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sabato 27 aprile 2013

Procopio: l'isola di Thule

Thule raffigurata nella Carta disegnata da Olao Magno (1539)
Precedenti:

Procopio:guerra gotica;
Procopio: la nave di Enea.

Ancora una curiosità per chi è appassionato di storia antica. Poche righe per parlarvi dell'Isola di Thule e delle popolazioni che vi abitavano.
Non voglio ripercorrere la storia di Thule nei testi antichi, mi basta dire per ora che Procopio non fu certo il primo ne l'unico a parlare di quest'isola, posta agli estremi confini del mondo conosciuto, voglio semplicemente incuriosire affinchè altri seguano il sottile filo della conoscenza dello sviluppo della civiltà umana, che inaspettatamente conduce anche ai confini del mondo.

Procopio ci parla dell'isola di Thule mentre racconta la storia del popolo degli Eruli, un popolo che in quel periodo (intorno al 500 d.C.) si trovava a volte a fianco dei Romani a combattere contro i Goti. Il popolo degli Eruli abitava oltre il Danubio, adoravano tantissimi dei e offrivano loro anche sacrifici umani. Era un popolo dalle usanze particolari e differenti dai popoli europei, almeno così dice Procopio, infatti:

"presso di loro non era permesso di vivere nè ai vecchi nè ai malati; quando qualcun di loro si facesse vecchio o cadesse malato avea egli obbligo di pregare i parenti suoi di toglierlo al più presto d'infra i vivi, e coloro, messa assieme un'alta catasta di legna e adagiato l'uomo in cima a quella, mandavangli un altro erulo, d'altra famiglia però, con un pugnale; poichè non era lecito che l'uccisore fosse un parente."

Ecco un'usanza, in effetti, non comune a tanti!
Gli eruli, dopo la soppressione del parente davano fuoco alla pira e poi provvedevano a seppellire i resti del morto. Se il morto aveva moglie era considerata virtuosa colei che si toglieva la vita impiccandosi nei pressi della tomba del morto.
Procopio ci parla ancora degli Eruli come di un popolo incostante, violento e capriccioso. Dopo una sconfitta subita ad opera dei Romani, per esempio:

"Gli Eruli, volgendo la loro bestiale e furiosa natura contro il loro re (chiamavasi costui Ochan), improvvisamente lo uccisero, adducendo come unica ragione che non voleano aver più re. Invero già anche prima il re presso di loro, benchè portasse questo titolo, non valeva quasi nulla più di un privato qualunque. Tutti poteano sedersi accanto a lui, essere suoi compagni di tavola e senza riguardo, chiunque volesse, poteva insultarlo; poichè non vi ha gente più screanzata e più sregolata degli Eruli".

Ma come ho detto erano anche incostanti per cui dopo aver ucciso il re si pentirono e resisi conto di non poter vivere senza una guida decisero di andare a cercare qualcuno della stirpe regale da prendere come loro re. E quì inizia la storia di Thule...
Procopio deve fare un passo indietro a quando gli Eruli furono vinti dai Longobardi, allora parte di questo popolo si stabilì nell'Illirico, ma altri invece

"andaronsi a stabilire agli ultimi confini del mondo. Costoro adunque, guidati da molti uomini di sangue reale, attraversarono una dopo l'altra tutte le popolazioni slave. Quindi, passando per una vasta regione deserta, giunsero presso i cosiddetti Varni; dopo i quali passarono in mezzo ai Danesi, senza ricevere male alcuno da quei barbari. Quindi giunti all'Oceano misersi in mare, ed approdati all'Isola di Thule, colà rimasero."

Ecco che finalmente appare l'oggetto di questo post, l'Isola di Thule, un'isola quasi deserta ai confini del mondo conosciuto, nel nord più lontano... a nord della Britannia. Nella parte abitata vi si trovano tredici popolazioni ognuna con un suo re.

"Colà ogni anno ha luogo un mirabil fatto. Il sole verso il solstizio di estate per circa quaranta giorni mai non tramonta, ma costantemente per tutto quel tempo vedesi sull'orizzonte. Non men di sei mesi più tardi però, in sul solstizio d'inverno, il sole per quaranta giorni non vedesi mai in quell'isola, che riman circonfusa da perpetua notte..."

La descrizione è dunque di un'isola molto a settentrione, per quaranta giorni il sole non tramonta in estate e non sorge in inverno, tutto ciò lascia pensare che quest'isola, se di isola si tratta, si trovi molto vicino ai 66° di latitudine, all'altezza del Circolo Polare artico o poco oltre. Infatti, dal numero di giorni che il sole non sorge sembra che il posto si debba trovare tra i 66 e i 70° di latitudine, poco sopra la posizione odierna dell'Islanda.
Tra i popoli dell'Isola di Thule, Procopio racconta che solo gli Scrithifinni vivono come le bestie, mentre gli altri popoli non differiscono molto dagli uomini.
I Thuliti "venerano molte divinità e geni celesti e aerei, terrestri e marini, come pure taluni altri geni che dicono trovarsi nelle acque delle fonti e dei fiumi; ed assiduamente offrono sacrifizi di ogni sorta. Fra le vittime la più prelibata è per essi il primo uomo preso in guerra."
Marte era il loro dio preferito e a lui venivano offerti i primi uomini catturati... non starò a descrivere come lo sacrificassero, perchè sembra di vedere altri popoli, magari gli Aztechi, compiere i loro crudeli sacrifici!
Gli Eruli, arrivati sull'isola si stabilirono presso la popolazione dei Gauti, tra questi quindi era possibile trovare appartenenti alla stirpe reale. Todasio e Aordo furono condotti in Europa per diventere re degli Eruli. Potrebbe essere interessante approfondire la storia degli Eruli, cercando tra essi questi due esponenti della casa reale.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 25 aprile 2013

Procopio di Cesarea: la nave di Enea

I compagni di Enea verso la Sicilia, arazzo fiammingo Fondazione “G.Whitaker” – Palermo
L'ultima volta ho iniziato a parlare del libro di Procopio sulla "guerra gotica". Da allora ho proseguito la lettura e oggi voglio raccontarvi una curiosità appena letta.
Nel quarto libro, capitolo XXII Procopio ci parla di come i romani fossero innamorati della loro città e più di tutti i popoli tenessero a conservare i ricordi, sia perchè le costruzioni antiche erano costruite talmente bene che duravano nei secoli (ed ancora oggi Roma ne è testimone!) sia che i romani facessero di tutto per conservare ciò che ritenevano importante per la loro memoria.
Procopio dice dunque di aver visto con i suoi occhi la nave che portò Enea, fondatore di Roma, ad approdare sulle coste del Lazio.
In altri testi ho trovato riferimenti ad Enea e alla fondazione di Roma ma non avevo mai trovato la descrizione della sua nave, fra i tanti ricordi della storia di Roma...:
"fra' quali la nave di Enea, fondatore della città, esiste tuttavia, spettacolo oltre ogni credere interessante. Per quella fecero nel mezzo della città un cantiere sulla riva del Tevere, ove collocata da quel tempo la conservano"
Mi fermo un attimo per ricordare che Procopio scrisse e visse intorno al 500 d.C. mentre Enea dovrebbe essere arrivato nel Lazio tra il 1200 e il 1100 a.C. cioè circa 1600 anni prima di Procopio, eppure, sentite cosa dice subito dopo...
"Com'essa sia fatta io, che l'ho vista, vengo a riferire.
Ha un sol ordine di remi quella nave, ed è assai estesa. Misura in lunghezza centoventi piedi (circa 35 metri), in larghezza 25 (circa 7,5 metri) ed è alta tanto quant'è possibile senza impedire la manovra dei remi."
Una discreta dimensione per una nave del 13 secolo a.C.
"I legni che la compongono, non sono nè incollati fra loro nè tenuti assieme per mezzo di ferri, ma sono tutti quanti d'un sol pezzo fatti sopra ogni credere ottimamente e quali, a nostra notizia, non se ne vider mai se non in quella sola nave."
Doveva essere una nave molto particolare per essere sopravvissuta tutti questi anni e apparteneva a una tipologia che ormai doveva essere scomparsa, un ricordo di altri tempi!
"Poichè la carena, cavata da un solo tronco va da poppa a prua insensibilmente divenendo cava in modo mirabile e quindi nuovamente a poco a poco ridiviene retta e protesa. Tutte le grosse costole, poi, che vengono adattate alla carena (chiamate dai poeti dryochoi, dagli altri nomeis), si estendono ciascuna dall'uno all'altro fianco della nave; ed anche queste, partendo da ambedue i bordi, si adagiano formando una curva d'assai bella forma, in conformità della curvatura della nave, sia che la natura stessa secondo i bisogni del loro uso abbia dato a quei legni già da se quel taglio e quella curvatura, sia che, con arte manuale e con altri ordigni, di piani fossero quei regoli fatti curvi. Inoltre ognuna delle tavole, partendo dalla cima della poppa, giunge all'altra estremità della nave, tutta d'un sol pezzo e fornita di chiodi di ferro unicamente all'uopo d'essere commessa alla travatura in modo da formar la parete."
I costruttori della nave dovevano essere molto bravi se a distanza di mille e seicento anni riuscivano a destare tale stupore in chi guardava la loro opera!
"Questa nave così fatta è mirabile a veder più di quello possa dirsi in parole; ed invero tutte le opere straordinarie sono sempre per natura difficili a descrivere, e tanto superiori al linguaggio quanto lo sono all'ordinario pensiero. Di questi legni non ve n'ha uno che sia imputridito, niuno che si vegga tarlato, ma quella nave sana in tutto ed integra come se uscisse pur ora dalle mani dell'artefice, qual egli fosse, conservasi mirabilmente fino a questi giorni punto..."
Occorre, forse, chiedersi se Procopio dicesse la verità, e poi appurato ciò, come fosse mai possibile che la nave non portasse alcun segno del tempo...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Immagine tratta da: https://bombacarta.com/2007/11/24/canto-v-dell-eneide/

domenica 21 aprile 2013

Procopio di Cesarea: la guerra gotica

La città di Cesarea, in Palestina, è la patria del nostro Procopio, storico nato intorno al 500 d.C.
Studiò retorica, filosofia e giurisprudenza.
Il primo dato certo si ha nel 527 d.C. quando Procopio risulta trovarsi in Mesopotamia durante la guerra contro i persiani al fianco del Generale Belisario, con l'incarico di consigliere.
Qualche anno dopo, sempre al seguito di Belisario lo troviamo in Africa dove resterà per alcuni anni. Nel 536 viene assegnato all'Italia, dove passò un bel po di anni al seguito di Belisario e poi di Narsete. Muore probabilmente intorno al 570 d.C. dopo aver messo a frutto le sue conoscenze raccontandoci con le sue opere la guerra contro la Persia, la guerra in Africa contro i Vandali e la guerra in Italia contro i Goti. Procopio è anche autore di un testo chiamato "Storie segrete" in cui racconta tutto ciò che ufficialmente non poteva essere detto, mettendo a nudo i difetti dei grandi del tempo.
Ovviamente durante il racconto il nostro Procopio inserisce nei suoi testi le origini dei popoli di cui parla o delle terre che descrive, traendo le informazioni degli storici antichi a lui noti.
Purtroppo, dei suoi libri io possiedo solo la parte che riguarda la guerra gotica e le storie segrete, così mi trovo costretto, por ora, a cominciare dai goti, lasciando ad altro momento i libri precedenti. Come è mio solito non farò una recensione del libro o un suo riassunto, cercherò semplicemente di porre in evidenza alcuni aspetti a mio parere importanti o curiosi, poi chi vuole potrà approfondire per suo proprio conto.
Una delle cose che mi hanno colpito riguarda il fenomeno delle maree, descritto osservando il Po alla sua foce. Procopio infatti parlando dei flussi e riflussi riferisce che: "Questo però non suole così avvenire in ogni tempo; chè quando più fioca è la luce della luna, neppur forte riesce l'avanzarsi del mare; dopo giunta a mezzo però la luna, fino al suo tornare calando a mezzo, più forte suol essere il flusso". E' chiaro che l'influsso della luna sulle maree era allora bene noto.
Procopio ogni volta che può cerca di raccontarci la storia dei protagonisti del suo tempo. Uno di questi era Teodorico, re goto che portò via l'Italia a Odoacre. Teodorico s'impadronisce infatti dell'Impero Romano d'Occidente in pochi anni. Costringe Odoacre a rintanarsi a Ravenna e dopo aver siglato una pace lo elimina con l'inganno, impadronendosi così del regno e governando su italiani e goti. Non starò a raccontarvi di Teodorico ma del suo successore, il nipote Atalarico. Questi divenne re dei goti alla morte di Teodorico, ma essendo troppo giovane d'età era la madre Amalasunta a reggere le sorti del regno.
Amalasunta desiderava che il figlio venisse educato alla maniera dei principi romani e che frequentasse la scuola di lettere... ma ciò ai goti non piacque, infatti: "Raccoltisi i maggiornetifra di loro recaronsi da Amalasunta lamentando che il loro re non fosse rettamente educato nè come ad essi conveniva; dacchè le lettere di troppo sono distanti dal valore e gli insegnamenti di uomini vecchi per lo più han per effetto la timidezza e la pusillanimità; colui adunque che abbia un di a dar prova di coraggio nelle imprese e acquistarsi gloria, dover essere allontanato dal timore de precettori ed esercitato invece nelle armi [..] Or dunque, signora, dai pur congedo a questi pedagoghi e fai che Atalarico si accompagni con suoi coetanei, che passando con lui la florida età lo incitino al valore secondo l'usanza barbarica..."
E con questa lezione per oggi vi lascio, a presto.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO