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domenica 27 ottobre 2013

La Sardegna nel Dittamondo di Faccio degli Uberti

Faccio (o Fazio) degli Uberti fu un poeta didascalico fiorentino del 1300 (1305-1367) vissuto quasi da profugo tra una corte e l'altra del nord Italia.
Autore, fra l'altro, di un'opera didascalica chiamata "Dittamondo", in cui racconta il suo personale viaggio nel mondo conosciuto compiuto in compagnia di un geografo antico, Solino (III sec. d. C.).
Lascio a chi ha voglia e tempo il piacere di leggere tutto il libro alla ricerca, magari, di notizie curiose sul proprio paese di origine e mi concentro su ciò che Faccio dice della mia Isola, la Sardegna, riportandovi di seguito ciò che egli scrisse:

"Molto sarebbe l'Isola benigna
più che non è, se per alcun mal vento
che soffia ivi, non la fesse maligna.

Ivi son vene, che fan molto argento,
li si vede gran quantità di sale,
ivi son bagni sani com'unguento.

Non la vidd'io, ma ben l'udio da tale,
a cui do fe, che v'era una fontana,
ch'à ritrovar i furti molto vale.

Un'erba v'è spiacevole e villana,
la qual gustata senza fallo uccide,
et così come è rea è molto strana,
che in forma propria d'huomo quando ride
gli cambia il volto, e scuopre alcuanto i denti,
si fa morto già mai non si vide.

Securi son da lupi, e da serpenti,
la sua lunghezza par da cento miglia,
e tanto più quanto son venti, e venti.

Io viddi, che mi parve meraviglia
una gente ch'alcuno non l'intende,
né essi sanno quel ch'altri bisbiglia.

Vero è, che s'altri di lor cose prende,
per darne cambio, in questo modo fanno,
ch'una ne toglie, et un'altra ne rende.

Quel che sia Cresime, e Battesimo non sanno,
le Barbace gliè detto è in lor paese,
in secura montagna e forte stanno.

Quest'Isola dal Sardo il nome prese,
la qual per se fu nominata assai
ma più per buon padre onde discese.

Un picciol animal quivi trovai,
gli abitanti lo chiaman Solefuggi,
perché al sol fugge quando può più mai.

E poniam che fra lor serpi non bruggi,
pur nondimeno à la natura piace
che da se stessa alcun verme lo fuggi.

Sassari, Buosa, Callari, e Stampace,
Arestan, Villa Nuova, et la Lighiera,
che le sue parti più dentro al mar giace.

Quest'Isola, secondo che si avera,
Genova, et Pisa, al Saracin la tolse,
laqual sentiron con l'haver, che v'era,
el mobil tutto à Genovesi tolse,
et la Terra a Pisani, et furon quivi
infin che Raganesi ne gli spolse.

Et più in giù,
parlar'uddimo, e ragionar all'hora,
che v'è un bagno, il quale ripara,
et salda ogni osso rotto in poco d'hora."

Ecco, il testo è finito, se volete leggerlo dall'originale lo trovate nel Dittamondo al libro III, canto dodicesimo.

Un saluto e a presto,

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

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