Negli ultimi anni, il mondo dello sviluppo software ha vissuto una
trasformazione radicale, passando dall'esecuzione tradizionale delle
applicazioni su server fisici a soluzioni più flessibili e
scalabili. Un esempio chiaro di questa evoluzione è il percorso che
un'applicazione compie dalla fase di sviluppo fino alla gestione
automatizzata con Kubernetes.
Ma prima di andare avanti è meglio dare almeno le definizioni di container e orchestrator, concetti che troveremo più avanti:
- Cos'è un container? Un container è un ambiente isolato che contiene tutto il necessario per eseguire un’applicazione: codice, librerie e dipendenze. Grazie ai container, le applicazioni possono funzionare in qualsiasi sistema senza problemi di compatibilità.
- Cos'è un orchestrator? Un orchestrator, come Kubernetes, è uno strumento che gestisce automaticamente il deployment, il bilanciamento del carico, la scalabilità e il ripristino dei container, garantendo che l’applicazione sia sempre disponibile e performante.
Un po' di storia: dalle origini dei
container a Kubernetes
L'idea di eseguire applicazioni in ambienti isolati risale agli
anni '60 con il concetto di virtualizzazione, ma è negli anni 2000
che i container iniziano a prendere forma. Nel 2000, FreeBSD
introduce i "Jails", un primo tentativo di creare
ambienti isolati all'interno di un sistema operativo. Nel 2007,
Google sviluppa e introduce il concetto di Process
Container, poi cgroups
(Control Groups), una tecnologia che permette di limitare e
isolare l'uso delle risorse da parte dei processi, e lo integra in
Linux.
Nel 2013, Docker Inc. (all'epoca dotCloud) rivoluziona il settore
introducendo
Docker, una piattaforma open-source che
semplifica la creazione, distribuzione ed esecuzione dei container.
Grazie alla sua facilità d'uso, Docker diventa rapidamente lo
standard de facto per il deployment delle applicazioni. La nascita di
Docker ha rivoluzionato non solo la portabilità dei container, ma
anche la standardizzazione di questi facendo passi da gigante
nell'automatizzare e semplificare il processo di creazione e
distribuzione dei container.
Con la crescente diffusione dei container, emerge la necessità di
un sistema per gestirli su larga scala. Nel 2014, Google rilascia
Kubernetes,
un progetto open-source basato su Borg, un
orchestratore interno utilizzato per anni nei data center di Google.
Kubernetes diventa rapidamente il leader indiscusso
nell'orchestrazione dei container, grazie al supporto della Cloud
Native Computing Foundation (CNCF).
Il punto di partenza - Sviluppo locale
Per cercare di capire cosa sia Kubernetes e qual’è la sua
utilità è utile provare a ripercorrere lo sviluppo di una
applicazione nel tempo.
Immaginiamo di dover sviluppare una piccola applicazione web,
magari con Python e Flask. Il primo passo naturale è scrivere il
codice e testarlo sulla propria macchina, installando le librerie
necessarie e configurando l'ambiente per farlo funzionare. Finché
l’applicazione è utilizzata solo dallo sviluppatore, questo
approccio può andare bene.
Tuttavia, emergono rapidamente i primi problemi: cosa succede se
dobbiamo eseguire la stessa applicazione su un altro computer? O se
dobbiamo distribuirla a più sviluppatori senza conflitti tra
librerie diverse? Qui entra in gioco la necessità di un sistema più
standardizzato, che permetta anche di automatizzare alcune
operazioni.
L'isolamento con Docker
Docker risolve questi problemi fornendo un ambiente isolato in cui
l’applicazione può essere eseguita senza dipendere dalla
configurazione del sistema operativo sottostante. Creando un'immagine
Docker, è possibile impacchettare tutto il necessario (codice,
dipendenze, configurazioni) in un unico file eseguibile, che può
essere eseguito su diverse macchine. In questo modo, l’applicazione
diventa più portatile: può essere avviata con un semplice comando e
funzionerà in modo consistente su macchine con configurazioni
simili, sia in locale che su server remoti.
Coordinare più servizi con Docker
Compose
Molte applicazioni non sono autonome e richiedono l'interazione
con altri servizi per funzionare correttamente. Ad esempio,
un'applicazione web potrebbe dipendere da un database come
PostgreSQL. In questi casi, gestire i singoli container separatamente
può diventare complicato. Docker Compose semplifica questo processo,
permettendo di definire e avviare più container contemporaneamente
con un solo comando, gestendo facilmente le dipendenze tra i vari
servizi.
Questo approccio semplifica la gestione di applicazioni composte
da più servizi, rendendo lo sviluppo più fluido.
Ma cosa succede quando vogliamo eseguire la nostra applicazione
non su un solo server, ma su più macchine, magari per gestire un
traffico maggiore?
La scalabilità con Kubernetes
Dopo aver gestito l'ambiente di sviluppo e aver creato il
container con Docker, il passo successivo è affrontare la gestione
su larga scala, ed è qui che Kubernetes entra in gioco.
Se l’applicazione deve gestire un numero crescente di utenti, un
singolo server non basta più , occorre passare a Kubernetes, un
sistema di orchestrazione che automatizza la gestione dei container
su più macchine.
Con Kubernetes, possiamo:
Distribuire l’app
su più server per garantire disponibilità continua.
Scalare automaticamente
il numero di container in base al carico di lavoro.
Riavviare automaticamente
i container che si bloccano o falliscono.
Bilanciare il traffico tra le varie istanze
dell’applicazione.
Questa flessibilità permette di affrontare qualsiasi esigenza di
crescita, senza dover gestire manualmente ogni singolo container.
L'altra faccia della medaglia
Se da un lato Docker e Kubernetes hanno portato grandi vantaggi in
termini di flessibilità, scalabilità e gestione delle applicazioni,
dall’altro hanno anche ampliato la superficie di attacco e le
potenzialità di vulnerabilità. Con l’introduzione di container,
orchestratori e infrastrutture distribuite, si sono creati nuovi
punti di accesso per attacchi informatici.
Ogni componente aggiunto all’infrastruttura (dal container
stesso, ai vari microservizi, fino ai nodi gestiti da Kubernetes)
introduce nuove potenziali vulnerabilità. Inoltre, la gestione di
più container e il coordinamento tra di essi richiedono la gestione
di credenziali, configurazioni di rete e comunicazioni che, se non
protette adeguatamente, possono diventare veicoli per attacchi.
Il rischio aumenta ulteriormente con l’adozione di
configurazioni errate, la gestione di dati sensibili non
adeguatamente criptati e la possibilità di errori di programmazione
nei microservizi che, se sfruttati, possono compromettere l’intero
sistema. In un ambiente distribuito, un attacco a uno dei singoli
componenti può avere ripercussioni su tutta l’infrastruttura, con
effetti devastanti.
Conclusione: Innovazione e sicurezza vanno di
pari passo
L’evoluzione tecnologica portata da Docker, Kubernetes e le
architetture distribuite, ha trasformato radicalmente il modo in cui
sviluppiamo, distribuiamo e gestiamo le applicazioni. Grazie a queste
tecnologie, le organizzazioni possono rispondere in modo più agile
alle esigenze di mercato, ottimizzare le risorse e garantire
scalabilità continua. Tuttavia, come con ogni innovazione,
l'introduzione di queste soluzioni ha anche ampliato la superficie di
attacco, portando con sé nuove sfide in termini di sicurezza.
Per sfruttare appieno i vantaggi di queste tecnologie senza
incorrere nei rischi associati, è fondamentale che le aziende
adottino un approccio di sviluppo sicuro sin dalle
prime fasi del ciclo di vita del software. Ciò significa integrare
pratiche di sicurezza in ogni fase del processo di sviluppo, dalla
scrittura del codice alla gestione dei container e delle
configurazioni, passando per la protezione dei dati e delle
comunicazioni. La sicurezza non deve più essere vista come un
elemento separato, ma come una componente fondamentale e proattiva da
incorporare fin dall'inizio nei processi di produzione.
In definitiva, l’automazione e la scalabilità rappresentano il
futuro della gestione applicativa, ma solo con una solida base di
sviluppo sicuro e una gestione olistica della
sicurezza queste innovazioni potranno essere pienamente sfruttate,
assicurando al contempo che i benefici della trasformazione digitale
non si traducano in vulnerabilità sistemiche.
Alessandro Rugolo