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lunedì 13 gennaio 2014

Sulla magia della pioggia in Sicilia, da "Il ramo d'oro" di Frazer


Cari amici, qualche giorno fa ho pubblicato un articolo su Frazer e la sua opera, Il ramo d'oro. Nel mentre, proseguendo la lettura ho trovato alcune cose interessanti e tra queste una in particolare mi ha fatto ricordare mio bisnonno che non ho mai conosciuto ma di cui so che lo si sarebbe potuto definire un mago della pioggia.
Mio bisnonno abitava a Nicosia, in Sicilia, e il pezzo di Frazer parla proprio di un fatto avvenuto in Sicilia alla fine dell'ottocento... alla fine di aprile del 1893 per essere precisi. In quel tempo la Sicilia soffriva di una terribile siccità
 
          "La siccità durava ormai da sei mesi. Ogni giorno, il sole sorgeva in un cielo azzurro senza una nuvola. Gli aranceti della conca d'oro che circonda Palermo con una stupenda cintura verde, avvizzivano. Cominciava a scarseggiare il cibo. La popolazione era in allarme. Tutti i sistemi più accreditati per provocare la pioggia non avevano avuto alcun esito."
 
In quel tempo mio bisnonno doveva essere appena nato, forse il padre o il nonno invece soffrirono anch'essi la siccità. Forse qualcuno di famiglia era impegnato nel cercare di ottenere la pioggia...
 
          "Lunghe processioni si erano snodate per strade e campi. Uomini, donne e bambini, avevano trascorso notti intere in ginocchio, a recitare il rosario davanti alle immagini sacre; giorno e notte le candele consacrate avevano brillato nelle chiese. Agli alberi erano stati appesi rami di palma benedetti nella domenica delle Palme. A Salaparuta, secondo un antichissimo costume, la polvere spazzata dalle chiese  nella domenica delle Palme era stata sparsa sui campi. In anni normali, quella santa spazzatura protegge i raccolti ma quell'anno, ci credereste?, non fece il minimo effetto."
 
La gente moriva di fame, erano tempi bui e non mi risulta difficile credere che solo la fede, in Dio, nei santi, nella magia, poteva dare speranza alla povera gente... spesso è ancora così, anche dopo cento trenta anni.
 
          "A Nicosia, gli abitanti, scalzi e a capo scoperto, portarono crocefissi per tutti i rioni della città, flagellandosi con fruste di ferro. Niente da fare. Perfino lo stesso grande S. Francesco di Paola, che compie ogni anno il miracolo della pioggia e, in primavera, viene portato in processione negli orti, non poté, o non volle, dare il suo aiuto. Messe, Vespri, concerti, luminarie, fuochi d'artificio - niente riusciva a commuoverlo."
 
Immagino i contadini, gli artigiani, i commercianti, in fila dietro il prete lungo le strade di Nicosia e delle altre città della Sicilia, intonare canti e inni sacri chiedendo il perdono di peccati reali e immaginari, allo scopo di riavere l'acqua. Immagino bimbi smagriti dalla fame e dalla sete.
Tutte cose ormai lontane dal nostro mondo...
 
             "Alla fine i contadini persero la pazienza. Quasi tutti i santi furono messi al bando. A Palermo scaraventarono S. Giuseppe in un orto perché vedesse con i suoi occhi come stavano le cose, e giurarono di lasciarlo li, sotto il sole, fino a quando non fosse caduta la pioggia. Altri santi furono girati faccia al muro, come bambini cattivi. Altri ancora, spogliati dei loro ricchi paramenti, furono esiliati lontano dalla loro parrocchia, minacciati, insultati pesantemente, tuffati negli abbeveratoi. A Caltanissetta, all'Arcangelo S. Michele vennero strappate dalle spalle le ali d'oro e sostituite con ali di cartone; gli fu tolto il mantello rosso, e venne avvolto invece con un cencio. A Licata, S.Angelo, il santo patrono, se la passò anche peggio perché fu lasciato senza vesti del tutto; ingiuriato, incatenato, e minacciato di finire affogato o appeso a una forca. <<O la pioggia o la corda!>>, gli urlava contro la gente furibonda, agitandogli i pugni in faccia."
 
Ecco cosa accadde secondo Frazer.
 
Io però preferisco immaginare il mio bis-bisnonno che, affacciato alla finestra, alza le mani al cielo e chiede la pioggia, come un mago avrebbe fatto.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO 

mercoledì 26 marzo 2008

Sto tagliando il tempo...


Nicosia, cinquanta anni fa...
Ricordo una grande casa di campagna, al piano terra c'era la stalla per i buoi e le mangiatoie... Venti metri più in là, ammucchiate sul pavimento, c'erano le scorte per il bestiame...
La casa era molto grande, il soffitto era alto e realizzato in tronchi di legno e in canne...
Al piano superiore c'era la stanza in cui dormiva tutta la famiglia... e, attraverso una botola, si accedeva al soffitto, irraggiungibile per un bambino piccolo.
Ricordo che una volta entrai nella stanza, un enorme dormitorio con i letti lungo le pareti e la tavola al centro, trovai nonno affacciato alla finestra che oscillava stranamente... Nonno Sigismundo si accorse della mia presenza e mi accompagnò fuori, mi disse che poi mi avrebbe spiegato...
Il tempo passò e io dimenticai questo fatto ma un giorno capitò nuovamente... incuriosito gli chiesi cosa stava facendo e così scoprii che nonno "tagliava il tempo".
Chiesi cosa significava "tagliare il tempo" così mi raccontò che si trattava di salvare le colture dalle forze della natura... dai temporali. Occorreva allontanare le nuvole cariche di grandine dai propri terreni. Era una pratica antica che veniva tramandata dal padre al primo figlio maschio che, se interessato, avrebbe potuto assistere la notte di un particolare giorno dell'anno, allo svolgimento della cerimonia...
L'arte di controllare il temporale e di spostarlo per salvaguardare il proprio territorio, era molto pericolosa, bisognava stare soli anche perché se accadeva qualcosa, chi era nelle vicinanze, poteva morire...
La cerimonia era un insieme di parole e gesti rituali, nonno si circondava di attrezzi agricoli, delle falci molto arcuate e che dovevano essere ancora in uso per la mietitura del grano, venivano posizionate in modo particolare, incrociate e rivolte fuori dalla finestra.
Non ricordo cosa diceva ma recitava delle formule antiche...
Purtroppo il tempo, imperterrito, non aspetta nessuno e io, crescendo, dimenticai... e la tradizione andò persa!



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO