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venerdì 21 dicembre 2007

Gilgamesh e i Maya, un viaggio attraverso l'Oceano?

Quante cosa sono ancora nascoste tra le pagine di libri scritti e mai letti?
Quante cose devono ancora esser tradotte da lingue salvate per caso dalla morte?
Questa è una storia un po strana, che inizia ad Uruk, antichissima città del sud della Mesopotamia e, attraverso l'Oceano, termina in America, nella terra dei Quiché.
Leggendo leggendo, mi scontro con fatti strani e affascinanti e non posso fare a meno di trovare delle somiglianze... di intravvedere un filo trasparente come seta attraversare il mondo e la storia e i secoli e i millenni, solo per me, forse!
Ho già scritto di Gilgamesh come dei Quiché, ora per gioco ma non troppo voglio mettere assieme questi popoli e vediamo che cosa accade.
L'epopea di Gilgamesh racconta del suo viaggio alla ricerca dell'unico uomo che abbia avuto il dono dell'Immortalità, Utnapistim, sopravvissuto al Diluvio. Gilgamesh va dunque alla sua ricerca e dopo varie peripezie giunge dal barcaiolo di Utnapistim, Ursanabi. Qui accade qualcosa di poco chiaro e così Gilgamesh distrugge delle "Cose di Pietra"... Gilgamesh chiede ad Ursanabi di essere condotto con lui al cospetto di Utnapistim ma Ursanabi, arrabbiato risponde:
"Gilgamesh, quelle cose che hai distrutto hanno la facoltà di trasportarmi sull'acqua, di impedire alle acque della morte di toccarmi. Per questo le conservavo; ma ora tu le hai distrutte e con esse i serpenti urnu..."
Cosa distrusse Gilgamesh?
Cosa sono le Cose di Pietra?
Cosa sono i serpenti urnu?
Comunque il viaggio prosegue, Gilgamesh viene condotto da Utnapistim il Lontano, che vive a Dilmun, nel luogo del transito del Sole, ad Est della montagna...
"Ora Utnapistim, da dove giaceva a suo agio, guardò lontano e disse in cuor suo, riflettendo tra sé: 'Perché mai il battello naviga fin qui senza sartiame o albero? Perché sono distrutte le sacre pietre, e perché non è il nocchiero a governare il battello?
Così pare che Utnapistim potesse vedere molto lontano... chissà...
Utnapistim aveva già compiuto in precedenza opere meritevoli di riguardo, infatti aveva costruito una grande nave e aveva salvato la stirpe degli esseri viventi sulla Terra dal Diluvio...
ora, riceve Gilgamesh e gli racconta i suoi segreti...
Ma adesso é ora di passare su un altro continente, alla ricerca delle tracce di viaggiatori del passato. Siamo ora nella terra dei Quichè... e si parla dei popoli che vennero dopo la creazione, di popoli che: "Riuscirono a conoscere tutto ed esaminarono i quattro angoli ed i quattro punti della volta del cielo e della faccia della Terra".
Poi accadde qualcosa e "il Cuore del Cielo gettò una nebbia sui loro occhi, i quali si appannarono come quando si soffia sulla lastra di uno specchio. I loro occhi si velarono e poterono vedere soltanto ciò che era vicino... Così vennero distrutte la loro sapienza e tutte le conoscenze dei quattro uomini, origine e principio della razza quiché."
Questo popolo perse le conoscenze che aveva acquisito...
Quale fu la causa?
Dal popolo che perse le conoscenze deriva un nuovo popolo... un popolo particolare... che viene dall'Oriente...
"Erano diversi i nomi di ciascuno quando essi si moltiplicarono là nell'Oriente, e molti erano i nomi della gente: Tepeu, Olomàn, Cohah, Quenech, Ahau, ché così si chiamavano questi uomini là nell'Oriente, dove si moltiplicarono. Si conosce anche l'origine di quelli di Tamub e di quelli di Ilocab, che vennero insieme di là, dall'Oriente... Là stettero allora in gran numero gli uomini neri e gli uomini bianchi, uomini di molte specie, uomini di molte lingue, che era portentoso udire."
Più tardi i quichè intrapresero un viaggio, forse alla ricerca di qualcosa che li aiutasse a far tornare la luce del sole, giungono in una località chiamata Tulàn e li gli apparvero i loro dei... Tohil, Avilix e Hacavitz... e fu allora che le lingue di tutti i popoli divennero diverse e non si capivano più... (come nel racconto di Babilonia e la torre di Babele, Babel voleva dire Caos..) ed i loro indumenti erano solo pelli di animali ma erano uomini prodigiosi... anche Gilgamesh vestiva solo pelli di animali... quando arrivò da Utnapistim!
Veramente il racconto è molto confuso, per cui a volte si parla di dei, altre volte con gli stessi nomi ci si riferisce a monti...
Ma da dove giunsero questi dei o uomini prodigiosi?
Dal mare ma... "Non é ben chiaro, tuttavia, come avvenne il loro passaggio sul mare; come se non esistesse il mare, passarono su pietre, su pietre messe in fila sull'arena. Per questo motivo vennero chiamate Pietre in fila, Arene divelte, nomi che essi diedero loro quando attraversarono il mare, essendosi divise le acque quando essi passarono."
Quante strane coincidenze... uomini che vengono dall'Oriente, Diluvio, lingue che si mischiano e popoli bianchi e neri... mare che si apre, pietre in fila...
e se leggiamo ancora Gilgamesh, vi sembrerà sempre più possibile che lui abbia raggiunto quelle terre... e sia poi andato via...
E chissà che il Re Gucumatz (il re che diede inizio all'espansione del degno dei quichè) non sia altri che lo stesso Gilgamesh...
Forse, dopo queste righe, direte...
Tutte fantasie...
Eppure la storia... quella ufficiale, ci parla di un dio o di un uomo, Quetzalcoatl, dio degli aztechi, il cui nome significa serpente piumato...
Dio o uomo giunto dal mare e che andò via perché fu scacciato ma un giorno sarebbe tornato dal mare, a bordo di navi...
Ha, a proposito, non è che i serpenti urnu di Gilgamesh sono i serpenti piumati?
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 19 dicembre 2007

Un nuovo Tuttologo, Patrick Galimberti


Cari amici dei Tuttologi, oggi ho il piace di presentarvi l'ultimo arrivato, Patrick Galimberti.

Patrick é nato il 25.07.1968 a Mendrisio (Svizzera) da padre italiano e madre tedesca. L'incontro di queste due culture e modi di vivere, ne caratterizzano la personalità ed il modo di essere. Patrick ha frequentato il Liceo Economico, per poi frequentare la facoltà di Giurisprudenza all'università Statale di Milano. Ha iniziato la carriera militare nel 1989, diventando ufficiale di milizie nel 1992. Nel 1998 si é laureato presso l'Accademia Militare di Zurigo in Scienze Militari ed ha lavorato per anni sulle piazza d'armi delle truppe di salvataggio. Le sue esperienze professionali lo hanno portato ad insegnare lingue, a diventare trainer del modello della personalità DISC e lavorare come coach.


Benvenuto Patrick, ora aspettiamo con ansia il tuo primo articolo.


Per i Tuttologi,

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 16 dicembre 2007

Milleottocentonovantanove

Quando mio nonno morì ero in vacanza al mare e non potei tornare per il suo funerale. I parenti pensarono che fossi il solito menefreghista, giovane scapestrato e ribelle, ma io ne fui veramente rammaricato, perchè perdevo una persona che amavo. In silenzio, da lontano, ci dividevano cento anni di storia.
So che era nato nel ’99, nel mese di novembre, in un tempo di un’Italia post-risorgimentale, preindustriale e contadina, a Prossedi, paesotto arroccato della Ciociaria. Non lontano da Roma, dove si finiva per migrare se le cose andavano male. Ma ad Arcangelo, questo il nome che gli avevano imposto, a lui andarono subito benissimo perchè il padre aveva la terra da lavorare e le pecore da pascolare, e quindi il pane per i figli lo portava e un pezzo di sigaro da fumarsi tranquillo la sera ci scappava sempre. Quando la stagione era buona e il clima dolce pigliava il ragazzo la chitarra e se ne andava per le vie cogli amici a stornellare, si faceva dare dal padre un capretto e c’era da mangiare e bere per tutti. Poi scoppiò la guerra, una guerra lontana fatta per terre che non se ne conosceva neanche l’esistenza, gli diedero un fucile, aveva diciassette anni. Nella trincea si stava col fango alle ginocchia, e gli scarponi erano di cartone, a turno si spulciavano le maglie di lana dai parassiti, però si stava vivi e si scriveva a casa, che era tanto lontana. Quando si andava in avanti, Arcangelo caricava il moschetto e girava la testa all’indietro mentre sparava verso il niente. La paura spingeva lui e i commilitoni più avanti. Poi furono a Caporetto e ancora adesso per antonomasia è una disfatta; ma erano i ragazzi del novantanove e così alla fine la vinsero la Grande Guerra! Di quell’eroismo si ricordarono nel ’73 quando lo fecero cavaliere con la medaglia, la croce ed il resto. Tornato dal fronte ebbe pure il tempo di andare a ventun’anni a fare il servizio militare e lo spedirono in Sardegna. Di quel tempo rimane una stropicciata cartolina illustrata spedita alla fidanzata Lisetta, mia nonna. Durante la leva si beccò la pleurite e svernò nell’ospedale militare di Cagliari. Certe volte si rivolgeva a mia madre con delle parole in sardo, che nessuno capiva, e allora mia nonna diceva “ Chi c’ha la lengua, va in sardegna”. Secondo me, ‘sto proverbio se l’ era inventato lei di sana pianta, così per ridere, intendendo che chi sa parlare va lontano, financo in Sardegna, o giù di lì. Non sono riuscito mai a farmelo spiegare bene, quel detto.
Quand’ero bambino , si sedeva silenzioso al tavolo ed io mi facevo, senza dir niente , quasi di soppiatto, vicino perchè temevo di dare fastidio; mio nonno faceva i solitari con le carte ed io stavo a guardare affascinato per imparare. E ancora adesso quando , nei rari momenti di tedio, mi ritrovo tra le dita un mazzo di carte e butto sul tavolino le fila di figure, penso a lui che in silenzio con gesti ponderati, me li ha insegnati.
Tornato dalla leva s’era sposato mia nonna Luisa, e adesso c’era lei a tenergli compagnia nelle corti notti estive davanti all’ovile. Se ne stava a poltrire sotto l’albero, mentre il gregge pascolava, in quel posto che chiamavano tre moschetti, e la vedeva salire col cesto in testa e si gustava la bella figurina che s’inerpicava fino a lì per portargli la cena, la più bella del paese, ed era sua moglie adesso. Quando calava la sera, chiudeva le bestie e si mangiavano assieme un boccone, poi via a far l’amore nella stalletta, in mezzo al fieno. Stavano abbracciati nel buio, a lungo, cullati dal suono delle cicale e dal vento che muoveva le foglie degli alberi, liberi e felici, di quella libertà che si gusta in segreto, che non va raccontata ma è preziosa e che nessuno avrebbe più potuto toglier loro. Neanche la più feroce e stolta dittatura, che marciava allora su Roma ma che non lambiva neppure quel loro mondo. Anzi gli portò il progresso della luce elettrica, di qualche macchina di passaggio e della bonifica delle paludi. Ma la vera faccia della medaglia si sarebbe vista più tardi, con la guerra.
Lisetta era rimasta incinta quasi subito e non saliva più ai tre moschetti, ma rimaneva giù in famiglia e il marito scendeva di rado per salutarla, lei col bambino che cresceva nel grembo. Ma nel paese cominciò a girar voce che il fratello di Luisetta era manesco, la trattava male e forse la picchiava. Era sordomuto, era sempre stato un po’ lo strano del villaggio, e quindi la voce si ingigantì, la moglie di Arcangelo le prendeva senza ragione dal fratello ed era pure gravida. La faccenda non tardò a raggiungere le orecchie ben aperte di mio nonno che una brutta mattina scese al paese e andò all’orto del cognato per capire come stavano le cose, prima gli parlò con le buone, ma lui rispondeva a gesti, con quei suoni strani che non vogliono dir niente, poi urlava e anche l’altro faceva lo stesso e alzava le mani al cielo come un ossesso, si guardarono in cagnesco e lui vide uno sguardo beffardo nel fondo di quegli occhi senza colore in quel rumore che copriva il silenzio della parola. E lo colpì con una vanga che trovò lì vicino, lo colpì più volte, non credo per ucciderlo ma io tendo sempre ad assolverlo, perchè gli volevo bene. Il giudice del tribunale di Latina la pensava diversamente e lo condannarono a sette anni per tentato omicidio. Come corollario dovette vendere le cento pecore per pagare un avvocato che non seppe difenderlo. La povera Lisetta si trovò travolta da un evento più grande di lei, da una parte il marito in galera dall’altra la sua famiglia che gli diceva di non testimoniare delle violenze subite dal fratello perchè altrimenti l’avrebbero internato come fosse matto. E non testimoniò. Tutte le mattine alle quattro colla cesta in testa andava al carcere di Ceccano a portare conforto al marito che stava lì rinchiuso e non capiva bene perchè, lui aveva solo difeso sua moglie e il suo bambino.
Una mattina che era ancora buio, da dietro un albero si fece contro un brigante colla doppietta : “ Dove te ne vai tutta sola di notte, bella fe” gli disse beffardamente. La bella Lisetta avvolta nel fazzoletto nero, sembrava ancora più piccola della sua età. Ma era forte ormai come una roccia: “Vada trovare lo marito mio, che sta a Ceccano”. Il bandito trasalì, conosceva bene quel posto, la galera, si lasciò scappare un sorriso sotto la barba sporca, e le disse “ Viene, signò, ti accompagno io fino laggiù, che a quest’ora del giorno c’è stà piricolo”. E sembrerà strano , ma il feroce bandito della Ciociaria, col suo schioppo e la sua carriera di rapine, si guadagnò la nostra gratitudine di posteri perché fu di aiuto a mia nonna quel giorno del millenovecentoventisette.

Giuseppe Marchi

I popoli del mare, il paese del mare e... Atlantide

Con il termine "i popoli del mare" ci si riferisce ad alcune popolazioni di cui si sa ben poco, citate dagli egizi nelle fonti del faraone Ramesse III (ufficialmente 1198-1166 a.C.).
Queste popolazioni probabilmente arrivarono via mare e invasero la Siria travolgendo Ugarit, Biblo, Tiro e Sidone. Pare che i Filistei fossero parte di un contingente dei popoli del mare, lasciati lungo la costa a controllare i territori conquistati.
Non si sa bene chi fossero ne da dove venissero ma dovevano essere molto bellicosi.
C'è da dire anche che la parte sud della Babilonia a partire dalla città di Nippur fino al golfo persico era conosciuta con il nome di Paese del Mare.
Non so se vi siano dei collegamenti tra popoli del mare e paese del mare.
In ogni caso l'ultimo re del paese del mare pare sia stato Eagamil, sconfitto dal cassita Ulamburiash intorno al 1.500 a.C..
Nei testi antichi vi sarebbero anche altri riferimenti a fantastici invasori del mare, sono i greci a parlarcene. Pare infatti che una popolazione arrivò dal mare e invase il mondo allora conosciuto, Egitto compreso. Furono i greci a salvare il Mediterraneo se diamo retta a questa storia.
Questa storia, raccontata nel Timeo da Platone nel capitolo III, a mio parere potrebbe essere ricollegata a quella dei popoli del mare.
Si tratta della storia di Atlantide. Non vi sto a raccontare tutto ma, in definitava, così parlò un sacerdote Egizio a Solone: "Molte grandi opere pertanto della città vostra quì trascritte si ammirano, ma a tutte una va di sopra e per grandezza e per valore; perocchè dice lo scritto di una immensa potenza cui la vostra città pose termine, la quale violentemente avea invaso insieme l'Europa tutta e l'asia, venendo di fuori dal mare Atlantico. Infatti allora [..] in questa isola Atlantide era sorto un grande e mirabile impero, il quale la dominava tutta quanta con molte altre isole e alcune parti pure del continente. Ed oltre di ciò anche delle regioni da questa parte nel mare interno signoreggiavano sulla Libia (Africa) fin verso l'Egitto e sull'Europa fino all'Etruria. Or tutta questa forza raccolta in uno tentò una volta con un impeto solo di soggiogare e i luoghi vostri ed i nostri e quanti altri sono di quà dello stretto. E fu allora, o Solone, che la potenza della città vostra diventò illustre presso tutti gli uomini e per valore e per vigoria..."
Dunque, i greci avrebbero salvato il mediterraneo da questa poderosa invasione.
Ma questa storia, se veramente accaduta, risale a prima del Diluvio, o almeno così ci dice sempre Platone per voce dello stesso sacerdote in un altro passo del Timeo:
"Perocchè fu una volta, o Solone, prima della grande distruzione per mezzo delle acque, quella che ora é la città degli ateniesi una città prestantissima, e per la guerra e per tutte le atre cose ben ordinata più che alcun'altra..."
Chiaramente gli storici non attribuiscono alcun valore a quanto raccontato da Platone, come non conta niente ciò che ha raccontato Erodoto oppure ciò che stà scritto nei testi religiosi...
Il Diluvio, nonostante sia presente in tantissimi testi antichi di popolazioni di tutto il mondo, non c'è mai stato...
Eppure, vien da riflettere...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 15 dicembre 2007

Gilgamesh e la lunga vita

Ancora una volta, rileggere fa bene, permette di capire meglio e di più...
Dopo aver letto d'un fiato l'epopea di Gilgamesh, ora sto dedicando un po di tempo ad approfondire... e così comincio a vedere somiglianze che prima non avevo notato con altri testi antichi... parallelismi o stranezze comuni.
E' il caso della Bibbia, chi di voi non ricorda quei passi della Genesi in cui si parla della durata della vita dei patriarchi? Adamo, per esempio visse per novecento trenta anni, Set visse invece per novecento sette anni prima di morire.
E così le generazioni si susseguono fino ad arrivare a Noè.
Noè e forse, dopo Adamo, il più conosciuto dei patriarchi, per via del Diluvio cosiddetto Universale... Allora Noè aveva seicento anni e di li a poco sarebbe piovuto per quaranta giorni e quaranta notti di seguito! Il tempo passava e Noè visse in tutto novecento cinquanta anni!
Ma poi accade qualcosa... Sem, figlio di Noè visse "solo" seicento anni o giù di lì. Suo figlio Arpacsad 438 anni. E' poi la volta di Selach che visse 433 anni, poi Eber visse per 464 anni, Peleg, figlio di Eber, visse 239 anni, come suo figlio Reu. Serug visse 230 anni, suo figlio Nacor visse solo 148 anni e suo figlio Terach visse 205 anni e vide morire uno dei figli, Aran nella città di Ur...
la cosa interessante, oltre alla lunghezza della vita dei patriarchi è come essi, fino a Noè vissero tutti tra i settecento e i mille anni circa ed ebbero il primo figlio intorno ai cento anni o più...
Ma dopo il Diluvio non è più così, la lunghezza della vita si accorcia sempre più e si comincia ad avere figli sempre prima, fino a che la vita si accorcia e diventa più umana...
Ma perché, vi chiederete, vi sono somiglianze con Gilgamesh, Re di Uruk città sul fiume Eufrate, sopravvissuta al Diluvio?
Ebbene, Gilgamesh era il quinto re della città del tempo postdiluviano... e regnò per 126 anni! Non ho notizie di quanti anni in tutto visse, fatto sta che dopo di lui la vita e i regni ebbero durata umana... così si racconta!
Uno dei suoi predecessori, Lugalbanda il terzo re di Uruk dopo il Diluvio, regnò per 1.200 anni!
Si stima che Gilgamesh probabilmente visse intorno al 2.700 a.C., dunque il Diluvio, se si tratta dello stesso di cui ci parla la Bibbia, avvenne quanto meno 4.000 anni prima di Cristo!
La considerazione che posso fare e che, se ciò che leggiamo fosse vero, prima del Diluvio o per lo meno a cavallo del Diluvio, la vita dell'Uomo era più lunga di quanto non è oggigiorno, poi qualcosa ha fatto si che la vita si accorciasse fino ai livelli attuali.
Erodoto ci parla di popolazioni dell'Africa (che lui chiama Libia) che vivevano fino a 120 anni... ma già ai suoi tempi la vita media era molto più corta.
Ma vediamo di fare un passo avanti e a tal fine poniamoci delle domande:
Cosa potrebbe essere accaduto?
Esistono fenomeni fisici o chimico-fisici che possono allungare la vita?
Potrebbe essere il Diluvio, o le sue cause, ad aver provocato dei cambiamenti nella lunghezza della vita Umana?
Se invece dovessimo considerare che le genealogie tramandateci fossero semplici fantasie, allora potremo evitare di farci domande, ma io preferisco pensare che non ci sarebbe stato alcun motivo per inventare vite di centinaia di anni, allora, quale altra spiegazione potrebbe esserci?
Una spiegazione potrebbe essere che a cavallo del diluvio (o poco dopo) vi fu un cambiamento nel modo di calcolare gli anni... ma anche ciò è molto strano. Chi ci tramandò questi nomi sapeva di avere una grande responsabilità sulle spalle, perché non avrebbe dato indicazioni del cambio di calendario?
Bene, io non so cosa sia potuto accadere ne quale sia la verità, ma credo che valga la pena cercare di rispondere alle domande che mi sono posto, scientificamente ma senza pregiudizi...
nella considerazione che dire "é impossibile" spesso è sbagliato e serve solo a nascondere la nostra ignoranza, la nostra mancanza di capacità di comprensione.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 9 dicembre 2007

Udine... in foto

Solo pochi scatti...
per ricordare una gita di tanti anni fa,
In una piccola ma graziosa città del nord Italia

Tutto in ordine,
tutto al suo posto...

E cibi saporiti,

e grappe sanguigne...


Semplicemente Udine!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 8 dicembre 2007

Lucrezio e gli atomi

Tito Lucrezio Caro (98-54 a.C.) ci parla delle conoscenze di alcuni secoli prima, ci parla di tante cose e tra queste degli atomi... ma prima di tutto ci dice...

(Della Natura I, La materia, 149 e seg.)
"che nulla sorge dal nulla per dono divino mai [..] nulla può mai in alcun modo crearsi dal nulla [..] Natura inoltre dissolve di nuovo le cose nei propri elementi e non le disperde nel niente [..] ogni corpo è composto d'eterna materia, fin quando non giunga una forza a colpirlo da fuori, a romperlo, o penetri dentro pei vuoti e riesca a scomporlo [..] Il tempo infinito, trascorso finora, avrebbe consunto ogni cosa mortale; ché se invece per tutto quel tempo passato gli elementi di cui l'universo è composto han potuto durare, vuol dire che certo son fatti d'eterna materia [..] avvinte tra loro con nessi più stretti o più lenti.

In poche pagine Lucrezio ci parla della materia e del vuoto, del fatto che è composta da atomi che durano in eterno, delle forze di diversi tipi che tengono uniti i corpi... e del tempo eterno...

(Della Natura I, La materia, 417 e seg.)
Or dirò completando l'ordito iniziato che gli esseri tutti, esistenti per sé, risultan composti di queste due cose: di vuoto e materia; e accolta nel vuoto sta la materia e pe'l vuoto si muove volgendosi a luoghi diversi.

Dunque tutti gli esseri sono composti da materia e da vuoto. E' il vuoto ad accogliere la materia, che nel vuoto si muove...

(Della Natura I, La materia, 459 e seg.)
Il tempo per se non esiste, ma sono le cose stesse a far nascere il senso del tempo, il pensiero di ciò ch'é compiuto, trascorso da noi, e di ciò ch'é presente e infine di ciò che sarà.

E' interessante questa riflessione sul tempo che non esiste in assenza di cose, di materia...

(Della Natura I, La materia, 482 e seg.)
I corpi del mondo parte son atomi, parte aggregati di atomi; ma questi, eterni primordi dell'essere, forza non c'è che li possa distruggere [..] Non sembra che esistano quindi cose compatte. Eppure, se dentro guardiamo all'essenza del mondo, vedremo che esistono solidi corpi d'eterna sostanza: e tali ora mostro che i semi son delle cose, gli atomi, di cui l'universo risulta formato.

Quindi tutti corpi presenti nell'universo sono composti da atomi e da loro aggregati...

Bene, abbiamo avuto una bella lezione di fisica... da allora sono passati poco più di duemila anni se pensiamo a Lucrezio, circa 2.300 anni se pensiamo a Epicuro, da cui Lucrezio ha ripreso i concetti, circa 2.500 anni se pensiamo invece a Democrito e all'atomismo... cui Epicuro attinse... ma siamo sicuri che ci si debba fermare qui?
Non possiamo andare più indietro nel tempo e trovare ancora conoscenze così avanzate?

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO