. 

A Rodi restavano i vincitori: gli Ottomani, con i loro 60.000 morti!  

I Cavalieri, nei secoli seguenti, proseguono il loro pellegrinaggio per il mediterraneo aggiungendo i nomi dei territori visitati al loro. 

Oggi sono conosciuti come Cavalieri del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta.

Alessandro RUGOLO

sabato 20 maggio 2017

29 maggio 1453: la caduta di Costantinopoli

Jean-Joseph Benjamin-Constant: Maometto II entra a Costantinopoli
Cinquecentosessantaquattro anni fa, Mohammed II il Conquistatore, settimo
Sultano della dinastia degli Osmanli (Ottomani), conquista la città che per lunghi secoli è stata la capitale di quella parte del mondo conosciuta col nome di Impero romano d'Oriente.
E' la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra.
L'ultimo Imperatore Bizantino, Costantino XI Dragases Paleologo, affronta il suo destino in battaglia contro i turchi e vi muore.
Per compiere l'impresa, Mohammed II, appena ventunenne, dimostrò ingegno e forza di volontà, ma sopratutto di essere un grande stratega. In preparazione dell'attacco fece costruire su Bosforo una fortezza esattamente all'altezza di un'altra fortezza costruita precedentemente dal suo avo Bajazed I per assediare Costantinopoli. Le due fortezze consentivano agli Ottomani di controllare il Bosforo e impedire che rinforzi potessero raggiungere la città. 
L'Imperatore Costantino si rese conto delle intenzioni di Mohammed II e chiese aiuto al Papa e alle potenze occidentali cristiane. Sembra che la difesa della città fosse organizzata su circa 7.000 soldati mentre l'esercito ottomano si dice fosse costituito da 160.000 a 300.000 uomini. Inoltre i turchi possedevano i primi rudimentali cannoni.
Mohammed II  inoltre non esita a far trasportare parte della sua flotta attraverso le colline per raggiungere il Corno d'Oro, in quanto il passaggio era bloccato da una catena. 
L'assedio durò circa due mesi e si concluse con la conquista della città da parte di Mohammed II.
La Basilica di Santa Sofia, cattedrale bizantina costruita nel 537 d.C. venne adibita a moschea!
La conquista di Costantinopoli, che da allora prenderà il nome di Istanbul, fece si che l'Impero Ottomano venisse riconosciuto da tutti come tale. 
Istanbul ne diverrà la capitale fino al 1922 quando, per ragioni strategiche, la capitale venne spostata ad Ankara.

Alessandro Rugolo

venerdì 19 maggio 2017

UN ALTRO, SCONOSCIUTO, PRIMATO DEL SUD: RAGGI X IN GUERRA!


L'Ospedale Militare della Trinità a Napoli nel 1896
Come purtroppo sappiamo bene, non sempre il nostro Paese, soprattutto dopo l'annessione del Regno delle Due Sicilie, ha brillato per intraprendenza e prestigio. La “Italietta”, sorta con l'Unità nel 1870, ebbe non poche difficoltà, oggettive e soggettive, nell'affrontare il suo nuovo ruolo nella compagine delle altre Nazioni, soprattutto europee, di più antica e solida fondazione. Però non furono pochi, nonostante tutto, i primati che il giovane Stato riuscì a conseguire! Uno di questi è generalmente sconosciuto ai più e noto forse solo agli otto cultori di storia o ai quattro di storia della Medicina o ai due di storia della Medicina militare. Si tratta del primato mondiale dell'impiego dei Raggi X in ambito chirurgico per esigenze belliche.

L’8 novembre del 1895 il fisico tedesco Wilhelm Röntgen scoprì quasi per caso l’esistenza di raggi che, non conoscendone la natura, denominò, “provvisoriamente” Raggi-X, cioè sconosciuti. 
Nel 1901 vinse, per questo, il Nobel. Non brevettò mai la sua scoperta e, anche per questo, morì povero e vittima dei “suoi” raggi che, con ogni probabilità, gli produssero un cancro che lo uccise nel 1923. 
Nel giro di pochi mesi l'impiego diagnostico dei raggi rivoluzionò la Medicina. La storia riferisce che già l’anno successivo nel Regno Unito era in funzione un servizio di radiologia all’interno di un Ospedale. Ma, come già accennato, è noto solo a pochi cultori della Materia il primato, ancora una volta italiano, dell'uso della metodica in ambito sanitario militare.

Non sappiamo come, in realtà, la scoperta venne realizzata perché Röntgen nel suo testamento espresse il desiderio che tutta la sua corrispondenza scientifica venisse bruciata. Mentre conduceva ricerche sulla fisica delle scariche elettriche, utilizzando un cosiddetto tubo a gas residuo di Crookes (una capsula di vetro sottovuoto attraverso cui veniva fatta passare una corrente elettrica), vide scintille che generavano fluorescenza e un foglio di carta, sul quale era stata casualmente spalmata una soluzione al platinocianuro di bario, brillare di flebile luce. Quando mise oggetti di diversa densità tra tubo e foglio, per intercettare il “quid” che era evidentemente proiettato dal tubo sul foglio, si rese conto che su quest'ultimo venivano evidenziate solo le immagini, le ombre, degli oggetti più densi interposti mentre quelli meno densi venivano attraversati senza lasciare traccia sul foglio. Si rese conto che solo il piombo riusciva a bloccare qualunque tipo di proiezione. Continuò gli esperimenti per mesi sostituendo il foglio di carta con una lastra fotografica. Quando chiese a sua moglie, che lo aiutava nelle ricerche, di mettere la sua mano tra tubo e lastra... eseguì la prima radiografia sperimentale della storia (il 22 dicembre 1895): quella delle ossa della mano (compreso l'anello matrimoniale) della signora Röntgen! 
Il 1° gennaio 1896 notificò la scoperta ad un centinaio di colleghi, in Germania e all’estero, Italia compresa. 
Quell’alba di un nuovo anno divenne, per la scienza e la società, l’alba di una nuova epoca. La notizia della scoperta venne resa pubblica in Italia attraverso i fogli del Corriere della Sera nella edizione del 12-13 gennaio 1896.
Lo stesso Corriere, in quel suo primo annuncio, intravedeva già “… la pratica applicazione come grande aiuto nella chirurgia”. E spiegava perché: “Con simile processo, sarà agevole riconoscere la natura, l’importanza delle fratture, le ferite delle armi, specie di quelle da fuoco. Nella estrazione delle palle soprattutto, il nuovo metodo di investigazione risparmierà al ferito il metodo attuale, così tormentoso, del sondaggio, operato spesso a caso”.
Quello che Röntgen aveva scoperto, ma che non aveva ancora del tutto chiaro cosa fosse, era che in certe condizioni gli elettroni che vengono normalmente emessi dai tubi con cui stava facendo esperimenti si trasformano in una radiazione elettromagnetica con la capacità di penetrare quasi qualsiasi materiale. Si scoprì, poi, che essa poteva causare gravi patologie e danni genetici che si possono evidenziare nelle successive generazioni e, in effetti, diversi utilizzatori dei raggi svilupparono patologie ad essi correlate. Attualmente tutti gli usi dei raggi-X sono attentamente e severamente normati proprio per evitare danni da sovraesposizione.

L’interesse per i raggi X e per le loro pratiche applicazioni fu subito molto vivo in Italia, dove alcuni scienziati erano stati destinatari dell’estratto inviato da Röntgen il giorno di Capodanno.

Il direttore dell’Istituto di Fisica di Pisa, Angelo Battelli, volle verificare la possibilità di ripetere il fenomeno. Insieme ad Angelo Garbasso, docente di Fisica matematica, riuscì a ottenere diverse immagini con i raggi X, e a darne comunicazione il 25 gennaio in una pubblica conferenza. Il 26 gennaio Giuseppe Vicentini, direttore dell’Istituto di Fisica dell’Università di Padova relaziona il Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti e allega la prima radiografia diagnostica (mano di donna con anchilosi) eseguita il 18 gennaio. A
Perugia, il 5 febbraio, il milanese Enrico Salvioni era già in grado di presentare un nuovo apparecchio radiografico.
Proprio durante un lungo soggiorno di Röntgen nel nostro Paese, in Italia, allora in guerra con l'Impero d'Etiopia, ci fu la prima importante applicazione in chirurgia della sua scoperta.

Il fatto avvenne a Napoli, nell’Ospedale Militare della Trinità. Furono trasportati qui, con il piroscafo Sumatra, i primi feriti della Guerra di Abissinia, combattuta dalla “civile Italia contro la barbarie africana”, come dettava la propaganda del tempo. Il 23 marzo del 1896 sbarcarono, tra gli altri, i soldati Musiani Alfredo (del 2° Battaglione bersaglieri) e Sinigaglia Leopoldo (della 5° Batteria da montagna), che avevano riportato ferite d’arma da fuoco e che erano stati dichiarati trasportabili in Patria per le necessarie cure. Il primo era reduce dal combattimento di Mai Maret, del 25 febbraio, dove le nostre truppe avevano fatto registrare una vittoria quanto mai effimera. Il secondo aveva preso parte, il 1° marzo, alla sventurata battaglia di Adua, circa la cui errata conduzione sarebbe troppo lungo disquisire, ma che costò, oltre alla perdita di credibilità internazionale del nostro Paese ed alla caduta del Governo Crispi, anche 5000 – 7000 morti (Denis Mack Smith nota, nella sua Storia d'Italia dal 1861 al 1997, che ci furono più morti nella battaglia di Adua, che in tutte le precedenti guerre del Risorgimento italiano messe insieme),
1500 feriti, 3000 prigionieri, tutta l'artiglieria e 11000 fucili... La sconfitta fu anche uno schiaffo morale: dimostrava infatti che gli eserciti europei in Africa non erano invincibili e divenne un simbolo della lotta al colonialismo.
Per tornare alla storia dei Raggi X e del primato nel loro impiego clinico, il Tenente Colonnello medico Giuseppe Alvaro, che era in relazione con gli altri Professionisti interessati alla nuova metodica diagnostica, decise autonomamente di utilizzarla mediante un apparecchio che mostrava solo lievi modifiche rispetto a quello usato dal Röntgen stesso. Localizzò con esso, e poi estrasse chirurgicamente, i proietti che avevano ferito due soldati. 
Avendone lui stesso data comunicazione con una conferenza, poi pubblicata sul Giornale Medico del Regio Esercito, il fatto era destinato a lasciare una chiara traccia di sé e a legittimare la priorità, ma solo nel Regno di Utopia, evidentemente, non in quello d'Italia!


Luisa CARINI, Federico BIZZARRI, Enzo CANTARANO.



Bibliografia

Cantarano E, Carini L. Storia della Medicina e dell'Assistenza per le Professioni Sanitarie, UniversItalia, Roma, 2013, pag 156

Hailemelekot A, The Victory of Adwa - The first Victory of Africa over Colonialists
, CPE 2007
Marcus H G, A History of Ethiopia
, University of California Press, 2002, p. 99
Mack Smith D, Modern Italy: A Political History
, University of Michigan Press, 1997
Quirico D, Adua - la battaglia che cambiò la storia d'Italia
, Milano, A. Mondadori Ed, 2004.

giovedì 18 maggio 2017

Porto Torres: l'incisore Giovanni Dettori


La splendida cittadina in cui passiamo le vacanze, Porto Torres, ogni volta ci riserva qualche gradita sorpresa.
Questa volta la sorpresa è arrivata con un messaggio.

"Alessandro, che ne dici se ci vediamo verso le 19.00? Vi presento una persona veramente in gamba e che sono convinta che piacerà anche a te e a Giusy."

Il messaggio di Gianna è breve e conciso, nessuna spiegazione, niente che non sia essenziale.

"Naturalmente - rispondo subito - ci vediamo stasera."

E' venerdì, l'ultimo giorno della prima tranche di ferie, abbiamo corso tutto il giorno e siamo un po stanchi ma la giornata non è ancora finita.

Alle 19.00 incontriamo Gianna e pochi minuti dopo entriamo nella casa-laboratorio dei genitori di Giovanni Dettori, pittore e incisore, maestro dell'arte e della tecnica della xilografia, incisione su legno!


Giovanni è una persona solare, sorridente, ospitale come i Sardi che gli hanno dato i natali. Nato a Sassari nel 1972, vissuto quasi sempre a Porto Torres, si sente profondamente sardo come i genitori, di Ottana e Sennori.
Ci accoglie col sorriso e con un ottimo bicchiere di vermentino di produzione artigianale.

Gianna ci presenta e racconta la sua storia. Usando la lingua sarda e le sue doti di poetessa mette in scena un brano del vangelo.


Giovanni ci introduce alla sua arte, alla incisione su legno di ciliegio e alla sua personale via Crucis, personale in quanto da lui realizzata. Opera immensa cui ha dedicato gli ultimi quattro anni della sua vita.


"Nelle incisioni ci sono tutte le persone che hanno avuto una qualche influenza nella mia vita, nel bene e nel male!", ci dice con il sorriso sulle labbra.


Giovanni è schietto e diretto. Ci racconta dei suoi successi fuori dalla Sardegna e delle sue delusioni nella sua terra.
Delle sue esperienze in Italia, dei suoi studi, dell'importanza che ha avuto per lui suo fratello, morto giovane, dei suoi genitori e della sua ragazza Elena, la sua musa.

Il tempo è tiranno e facciamo appena in tempo ad affacciarci con rispetto nel suo studio, ad ammirare le sue opere, in mezzo ai suoi attrezzi, ai suoi quadri, alle foto di famiglia, ai fogli di ciliegio... che è già ora di andar via.


Ci ripromettiamo d'incontrarci ancora, abbiamo tante cose di cui parlare, esperienze da condividere, opere da realizzare...

Alessandro Rugolo e Giusy Schirru

domenica 14 maggio 2017

This War of Mine, in guerra non ci sono solo soldati




Produttore: 11 Bit Studios
Tipologia: Sopravvivenza - Gestionale
Anno: 2014
Piattaforma: Pc, Ps4, Xbox One, android e iOS
Giusto pochi giorni fa stavo passando in rassegna una lista di giochi che per mancanza di voglia o magari per dimenticanza avevo ottenuto o comprato ma mai finito.
This war of Mine era tra questi e il titolo ha destato subito la mia attenzione, si tratta infatti di un gioco unico nel suo genere.
Nel mare di gestionali e giochi di sopravvivenza infatti This war of Mine si distingue per temi trattati e cura dei dettagli, oltre a dinamiche di gioco decisamente azzeccate.
Il titolo della 11 bit studios non è una novità sul mercato dei videogiochi in quanto la sua data di rilascio risale al 14 novembre 2014 ma non per questo non merita di essere il soggetto di una recensione e di una analisi a qualche anno di distanza.
Dunque, di che genere di gioco stiamo parlando? This war of mine non è un gioco di guerra, This war of mine è un gioco SULLA guerra, cosa implica questa distinzione? Combatteremo una guerra non fatta solo di armi e spionaggio, bensì una guerra fatta di fame, freddo, paura ,stanchezza e depressione. Una guerra che viene combattuta ogni giorno dai civili di ogni età che si ritrovano nel bel mezzo di un conflitto che non lascia tregua, la battaglia per la sopravvivenza.
In particolare il conflitto che farà da scenario al nostro gioco è ispirato all’assedio a Sarajevo e il tutto viene reso in modo davvero verosimile, dai nostri personaggi con le loro storie e i loro problemi, alla baracca in cui dovremo vivere e dovremo riparare e attrezzare per renderla abitabile, ciò implica la costruzione di letti, sedie, fornelli, filtri per l’acqua piovana e molto, molto altro. Il gioco presenta infatti una bella componente di crafting che ricopre un ruolo vitale nel gameplay.
Il gioco si svolge in due fasi distinte: una fase giornaliera durante la quale dovremo esplorare la nostra abitazione e recuperare risorse e materiali utili per costruire nuovi oggetti come le barricate che serviranno a rendere la nostra casa sicura contro gli attacchi degli sciacalli, per poi cibare e far riposare i nostri uomini ed eventualmente curarli da ferite o malori. Durante questa fase potremo avere a che fare con numerosi incontri casuali che potrebbero avere ripercussioni importanti sulla partita.

Durante la notte invece avremo a che fare con la seconda fase del gioco, quella di esplorazione, decideremo chi dovrà restare a casa per fare la guardia o riposare e chi dovrà uscire allo scoperto per cercare scorte di viveri, medicinali o materiali utili per il già citato crafting. Avremo numerosi luoghi da esplorare come chiese, ospedali o abitazioni e potremo fare conoscenze più o meno gradite, troveremo persone in cerca di aiuto, anziani indifesi che potremo decidere se derubare o lasciare in pace, militari o sciacalli dal grilletto facile e persone come noi che per paura di venire privati delle loro scorte potrebbero compiere i gesti più violenti.
Il gioco ci mette effettivamente di fronte a scelte morali importanti e il tutto viene reso in maniera alquanto immersiva, tanto che ci interesseremo realmente delle scelte dei nostri personaggi e della loro salute e scegliere se aiutare chi bussa alla nostra porta in cerca di provviste o cacciar via gli sconosciuti potrebbe rappresentare un bel quesito. Mettere in pericolo il gruppo per fare una buona azione (che si ripercuote positivamente sul morale dei nostri) oppure scegliere di non mettere a repentaglio la sicurezza che siamo riusciti a costruire in giorni di fatica?
Sotto l’aspetto tecnico il comparto grafico è molto curato, i paesaggi distrutti,le case abbandonate e i muri in rovina sono resi con tonalità scure, grigie a carboncino e persino il cielo sembra essere campo di battaglia, tormentato e mai limpido, entrare nell’atmosfera è essenziale per godersi appieno l’esperienza di gioco e il team di sviluppo ci è riuscito appieno, anche gli effetti audio sono di qualità e la colonna sonora di grande effetto.
This war of mine è un gioco dalla incredibile profondità che merita ore e ore di gioco e passeranno ore prima di cominciare a scalfire la superficie di questa meravigliosa perla che purtroppo mi sono lasciato sfuggire al rilascio, l’unica pecca che ho trovato è la scarsa rigiocabilità che alla lunga potrebbe risultare ripetitivo. Da sottolineare il fatto che sono stati rilasciati due DLC per This War of Mine il cui ricavato viene interamente devoluto all’ente di beneficienza War Child.

Francesco Rugolo

Solimano il Magnifico, di Fairfax Downey

Vi sono libri di storia che cercano di rendere al meglio un'epoca, un periodo dell'umanità, non sempre riuscendo nell'intento. Vi sono altri libri che, avendo come intento dichiarato quello di raccontare un uomo, riescono a fare di più, descrivendo magnificamente un'epoca! A questa seconda categoria appartiene la biografia di Solimano, scritta da Fairfax.
Solimano il Magnifico, figlio di Selim il Crudele, decimo della dinastia degli Osmanli o Ottomani, sale al trono nel 1520 come "Sultano degli Ottomani, Rappresentante di Allah sulla terra, Signore dei Signori di questo mondo, Arbitro  e Padrone dei destini umani, Re dei Credenti e degli Infedeli, Sovrano dei Sovrani, Imperatore dell'oriente e dell'Occidente, Capo degli Alti Dignitari, Principe della Felicissima Costellazione, Sublime Cesare, Suggello della Vittoria, Rifugio di tutte le genti, Ombra dell'Onnipotente che dispensa la pace e la tranquillità sul globo."
Lo accolsero festanti i Giannizzeri, agli ordini dell'Agha che li precedeva.
Accompagnato da questo poderoso corpo di guerrieri Solimano fa il suo ingresso a Costantinopoli, sede dell'Impero Romano d'Oriente e poi dei Sultani Osmanli da quando, il 29 maggio 1453, Mohammed II il Conquistatore se ne impadronì.
La città risplendeva di colori. Una legge aveva decretato che le case dovevano essere tinte secondo la religione di chi vi abitava: giallo e rosso per i turchi,, grigio chiaro per gli armeni, grigio scuro per i greci, porpora per gli ebrei, bianco per gli edifici pubblici e sacri.
Il padre Selim gli aveva lasciato il compito di utilizzare le sue armate per conquistare la Cristianità!
Come spesso accade, il passaggio di potere da una generazione all'altra non è indolore. Una rivolta scoppiò in Siria. Ghasali Bey chiamò a se mammalucchi e arabi e conquistò Damasco e Beirut pensando di poter sfidare impunemente il giovane sultano.
Solimano però non si fece sorprendere, inviò immediatamente il suo esercito sotto la guida di Ferhad Pascià. Questi affrontò e sconfisse i ribelli sotto le mura di Damasco. Ghasali Bey fu ucciso e la rivolta sedata nel sangue.
Ora, avendo chiarito a tutti chi comandava, era tempo di dichiarare guerra alla Cristianità: l'Ungheria divenne il suo obiettivo. Il pretesto per l'attacco lo ebbe quando il Re Luigi II d'Ungheria fece torturare e uccidere un suo ambasciatore colpevole di aver chiesto il pagamento di un tributo per il suo Re. In vece del tributo richiesto Luigi II ricevette indietro orecchie e naso del suo Ambasciatore come chiaro messaggio che preannunciava l'imminenza della guerra.
L'esercito fu approntato. Gli Akinji (cavalleria leggera turca) si spingevano in avanti devastando i territori ungheresi. Seguiva la fanteria, gli Azab, i Giannizzeri e in coda i Deli o Teste Matte, per i loro capelli svolazzanti sotto berretti di pelle di leopardo, leone o orso; e poi vi erano i soldati della Rumelia e Anatolia, la cavalleria regolare (i Sipahi). 
I Dervisci, seminudi, correvano tra le truppe incitando alla guerra urlano brani tratti dal Corano.
L'esercito di Solimano era armato di pistole, pugnali, scimitarre, scuri, mazze, archi e frecce, artiglieria e polvere da sparo.
Per Solimano la logistica era forse la parte più importante dell'esercito. Sapeva bene che da essa dipendevano gli esiti di una campagna militare.
I Giannizzeri custodivano una bandiera bianca con una scritta tratta dal Corano e una spada fiammeggiante, lo stendardo a tre code di cavallo dell'Agha e i paioli, simbolo del loro diritto a ricevere gli alimenti da parte del Sultano!
I Giannizzeri erano le truppe scelte del Sultano sin da quando, nel lontano 1328, il fratello del sultano Orkhan aveva pensato di formare un corpo scelto costituito da cristiani, per combattere i cristiani. Catturati, ricevuti come tributo o comperati da ragazzi, venivano circoncisi e istruiti alla pratica della guerra e a servire il loro signore. Furono chiamati Yeni Tcheri, cioè "Nuovi Soldati", da cui il nome col quale vennero conosciuti in Europa:Giannizzeri.
Da loro dipendevano le fortune dei sultani Ottomani così come le sfortune!
L'esercito si presentò sotto le mura di Belgrado dove i cannoni turchi aprirono delle brecce. La Porta dell'Ungheria veniva conquistata e i suoi ultimi difensori, arresisi dietro la promessa di aver salva la vita, furono invece massacrati.

Nel corso della sua lunga vita Solimano più volte si trovò di fronte un nemico instancabile: i Cavalieri di San Giovanni, allora insediati a Rodi erano una spina nel fianco per il suo Impero.
Il loro Gran Maestro era Filippo Villiers de l'isle Adam.
Era il 6 giugno 1522 quando l'esercito di Solimano si presentò al largo dell'isola di Rodi.
Poco tempo prima Solimano aveva scritto una lettera al Gran Maestro in cui, neanche tanto velatamente, lo invitava a rallegrarsi per le sue vittorie contro l'Ungheria: "Sono lieto della tua elezione e della sovranità a cui sei stato innalzato e desidero che tu possa goderne a lungo e felicemente. E per questo spero che tu sappia superare in onore e lealtà tutti coloro che prima di te hanno esercitato il loro dominio a Rodi. E come i miei antenati si sono sempre astenuti dal toccarli, così io, seguendo il loro esempio, intendo mantenere con te rapporti di buon accordo e di perfetta amicizia. Rallegrati dunque, amico mio, e godi anche della mia vittoria e del mio trionfo: poichè l'estate scorsa, attraversando il Danubio, a insegne spiegate, vi aspettai il Re d'Ungheria, convinto che volesse darmi battaglia. Espugnai e strappai dalle sue mani Belgrado, la più forte città del suo regno, con altre località potentemente munite; e dopo aver annientato col ferro e col fuoco grandi masse di combattenti e trascinata molta gente in schiavitù nel mio ritorno di  conquistatore in trionfo, ho sciolto il mio esercito, ritirandomi nella mia sede imperiale di Costantinopoli. E da questa città ti saluto."
Il Gran Maestro prese la lettera come un avvertimento dell'approssimarsi della guerra e cominciò i preparativi rafforzando le difese dell'isola.
Seicento cavalieri e undicimila tra fanti, arcieri, cittadini e contadini dovettero affrontare l'assedio di circa centoquindici mila turchi! A capodanno Rodi era di Solimano.
I cavalieri resistettero per mesi e alla fine, per il coraggio e l'ostinazione dimostrata, Solimano concesse ai cavalieri superstiti la facoltà di lasciare l'isola con le armi, coi propri averi e con tutti i cittadini che volessero seguirli. Coloro tra gli isolani che invece gradivano restare potevano farlo, mantenendo i loro averi, la qualità di uomo libero e la propria religione!

Conquistata Rodi era tornato il momento di riprendere i conti con l'Ungheria. La vita di Solimano era votata alla conquista del mondo, come i suoi predecessori.

In più di una occasione dimostrò il suo sangue freddo affrontando in prima persona la furia dei suoi stessi soldati. La sua sola presenza era sufficiente a ristabilire l'ordine come a spingerli all'estremo sacrificio.
Eppure, quando la sua stella tramontò, il 29 agosto 1566, quasi cinquant'anni dopo la sua ascesa al potere, l'impero turco si avviava verso la dissoluzione anche a causa dei suoi errori.
A Solimano il Magnifico seguì suo figlio Selim, non all'altezza del suo ruolo. Solimano lasciò al suo successore un impero la cui prosperità non aveva paragoni, ma minato alla base da alcuni errori: la sua assenza alle sedute del Divano (l'equivalente del Consiglio dei Ministri), l'assegnazione di alte cariche a persone che non avevano percorso tutta la scala gerarchica, la corruzione generalizzata e la mal riposta fiducia nei suoi parenti più prossimi, la schiava-moglie Rosselana e i suoi figli.

Un bellissimo libro, da leggere e conservare nella propria biblioteca per  approfondire personaggi e avvenimenti di quell'epoca.

Alessandro Rugolo

L'arte della ceramica a Porto Torres si chiama Budroni

Se si percorre via Sassari fino al centro, che poi diventa via Vittorio Emanuele II, dirigendosi verso la torre Aragonese, sulla sinistra poco prima della chiesa si può notare un negozio unico per tipologia di merce esposta: le ceramiche.
L'autore di questi gioielli artistici si chiama Fabrizio Budroni.
"La mia è una passione che ha avuto inizio più di trent'anni fa. Ero ragazzo. Ho frequentato l'istituto d'arte dedicandomi alla ceramica. Poi ho iniziato a lavorare, a Muros, presso un ceramista. Il lavoro mi appassionava. Per migliorarmi ho frequentato alcuni corsi in Toscana e in Umbria e così ho iniziato questa bella esperienza."
Fabrizio parla poco, come tutti i sardi preferisce che a parlare per lui siano le sue opere, ispirate ai temi della tradizione della Sardegna quali la pavoncella, senza però disdegnare soggetti più moderni. 
Le figure della tradizione sono spesso rielaborate, rivisitate secondo gusti più moderni.

In negozio c'è Cristian, ad accogliere i clienti e mostrar loro le opere tutte diverse che escono dal laboratorio del fratello maggiore.

Bellissimo il cavallino stilizzato,



Stupendo il polpo nero!


Ogni angolo è un tripudio di oggetti di tutte le forme e di tutti i colori e non è sufficiente un solo giro per distinguerli tutti.


Grazie Fabrizio, per la tua arte.

Appena possibile torneremo a trovarti, magari per frequentare uno dei corsi che organizzi presso il tuo laboratorio.

Alessandro Rugolo e Giusy Schirru

giovedì 11 maggio 2017

Le ossa del drago

Camminavamo assieme come ogni sera lungo la pista ciclabile di Porto Torres.

Il mare era mosso e le onde si infrangevano rumorosamente sugli scogli sollevando schiuma bianca che ricadeva sulla roccia nuda.

Ci fermammo un attimo ad osservare il mare.

Di fronte a noi si stagliavano, immerse nella foschia, quasi irreali, le cime dell'isola dell'Asinara.

- Guarda! - dice mia moglie - sembrano galleggiare sul mare.
La foschia in cui l'isola era immersa faceva si che sembrasse galleggiare 
nell'aria.
- Si, hai ragione, è molto bella. Faccio una foto...

Ci fermammo un attimo, il tempo necessario per scattare qualche foto e stavamo per riprendere la camminata quando dietro di noi si fermò un vecchio.

- Bella vista, vero? - disse, rivolgendosi a noi in sardo, ma con un accento particolare.
- Si, fantastica...
- Quelle sono le ossa del drago. - aggiunse il vecchio indicando le cime dell'isola che emergevano dalla foschia. 

Era impossibile non notare la sua pelle scura e secca. Il viso era raggrinzito come una prugna secca e sulle labbra e sulla fronte i segni del tempo erano incisi in profondità. Doveva avere almeno... novant'anni, pensai!
Eppure niente nei suoi movimenti denotava stanchezza o vecchiaia.
Gli occhi erano neri e lucenti, profondi. Di bassa statura, spalle robuste, braccia ancora spesse e muscolose spuntavano da una vecchia maglietta pulita ma consumata dal tempo.
Si era fermato a guardare l'isola, affianco a noi, con quei suoi occhi antichi.
- Scusate - mormorò a bassa voce, e fece per andar via.
- Perchè dite che quelle sono le ossa del drago? - Domandò mia moglie incuriosita più dalla figura del vecchio che dalle sue parole - Cosa significa?

Il vecchio si era già girato di spalle, pronto ad allontanarsi silenziosamente come era arrivato. La domanda lo sorprese, forse, perchè si fermò di scatto e voltatosi, ci guardava fisso, prima lei, poi me, poi di nuovo lei... come se fosse indeciso su cosa dire.

- Volete sentire una storia antica?
- Si, naturalmente! - disse mia moglie, mettendosi seduta nella panchina che stava proprio affianco a noi e porgendo al vecchio la mano. Io sono Giusy...
- ed io Alessandro.

- Bene, allora ascoltate... - e cominciò a raccontare, con la sua voce profonda da vecchio...

- Ci fu un tempo in cui la terra era molto diversa da come la conosciamo oggi. Il mare non era così grande, le montagne erano giovani ed alte. Il paese, qui dietro, non era altro che un piccolo villaggio di capanne di pescatori che si stendeva laggiù - e indico il mare di fronte a noi - e tutta questa terra era una unica distesa di boschi di querce.
Era estate ed il mare era calmo. Era liscio come l'olio, e molti pescatori erano usciti al largo con le loro barche. Si pescava bene in quei giorni, splendide orate, spigole, scorfani e sardine abbondavano. Gli uomini rispettavano il mare e il mare rispettava gli uomini. Non come oggi... - e mentre raccontava gli occhi gli si illuminavano, come se parlando rivivesse quei momenti passati con rimpianto. Aveva un suo modo di parlare che aveva qualcosa di particolare, di affascinante. La pelle della fronte si aggrottava e distendeva, mentre parlava. Tutto il suo corpo si tendeva mentre si concentrava per cercare di ricordare. Sembrava quasi che lui fosse stato li presente, protagonista della sua storia.

- Dai vostri sguardi capisco che possiate non credermi, non vi chiedo di credermi, ma ora ho iniziato... abbiate pazienza ed ascoltate le farneticazioni di un vecchio pescatore.

- La vita scorreva tranquilla. Ogni giorno il sole sorgendo illuminava gli uomini intenti nelle loro occupazioni. C'era chi pescava, chi esercitava la professione di medico, chi allevava bestiame, chi panificava. I bambini andavano a scuola e, per prima cosa, imparavano come si deve rispettare la natura. I capi delle comunità, oggi diremo i sindaci, si occupavano del benessere di tutti e avevano una grande cura delle cose di tutti. Il loro compito era far si che ciò che il paese aveva ricevuto dai loro avi e predecessori venisse passato integro ai figli e ai figli dei loro figli.

Le parole avevano un suono familiare. Non conoscevamo il vecchio ma era come se fosse stato sempre di famiglia. Era come se uno dei nostri nonni fosse tornato in vita e noi, bambini, lo ascoltavamo in riverente silenzio...

- Le guerre erano rare. Era da tempo che nell'isola non si avevano più problemi con i pirati. Gli ultimi erano stati scacciati definitivamente in una grande battaglia sul mare, dove oggi c'è la spiaggia di Stintino e le nuove generazioni non avevano idea di cosa significasse combattere per la propria sopravvivenza. Forse ciò fu causa, almeno in parte, di ciò che accadde dopo.
Una mattina, all'alba, per le strade della città antica risuonò potente e incessante la sirena dell'allarme. Uomini e donne si precipitarono per strada, non più abituati a sentire il sibilo della sirena. I vecchi, nonostante gli acciacchi, furono i primi a riversarsi per strada. Prendevano con se solo un soprabito pesante e una fiasca d'acqua, incitando i giovani a fare come loro e con quel carico leggero si dirigevano verso gli ingressi che portavano sotto terra. Di questi ingressi ormai non è restato più niente a vista, infatti il mare li ha ricoperti tutti e molti sono crollati.

Il vecchio si fermò un attimo ad osservare il mare sotto di noi, quasi potesse vedere cose che noi non vedevamo. Il suo sguardo era fisso verso la chiesetta di Balai vicino.

- Immagino che gli ingressi si trovassero dove oggi si trovano le profonde fenditure nella roccia. - Disse mia moglie indicando le spaccature che mettono a rischio la tenuta della strada che costeggia Porto Torres.

- Si, laggiù c'era l'ingresso principale e da quassù avreste visto migliaia di persone che senza mai voltarsi si dirigevano a passo veloce nelle profondità della terra. Molti di loro non sapevano come comportarsi ma i più anziani gli davano l'esempio. Per i bambini era tutto più semplice. Per loro era quasi come un gioco. A scuola gli veniva insegnato che dovevano prendersi per mano e seguire gli adulti, in silenzio, e così facevano.

Poi c'erano gli altri, quelli che avevano dei compiti specifici da assolvere. C'era chi era incaricato di provvedere ai viveri per tutti; un piccolo gruppo di uomini e donne erano incaricati di ciò. Si diressero verso i camini in pietra disseminati per il paese e grazie a grossi cesti vi calarono dentro tutto il pane fresco, verdure, frutta e formaggi  che trovarono nei banconi dei negozi, quindi anche loro si misero in salvo. Questi camini in pietra oggi non esistono più, sono stati distrutti dal tempo che riduce in polvere le pietre come i ricordi.
E infine c'erano i sacerdoti. Anche loro avevano il loro bel da fare.
I più giovani si misero subito a disposizione dei più vecchi. Avevano bisogno della loro guida per compiere tutte le operazioni che avevano studiato sui testi sacri ma mai messe in pratica. Ognuno di loro aveva il suo compito, ma il più importante era il Grande Padre, colui che aveva la responsabilità di tutte le operazioni per il risveglio, colui che non poteva essere sostituito perchè ne nasceva solo uno ogni mille anni e il suo destino era segnato sin dalla nascita.

- Il grande padre? Risveglio? Ma di cosa sta parlando? - Dissi a voce bassa all'orecchio di mia moglie, un po spazientito...
- Shhh! - Mi rispose lei - lasciami ascoltare!

Era un vecchio dalle rughe profonde che solcavano la sua fronte ampia. La pelle scurita dalle tante stagioni passate lo faceva somigliare ad una mummia di quelle che si vedono nei musei. Ma la sua mente era sveglia, i suoi occhi attenti, lo spirito presente in ogni momento, la voce potente...
Era circondato dai suoi dieci allievi. Un giorno uno di loro, solo uno, avrebbe preso il suo posto. Fortunato e sfortunato allo stesso tempo, avrebbe visto gli anni scorrere a fiumi, i suoi amici sarebbero invecchiati e morti, con loro sarebbero scomparsi i suoi affetti più cari...

Le operazioni si susseguivano senza sosta, la voce cantilenante del Grande Padre risuonava per tutto il paese diffondendo quel senso di sicurezza che tanti secoli di storia assicuravano. Il rumore di antichi ingranaggi rimessi in movimento dopo tanti anni risuonava nell'aria e la polvere del tempo si sollevava dalle colline e si diffondeva nell'aria ricoprendo i tetti delle case di un sottile strato lucente.
In lontananza si intravvedevano le sagome di navi da battaglia. Alcune solcavano il mare, le più grandi, altre volavano nell'aria, leggere.
Il Grande Padre sapeva di non avere più molto tempo ma non poteva far altro che ripetere quelle operazioni che aveva imparato tanti anni prima e che aveva già messo in atto diverse volte in passato. Non avrebbe modificato una sola operazione, non avrebbe cambiato una sola parola del suo cantilenante ritmo.

Il difensore intanto si risvegliava. 
La testa affusolata era già emersa dalla polvere, le sue spalle possenti la sostenevano, centinaia di metri al di sopra dei tetti delle case più alte. La polvere continuava a cadere sui tetti dando l'idea di un paese abbandonato da tempo. 

Poi, il Grande Vecchio si fermò! Smise per una attimo di cantare, solo per un attimo, per poi riprendere con una nenia del tutto differente. Mentre prima doveva risvegliare il difensore, ora doveva guidarlo in battaglia, contro il nemico che era sempre più vicino. Il ritmo si fece più incalzante, la voce più profonda e potente che mai. Suoni minacciosi come rombi di tuono riempivano l'aria. Lampi di fuoco colpivano la terra e il mare circostante, senza però nuocere gli uomini che oramai, compiuto il loro dovere, erano riparati nei rifugi. Solo il Grande Padre, con i suoi dieci giovani aiutanti, proseguiva nel suo lavoro, mettendo a rischio la propria vita per la salvezza di tutti gli altri. 

Il vecchio continuava il suo racconto. 
La voce roca e profonda aveva un effetto quasi soporifero su di noi eppure le parole risuonavano chiare nella nostra mente. In lontananza la sagoma dell'isola dell'Asinara sembrava prendere vita e rizzarsi su zampe possenti a difesa del porto e della cittadina di Porto Torres.
Io e mia moglie sembravamo in trance...

Poi si udì un boato spaventoso. Una colonna di fuoco e polvere si sollevò proprio di fronte al paese, dove oggi c'è il porto. In lontananza un rombo di tuono, continuo, si avvicinava minaccioso, portando con se il terrore della forza della natura violenta. Il mare si riversò sul paese, lungo le strade, dentro i camini di pietra, fin nelle viscere della terra. 
Il Grande Padre e il difensore sembravano inermi di fronte all'ondata distruttiva. Il nemico era stato colpito anch'esso. Le grandi navi in balia delle onde vennero rovesciate. I vascelli volanti, sorpresi alle spalle dall'onda gigantesca non fecero in tempo a sollevarsi e furono travolti.
Fu un giorno terribile...

Mentre pronunciava queste parole, il vecchio piangeva, come se, ancora una volta, rivivesse quei terribili istanti.

Poi il difensore, sentendo il pianto del Grande Padre per la distruzione che lo circondava, prese l'iniziativa. Ritto sulle sue enormi zampe si frappose tra il paese ed il mare, trattenendo quell'enorme onda, impedendo che raggiungesse l'ingresso principale dei sotterranei.
Il difensore si distese di fronte al paese formando una enorme catena montuosa che col tempo e con il crescere delle acque si trasformò in un'isola, l'isola dell'Asinara. 
Quelle che oggi vedete, confuse nella foschia, non solo altro che le ossa di un vecchio difensore, sacrificatosi per il paese... le ossa del drago!

Alzammo gli occhi di fronte a noi. 
Le gobbe dell'isola sembravano ciò che restava di un gigantesco drago, ormai a riposo.
Ci girammo intorno ma il vecchio, così com'era arrivato, silenziosamente era sparito, lasciandoci nel cuore il senso di tristezza e solitudine di una giornata umida e ventosa...

Alessandro Rugolo e Giusy Schirru

domenica 7 maggio 2017

Jean Dominique de Larrey, il chirurgo di Napoleone e inventore del “Triage”


E' impossibile fare riferimento al Primo Soccorso in caso di eventi “catastrofici”, di qualunque natura ed origine, in cui il numero delle vittime superi di gran lunga quello dei soccorritori, senza ricordare l'inventore del Sistema per affrontare in termini di efficacia, efficienza ed economicità questo tipo di eventi avversi caratterizzati dalla discrepanza tra richiesta ed offerta di assistenza. 
Come spesso accade nella storia umana, da fatti drammatici e sanguinosi, di esclusiva responsabilità antropica come le guerre, sono derivate competenti e felici intuizioni di uomini e/o donne “speciali” circa il modo di affrontare, “domi bellique” (in pace come in guerra), i devastanti effetti di situazioni critiche che con la guerra poco o nulla hanno a che spartire! Se oggi sappiamo come affrontare al meglio disastri ad elevata magnitudo d'impatto lo si deve ad uno di questi “benemeriti”: Jean Dominique de Larrey.
Egli nacque l'8 luglio 1766. All'età di tredici anni iniziò gli studi di medicina. Giunto a Parigi verso la fine del 1787, fu selezionato come chirurgo ausiliario imbarcato sulla fregata “La Vigilante”. Le cure fornite nei casi di malattia e le precauzioni da lui adottate circa l'igiene durante il viaggio ottennero un tale successo che, al suo rientro, la nave non aveva perso un solo uomo!
Quando, nel 1792, la Francia entrò in guerra contro l'Austria, il Cittadino Larrey rispose alla Leva in Massa per soccorrere “La Patrie en danger” (la Patria in pericolo), where ideology "not only mobilized manpower for the regular armies, but also inspired ordinary people to fight on their own account.”1. Fu nominato Capo-chirurgo dell'esercito del Reno. 
Qui entrò per la prima volta a contatto con il mondo militare rimanendo profondamente colpito dal divario esistente tra le necessità reali e l'organizzazione effettiva del sistema. Questa discrepanza era tanto più evidente nella cura e trasporto dei feriti attuato con carri che arrivavano sul campo di battaglia addirittura giorni dopo lo scontro. Al loro arrivo, gli uomini feriti gravemente erano ormai quasi tutti morti. In tali circostanze i comandanti divennero più che mai interessati a preservare la loro forza numerica e i servizi sanitari militari assunsero un'importanza del tutto nuova nell'economia di guerra. Per porre fine a tali situazioni, Larrey ideò un sistema di ambulanze “volanti” con cui i chirurghi militari potessero seguire tutti gli spostamenti delle truppe e dare aiuto immediato ai feriti. Avendo a disposizione un simile sistema, Larrey ebbe la possibilità di organizzare il primo sistema di triage direttamente sul campo di battaglia. I feriti potevano o essere trattati sul posto (attualmente si parla di “stay & play”) ed, eventualmente, essere immediatamente rispediti a combattere, o recuperati e trasportati (“scoop & run”) in tempo utile presso le strutture sanitarie arretrate. Ogni ambulanza venne specificamente progettata e dotata di personale medico e paramedico e di materiali di primo soccorso necessari secondo una politica di sgombero “ante litteram”.  Tale ambulanza funzionò come prima unità sanitaria di pronto soccorso.
Nell'arco di dieci campagne, Larrey operò costantemente sul campo di battaglia facendo notevoli scoperte ad esempio modificò la forma degli aghi di sutura per permetterne la migliore maneggevolezza, e avendo occasione di dimostrare, contro l'opinione di famosi Chirurghi, la necessità dell'amputazione immediata al fine di evitare l'insorgere di infezioni che molto spesso, a quel tempo, portavano alla morte. 
Nel 1796 fu nominato professore alla Scuola Militare di Medicina e Chirurgia a Parigi. Per gli strabilianti risultati ottenuti, lo stesso Napoleone volle Larrey alle sue dirette dipendenze durante tutte le successive campagne militari.
Il chirurgo quindi tornò al servizio attivo, partendo il 1º maggio 1797 verso l'Italia. Dopo aver visitato le provincie conquistate, Larrey ispezionò gli Ospedali e istituì in diverse città Scuole di chirurgia; organizzò le ambulanze e formò uno speciale Corpo Sanitario attagliato alle esigenze della “moderna” guerra “di popolo” ed alla politica espansionistica napoleonica. Tra il “piccolo Caporale” ed il suo Chirurgo in Capo, da questo momento in poi, si creerà un profondo legame.
Nel 1798 Larrey fu al seguito delle truppe napoleoniche in Egitto ed in Siria. Nel 1802 fu nominato Medico generale della Guardia dei Consoli, mentre, nel 1804, ricevette la croce di Ufficiale della Legion d'Onore e, nel 1805, fu nominato Ispettore Generale della Sanità dell'esercito.
Una volta Imperatore, Napoleone lo richiamò sul campo di battaglia: Larrey parteciperà alle battaglie di Ulm e Austerlitz, alle Campagne di Polonia, Spagna. A Wagram, dopo la battaglia, ricevette da Napoleone il titolo di barone. 
Nel 1812 venne nominato Chirurgo in Capo della Grande Armée con cui prese parte alla disastrosa campagna di Russia. In particolare nella battaglia alle porte di Mosca, privo di personale e di mezzi, cercò di riportare l'ordine stabilendo la sua ambulanza generale al centro della linea di battaglia, dove passarono ben due terzi dei feriti, praticando durante le prime 24 ore più di duecento amputazioni di uno dei quattro arti nonostante mancassero garze, coperte, forniture, uccidendo i cavalli per il nutrimento dei feriti, la cui maggioranza morì più tardi durante la ritirata.
Rimanendo fedele all'Imperatore, rientrò in Francia e lo seguì anche durante l'avventura dei “100 giorni” culminata nella sconfitta definitiva di Napoleone a Waterloo. Larrey seguì l'Esercito in ritirata. Fu catturato da soldati Prussiani e corse il rischio di essere fucilato. Lo stesso Comandante in Capo dell'Esercito prussiano, il Generale von Blucher, il cui figlio era stato salvato dal Chirurgo durante la Campagna d'Austria, impedì l'esecuzione e lo fece liberare.
Considerato come uno dei più devoti sostenitori di Napoleone, alla caduta dell'Imperatore, fu privato del suo titolo di Barone e della retribuzione di Ispettore Generale della Sanità militare; perse inoltre le pensioni e il reddito da parte della Legion D'Onore. Conservò soltanto il posto di Capo Chirurgo all'Ospedale militare.
Nel 1818 una legge lo reintegrò e ciò gli diede il coraggio di ricostruire la sua scuola. Pubblicò un quarto volume delle sue Campagne, scrisse il trattato di "Clinica Chirurgica", nel 1820 fu eletto Membro dell'Accademia di Medicina e nel 1829 fu chiamato all'Accademia delle Scienze. 
Dopo un viaggio in Belgio nel 1832 per organizzare il servizio sanitario militare di quel Paese, riprese il posto di Capo chirurgo all' Hôtel des Invalides di Parigi e fu nominato Membro del Consiglio Generale della Sanità.
Morì di ritorno da un viaggio di studio in Algeria, il 25 luglio 1842. La sua statua in bronzo si trova nel cortile esterno dell'Ospedale militare di Parigi. 
Larrey ha lasciato al mondo della Medicina diverse opere, nate soprattutto da una serie di osservazioni dirette durante il servizio medico attivo sui campi di battaglia.

1Townshend C. The Oxford History of Modern War. p. 177 ISBN – 0 – 19 – 280645 – 9

Bibliografia:
  • Bayle M.M., Thillaye, Biographie Médicale par ordre chronologique d'après Daniel Leclerc, Eloy, etc., Tome second, pp. 837-844, Parigi, Adolphe Delahays Libraire, 1855.
  • Bégin L.J., Dictionnaire des sciences médicales: Biographie Médicale, Volume 5, pp. 524-529, Parigi, C.L.F.Panckoucke éditeur, 1822.
  • Cantarano E, Carini L, Storia della Medicina e della Assistenza per le Professioni Sanitarie, UniversItalia, Roma, 2013, pag 151.
  • Cosmacini G, Guerra e Medicina, Bari, Laterza Editori, 2011.
  • Weiner Dora B. , "Dominique Jean Larrey", in W.F.Bynum and H. Bynum (eds.), Dictionary of medical biography, Westport-London, Greenwood Press, 2007, Volume 3, p. 774

Luisa CARINI, Enzo CANTARANO, Federico BIZZARRI