Molte malattie infettive hanno generalmente
andamenti stagionali diversi; l’influenza ha un picco di incidenza
in inverno, la varicella in primavera e l’epatite A in estate (1).
Molte malattie respiratorie virali hanno una cosiddetta stagionalità
ovvero l’oscillazione nel numero disponibile di patogeni effettivi
che determina la contagiosità della malattia nel corso dell’anno.
Ma
cosa determina la stagionalità e cosa è possibile dire sulla
corrente pandemia di COVID-19?
I
meccanismi che determinano la stagionalità purtroppo rimangono poco
compresi. Ma in generale alcune teorie hanno cercato di spiegare
questo fenomeno in termini di diversi effetti concomitanti:
- La diversa capacità delle difese immunitarie di combattere la malattia in conseguenza delle condizioni climatiche;
- Le diverse condizioni metereologiche come temperature e umidità che potrebbero determinare una sopravvivenza o meno del virus all’esterno per un tempo sufficiente per il contagio;
- Le abitudini comportamentali e di contatto delle persone che determinano la trasmissione del virus (per esempio passare più tempo in luoghi chiusi in vicinanza stretta con altre persone come nelle scuole o nelle stazioni sciistiche).
Prevedere
quali di questi effetti coesistenti possa determinare la stagionalità
di una epidemia nuova come il COVID-19 è complesso. Alcuni
ipotizzano che potrebbe anche non avere nessuna stagionalità e
diventare endemica nel futuro. Per ora tutte le strategie di
contenimento sono basate sul concetto di limitare la trasmissione per
mezzo di distanziamento sociale al fine di rendere il servizio
sanitario nazionale in grado di affrontare senza criticità il numero
di pazienti affetti da problemi respiratori importanti.
Una
volta però stabilito che una malattia virale ha una determinata
stagionalità accertata, come per esempio nell’influenza, è
possibile dispiegare delle politiche di vaccinazione (ove
disponibile) con un timing preciso che possano seguire il sub-tipo di
virus (per esempio A/H1N1) e con l’approssimarsi della stagione
invernale vaccinare le persone più a rischio. Questo calendario di
“stagione influenzale” e molto simile per paesi con latitudine
simili e invertito per nazioni a nord oppure sud dell’equatore; in
generale ci si prepara alla nuova onda di contagi seguendo
l’approssimarsi delle stagioni fredde e con scarsa umidità.
In
linea di principio, data la conoscenza e il modello della
propagazione del virus per un emisfero della terra si potrebbe fare
una possibile previsione per quello che sarà la propagazione nei
paesi dell’altro emisfero. Nel caso del COVID-19 la propagazione ha
interessato attualmente per la maggior parte (9 aprile 2020)
l’emisfero boreale con Cina, Iran, Europa e Nord America durante i
mesi invernali ma ha anche interessato alcuni paesi a sud
dell’equatore come Nuova Zelanda, Australia e marginalmente alcune
isole del pacifico come Guam, Polinesia Francese con clima tropicale
attualmente caldo e umido (condizioni pare sfavorevoli per il
COVID-19).
Questo
potrebbe suggerire che il virus non abbia una dipendenza con
temperatura e umidità dell’aria, come nel caso dell’influenza,
deponendo a favore di una non stagionalità del COVID-19. In ogni
caso la mancanza di immunità della popolazione al nuovo virus
aggiunge una variabile alla complessità del modello che rende i dati
poco leggibili e le previsioni poco attendibili. Quale effetto e’
dominante in questo caso? Difficile saperlo.
L’attuale
COVID-19 fa parte di una famiglia di sette tipi di Cornavirus che
infettano esseri umani, tra cui SARS-CoV and MERS-CoV che possono
causare problemi respiratori acuti. L’epidemia di SARS coronavirus
del 2003 (virus che ha molte similarita’ strutturali con il virus
corrente) ha infettato il primo essere umano nella provincia di
Guangdong in Cina è stata seguita e registrata con accuratezza
dall’organizzazione mondiale della sanità e perciò forse è
possibile trarre dai suoi numeri qualche lezione. In questo caso
l’epidemia causò circa 8000 casi ed ebbe
una durata relativamente breve (fig. 1) ma nessuna conclusione può
essere tratta sulla possibile stagionalità. Questo perché è stata
contenuta velocemente in prossimità dei mesi estivi. Chi o
cosa abbia causato la fine del contagio non
è chiaro: forse il miglioramento delle condizioni igieniche, forse
l’approssimarsi dell’estate.
L’epidemia
di MERS coronavirus (Middle East respiratory syndrome-related
coronavirus) ha infettato dal 2012 ad oggi circa 2500 pazienti con
una mortalità estremamente alta del 34%. Il primo caso di questa
patologia è stato registrato un Arabia Saudita e, considerato la
finestra temporale più ampia, potrebbe fornire indicazioni
aggiuntive sulla stagionalità di un componente della famiglia
coronavirus. Una pubblicazione della University of Health Sciences,
Riyadh, Saudi Arabia (2)
ha analizzato I dati ed è arrivato alla conclusione che l’epidemia
sta seguendo un andamento chiaramente in decrescita che suggerisce
che, se niente dovesse cambiare, la patologia potrebbe scomparire nel
futuro prossimo. La pubblicazione ha anche analizzato la stagionalità
della MERS e ha trovato una diminuzione del 14% del numero di casi in
certi mesi dell’anno, insomma statisticamente insufficiente per
confermare la tesi della stagionalità.
Uno
studio che comunque depone a favore della possibile stagionalità del
SARS Coronavirus è quello presentato da K.H. Chan nel 2011 (3)
in Advance in Virology, secondo cui questo virus sia molto più
stabile e efficace a basse temperature e bassa umidità
caratteristici dei mesi invernali. Sopravvivendo il virus più a
lungo nell’aria e sulle superfici viene aumentata la capacità di
trasmettersi ad altri soggetti. Rimane da verificare naturalmente se
anche Il COVID-19 abbia caratteristiche simili anche se studi
preliminari depongono a favore di questa ipotesi. L’importanza di
condizioni di temperatura e umidità viene confermato anche da uno
studio dell’università di Maryland (4)
che ha mostrato che il COVID-19 si sia diffuso con maggiore facilità
in paesi e regioni del mondo la cui temperature era compresa tra 5 e
11°C e bassa umidità relativa.
Al
momento, abbiamo dati e modelli che danno informazioni
contrastanti e non e’ possibile
nessuna conclusione sulla possibile stagionalità del COVID-19.
Questa conclusione viene confermata anche da un recente report
compilato da esperti della National Academies of Sciences, Enginering
and Medicine (5).
Non possiamo fare affidamento su modelli numerici di trasmissione del
virus che nessuno ha ancora testato. I numeri per ora mostrano che il
distanziamento sociale funziona e rimane una delle poche armi a
disposizione in questo momento per ridurre il tasso di crescita della
pandemia. L’effetto combinato di temperatura, umidità’,
esposizione UV sulla stabilita’ del virus pero’ tiene viva la
possibilita’ che si possa assistere ad una parziale attenuazione
della contagiosità nei mesi estivi e dia tempo ai governi per
prepararsi alla prossima onda di contagi probabile nei futuri mesi
invernali.
Andrea Plano
Fig. Numero di casi di SARS (2002-2003): In arancione i casi cumulativi,
in blu gli incrementi giornalieri e in rosso il numero cumulativo di
morti.
Referenze:
- Martinez, The calendar of epidemics: Seasonal cycles of infectious diseases. PLOS Pathogens (2018)
- Ahmed et al, Underlying trend, seasonality, prediction, forecasting and the contribution of risk factors: an analysis of globally reported cases of Middle East Respiratory Syndrome Coronavirus. Epidemiol Infect (2018)
- K.H. Chan et al, The Effects of Temperature and Relative Humidity on the Viability of the SARS Coronavirus. Advances in Virology (2011)
- Sajadi et al, Temperature, Humidity and Latitude Analysis to Predict Potential Spread and Seasonality for COVID-19. SSRN (2020)
- Rapid Expert Consultation on SARS-CoV-2 Survival in Relation to Temperature and Humidity and Potential for Seasonality for the COVID-19 Pandemic. National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine (April 7, 2020)