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venerdì 19 agosto 2022

Zero trust: cosa significa?

Il mondo della sicurezza è in continua evoluzione e con esso, il linguaggio impiegato da tecnici e industria della sicurezza e delle nuove tecnologie.

Uno dei termini sempre più presente nell'ultimo anno è "Zero Trust". Ma siamo sicuri di sapere di che si tratta?

Come faccio sempre in questi casi è opportuno procedere dall'inizio, ovvero dalla definizione.

Per capire cosa significa Zero Trust è utile trovare una pubblicazione di riferimento e in questo caso si tratta della NIST 800-207. Come già detto tante volte il NIST (National Institute of Standards and Technologies del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti d'America) è una fonte inesauribile di informazioni.

La pubblicazione 800-207 in particolare si occupa del framework Zero Trust. 

Al momento si tratta dello standard di riferimento sia per le organizzazioni governative americane (dal maggio 2021 obbligatorio a seguito di un ordine esecutivo del presidente Biden) che per tutti coloro che in qualche modo hanno a che fare con il modello di lavoro distribuito e in cloud. Secondo Gartner entro il 2025 almeno il 60% delle organizzazioni (pubbliche e private) impiegheranno il framework Zero Trust. 

 

I principi chiave del framework 800-207 sono essenzialmente tre:

- verifica continua. Ovvero mai fidarsi di niente e nessuno;

- limitazione del raggio di interesse in caso di incidente. Mettere in atto una serie di procedure e accorgimenti tecnici che consentano di limitare i danni di un eventuale incidente;

- raccolta automatica e continua di dati di contesto e comportamentali per garantire una risposta accurata.

Il modello Zero Trust si basa sull'assunto che la verifica una tantum dell'utente, dei suoi privilegi e dei dispositivi e servizi utilizzati non è sufficiente a garantire la sicurezza di un sistema in continua evoluzione in cui le tecnologie e i rischi sono anch'essi in continua evoluzione.

Il termine "Zero Trust" è stato introdotto da John Kindervag (Forrester Research Analyst) con il significato di non fidarsi mai e verificare sempre!

Naturalmente ciò significa raccogliere molti dati e informazioni, che elaborati, consentono di avere una idea precisa della situazione degli utenti (privilegi, orari, luoghi di probabile connessione ecc.), dispositivi servizi e rischi cui la nostra organizzazione è soggetta.

Come si può intuire, non si tratta di un lavoro semplice, ma dato l'attuale livello di rischio, probabilmente necessario. 

Il passaggio verso una organizzazione "Zero Trust" non è semplice in quanto impatta il modo di lavorare delle persone e quindi può provocare la naturale resistenza al cambiamento, ecco perché il compito di un CISO diviene ancora più complesso almeno nelle fasi di definizione del progetto e più in generale nelle prime fasi applicative.

In alcuni mercati ciò potrebbe significare nell'immediato la necessità per le aziende di prevedere un aumento delle spese di consulenza.

A ben guardare sarebbe necessario applicare i principio Zero Trust anche a livello di sviluppo software e di interazione tra i diversi componenti di una infrastruttura. Molti attacchi si basano infatti sull'assenza o debolezza di strumenti di autenticazione e verifica continua dell'integrità tra i diversi moduli. Il modello Zero Trust trova applicabilità sia a livello micro (hardware, Sistema Operativo, componenti software...) sia a livello macro (interazione tra sistemi, organizzazione aziendale...).

In generale, per la buona riuscita di un programma simile, è di estrema importanza la comunicazione interna e la capacità di supportare le esigenze dell'utente ma soprattutto la formazione interna del personale, sia per far crescere il livello di consapevolezza verso i rischi cyber, sia per minimizzare la resistenza al cambiamento. 

Il NIST 800-207 è il framework di riferimento, come abbiamo detto, ma naturalmente le principali firme della sicurezza hanno la loro propria declinazione del concetto "Zero Trust", che spesso fa riferimento ai propri prodotti. 

Ciò significa, come sempre, rischi di vendor lock-in, che devono essere attentamente valutati prima di mettere in atto qualunque programma, ma questo vale sempre e comunque.  

Alessandro Rugolo, Maurizio D'Amato, Giorgio Giacinto

Per approfondire:

What is Zero Trust Security? Principles of the Zero Trust Model (crowdstrike.com)

What is Zero Trust? | IBM

Modello Zero Trust - Architettura di sicurezza moderna | Microsoft Security

Defining Zero Trust in the Wake of the Biden Administration’s Cybersecurity Executive Order | Forcepoint

Executive Order on Improving the Nation's Cybersecurity - The White House

Universal ZTNA is Fundamental to Your Zero Trust Strategy | SecurityWeek.Com

Immagine: Resources - Imageware

lunedì 1 agosto 2022

Intelligence e sicurezza del Cyberspazio

di Calogero VINCIGUERRA


Edito dall’autore
pagg.188


Il mondo evolve sempre più velocemente, grazie alle immense possibilità offerte dalle nuove tecnologie, in particolare quelle digitali.

L’introduzione del cyberspace come quinto dominio é una conseguenza della sempre maggiore importanza del cyberspace per le operazioni militari.

Allo stesso modo é interessante notare che anche il mondo dell’intelligence cambia nel tempo, anche in funzione dei mezzi e strumenti disponibili per la raccolta e analisi dei dati e informazioni e per la produzione di intelligence. Calogero Vinciguerra, con il suo libro, ci illustra in modo chiaro i cambiamenti occorsi al mondo dell’Intelligence grazie allo sviluppo delle tecnologie dell’Informazione.

Il libro si articola in quattro capitoli principali che trattano altrettanti aspetti del mondo dell’Intelligence :

- evoluzione dell’intelligence ;

- esigenze informative e la sicurezza aziendale ;

- geografia e geopolitica del cyberspazio ;

- sicurezza del cyberspazio.

Nel primo capitolo l’autore getta le basi per una proficua lettura anche da parte di chi non é addentro alla materia, partendo dalle origini, ovvero dal significato del termine « intelligence » per poi passare all’illustrazione del ciclo intelligence. La descrizione del sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e elementi di intelligence economica chiudono il capitolo, accompagnando il lettore per mano verso la seconda parte.

Parlare di esigenze informative e di sicurezza aziendale non é semplice, ma l’autore riesce a farlo mettendo in evidenza l’importanza della figura dei professionisti della security, ritenuti, a ragione, ruoli fondamentali, tra questi anche il CISO (Chief Information Security Officer) e il DPO (Data Protection Officer). Sono bene illustrate le relazioni tra sicurezza nazionale e sicurezza aziendale, anche attraverso l’evidenziazione delle principali criticità esistenti, come per esempio la mancanza di un quadro legislativo in materia di security privata all’estero. L’illustrazione del concetto di « sicurezza partecipata » intesa come : « insieme degli strumenti e delle persone che interagiscono per concorrere a comuni obiettivi legati agli indicatori tipici della sicurezza » chiude il capitolo.

E’ con il terzo capitolo che si entra nel cuore dell'argomento del libro: cyberspace. A partire dalla spiegazione dei principali termini del settore fino alla discussione sulla cartografia del cyberspace e ai problemi della dimensione giuridica legata al territorio e al possesso dei dati, l'autore ci spiega i concetti principali. La mappatura digitale del crimine, spiegata anche con alcuni esempi reali relativi agli strumenti utilizzati, conduce alle nuove esigenze di importanti figure professionali come il Data Scientist e il Criminal Intelligence Analyst, divenuti ormai indispensabili. La geopolitica del cyberspace chiude il capitolo, con l'illustrazione del potere politico-strategico e di influenza negli equilibri mondiali del cyberspace.

Nel quarto ed ultimo capitolo Vinciguerra affronta con chiarezza la sicurezza del cyberspace. Partendo dalla definizione di hacker e di cracker, l'autore prosegue ad illustrare i principali tipi di minaccia (phishing, defacing, spoofing, DoS e DDoS) per poi descrivere le APT (Advanced and Persistent Threat) secondo la definizione del NIST e i principali crimini informatici. Nello stesso capitolo si dedica un po di spazio ai concetti di cybersecurity, cyber kill chain per concludere con lla struttura di cybersicurezza nazionale.

In conclusione il libro " Intelligence e sicurezza del Cyberspazio" è un libro interessante, molto ben strutturato e facile da leggere anche per chi si avvicina alla materia per la prima volta per cui ve lo consiglio!

Alessandro Rugolo

lunedì 25 luglio 2022

Hackerata l'Agenzia delle Entrate?


25 luglio, a Roma la temperatura è sempre più alta, e non solo quella del meteo!

Qualche giorno fa è caduto il governo, oggi sembra che sia la volta dell'Agenzia delle Entrate. Sui social si inseguono notizie, mezze voci, smentite... "Hackerata l'Agenzia... "

L’Agenzia delle Entrate dichiara “in riferimento alla notizia apparsa sui social e ripresa da alcuni organi di stampa circa il presunto furto di dati dal sistema informativo della fiscalità, l’Agenzia delle entrate precisa di aver immediatamente chiesto un riscontro e dei chiarimenti a Sogei Spa, società pubblica interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che gestisce le infrastrutture tecnologiche dell’amministrazione finanziaria e che sta effettuando tutte le necessarie verifiche”.

"Smentita la notizia... "

La Sogei afferma che “non risultano essersi verificati attacchi cyber né essere stati sottratti dati dalle piattaforme ed infrastrutture tecnologiche dell’Amministrazione Finanziaria”, chi ha ragione?
 
Come al solito in Italia non si capisce niente! 

Eppure i meglio informati dicono di aver visto le cartelle del file system, organizzate per utente, con all'interno i documenti personali, carte d'identità, passaporti... possibile che nel 2022 ci sia ancora chi organizza i dati in questo modo? Perché non un database? 
Ma si tratta veramente di dati dell'Agenzia delle Entrate?

Ma tant'é, questa è la situazione:
  




Purtroppo occorre ipotizzare il peggio: ovvero che LockBit abbia effettivamente hackerato l'Agenzia e sia in possesso dei dati. 
LockBit chiede un riscatto, pena la pubblicazione dei dati entro cinque giorni. 

Ora proviamo a considerare alcune possibili linee d'azione: 

1. lo Stato decide di non pagare il riscatto. Semplice, le conseguenze sono già chiare. I dati sottratti, sembra si tratti di 75 GB circa, saranno resi pubblici, forse in parte venduti sul mercato nero, con tutte le conseguenze del caso. Truffe, impersonificazioni, ricatti... si perché si tratta dei dati finanziari di tutti i soggetti (o parte di essi) che si trovavano nei DB dell'Agenzia delle Entrate. 

2. lo Stato decide di pagare. Gli hacker sono onesti e avuto il loro compenso restituiscono i dati sottratti e cancellano ogni copia creata. Ipotesi credibile? direi molto poco. Ma ormai la frittata è fatta, l'unica cosa da fare è sperare nella loro onestà. E se fossero disonesti, allora si ritornerebbe al caso uno con l'aggravante di aver pagato il riscatto. 

3. Lo Stato mette in moto tutte le strutture create in questi anni, attiva tutte le direttive NIS, ricorre alle innumerevoli norme regolamentari e ai suoi migliori uomini per... 

Purtroppo ho esaurito le ipotesi, restano però le domande: 

1. Come è potuto accadere? 
Le norme prevedono che i dati particolarmente sensibili debbano essere come minimo cifrati... i nostri dati lo erano? 
A vedere gli screenshot pubblicati sembrerebbe proprio di no. 

2. E adesso? Chi paga per quanto accaduto? Il tecnico in fondo a destra o il Titolare dei dati? 
Contitolari più probabilmente, se l'attacco sarà confermato, dato che le organizzazioni corresponsabili potrebbero essere diverse, l'Agenzia in primis ma anche sa società Sogei. Sicuramente il Garante della Privacy potrà dire la sua. Forse si potrebbe addirittura pensare ad una class action.. ma siamo seri, come potrebbe finire se non a tarallucci e vino?

Purtoppo, qualunque cosa si possa dire non aiuterà a riportare le cose all'attimo prima dell'incidente.
Eppure a volte una sana prevenzione, la corretta informazione e formazione del personale e delle attività di bug bounty e pentesting possono essere d'aiuto.
Ma occorre sapere di che si parla... e non sempre è cosi!

Alessandro Rugolo, Danilo Mancinone, Ugo Micci, Carlo Mauceli

Per approfondire:

domenica 24 luglio 2022

Cyber Influence, e siamo tutti parte della comunità globale!

"Cyber-Influence, un termine nuovo creato per indicare una attività antica quanto il mondo, l'influenza, svolta con metodologie e mezzi moderni (cyber) in particolare attinenti al cyberspace."

No, non si tratta di una definizione, almeno non di una definizione ufficiale! Ma semplicemente di una mia definizione.    

In un precedente articolo abbiamo visto quali sono le relazioni tra cyber warfare e Information Warfare

ora proviamo a chiederci che c'entra in tutto ciò la cyber-influence.

Questa volta, per trovare una guida, mi rivolgo alla Francia.

Nel mese di marzo del 2021 è uscito uno studio dell'IFRI (Institut Français des Relations Internationales) dal titolo "Cyber-influence, Les nouveaux enjeux de la lutte informationelle" firmato da Laure DE ROCHEGONDE e Elie TENENBAUM. Proverò a seguirlo per quanto possibile, cercando di semplificare per rendere comprensibile a tutti un argomento abbastanza complesso.

Questa volta la parola chiave è "influenza" e come questa possa essere impiegata nell'ambito della guerra.  

Nella NATO il concetto di STRATCOM è ben noto e tutte le Forze Armate Alleate, chi più chi meno, si sono allineate dal punto dottrinale. 

Le Operazioni Informative sono parte della STRATCOM e si dividono in tre grandi branche:

- le azioni di cooperazione civile-militare (CIMIC), aventi lo scopo di migliorare alcune condizioni sociali o economiche del paese ospite, per far si che la Forza Militare sia percepita bene e che la popolazione collabori; 

- le operazioni di Key Leader Engagement, che mirano ad influenzare primariamente i decisori;

- le Operazioni Psicologiche, che sono concepite allo scopo di modificare, mantenere o rinforzare la percezione di individui o collettività.      

Come è facile immaginare queste tre tipologie di operazioni possono essere condotte impiegando mezzi di diversa natura. 

Ci fu un tempo in cui si cercava di influenzare il prossimo stampando e distribuendo, spesso di nascosto, dei libercoli in cui si tessevano le lodi di tale persona o idea (più spesso si sparlava di qualcuno!). La carta e l'inchiostro erano il supporto indispensabile. L'area in cui questo tipo di propaganda era possibile variava da un quartiere ad una città, difficilmente si arrivava oltre.

Poi arrivarono le prime macchine che consentivano di fare tante copie in poco tempo. Ciò migliorò la velocità di diffusione. Ma per riuscire a superare il confine cittadino occorreva attendere. L'avvento di internet e soprattutto dei social ha fatto si che i confini si annullassero e con le attuali capacità di profilazione si è arrivati alla distribuzione porta a porta di prodotti di influenza personalizzati.

Oggi infatti siamo soggetti a bombardamento continuo di messaggi preparati appositamente per colpirci nei nostri punti deboli.

Il cyberspace è trasversale a tutte le attività umane e veicola dati e informazioni di tutti i tipi, comprese tutte quelle informazioni sul nostro profilo psicologico raccolte in maniera automatica ormai da qualunque sito, aggregate e analizzate per ottenere dei prodotti di intelligence sui singoli e sui gruppi sociali.

Ecco perché quando pubblichiamo una foto di un piatto di linguine cozze e vongole su facebook, qualche istante dopo ci viene proposto di iscriverci al sito del super chef stellato che ci insegnerà come fare la salsa di pomodoro utilizzando i migliori prodotti (sponsorizzati) disponibili sul mercato. Naturalmente i siti su cui verremo reindirizzati sono creati da professionisti del marketing che ben sanno come catturare l'attenzione e convincere, influenzare. Difficilmente si scappa dalla rete. 

Esattamente allo stesso modo, se abbiamo dato il nostro sostegno ad un post in cui si sostiene una causa politica o sociale, nel giro di poco tempo ci verranno presentati post simili. Naturalmente ciò avviene solo se la narrativa possibile conduce verso lidi ben gestiti, altrimenti avviene il contrario, si viene isolati, i propri post sono cancellati, il proprio profilo viene bloccato...

Queste sono operazioni di influenza, condotte contro il singolo o contro gruppi sociali, grazie alla potenza delle nuove tecnologie e alla pervasività del cyberspace. 

Immaginate ora cosa può essere fatto in caso di guerra, quando tutta la forza di una Nazione è incanalata verso l'unica direzione possibile? 

Allora, ricordiamo che una regola antica come il mondo consiste nel chiedersi sempre: "Cui prodest"? Ovvero, a chi giova? Chi ha vantaggio da una o dall'altra narrativa? Chi trae vantaggio dal possedere i miei dati? Chi trae vantaggio dall'impiego delle informazioni che senza troppo preoccuparmi sono giornalmente condivise con i miei amici dei social, con la banca, con l'app contapassi, con quella che mi conta le calorie consumate e mi suggerisce cosa mangiare, con il mio supermercato di fiducia, con le piattaforme che mi aiutano nella ricerca del volo più economico per andare in vacanza, dell'hotel che fà assolutamente al caso mio, dell'app che misura i miei progressi linguistici... cominciamo a ripeterci: cui prodest? Poi magari facciamolo lo stesso, ma facciamolo consapevolmente! 

Cominciare col porsi questa domanda corrisponde ad iniziare un nuovo percorso, un percorso di consapevolezza in cui non si è più parte del gregge.

Meditate gente, meditate,

Alessandro RUGOLO

Come sempre grazie agli amici di SICYNT che mi hanno aiutato a rendere semplice e interessante l'articolo coi loro preziosi suggerimenti.

Immagine: Cyber-influence : les nouveaux enjeux de la lutte informationnelle | IFRI - Institut français des relations internationales


Per approfondire:

Cosa bisogna sapere sul cyberspace per vivere bene: la pubblicità personalizzata - Difesa Online

Alexa, Intelligenza Artificiale e buon senso - Difesa Online

IFRI - Institut français des relations internationales | Institut de recherche et de débat indépendant, consacré à l’analyse des questions internationales et de gouvernance mondiale.

Cyber-influence : les nouveaux enjeux de la lutte informationnelle | IFRI - Institut français des relations internationales

STRATCOM, comunicazione e information influence activities - Difesa Online

Cyber Influence and International Security > National Defense University Press > News (ndu.edu)

Cyber Influence and Cognitive Threats | ScienceDirect

martedì 19 luglio 2022

Cybersecurity Ergonomica

Ho avuto spesso modo di valutare differenti approcci alla protezione informatica, in diversi ambiti.

Molto spesso l’impostazione era troppo superficiale, le politiche di sicurezza insufficienti quando non completamente assenti, e questo esponeva l’azienda ad un fortissimo rischio di compromissione.

A mio parere, però, quasi altrettanto deleterio per la sicurezza globale è l’implementazione di policy “troppo” stringenti.

So che questo sembra essere un controsenso, forse provocatorio, ma vi prego di seguirmi nel ragionamento.

E’ un fatto acclarato che l’anello debole nei sistemi informativi è quasi sempre “Dave: l’errore umano” (non me ne vogliano i tanti amici di nome Dave!)

Se implementiamo delle policy troppo stringenti e poco user friendly, poco “ergonomiche”, come mi ha suggerito il bravissimo @roarinpenguin, inevitabilmente gli utenti, schiacciati tra l’incudine della sicurezza e il martello della produttività, cercheranno degli escamotage per rispettare formalmente le policy, e nello stesso tempo continuare a lavorare in maniera agevole.

Faccio un esempio concreto: per lungo tempo si è stressato sulla necessità di avere password molto complesse, che comprendessero numeri e caratteri speciali in diverse combinazioni.

Questo ha portato molti, troppi utenti a scriversi da qualche parte la password per non dimenticarla, vanificando così completamente l’obiettivo primario della policy.

Poi si è introdotto l’obbligo di cambiare la password di frequente. Gli utenti la “cambiavano”, reimpostando la precedente. Allora si è bloccato il riutilizzo. Risultato? P@ssword1, P@ssword2, P@ssword3…

Questo è solo un esempio per dire che, per ottenere una sicurezza efficace, è necessaria la cooperazione attiva di utenti e operatori cybersec.

Questo risultato si ottiene innanzitutto con la formazione, promuovendo all’interno della struttura la consapevolezza dei rischi che si corrono (#ilbersagliosiamonoi), e dei comportamenti da adottare per minimizzarli. Ma oltre a questo, chi è responsabile delle security policy deve cercare in tutti i modi l’ergonomia delle soluzioni, così da rendere il rispetto delle regole impostate non dico piacevole (non esageriamo!) ma quantomeno poco invasivo.

Inoltre, spiegare i motivi per cui si introducono determinate restrizioni, condividendo per quanto possibile le analisi di rischio che hanno portato a implementarle, aiuta immensamente nell’ottenere l’adozione da parte degli utenti.

Infine, è bene ricordare sempre che “chi rinuncia alla libertà per la sicurezza non merita nè l’una, nè l’altra” (Benjamin Franklin).


Ugo Micci

venerdì 15 luglio 2022

Information warfare e cyber warfare, quali sono le relazioni?

Come sempre più spesso accade, mi ritrovo a scrivere un articolo per rispondere alla curiosità degli amici. 

Questa volta la domanda arriva nel mezzo di una chiacchierata sulle operazioni di propaganda portate avanti da entrambe le parti nella recente guerra che stiamo vivendo in Europa.

La domanda postami e alla quale cercherò di dare risposta è la seguente: "In che modo la cyber influisce sul piano della guerra informativa?".

Onestamente la risposta non è facile ma sono sicuro che potremo trovare una risposta se non completa quanto meno soddisfacente.

Comincio col dire che la guerra informativa non è una caratteristica dei giorni nostri. E' sempre esistita!

Ciò che in parte caratterizza la guerra informativa odierna è la velocità di scambio e soprattutto di consumo delle informazioni e i diversi strumenti utilizzabili, figli del nostro sviluppo tecnologico.

Ma come al solito, procediamo per passi e cerchiamo di capire di che cosa parliamo.

Cosa si intende per guerra informativa o delle informazioni?

Cerchiamo di capirlo facendo riferimento alla dottrina della NATO:

"Information warfare is an operation conducted in order to gain an information advantage over the opponent. It consists in controlling one’s own information space, protecting access to one’s own information, while acquiring and using the opponent’s information, destroying their information systems and disrupting the information flow. Information warfare is not a new phenomenon, yet it contains innovative elements as the effect of technological development, which results in information being disseminated faster and on a larger scale."

Per la NATO è chiaro che:

- la guerra informativa è un'operazione (militare) che ha lo scopo di guadagnare il vantaggio informativo sull'avversario;

- consiste nel controllo e protezione del proprio spazio informativo;

- si attua con l'acquisizione delle informazioni dell'avversario, la distruzione dei sistemi di informazione, l'interruzione dei flussi di informazioni.

Leggere una delle definizioni ci permette di inquadrare meglio la questione ma siamo ancora lontani dal capire quali sono le relazioni tra cyber e information warfare. 

Per capirlo occorre specificare meglio cosa intendiamo per cyber warfare e per farlo uso una fonte governativa, la definizione riconosciuta dallo stato dell'Australia:

"The use of computer technology to disrupt the activities of a state or organisation, especially the deliberate disruption, manipulation or destruction of information systems for strategic, political or military purposes."

Dunque, riassumendo, per cyber warfare si intende l'impiego di tecnologie informatiche per :

- interrompere le attività di uno stato o di una organizzazione;

- manipolare o distruggere sistemi informativi;

- per scopo strategico, politico o militare.

Avendo fatto un minimo di chiarezza sui concetti basici di infowar e cyberwar, consapevoli delle semplificazioni necessarie dovute a definizioni parziali e non sempre comuni a tutti, possiamo ora cercare di trovare risposta alla domanda iniziale, che ripropongo per chiarezza:

In che modo la cyber influisce sul piano della guerra informativa? 

Se consideriamo che la maggior parte dei sistemi informativi (sistemi per il trattamento delle informazioni) odierni si basano sull'impiego di tecnologie informatiche è facile capire che l'influenza della cyber sulla guerra informativa è notevole.

I sistemi informativi sono realizzati per gestire e trattare informazioni, per facilitarne l'analisi, la visualizzazione e così supportare le decisioni a diversi livelli, politico, strategico militare, strategico economico e così via. Queste informazioni devono essere trattate garantendone:

- riservatezza (confidentiality), devono essere accessibili solo a chi è autorizzato a trattarle;

- integrità (integrity), devono essere mantenute nel tempo così come sono state create e tutte le modifiche devono essere registrate;

- disponibilità (availability), devono essere disponibili per l'uso.

Inoltre, vi sono due ulteriori caratteristiche che sono associate ad ogni dato o informazione, che nel mondo odierno non possono essere date per scontate:

- la autenticità, consente di dire con ragionevole certezza chi è il proprietario o colui che ha prodotto il dato o l'informazione; 

- il non ripudio, ovvero che chi genera un messaggio non possa negare di averlo fatto. 

E' chiaro che qualunque attacco giunto a buon fine portato contro riservatezza, integrità, disponibilità, autenticità e non ripudio delle informazioni in un qualunque momento del ciclo di vita delle informazioni, condotto attraverso l'uso di sistemi informatici è degno della nostra considerazione ma non risponde in modo esaustivo alla nostra domanda.

Cosa resta ancora da considerare? 

In primo luogo proviamo a pensare a come le tecnologie informatiche hanno trasformato il mondo e la società. 

Un tempo le informazioni erano condivise attraverso la discussione nelle piazze, nei salotti, nei circoli privati e venivano principalmente dai giornali, organi ufficiali che veicolavano solo un determinato tipo di informazione, più o meno controllata da stati o organizzazioni.

Oggi lo strumento di condivisione è diventato il social network di turno e l'informazione viene modificata e ritrasmessa potenzialmente da chiunque abbia un accesso a internet. Per un certo periodo si è addirittura pensato che queste nuove tecnologie potessero rendere la società più "democratica", qualunque fosse il significato attribuito al termine.

Lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione consente oggi la raccolta di dati e informazioni, la loro analisi e la produzione di nuove informazioni in tempo reale. Ciò significa avere a disposizione delle armi potentissime in caso di info war, questo perché è possibile effettuare in tempo reale delle operazioni nello spazio informativo:

- controllare le informazioni e determinare quali meritano di essere diffuse e quali no, attraverso il controllo costante dei social e degli influencer;

- immettere nel circuito informativo di interesse informazioni false, ma credibili a supporto della tesi dominante;

- screditare le voci dissenzienti, per esempio facendo passare i loro autori come complottisti o deridendoli e costringendoli al ritiro dallo spazio informativo;

- cancellare informazioni che nel tempo non sono più utili o peggio risultano dannose al racconto precostituito.

Queste attività rientrano appieno nella information warfare e possono essere condotte (e lo sono!) sia verso lo spazio informativo esterno (quindi verso gli avversari) sia verso lo spazio informativo interno (per ridurre la discussione o influenzare l'opinione pubblica).

Per riassumere, il cyberspace influisce sul dominio informativo essenzialmente:

- consentendo di raggiungere l'avversario attraverso sistemi informatici o di comunicazione;    

- consentendo di attaccare i sistemi informatici (o le piattaforme che ne fanno uso) dell'avversario;

- consentendo di accedere ai dati e alle informazioni dell'avversario e modificarle, cancellarle o renderle indisponibili;

- consentendo il controllo dello spazio informativo proprio

- influenzando lo spazio informativo dell'avversario attraverso immissione di informazioni a vario titolo non corrette.

Allora ci si potrebbe chiedere: come faccio ad accorgermi di essere vittima di una campagna di disinformazione?

Non esiste una regola, ma questo è argomento per un'altra storia!


Alessandro Rugolo 

Come sempre grazie agli amici di SICYNT che mi hanno aiutato a rendere semplice e interessante l'articolo coi loro preziosi suggerimenti.

Immagine: Information Warfare Offensive (auth0.com)

Per approfondire:

information warfare (nato.int)

Instructions, Manuals, and Notices (jcs.mil)

Information Warfare (giac.org)

Cyber warfare | Cyber.gov.au


sabato 18 giugno 2022

Quanto sono sicure le VPN?

Fonte: AT&T cybersecurity blog
Con questo breve articolo cercherò di dare una risposta alla domanda che mi è stata posta qualche giorno fa: quanto è sicura una VPN? 
E con l'occasione affronterò anche due argomenti preliminari, senza la conoscenza dei quali non è possibile capire di cosa si parli:
Cerchiamo dunque di capire che cosa significa VPN e come funziona.

Le risposte dovrebbero essere relativamente semplici ma non diamo niente per scontato e proviamo a capire, come sempre, di cosa parliamo.
Per essere certi di non sbagliare vediamo che ci dice in proposito uno dei più grandi fornitori di servizi di rete al mondo, CISCO:
"A virtual private network, or VPN, is an encrypted connection over the Internet from a device to a network. The encrypted connection helps ensure that sensitive data is safely transmitted. It prevents unauthorized people from eavesdropping on the traffic and allows the user to conduct work remotely. VPN technology is widely used in corporate environments."

Abbiamo già scoperto che con l'acronimo VPN ci si riferisce ad una "Virtual Private Network" come ad una connessione cifrata tra un dispositivo (PC, tablet, smartphone...) ed una rete (generalmente una rete aziendale), il tutto poggiato su Internet. 
La connessione cifrata aiuta ad assicurare che i dati siano trasmessi in modo sicuro. 
La VPN previene l'intercettazione del traffico dati da parte di persone non autorizzate e consente agli utilizzatori della stessa di lavorare da remoto.   
Quelle che ho messo in evidenza sono le caratteristiche principali di una VPN.

Prima di proseguire vediamo di fare un esempio di VPN pre-Internet.
Tutti ricordiamo che da bambini a scuola capitava spesso di dover comunicare qualcosa al compagno di classe che si trovava due file avanti.
Dopo aver provato a comunicare, magari chiamandolo a voce bassa, attirando così l'attenzione della maestra e perciò venendo ripreso, ci si inventava metodi meno rumorosi.
Il primo metodo che io stesso impiegavo consisteva nello scrivere il messaggio all'interno di un foglietto, piegarlo in quattro e scrivere il nome del destinatario del messaggio sopra il foglio piegato, quindi toccare la spalla del primo compagno che si trovava in direzione del destinatario e chiedere con un cenno di testa di inoltrare il messaggio. 
Vorrei far notare che in questo esempio la classe fungeva da rete Internet, ogni compagno era in effetti un nodo della rete. Il foglietto era il supporto dei dati importanti (dopo la scuola andiamo a farci il bagno al fiume?). Piegare il foglio in quattro garantiva un minimo di sicurezza (molto poca lo ammetto!). Il nome del destinatario scritto sopra era l'informazione che serviva per fare arrivare il messaggio a destinazione.
Sistema funzionante con un presupposto, tutti i compagni sono tra loro amici e nessuno è curioso.
Come immagino abbiate sperimentato anche voi in occasioni simili, pensare che tutti siano amici e che nessuno curiosi è bello dal punto di vista umano ma assolutamente irreale. 
Ciò che spesso accadeva in questa Internet primordiale era che uno dei nodi (un compagno curioso) invece di trasmettere il messaggio verso il compagno successivo, lo apriva e lo leggeva, e solo dopo, nella migliore delle ipotesi, lo richiudeva e lo inoltrava verso il vero destinatario.
La soluzione da me adottata, e immagino da tanti di voi che leggete, era semplice, era una VPN.
Certo, analogica, ma sempre di VPN si tratta. La VPN funzionava così. 
Siccome il destinatario dei miei messaggi era il mio compagno con cui giocavamo tutti i giorni a pallone, ci mettemmo d'accordo per usare dei messaggi cifrati. Il nostro cifrario era abbastanza semplice, si trattava semplicemente di sostituire ad una lettera un'altra secondo uno schema sul quale ci eravamo accordati. Oggi so che si trattava del cifrario di Cesare ma allora poco importava, l'importante era che funzionasse. E funzionava... c'era sempre chi per curiosità apriva il foglietto ma in genere non era in grado di capire cosa ci fosse scritto. 
In pratica con l'aggiunta della cifratura avevamo realizzato una vera e propria VPN, senza saperlo!
Oggi le VPN vengono usate per connettere in modo sicuro un PC collegato tramite internet ad una rete aziendale. Il PC esterno alla rete, collegato ad internet, stabilisce una connessione sicura con un server di servizio VPN utilizzando un protocollo sicuro, solitamente si usa il protocollo TSL  

Ora, la domanda cui vorremo rispondere è la seguente: quanto è sicura una VPN?

Dopo aver capito cos'è e come funziona, vediamo di capire qualcosa di più sulla sicurezza di una VPN.
E' facile capire che vi sono molti fattori in gioco nel valutare il livello di sicurezza della VPN.

Proviamo assieme a capire i punti deboli.

La cifratura.
Uno dei fattori importanti è il tipo di cifratura che si utilizza. Come ho accennato prima, io da ragazzo usavo il cifrario di Cesare, un algoritmo crittografico tra i più semplici, che consiste nel sostituire ad una lettera un'altra lettera dello stesso alfabeto, come potete vedere dalla figura.
Le cose funzionavano abbastanza bene ma non era difficile capire come decifrare il messaggio ed inoltre esisteva sempre la possibilità che qualche compagno particolarmente dispettoso prendesse il foglietto e lo tenesse per se.
Allo stesso modo una delle caratteristiche delle VPN è l'algoritmo di cifratura che viene utilizzato per la cifratura dei dati e per stabilire il percorso migliore per raggiungere il destinatario. 
Siccome gli algoritmi utilizzati dalle VPN sono diversi, è chiaro che anche la sicurezza delle VPN è diversa.
In linea di massima possiamo dire che una VPN richiede l'uso di un algoritmo di cifratura (per cifrare e decifrare i dati) e di un protocollo sicuro per stabilire e mantenere il canale di comunicazione (handshake encription protocol).
Uno degli algoritmi di cifratura più utilizzato nella storia delle VPN per stabilire il canale cifrato si chiama RSA-1024 (Rivest-Shamir-Adleman). Esistono ancora delle VPN che ne fanno uso nonostante già dal 2014 l'algoritmo sia stato craccato dalla NSA americana (o almeno così si dice). Oggi molti algoritmi fanno uso di RSA-2048, dove il numero indica la lunghezza in bit della chiave di cifratura. Teoricamente la cifratura fornita da RSA-2048 è resistente ad attacchi di tipo "Brute Force" in quanto richiederebbe troppo tempo per essere eseguito, ma ricordo anche che tale tipo di attacco non è l'unico possibile, la nascita e la sempre più costante diffusione dei computer quantistici sta mettendo in dubbio l'effettiva validità degli algoritmi di cifratura basati sulla scambio di chiavi. Negli ultimi anni vi è una vera e propria corsa allo studio degli algoritmi cosiddetti "post quantum", ovvero che possono resistere ad attacchi di forza bruta effettuati da computer quantistici. Se prendiamo ad esempio OpenSSH, si è deciso di introdurre la versione 9 basata su un algoritmo post quantum.
 
Poco sopra ho detto che RSA-1024 è stato probabilmente craccato, riprendo solo per un attimo il concetto perché introduce una necessaria precisazione: quando parliamo di quanto sia sicura una VPN non esiste una risposta unica in quanto dipende da chi fa la domanda. A premessa di una qualunque risposta semiseria alla questione dobbiamo ricordare la necessità di un Risk Assessment cioè della valutazione del rischio associato alla impresa di cui parliamo. Non voglio entrare in tecnicismi ma farò un esempio giusto per capire di che si tratta.
Se la nostra società si occupa di produzione di parti di macchine industriali per una certa zona del mondo, supponiamo per l'Italia, ed ha necessità di usare una VPN per le sue comunicazioni, sarebbe buona cosa evitare di usare VPN di una società in qualunque modo legata alle sue dirette concorrenti sul mercato. Purtroppo non sempre è facile capire di chi ci si può fidare e di chi no. La mia regola è che non mi fido di nessuno, ma questa è un'altra storia.

Per tornare alle VPN, uno dei protocolli standard più utilizzati ai giorni nostri è OpenVPN. Si tratta di un protocollo open source che può quindi essere studiato e analizzato pubblicamente da chiunque ne abbia le capacità, l'interesse e la voglia di farlo.    

Come sempre, occorre tenere conto di ulteriori fattori, legati al mondo digitale. Tutti i sistemi, software, hardware o qualunque mix dei due si possa concepire, sono soggetti a:
- vulnerabilità dovute alla cattiva produzione;
- errori dell'uomo, utilizzatore o tecnico che sia, nella configurazione e nell'uso. Questo è il caso più comune in quanto l'uso di una VPN non elimina il rischio di furto di credenziali, anzi, probabilmente lo aumenta creando nell'utilizzatore una falsa aspettativa di sicurezza;

Se volete farvi un'idea delle vulnerabilità di OpenVPN, solo a titolo d'esempio, potete consultare questo elenco: Openvpn : Security vulnerabilities (cvedetails.com)

Per concludere, dopo aver provato a spiegare in maniera più semplice possibile cosa sia una VPN e aver accennato ad alcune questioni di base, proverò a dare una risposta alla domanda dalla quale siamo partiti: quanto sono sicure le VPN?

La risposta più semplice è: meglio che trasmettere in chiaro. 
La risposta più seria invece è: dipende dal contesto.
La risposta più completa è: per poter dire qualcosa di sensato occorre fare un risk assessment e poi potremo scegliere una VPN adatta al contesto strategico, tecnologico e organizzativo in cui ci troviamo!

La VPN aumenta la sicurezza, ma aumenta anche il perimetro di sicurezza e quindi aumentano i rischi. Non dobbiamo mai dimenticare che la sicurezza dipende dall'anello più debole della catena e solitamente questo è l'uomo! 
 
Alessandro RUGOLO

Ringrazio, come sempre, gli amici di SICYNT per l'aiuto e i suggerimenti datimi. 
Infine, nella mia esposizione ho scelto di semplificare per cui ho rinunciato appositamente a parlare di autenticazione e di integrità, concetti importanti ma che avrebbero reso l'articolo meno chiaro. Avremo altre occasioni per farlo.

Per approfondire: