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lunedì 28 marzo 2016

Ercole in Spagna

Tempo addietro ho scritto di Sanchuniathon secondo Filone di Biblo
Ora, frugando su Google books alla ricerca di notizie su tale Dracone di Corfù, autore di una storia sull'Italia antica, mi sono imbattuto in un testo del 1787  di Gian Francesco Masdeu, di Barcellona, edito a Firenze. Si tratta della "Storia critica di Spagna.
Non ho saputo resistere e, dopo aver appurato che le informazioni su Dracone di Corfù erano veramente minime, ho cercato il primo volume in cui si parla della Spagna antica, ed ho cominciato a leggere.
Mi sono quindi imbattuto nella leggenda dei Titani, che non è però l'oggetto di questo mio articolo, e poi di una parte in cui l'autore riferisce dei vari personaggi chiamati Ercole che si dice siano stati in Spagna, ed ecco che cosa dice l'autore. Un inciso, l'autore afferma che Oceano Atlantico significava Oceano Innavigabile, come se Atlantico significasse "non navigabile". E' la prima volta che trovo un simile riferimento. In effetti in greco Thalassa significa mare e se si suppone che Atlantico sia A-Tlantico, allora la "A" potrebbe essere privativa. E' qualcosa su cui riflettere. Dirò infine che l'autore è molto scettico sull'esistenza di questi Ercoli e del fatto che siano effettivamente arrivati in Spagna.
Ma torniamo al testo.
Il Masdeu dice che: "Quattro principalmente sono gli Ercoli, i quali si pretende che abbiano posto piede in Spagna", questi sono Ercole l'Egiziano, Ercole il Fenicio, Ercole il Cretese ed Ercole il Tebano.
Il primo di questi, l'Ercole Egiziano, suppongono i Greci, che fosse Capitan Generale di Osiride Re d'Egitto, e che insieme venisse con lui a conquistare la Spagna.
Un altro inciso: l'autore riferisce che Diodoro Siculo pensa che Osiride in quanto Dio dovrebbe essere uno dei nomi del dio Sole e che il significato sia "multi-occhiuto", ovvero che vede tutto. Ciò mi ha fatto pensare ad alcune rappresentazioni di angeli con gli occhi su tutto il corpo, cosa che ho visto per esempio in una chiesa sul lago d'Orte. Sempre Diodoro asserisce che Osiride è anche un Dio Uomo, ovvero un condottiero deificato per le grandi imprese compiute in terra. Il Masdeu asserisce che il regno di questo Osiride dovrebbe risalire a quattordici anni dopo il Diluvio Universale e sulla base del fatto che ritiene inverosimile che in quei tempi antichi si potesse navigare fino alla Spagna e che non crede possibile esistessero regni potenti capaci di simili imprese, giudica che Ercole l'Ercole Egizio non sia mai potuto arrivare in Spagna.
Parlando quindi dell'Ercole Fenicio, il Masdeu dice che il fatto in se ha maggior verisimilitudine in quanto Ercole arrivò in Spagna, dato che le Colonne ne conservano il nome. Però per l'autore un tale Ercole non era conquistatore bensì mercante. Oppure, se veramente era un grande uomo, un eroe, come si potrebbe arguire dall'interpretazione del significato in lingua araba e fenicia, tale Ercole venerato a Cadice non è altro che lo stesso Ercole Egizio di cui ha già parlato.
In merito all'Ercole Cretese, il Masdeu lo fa risalire all'Ercole Fenicio, infatti a suo parere l'Ercole Cretese era uno dei Sacerdoti (o Sapienti) del monte Ida della Frigia. Tali sapienti erano dieci e venivano chiamati con molti nomi: Idei, Coribanti, Cureti, Cabiri, Satiri, Titiri, Gerfici, Dattili e Ditti. Masdeu afferma che i Cureti erano sapienti Fenici per cui ancora una volta l'Ercole Cretese non è altro che l'Ercole Fenicio. Sul fatto che esso conquistasse la Spagna afferma che non la conquistò con le armi ma che vi portò le sue conoscenze.
Dell'Ercole Tebano ci parla maggiormente. Intanto si dice che vivesse in Tebe sotto il Re Euristeo di Micene, che partecipò all'impresa degli Argonauti in colchide, che vinse in battaglia le Amazzoni guidate dalla loro regina Ippolita, che sconfisse Laomedonte, che consegnò il regno di Troia a Priamo. Si dice che tale Ercole viaggiò anche in Italia e Spagna per poi tornare in Grecia dove, gravemente ammalato, si uccise gettandosi nel fuoco. Tali avvenimenti avvenivano cinquantacinque anni prima della distruzione di Troia. Si dice che in Spagna sconfisse Gerione, Re, e gli rubò le vacche ed eresse le celebri Colonne che da lui presero il nome. 
Secondo il Masdeu vi furono quaranta e più Ercoli di cui si parla nelle storie, però a suo parere si tratta sempre dello stesso, ovvero di quello più antico, l'Egizio o Fenicio, il quale fu, probabilmente, un grande conquistatore.
Ora, che Ercole fosse Egizio, Fenicio, Tiro o Cretese poco importa, sicuro è che ogni volta che mi accingo a leggere qualche testo antico vi scopro sempre notizie interessanti, forse non sempre attendibili, ma sicuramente interessanti.
Chiudo dicendo che il Masdeu cita Monsignor Mario Guarnacci e il Dottor Giampaolo Limperani come autori di Storie d'Italia poco credibili, testi in cui gli autori raccontano come molti degli Dei e degli Eroi dell'Antichità fossero Italiani. Forse non è vero ma sicuramente è interessante e prima o poi dovrò dedicarmi anche alla lettura di questi autori.

Alla prossima.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 27 marzo 2016

Pitchfork

Chi sono io?

Quando mi guardo allo specchio vedo solo l'immagine sbiadita di me stessa, come l'ombra di una donna in una notte di luna piena o un fantasma in un maniero medievale.
Eppure, mi dico, sono sempre io, o ciò che resta di me.

Cosa ho fatto?

Ripenso agli anni passati e ancora non capisco, non riesco a comprendere in cosa ho sbagliato. Ombre nere ricoprono il mio viso e lo nascondono alla vista del mondo.

Sarebbe potuto essere tutto diverso, ma evidentemente questo è il mio destino. Portare nel mio cuore un simile peso fino alla morte.

Ricordo ogni istante le immagini dei corpi straziati, il sangue rosso scuro colare lungo i corpi, l'odore forte del sangue rappreso mi torna prepotentemente alla mente. Non riesco a non pensarci. E' quasi una tortura. Non passa istante che io non ricordi quei volti, contorti dalla sofferenza, urlanti di dolore. 
Poi un velo nero si posa sui miei occhi e non vedo più niente, forse svengo anche io, forse il mio cervello si rifiuta di continuare a vedere, a sentire...

Ogni volta mi risveglio in un posto differente. 
La prima volta mi svegliai nella cantina della nonna. L'odore nauseabondo mi colpì come uno schiaffo sul viso. Avevo le mani appiccicose, quasi nere. Ai miei piedi una pozza di sangue rappreso. Mio nonno mi prese in braccio senza dire una sola parola e mi portò in cucina. La nonna aveva preparato una tinozza di acqua calda e, dopo avermi spogliato e gettati via i vestiti, mi ci immerse completamente. 
L'acqua era calda e l'odore del sapone mi destò del tutto.

"Pichfork, pichfork"
urlavano gli altri bambini, girandomi attorno.
"Pichfork, pichfork"
mi schernivano ogni giorno. Poi decisi di non andare più a scuola. Non mi volevano e io non volevo loro. 
I nonni non l'avevano presa bene. Quelle poche ore in cui io stavo a scuola a loro servivano per ritemprarsi. Avevano una certa età e dovevano prendersi cura di me. Certo, mi volevano bene, ma comunque erano anziani, molto anziani, e di li a poco se ne andarono anche loro, come avevano fatto il papà e la mamma...

Avevo dodici anni, credo, e la vita divenne dura. Non era facile vivere da soli ma ci feci presto l'abitudine.

A tredici anni tornai a scuola.
Avevo sempre studiato per conto mio per cui la cosa non mi pesò per niente. Volevo riprovare, volevo vedere se gli altri avevano dimenticato. Speravo che il mio destino potesse cambiare, ma mi sbagliavo.
Passò solo qualche giorno, prima che qualcuno si ricordasse del mio soprannome. "Pichfork, pichfork", li sentivo dire tra loro sorridendo, mentre gli passavo vicino, quando entravo in classe, quando mi chiamava la maestra. Sempre la stessa storia.

Dovevano farla finita!

Un giorno persi la pazienza e cominciai a urlare. Poi mi misi le mani sulle orecchie e scappai fuori dalla classe. Non tornai mai più.

La casa dei nonni era poco fuori dal paese e io continuavo a viverci da sola.
Ero in grado di cucinare, accudivo il bestiame, raccoglievo le uova. L'orto mi dava ciò che serviva per vivere e il prete del paese mi mandava spesso la sua perpetua per aiutarmi.
Ero isolata dal paese ma allo stesso tempo ne ero parte integrante.

Domani compirò diciotto anni.
Mi preparo per l'evento con perizia maniacale.
Tutto deve essere perfetto. Non ho più parenti, non ho amici. Il parroco ha smesso da qualche anno di mandarmi la sua perpetua. Quella donna è sparita da tempo e nessuno sa che fine abbia fatto. Ma io ormai sono grande e non ho più alcun bisogno di essere aiutata. Ora so chi sono e cosa devo fare.
Domani è la mia festa. Meglio andare a dormire presto, domani sarà una lunga giornata.

Mi alzo presto la mattina, mi vesto con il vestito migliore che possiedo. Sui capelli metto una rosa rossa, nata nell'orto. Una spina mi graffia la fronte ed una goccia di sangue cola sul viso, lungo la guancia, fino al collo.
Prendo il forcone dal granaio e lo stringo tra le mani.

Il paese è a pochi minuti dalla casa. 
E' ancora presto e non incontro nessuno per strada. 
Mi fermo alla prima casa e busso alla porta. 
"Chi è a quest'ora del mattino?"
Urla una voce per niente gentile dall'interno. Riconosco la voce, è la maestra. Non mi ha mai difeso quando gli altri mi chiamavano Pichfork. 
Si apre la porta e me la ritrovo davanti. E' un po ingrassata ma non fatico a riconoscerla...
"Pichfork, sei tu? Cosa..."

Non le lascio il tempo di finire la frase, le infilo il forcone nelle budella, dal basso verso l'alto, e spingo con tutte le forze... fiotti di sangue mi colano sulle mani. Lei non parla più. 
Uno sguardo stupito si trasforma in smorfia di dolore. Solo pochi secondi di agonia e poi si accascia a terra. Devo aver raggiunto il cuore, penso... devo fare più attenzione la prossima volta.

Pochi passi mi separano dalla seconda casa. E' la casa del prete. 
Non busso, passo dal retro, come ho fatto tante volte. So dove si trova la chiave. La prendo ed entro, in punta di piedi. Il sangue comincia a rapprendersi sulle mani e sul vestito ma non ci faccio caso.
Entro nella sua stanza. E' ancora a letto. Mi avvicino in silenzio e lo bacio sulle labbra. Lui si sveglia e mi guarda compiaciuto, chissà cosa pensava... sollevo il forcone e glielo infilo nel collo. Non una sillaba... un fiotto di sangue nero gli esce dalla bocca e mi sporca il vestito nuovo.
Lo lascio li, agonizzante, con le mani al collo e una smorfia di orrore sul viso... non merita neppure un ultimo sguardo.

La giornata è ancora lunga e ho tanto da fare, non posso certo perdere troppo tempo se voglio fare pulizia...

Da allora molti anni sono passati eppure non ho mai dimenticato. Dopo quel diciottesimo compleanno sono sempre stata rinchiusa.
All'ospedale mi hanno riempito di medicine. I primi anni mi tenevano legata al letto. Poi, col tempo, hanno capito che non ero più pericolosa degli altri e mi facevano uscire a prendere aria nel giardino.
Ora i tempi sono cambiati e mi dicono che sono guarita e posso andare via. Posso tornare a casa. Come se ce l'avessi una casa. 

Domani è il grande giorno. Sarò libera.
Esco per l'ultima volta in giardino a vedere le rose. Ne taglio una, rossa come il sangue. Senza badarci me la infilo tra i capelli. Una spina mi graffia leggermente ed una goccia di sangue cola lungo la guancia.
Mi giro per rientrare e, poggiato al muro, vedo un forcone, forse dimenticato dal giardiniere...

"Dottore, è sicuro che io sia guarita?"
Le parole mi escono dalla bocca con sicurezza. Il dottore si gira e mi guarda con un sorriso... 
Il forcone penetra sotto il mento e fiotti di sangue ricoprono ancora una volta le mie mani...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


Pasqua

Ricordo con piacere i preparativi pasquali di quando, bambino, appena mi affacciavo alla vita.
Era tutta una festa! Il paese di Seui eera come scosso dai preparativi.
La settimana prima di pasqua tutti noi partecipavamo con gioia alla messa cercando di accaparrarci la palma più bella e intrecciata. Poi spesso, con in mano solo poche foglie intrecciate alla meno peggio e un rametto d'olivo, tornavamo a casa di corsa.
I dolci, le uova (vere) dipinte, il pane coccoi con l'uovo al centro, l'uovo di cioccolato, uno per tutta la famiglia, da rompere rigorosamente il giorno di pasqua...
Tante cose sono cambiate oggigiorno, se in bene o in male non saprei dirlo. Sicuramente la famiglia era più unita e trovarsi a tavola con i parente era qualcosa  di piacevole, ormai sempre più raro.
E allora, per concludere, un augurio a tutti: che possiamo ritrovare i valori di un tempo con il benessere di oggi. 
Buona pasqua 2016 a tutti!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Visita a Sulmona

Ancora una splendida giornata di marzo, in quest'anno senza inverno, ci spinge a ridosso del parco nazionale della Majella, fino a Sulmona, piccola cittadina abruzzese in provincia dell'Aquila. 
Due cose colpiscono immediatamente: il profumo dello zucchero e delle mandorle dei suoi confetti, che aleggia per ogni dove,


e il ricordo del suo più noto concittadino, Publio Ovidio Nasone.

 

E' giorno di mercato, la piazza è gremita di persone che comprano frutta e verdura, dolci, pane, bocconotti e fiadoni... questi ultimi assaggiati anche da noi!


La cittadina è animata di turisti, diverse lingue si mescolano ai profumi per dare un non so che di esotico.
Lungo le strade tantissimi negozi di confetti, ce n'è per tutti i gusti. Confezionati, singoli, in buste di varia dimensione o in forme di fiore, ape, coccinella... senza dimenticare le esigenze dei numerosi tifosi di calcio.

Lo stemma della città riporta una sigla: SMPE, il cui significato deriva dalle iniziali di una frase di Ovidio: "Sulmo mihi patria est, gelidis uberrimus undis,
milia qui novies distat ab Urbe decem", ovvero: "Sulmona è la mia patria, ricca di gelide acque, dista da Roma novanta miglia". 


La città, secondo Ovidio e Silio Italico, è di origine troiana. Il nome deriva da quello del suo fondatore Sòlimo, compagno di Enea, fondatore di Roma. La città fu chiamata Solimon, poi col tempo divenuta Sulmo, oggi Sulmona.


Le chiese, numerose e stupende, ricordano a tutti il suo passato. Al papa, seppure per poco, Celestino V, ha dato i natali la città. Il Duomo ce lo ricorda.




Il sole ci accompagna piacevolmente risplendendo sulle nevi delle vette circostanti, per le strade della città. 

L'olfatto ci guida invece nella scelta del ristorante. Un tagliere di affettati e formaggi misti con bruschette calde all'olio extra vergine d'oliva ci intrattiene. Trofie e ceppi dai sapori tipici abruzzesi, quindi arrosticini di pecora, annaffiati da vino rosso locale chiudono il pranzo, Ottimo!E' ora di rientrare a Roma. Ci mettiamo in viaggio consapevoli che ciò che abbiamo visto, ed assaggiato, non sia che un centesimo di ciò che c'è, sperando di avere nuove occasioni per tornare, voltiamo le spalle alla città e partiamo...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 19 marzo 2016

Visita a Rapallo

Siamo a Rapallo, piccola cittadina della Liguria.
Piccola, ma non per questo meno affascinante...
E' una piacevole giornata di "quasi" primavera.   
Nel golfo si staglia sull'acqua un piccolo castello in pietra.
E' il castello cinquecentesco di Rapallo, costruito dalla cittadinanza per combattere le incursioni dei pirati.
La gente è simpatica, la cucina è ottima!
Il tempo è bello e il sole, non filtrato dallo smog cittadino, ci abbronza piacevolmente. 
Belle le chiese, San Francesco, tra tutte, non la più grande, ma ricca di splendide vetrate.
Splendido anche il chiosco della musica, dono degli emigranti rapallesi dell'America Latina.
Qualche chilometro più a ovest si può visitare Santa Margherita Ligure e Portofino.
Lungo la strada imponenti ville e castelli in pietra costellano le ripide scogliere e fanno pensare a quando, tempo fa, la costa doveva essere appannaggio di pochi.
Portofino è ancora deserta... ci godiamo il silenzio e la pace, passeggiando nel borgo.
Le ombre della sera coprono il cielo e ci invitano a tornare a Rapallo, a godere del cibo e del buon vino. Focaccia con stracchino, tipica di Recco, cima genovese, farinata fritta, pansotti alle noci, trofie al pesto genovese, stoccafisso allettato... 
Chiudiamo la serata con una bella passeggiata digestiva nel lungomare Vittorio Veneto...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 12 marzo 2016

Il libro di biologia, di Isaac Asimov

Era da tempo che cercavo i libri di divulgazione scientifica di Asimov.
Credo di aver letto quasi tutti i suoi romanzi, non solo di fantascienza, ma ancora non avevo letto niente della sua immensa produzione scientifica.
Qualche settimana fa al mercatino dell'usato, mentre cercavo qualche fumetto di Tex per la mia collezione, mi sono imbattuto nel "libro di biologia" che si è quindi aggiunto alla mia piccola collezione.
Ho impiegato alcune settimane a leggerlo e non
so quanto ricorderò, ma per mia colpa.
Il libro è interessantissimo, ricco di particolari, di aneddoti e di storia della scienza. Ogni termine è introdotto, spiegato sin dalla sua origine. 
Avrei voluto avere a scuola un libro fatto così, stimolante e chiaro allo stesso tempo.
Cos'è la biologia?
Cosa sono le sostanze organiche e inorganiche? Come si distinguono, se veramente si distinguono?
Cos'è una molecola? 
Chi ha inventato le prime molecole sintetiche e a che scopo?
Cosa sono le proteine, gli amminoacidi, gli acidi nucleici, cos'è la vita?
Cose sono i batteri, i virus, di quali malattie sono responsabili e come l'uomo le ha sconfitte?
A cosa è dovuto il cancro?
Quali sono gli elementi fondamentali per l'alimentazione umana? Cosa sono le vitamine, i lipidi, le proteine, i minerali. In che quantità devono essere presenti nel corpo umano?
A cosa servono gli ormoni? Da cosa sono regolati? Come funziona il sistema nervoso centrale?
Queste sono solo alcune delle domande che trovano risposta nel libro di Asimov, con la chiarezza di un grande divulgatore e il coinvolgimento di un grande romanziere. 

Asimov ripercorre gli ultimi secoli di scoperte, partendo dai concetti alla base della chimica organica per giungere ad un argomento a lui caro, i robot.
Non voglio dilungarmi in questo momento sul libro che penso proprio che d'ora in poi utilizzerò come guida per approfondire la storia e la vita dei principali scienziati, però non posso fare a meno di notare come tante delle più grandi scoperte sono avvenute "quasi" per caso.
Con ciò non intendo negare agli scienziati i loro meriti, ma solo sottolineare come spesso, mentre l'uomo cercava qualcosa, ne abbia trovato altre.

Grazie Asimov, ancora una volta.

A rileggerti presto!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


Di mare e di guerra, di Giuseppe Sfacteria

Chi è l'autore?
Il Comandante Giuseppe Sfacteria dice di sé: “Sono ligure e penso da ligure, mi comporto da ligure. Il ligure è armato di una sola vera arma: la concretezza.”
E di lui non dirò altro perché chi, come me, lo conosce, non ha bisogno di descrizioni, chi invece non lo conosce da queste poche parole penso possa farsene un'idea.
Allora spenderò qualche altra parola per parlare di un altro Comandante, Giuseppe Aonzo, anch'esso ligure, Medaglia d'oro al Valore Militare nel corso della Grande Guerra.
Del Comandante Aonzo, Giuseppe ha fatto la voce narrante di un collage di storie di pura fantasia. “Nelle pagine che seguono non c’è nulla di vero, se non la descrizione, sommaria e colloquiale, dell’azione che ha portato Luigi Rizzo e Giuseppe Aonzo a meritarsi la medaglia d’oro.”
Azione ricordata nella prefazione di Andrea Tirondola.

Il MAS, ovvero Motobarca Armata SVAN”, dove SVAN è la sigla del cantiere veneziano che produce queste motobarche, è il mezzo usato da Aonzo e Rizzo per la loro impresa. MAS è anche la sigla che D'Annunzio aveva associato alle parole Memento Audere Semper, ovvero “ricorda di osare sempre”.
In queste pagine, i “ricordi” del Comandante Aonzo si frammischiano alle storie e realtà e fantasia si confondono, indistinguibili.
“Su questa terra, per quel che mi riguarda, considero il grado una scala di misura crescente dei doveri. So bene di essere anticonvenzionale, ma so anche di non essere il solo a pensarla così e spero tanto che un giorno tutti i figli di questa Patria amatissima mantengano questa regola.”
Il pensiero di Aonzo, è anche il mio!
Mi vien voglia di dire a voce alta ripensando anche al sacrificio di tanti italiani in uniforme.
Così, il racconto prosegue sul treno che da Ancona conduce Aonzo a casa, a Savona.
Il nostro Aonzo racconta al piccolo Egil l'avventurosa ed eroica impresa che lo vide coprotagonista, al comando del suo MAS 21, con il Comandante Rizzo,dell'impresa di Premuda contro le corazzate Santo Stefano e Teghetoff.
E leggendo, anche io ne apprendo la storia! Non è mai troppo tardi.
Poi è la volta dei ricordi dei commilitoni, Capo Esposito, Mulargia, Salvi, Capo Izzico, Mistretta, veri o inventati che siano, sono comunque soldati. Lo si capisce dalle parole che l'autore ci presenta, lo si capisce dallo spirito cameratesco, dallo spirito di servizio, dalla descrizione di momenti che seppure di fantasia, fanno riferimento a fatti che ogni comandante di uomini non può, almeno una volta nella vita, non aver vissuto.

Grazie Giuseppe, grazie per il tuo libro. Grazie per averci dato l'opportunità di conoscere, o ricordare, un pezzo di storia d'Italia.
Grazie per avermi concesso qualche ora di interessante e piacevole lettura.
E per finire, Giuseppe, ti saluto, attendendo il Tuo prossimo libro...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 6 marzo 2016

Il cimitero di Praga, di Umberto Eco

Nel terzo ripiano dal basso della mia libreria (una delle tante), si trovano i libri di Umberto Eco, tra questi, due giorni fa, ho trovato "Il cimitero di Praga", non ancora letto da me!
Si tratta di un bel volume rilegato, con la copertina rigida, e la sovraccoperta lucida con una scalinata in primo piano e al di sopra, l'immagine scura di un uomo contro luce avvolto in un mantello e con in testa una cappello a cilindro.
Prendo il libro tra le mani e lo osservo da vicino cercando di capire se val la pena cercare di leggerlo nei restanti due giorni di ferie. 
Mi torna alla mente la mia ultima lettura di Eco, "Il pendolo di Foucault", iniziato tre volte e finito una sola, dopo dieci anni almeno dal primo tentativo di lettura, certo, da allora sono passati altri dieci anni e centinaia di libri letti... ma con Eco il rischio di imbattersi in qualcosa di non semplice comprensione c'è sempre, ed è molto elevato!
Accetto il rischio, con piacere direi, mi piacciono le sfide.
Inizio a leggere... mi imbatto subito nel protagonista, il capitano Simonini. Un personaggio strano che aiuta l'autore a ripercorrere parte della storia dell'Italia, Francia e Europa... o forse del mondo intero. Le vicende raccontate, tutte realmente accadute (o quasi!) si sviluppano nell'arco temporale della seconda metà dell'800, e gettano le basi dell'odio verso gli ebrei cavalcato con tanto successo dagli stati europei.
Realtà o finzione, direte?
Realtà... ma anche finzione, storia ma anche romanzo. Personaggi reali e inventati si alternano al centro della scena conducendo il lettore per mano attraverso le vicende dell'unità d'Italia ad opera di Garibaldi, la morte (accidentale?) di Ippolito Nievo, gli scandali della chiesa, l'affare Dreyfus... ma anche la buona cucina, dalla Sicilia a Parigi.
Un grande Umberto Eco, storico prima di tutto ma sublime romanziere, mi ha accompagnato negli ultimi due giorni di ferie, fino a qualche minuto fa, con il suo cimitero di Praga, che dopo essere stato letto per diletto ora deve essere letto diversamente, come oggetto di studio, come un libro di storia, per capire dove termina il romanzo e comincia la Storia...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO