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giovedì 22 luglio 2010

Storia degli Ebrei, di Chaim Potok

Queste poche righe non vogliono essere una recensione del libro di Potok, non mi é possibile e credo non sarebbe facile neppure per un esperto della storia degli Ebrei. Ho comprato il libro diversi anni fa, e come già accaduto per tanti altri, é restato nella mia libreria, se si trattasse di formaggio direi "a stagionare" fino al momento giusto...
Avevo già iniziato la lettura subito dopo l'acquisto ma poi, e non ricordo perché, l'avevo abbandonato in attesa di tempi migliori. Il mese scorso l'ho ripreso in mano e da allora non mi sono fermato fino alla fine!

Perché, potrebbe chiedersi chi mi conosce bene... cosa ci hai trovato di così particolare da non interrompere la lettura con altri libri, come fai spesso?

La domanda merita una risposta breve e semplice: vi ho trovato un diverso punto di vista, una lettura di millenni di storia dell'Umanità da un punto di vista a me non usuale!

L'autore ci racconta la storia sua, della sua famiglia, del suo popolo e dell'Umanità intera con gli occhi, il cuore, la mente, le sofferenze degli Ebrei... e ciò mi ha colpito! Sin dall'inizio si capisce che il libro é diverso da un classico libro di storia occidentale, lo si capisce sin dalla prima pagina:

"Diversamente dallo storico inglese G.M. Trevelyan, che considerava la storia priva di inizio e di fine, mio padre la interpretava come la via che conduce dalla creazione del mondo, compiuta da Dio circa seimila anni fa, alla futura venuta del Messia e alla redenzione, prima degli ebrei e poi di tutta l'umanità".

...e così, incuriosito, sono andato avanti consapevole anche io che la storia, qualunque essa sia, non é mai semplice.

Potrei provare a seguire il percorso di Potok, dal suo progenitore Abramo, forse proveniente dalla città di Ur in Mesopotamia, e parlarvi dei testi sacri, la Bibbia, il Talmud, altri testi dimenticati quale é il Libro di Enoch, potrei parlarvi degli dei Sumeri, di Nanna, la Luna, (che discenda da quei tempi antichi la ninna nanna che tutti abbiamo sentito da bambini?) o dell'elenco di Re vissuti migliaia di anni... del Diluvio. Degli Amorrei, di Hammurabi e del suo impero che sostituì Sumer... e poi delle tribù che vagavano per il deserto, Ben-yamini, dei reietti hapiru (forse gli ebrei di quei tempi antichi?), della terra di Canaan, da alcuni accomunata alla Fenicia dei greci... potrei aggiungere che i sacerdoti di Canaan leggevano le interiora degli animali sacrificati, soprattutto il fegato, guarda caso come pare facessero gli Etruschi... potrei andare avanti a raccontarvi di YHWH... potrei raccontarvi di Ismaele padre di una grande nazione, potrei parlarvi della Casa dello spirito del Dio Ptah, l'Egitto, e di come un popolo vi abbia vissuto in cattività e poi di come se ne sia allontanato, di come sia poi passato attraverso tutte le terre del mondo conosciuto, dall'oriente all'Europa e al Nuovo continente, per poi tornare alla terra promessa...

E che dire del Messia? E della storia della città Santa?

Ma perché dovrei togliervi il gusto di leggere anche voi il libro di Potok?

E allora per ora basta così! Fino a che non deciderò che fare con ciò che ho letto... dopo aver riflettuto!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 18 luglio 2010

Libere riflessioni sulla Storia...

La Storia é maestra di vita si diceva un tempo... e io sono fermamente convinto che sia vero!
Maestra di vita... aggiungerei "per i popoli".
E si, che la storia sia maestra di vita di un singolo individuo ha infatti poco senso in un mondo esteso quanto il nostro... anche se vi sono delle eccezioni anche molto importanti, spesso intimamente legate con un'altro concetto, quello della "Religione".
Ma cosa significa che "la storia é maestra di vita per un popolo"?

Significa semplicemente che la Storia é ciò che consente ad un popolo di sopravvivere alle vicissitudini del tempo... la Storia é la memoria di un popolo, scomparsa la Storia scompare il popolo!

Ho appena terminato di leggere un libro, "Storia degli Ebrei", di Chaim Potok e non ho potuto fare a meno di soffermarmi a riflettere su alcune considerazioni di carattere generale...
Cercherò di essere più chiaro possibile, anche se capisco che chi non conosce la storia degli Ebrei potrà difficilmente seguirmi.
Gli Ebrei, dopo millenni, sono ancora un popolo. Eppure hanno subito di tutto e da tutti... sono stati più volte molto vicini alla distruzione, ma esistono ancora come popolo! Perché? Come hanno potuto resistere senza una terra, senza una guida comune politica? Come hanno potuto restare uniti anche se dispersi per tutto il mondo?
Domande... domande... domande... ma qual'é la risposta?

La mia risposta é: la Storia!
La loro storia, la conoscenza della loro storia, conservata e tramandata per mezzo della loro Religione... Ecco il segreto!
Conoscenza della Storia e Religione hanno fatto ciò che in altri casi, per altri popoli, hanno fatto il territorio e una guida politica.

Certo, non solo, altri fattori hanno influito, la lingua per esempio... ma io credo fondamentalmente che debbano tutto alla conoscenza della propria Storia e alla Religione.

Queste mie considerazioni sul popolo ebraico mi portano a riflettere sulla mia Isola, la Sardegna...

Mi sono chiesto tante volte perché la Sardegna non ha una sua Storia... la storia di un popolo... non ha tradizioni comuni, non ha una lingua comune, non ha una sua religione... perché la Sardegna non ha un popolo?

E, di più, la Sardegna ha mai avuto un popolo? Una sua Storia?

Ancora domande... domande...

Se guardiamo alla presenza dei nuraghe sul territorio, non possiamo fare a meno di pensare che anche la Sardegna, un tempo, ha avuto un suo popolo, una sua Storia, una sua religione... ma allora che fine a fatto tutto ciò?
Cosa ha distrutto la civiltà nuragica? Cosa ha trasformato una terra unita in tanti piccoli villaggi popolati da popoli differenti per lingua e cultura?

Cosa é accaduto? E quando? E ad opera di invasori o delle forze della natura?

Domande... domande... domande... senza risposte! Domande che mi spingono ad andare avanti nella mia ricerca, la ricerca delle radici di un popolo, quello Sardo, se é mai esistito...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 11 luglio 2010

Enrico Fermi...

Riordinando alcuni appunti presi anni fa, mi ritrovo tra le mani un vecchio fascicolo dell'Accademia dei Lincei, datato 1955... è il quaderno n. 35 dedicato ad Enrico Fermi.
L'avevo acquistato per un euro, in una bancarella di libri vecchi... é arrivato il momento di leggerlo!

E' il 12 marzo 1955 e l'Accademia dei Lincei é convocata a Classi riunite per la commemorazione del socio Enrico Fermi morto a Chicago il 28 novembre del '54. Sarà assegnato ad Edoardo Amaldi, suo allievo, collaboratore ed amico, il compito di ricordarne la vita e le opere. 
Enrico Fermi nasce a Roma il 29 settembre 1901 da Alberto Fermi e Ida De Gattis. Sin da piccolo, nell'ambito familiare, ebbe la possibilità di coltivare la sua naturale dote, la predisposizione per la matematica, discutendo e studiando anche con l'amico Enrico Persico. Nel 1922 si laurea alla Normale di Pisa (a soli 21 anni) con una tesi sperimentale sulla riflessione dei raggi X. Prosegue i suoi studi a Gottinga, dove conobbe Heisemberg, Pauli, Jordan e altri nomi che da li a poco sarebbero stati famosi per gli studi sulla fisica quantistica. Tornò a Roma dove, grazie all'aiuto di Orso Mario Corbino che ne aveva intuito le potenzialità, riesce ad avere un incarico di insegnamento nel corso di Istituzioni di Matematica. Ma Fermi non é tipo da stare fermo ad aspettare, così nel 24 parte per Leida dove si occupa della statistica di Ehrenfest. Tornato in Italia insegnerà fisica matematica e meccanica razionale a Firenze per tornare poi a Roma a ricoprire la cattedra di Fisica teorica. In questi anni elabora la teoria conosciuta come "statistica di Fermi-Dirac" sulla quantizzazione di un gas perfetto monoatomico. Con questa teoria Fermi spiega il comportamento di alcuni tipi di particelle elementari, i cosiddetti "fermioni" (elettroni, protoni neutroni e mesoni...) Tale teoria completava la statistica di Bose -Einstein relativa ai cosiddetti bosoni. Tra i tanti suoi studi vi è anche l'elaborazione di un modello atomico.
Ma Enrico Fermi non era solo uno scienziato, era anche un trascinatore e un grande organizzatore, queste caratteristiche gli permisero di raccogliere attorno a se allievi e colleghi che guidava nella risoluzione di problemi. 
Tra il '33 e il '39 Fermi si dedicò allo studio della fisica nucleare; sulla base della scoperta del neutrone si dedicò allo sviluppo della teoria nucleare contribuendo con la cosiddetta "interazione nucleare di Fermi". Nel '34, basandosi sulle scoperte sulla radioattività dei coniugi Curie-Joliot, decise di buttarsi nella sperimenazione di questi fenomeni. Pochi mesi dopo scoprì i fenomeni legati alla radioattività dovuta ai neutroni. Assieme ai suoi collaboratori e amici, bombardando atomi di idrogeno con neutroni, si rese conto di un fenomeno di rallentamento dei neutroni stessi. Sarà proprio questo fenomeno che gli permetterà nel giro di pochi anni di realizzare la pila nucleare. Nel 1938 in Italia si è alle prese con Mussolini, l'inasprimento delle leggi anti razziali spinge Fermi ad emigrare in America, la moglie infatti era di origine ebraica. Nel 1939 Halm e Strassmann scoprono che i neutroni sono in grado di scindere l'atomo dell'Uranio. Siamo ormai all'inizio della Seconda Guerra mondiale e l'America decide di investire nella ricerca di nuovi ordigni esplosivi... i risultati delle ricerche di Fermi e gli investimenti americani fanno si che il 2 dicembre 1942 entri in funzione la prima pila nucleare, progettata e realizzata da Fermi, Anderson e Zinn, la più grande fonte di energia mai realizzata. Nel 1944, nei laboratori di Los Alamos, si lavora alle applicazioni belliche della pila nucleare che consentirà all'America di chiudere vittoriosamente la Seconda Guerra Mondiale. Dopo la guerra Fermi si dedicò allo studio delle particelle subatomiche e dei raggi cosmici lasciandoci nuove scoperte anche in quei campi.
La fama di Enrico Fermi é dovuta ai suoi studi... agli studi di uno scienziato che diceva che non occorreva studiare la matematica ma all'occorrenza la si creava così come serviva... quanto della sua morte, per cancro allo stomaco, è dovuto a quegli stessi suoi studi?

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 10 luglio 2010

Traduzione dal greco del Crizia di Platone

Precedenti:

Atlantide secondo Platone: dal Timeo al Crizia...

Il Timeo...______________________________________

Ancora una traduzione del Crizia, grazie ad Angela Drago, questa volta dal Greco... per cui, ritengo, più attendibile della mia!
Una buona lettura a tutti gli appassionati e a presto...

Crizia

Proemio

LA PREGHIERA DEL DIO VISIBILE
TIMEO- non immagini,o Socrate,che sollievo sia l’essermi ora finalmente liberato dal faticoso cammino di quel ragionamento,quasi potessimo godere di una sosta nel nostro lungo viaggio.
1) Supplico dunque quel dio che di fatto nacque nella notte dei tempi
2) e che ora noi,a parole abbiamo fatto rinascere,di consolidare quello che di buono abbiamo detto e se qualche stonatura involontariamente abbiamo inserito in questo nostro discorso,di punirci pure con la giusta pena. E per chi sbaglia una nota la giusta punizione è ricomporre l’armonia. Preghiamolo pertanto perché ci faccia dono della scienza,ossia del medicamento più adatto e più perfetto che ci permetta d’ora innanzi di parlare con cognizione di causa della genesi degli dei.
3) Fatta dunque precedere la preghiera,come s’era d’accordo,passiamo la parola per il seguito del discorso a Crizia.
CRIZIA----- E io l’accetto, Timeo .Però come tu hai fatto all’inizio
4) quando chiedesti l’indulgenza che si concede a chi mette mano a grandi discorsi,così ora pregherò anch’io;anzi sono convinto d‘aver diritto ad una clemenza ancor maggiore per quello che mi accingo a dire. Non ignoro che questa mia richiesta è un po’ temeraria e un po’ troppo brusca,tuttavia ve la faccio ugualmente. Quale uomo ragionevole oserebbe affermare che le tue posizioni non siano valide?Ma quel che ho io da dire ha bisogno di maggiore indulgenza perché è oggettivamente più complesso. Questa è appunto la tesi che intendo dimostrare. Vedi Timeo ,è più facile aver l’aria d’essere all’altezza della situazione quando si parla agli uomini degli dei che non quando si parla fra noi di noi uomini. Nel primo caso l’inesperienza e la totale ignoranza degli ascoltatori facilitano notevolmente il compito di chi si accinge a trattare di tali argomenti con un pubblico così sprovveduto in materia; e a proposito degli dei non ci sfugge certo in quali condizioni ci troviamo. Ma perché sia ancor più chiaro quel che dico , seguite il filo del mio ragionamento. Credo che tutto quanto noi affermiamo non sia altro che imitazione e immagine. Tuttavia proviamo un po’ a considerare la facilità o la difficoltà con cui i ritratti dei corpi umani o divini sono accettati dal pubblico in ordine alla loro fedeltà al modello. Ebbene ci si renderà conto che per quanto riguarda la terra ,i monti, i fiumi,i boschi,il cielo con tutti i corpi che sono e che si muovono intorno ad esso, noi innanzi tutto ci riteniamo già soddisfatti se qualcuno riesce a fare la copia anche solo un po’ uguale al modello. Inoltre, dal momento che non abbiamo un’idea precisa di queste realtà , neppure stiamo ad esaminare nei particolari quelle riproduzioni né le sottoponiamo a critica :ci basta ,in tali casi un’immagine scialba , approssimativa e perfino infedele di questi oggetti. Si provi invece a ritrarre dei corpi umani! Noi stessi,per la conoscenza abituale che ne abbiamo , fattici scrutatori attenti di ogni difetto, ci trasformeremmo in critici severi di chi non sa rendere alla perfezione la somiglianza con la realtà. E lo stesso, bisogna ammetterlo, avviene anche nei discorsi: mentre per i fenomeni divini e celesti ci si accontenta che le cose dette abbiano un minimo di verosomiglianza , per le faccende di questo mondo e per i fatti umani siamo critici esigenti. Se , dunque, con il nostro discorso sul momento improvvisato ,non dovessimo riuscire ad espimere fino in fondo quel che si deve ,è necessario che ci scusiate per questo, pensando che non è certo facile,direi anzi che è decisamente difficile, presentare i fatti umani all’opinione comune.
108 Tutto ciò , Socrate , l’ho detto perché desidero rinfrescarvi la memoria su tali argomenti, e perché siate non meno , ma semmai più indulgenti con me per le cose che sto per dirvi. E se appena vi pare che io meriti un tale favore, non esitate a concedermelo.
SOCRATE---------------------Ma perché non dovremmo ,Crizia? Ed anzi questo stesso favore lo concederemo anche ad Ermocrate, il terzo interlocutore; è evidente infatti che quando di qui a poco, sarà il suo turno di parlare, ci rivolgerà la vostra stessa preghiera. E dunque perché abbia la possibilità di comporre un diverso esordio e non sia costretto ad esporre questo stesso,parli pure contando fin d’ora sulla nostra indulgenza. Però ,caro Crizia, bisogna pur che ti premunisca sullo stato d’animo del pubblico; il poeta che ti ha preceduto 6) ha fatto su di esso un’ottima impressione, sicchè avrai bisogno di non poca clemenza da parte nostra se vuoi porti al suo stesso livello.
ERMOCRATE-------------------TU Socrate,fai a me le stesse raccomandazioni che hai fatto a lui ma ,Crizia mio,è anche vero che a tutt’oggi nessun uomo che si sia perso di coraggio s’è innalzato un monumento al valore. Bisogna allora farsi animo e andare avanti nel discorso invocando Apollo e le Muse e celebrando con inni gli antichi cittadini per la loro virtù.
CRIZIA--------Amico mio Ermocrate, tu fai lo spavaldo perché non sei in prima linea e c’è un altro davanti a te,ma quale difficoltà riservi questa impresa presto te lo mostreranno i fatti. In ogni caso il tuo incitamento e il tuo invito vanno assecondati e non solo agli dei che hai citato ,ma ad altri ancora debbono levarsi le nostre invocazioni e soprattutto a Mnemosine 7)proprio perché da tale dea dipende la parte essenziale del mio discorso. E se ci riuscirà di riportare alla memoria e di comunicare le cose dette a quei tempi dai sacerdoti e qui introdotte da Solone 8), saremo anche riusciti a convincere il pubblico(di questo sono pressoché sicuro)che abbiamo compiuto fino in fondo il nostro dovere. Ordunque mettiamo mano all’impresa senza ulteriori indugi. Per prima cosa non dimentichiamo che in totale sono passati novemila 9) anni da quando divampò la guerra fra gli abitanti delle terre situate oltre le colonne di Eracle 10)e quelli che sono al di qua. Le fasi di tale conflitto vanno ora raccontate nei particolari. A capo di una coalizione c’era la nostra Città che, a quanto si dice sopportò il peso di tutta la guerra. Alla testa dell’altra c’era il re dell’isola di Atlantide che si tramanda essere stata allora un’isola ancor più vasta della Libia e dell’Asia, mentre ai nostri giorni,sprofondata per l’azione di cataclismi ,è ridotta ad un bassofondo melmoso che, frapponendosi come ostacolo, impedisce la rotta fra le nostre terre e l’oceano aperto. Le innumerevoli tribù barbariche, e le diverse stirpi elleniche che c’erano allora le incontreremo e ci appariranno chiaramente una per una ,man mano si tireranno le fila del discorso. Ma degli ateniesi e degli avversari di allora con i quali si misurarono,della loro forza e delle loro istituzioni , bisogna che si parli fin d’ora che siamo agli inizi:proprio di questi allora è bene anticipare la trattazione. A quei tempi gli dei si erano divisi a sorte, paese per paese , tutta quanta la terra senza che insorgesse alcun motivo di lite. Sarebbe infatti inconcepibile che gli dei ignorassero ciò che a ciascuno di loro conveniva, oppure che,ben sapendo quello che più era confacente ad altri,alcuni avessero voluto impossessarsene al prezzo di contese. Avvenne dunque che essi ottennero, per via del sorteggio fatto da Giustizia, proprio quelle regioni che desideravano e così si misero a colonizzarle. Dopo di che ,come fa il pastore con i suoi armenti,così anch’essi allevarono noi uomini che eravamo per loro, possesso e gregge. Con una differenza però:che gli dei non usavano corpi per costringere altri corpi ,nel modo che i pastori usano per tenere il gregge,cioè a suon di bastonate,ma come per lo più si condurrebbe un animale domestico: cioè guidandolo da tergo. Così appunto gli dei conducevano e dirigevano la stirpe umana : secondo il loro disegno ,con la forza della persuasione ne tenevano l’animo quasi ne reggessero il timone. Ma mentre tutti gli altri dei, chi in un posto chi in un altro, accudivano alle terre ottenute in sorte. Efesto ed Atena 11),forse perché avevano natura affine essendo figli dello stesso padre, o forse perché avevano le stesse aspirazioni , mossi com’erano dall’amore per il sapere e per l’arte,ebbero ambedue in sorte quest’unica regione, come loro terra di elezione, spontaneamente fertile di virtù e saggezza. Così in essa fecero nascere uomini virtuosi e ispirarono nelle loro menti l’ordine politico. I nomi di costoro sono giunti fino a noi; non così la memoria delle loro opere a causa dell’estinzione di chi doveva tramandarla e della distanza del tempo. Come prima si è detto 12) la razza che di volta in volta sopravviveva, era quella che, abitando sui monti era priva di cultura e dei signori della pianura aveva sentito solo i nomi e, al massimo ,qualche gesta, ma esclusivamente per accenni. Tali uomini erano bensì compiaciuti di imporre questi nomi ai loro figli, ma non si curavano degli avvenimenti dei tempi remoti ,o perché erano all’oscuro delle virtù e delle leggi di quegli antichi, o perché avevano un’imprecisa conoscenza per sentito dire o perché mancando loro e i loro figli per generazioni e generazioni del necessario e per vivere, non potevano fare a meno di preoccuparsi di questi bisogni, riservando a ciò ogni loro pensiero. Lo studio dei miti e la ricerca accurata degli eventi della storia antica subentrarono nella città, quando si poté constatare che almeno alcuni avevano soddisfatto gli elementari bisogni della vita; prima infatti non avrebbero potuto. Ecco allora perché di quei progenitori si sono salvati solo i nomi e non la memoria delle imprese. D’altra parte ,di queste affermazione posso anche fornire la prova. Solone riferisce che i sacerdoti ,. Descrivendo la guerra di allora, citavano a più riprese i nomi di Checrope, Eretteo, Erittonio, Erisittone 13)e di altri che per lo più si ricordano come vissuti prima di Teseo. E lo stesso vale per il nome delle donne. Inoltre ,dato che allora l’impegno della guerra era ugualmente condiviso da uomini e donne , perfino nella figura e nelle statue,la sacra effigie della dea, in linea con questa consuetudine, era rappresentata armata di tutto punto. Del resto questa usanza è legittimata dal fatto che tutti gli animali maschi di una stessa razza e le loro femmine sono per natura capaci di assolvere in comune i compiti specifici della loro specie.
In queste regioni, dunque abitavano quelle diverse classi di cittadini che si occupavano della produzione di beni di consumo o dei prodotti della terra. La classe dei guerrieri invece, fin dall’inizio tenuta separata dagli altri,certo per decisione di uomini divini,abitava in disparte e disponeva di tutto il necessario per vivere ed educarsi. Tuttavia nessuno di questi guerrieri possedeva qualcosa in proprietà, ma ognuno riteneva che tutto fosse di proprietà comune e oltre al necessario per vivere, niente pretendeva dagli altri cittadini. Il loro compito consisteva nell’assolvere a quelle funzioni che ieri illustrammo 14) trattando dei nostri ipotetici guardiani.
Passando al nostro paese ,una tradizione attendibile e fondata, vuole che i confini entro cui originariamente si estendeva,giungessero sino all’istmo e per il resto, dalla parte del continente, fino alle vette del Citarone e del Parnete per poi discendere verso destra e comprendere il territorio di Oropia 16) e verso sinistra in direzione del mare, lasciando fuori l’Asopo.17) La nostra regione poi superava tutte le altre in fertilità, sicché allora poteva sostentare anche un grande esercito senza costringerlo a lavorare la terra. Ed ecco una prova convincente di ciò: quella parte della nostra terra che ci resta ancor oggi, non teme rivali per fertilità e produttività e anche per la ricchezza di pascoli adatti a tutti gli animali; solo che allora, alla eccellenza dei frutti si aggiungeva anche una straordinaria abbondanza. Ma come credere a tutto ciò? E su quale base sostenere che questa terra che ci è rimasta è una parte di quella di allora? Essa si protende tutta per un lungo tratto fuori dal resto del continente, verso il mare, configurandosi come un promontorio; inoltre il bacino del mare che la circonda scende a dirupo per tutta la costa. Ora dato che durante questi novemila anni –corrispondenti al periodo che intercorre tra quella era e la nostra 18) -si susseguirono sconvolgimenti tellurici in gran numero e di grande intensità, lo scorrimento della terra dalle zone più elevate in quei tempi, sottoposto com’era a tali sollecitazioni, non formò defluendo argini naturali di un certo rilievo, quali si formano negli altri posti, ma scivolò giù sparendo nelle profondità del mare. Insomma come succede nelle piccole isole, quel che resta oggi nel nostro paese, rispetto a quel che c’era allora, è simile alle ossa di un corpo malato; tutta la terra soffice e grassa è defluita ed è rimasto solo lo scheletro nudo della regione. Certo che allora, prima di essere sconvolto, il nostro paese aveva monti ricchi di terra, e anche quelle pianure che oggi sono dette pietrose a quei tempi erano piene di terra buona; e si aveva abbondanza di selve sui monti, delle quali ancora oggi si trova traccia. Da alcuni dei monti che oggi sono appena in grado di alimentare le api, no è molto che si tagliavano gli alberi per costruire tetti a grandi edifici di cui alcuni sono ancora intatti. C’era poi un alto numero di alberi coltivati di alto fusto e la terra offriva pascoli a non finire per il bestiame. Allo stesso modo anche l’acqua piovana che Zeus mandava ogni anno no andava sprecata come invece succede oggi che si perde scorrendo sulla nuda terra verso il mare. In quei tempi in effetti ,il suolo ne aveva in sé molta e molta altra ne tratteneva distribuendola negli strati di terra argillosa; così l’acqua che defluiva dai monti scorrendo verso le valli permetteva che in ogni luogo ci fosse un flusso abbondante sotto forma di sorgenti e di fiumi. E la verità di queste mie affermazioni sulla nostra terra è dimostrata dai sacri templi che ancora oggi sono in prossimità delle antiche fonti. Questa dunque era la morfologia del resto della nostra regione, la quale peraltro era tenuta in perfetto ordine da veri contadini, specializzati nel loro mestiere, dotati di un particolare gusto per il bello e di buone doti naturali, e padroni di una terra di ottima qualità e ricchissima d’acqua, e oltre che dalla terra, favoriti anche da un clima straordinariamente temperato.
Passiamo ora alla città, per dire com’era allora il suo assetto urbanistico. In primo luogo l’acropoli di quei tempi era sistemata in modo diverso rispetto a quella d’oggi. Ora,le violente precipitazioni di una sola notte- ma a queste si devono aggiungere anche i sommovimenti tellurici e un’alluvione di inusitata violenza,la terza prima del micidiale diluvio dei tempi di Deucalione 19)- , avendo trascinato via il terreno tutto intorno l’ha completamente privata della terra. Allora ,in quei tempi, l’acropoli era così ampia da arrivare fino all’eridano e all’Ilisso , e da comprendere al suo interno anche la Pnice; praticamente si estendeva fino al Licabetto 20)dalla parte opposta dell’Apnice. Inoltre fin nella sommità non mancava di terra ed era , tranne che in pochi luoghi, pianeggiante. La parte esterna e le falde dell’acropoli erano abitate dagli artigiani e dai contadini che lavoravano lì intorno; ma la parte alta ,nella zona del tempio dedicata ad Atena ed Efesto era occupata esclusivamente dalla classe dei guerrieri, che anzi l’avevano completamente circondata con un muro di cinta quasi si trattasse del parco di un’unica villa. Questi abitavano nella parte esposta a nord dove erano stati dislocati gli alloggiamenti e le mense comuni invernali, e tutto quanto serviva alla vita collettiva in fatto di abitazioni e di templi; non c’era posto ,invece, né per l’oro né per l’argento di cui peraltro non facevano alcun uso. Cercavano invece il giusto mezzo fra un abbondanza eccessiva 21) e la miseria e in conformità di ciò si erano costruiti delle case decorose, nelle quali essi stessi coi rispettivi nipoti rimanevano fino all’età della vecchiaia,per poi tramandarle ad altri uomini della loro medesima indole. Le parti esposte verso sud erano usate per scopi non diversi nel periodo estivo allorchè venivano abbandonati i giardini, le palestre e i refettori comuni. C’era una sola fonte nel luogo dove ora c’è l’Acropoli, solo che oggi ,essendo stata inaridita dai terremoti, al suo posto non restano che piccole polle sparse tutt’intorno; e pensare che allora forniva a tutti acqua fresca sia d’estate che d’inverno, in abbondanza. Tale era ,dunque, il loro regime di vita, ed essi ad un tempo difensori dei loro concittadini e guide ben accette agli altri greci, badavano soprattutto che il numero degli uomini e delle donne già in età di soldato o ancora in età da soldato ,rimanesse sempre quanto più è possibile costante,cioè sulle ventimila unità. Questa ,dunque era la loro indole e nel modo che s’è detto essi non cessavano di dirigere l’Ellade e la loro città secondo giustizia. Così finirono col guadagnarsi grande fama per tutta l’Europa e in Asia e per l’avvenenza dei corpi e per la varietà di virtù delle loro anime, al punto che fra tutti i popoli di quei tempi divennero i più celebri.
Quanto alle originarie condizioni di vita dei loro avversari,ora faremo parte a voi che siete amici a cui tutte le cose sono comuni, di quello che abbiamo sentito raccontare da bambini,22) almeno per quanto la memoria ci consente di fare.
Ma prima di iniziare il discorso, devo premettere una breve spiegazione affinché non vi meravigliate a sentire sovente chiamare con nomi greci uomini barbari.
Ecco dunque il motivo di ciò. Solone allorché concepì il progetto di servirsi di questo racconto nei suoi poemi, si informò sul significato di tali nomi e venne a sapere che gli Egiziani, essendo i primi ad averli trascritti, li avevano pure tradotti nelle loro lingua. A tal punto egli, ricostruito il senso di ciascun nome, lo traslitterò nella vostra lingua. Ebbene questi scritti li aveva mio nonno, ora li possiedo io che nella mia giovinezza li ho letti e riletti. Ci siamo dunque intesi che ne udrete nomi analoghi a quelli qui in uso ,non dovrete stupirvi dato che il motivo lo conoscete. Così incominciava la nostra lunga storia. All’inizio s’era parlato dell’estrazione a sorte fra gli dei24). S’era detto che tutta la terra era divisa in lotti, a volta più estesi, a volte meno e che in ciascuno di questi le divinità avevano disposto un culto e un rituale in proprio onore. Non faceva eccezione neppure Poseidone, il quale ottenuta in sorte l’isola di Atlantide, fissò la dimora per i figli che aveva avuto da una donna mortale in un certo luogo dell’isola che aveva all’incirca questa conformazione. Dal mare al centro dell’isola era tutta una pianura, certo fra tutte le pianure la migliore e a quanto si dice anche la più fertile. Non distante dalla pianura , circa cinquanta stadi 25) dal suo centro si ergeva un monte non molto elevato in ogni sua parte. Qui aveva dimora uno degli uomini che originariamente erano nati dalla terra; il suo nome era Euenore ed abitava con la moglie Leucippe. Ebbereo una sola figlia, Clito la quale non appena fu in età da marito rimase orfana di padre e di madre. Poseidone, preso da passione, giacque con lei. Così scavò tutt’intorno quell’altura in cui la fanciulla abitava, formando come dei cerchi concentrici, alternativamente di mare e di terra ora più larghi ora meno larghi: due di terra e tre di mare quasi fossero circonferenze con centro nell’isola e da essa perfettamente equidistanti. In quel modo quel luogo risultava inaccessibile agli uomini, tenuto conto del fatto che allora non c’erano ancora né le navi né l’arte della navigazione. Lo stesso Poseidone poi,in quanto dio, non ebbe difficoltà a rendere splendida l’isola che stava al centro suscitando due fonti dalla terrra - l’una che scorreva dalla sorgente in un rivo d’acqua calda, l’altra d’acqua fredda e , facendo spuntare dal suolo ogni genere di pianta commestibile in grande quantità.
Mise alla luce e allevò cinque coppie di gemelli maschi, dopo di che,divisa tutta l’isola di Atlantide in dieci parti,al primo nato dalla coppia più anziana attribuì la casa della madre e il lotto di terreno circostante- era in effetti il più vasto e il migliore, consacrandolo re degli altri fratelli. Ma anche ognuno di costoro ebbe una parte di potere concedendogli il dio, autorità su molti uomini e su un vasto territorio. A tutti diede inoltre un nome. In particolare chiamò il più anziano, quello che divenne re,col nome che poi designò tutta l’isola e il mare così detto Atlantico. Questo nome dato al primo sovrano fu appunto Atlante. Al suo gemello nato dopo di lui e a cui era toccata in sorte la parte estrema dell’isola- la parte spostata verso le colonne d’Eracle,nella zona in cui oggi c’è la regione della  Gadiria 26) che prende appunto il nome da quella zona- diede il nome di Gadiro – così  suona nella lingua locale; in greco sarebbe invece Eumelo, il quale passò poi a denominare quella regione. I gemelli della seconda coppia furono chiamati rispettivamente,Amfere ed Evemone. Il primo nato dalla terza coppia ebbe nome Mnesea il secondo Autoctono. Elasippo e Mestore furono nell’ordine il primo e il secondo generato dalla quarta coppia, ed Azaes e Diaprepes il nomee del più vecchio e del più giovane della quinta27).



venerdì 9 luglio 2010

La solitudine...

E' come una lavagna bianca,
appesa ad una parete... bianca,
piena zeppa di frasi
scritte con un gesso bianco... illeggibili!


La solitudine non é solo una condizione fisica,
ma psicologica... tremenda!
non la puoi sconfiggere da solo,
hai bisogno del tuo gessetto colorato,
di una lavagna,
di una parete in cui appenderla...

E se ti manca tutto,
allora hai ancora una speranza,
prendi un carbone spento,
trova una parete bianca e scrivi...

scrivi ciò che vuoi,
ciò che pensi,
al limite scrivi assurdità senza senso ma scrivi...

la solitudine, stai sicuro, andrà via,
fino alla prossima volta...



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Per chi non può leggere o ama ascoltare... SuonamiUnaPoesia.it

Cari amici,
come sapete amo leggere e scrivere, l'ho sempre fatto e spero di poterlo fare sempre, c'é però chi non é così fortunato!
Sono in molti a non poter leggere, per malattia o per età, ed internet e le nuove tecnologie possono essere d'aiuto.
Altre volte é semplicemente piacevole ascoltare un racconto o una poesia, recitata con passione, per riportarci indietro nel tempo...
Devo ringraziare Francesco Cusani per l'invito a partecipare con le mie creazioni alla sua idea.  "SuonamiUnaPoesia.it", ecco il link http://www.suonamiunapoesia.it, é un sito in cui é possibile pubblicare in forma scritta e file audio, le proprie opere... da riascoltare quando si vuole.

Ecco la mia prima poesia... http://www.suonamiunapoesia.it/SUPz_Rugolo.HTML

Per informazioni: info@suonamiunapoesia.it
 
Partecipate numerosi all'iniziativa, amici... io già lo faccio!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 27 giugno 2010

E' meglio on-line o cartaceo? Morte annunciata della carta stampata?

Mi chiedo, che fine faranno i giornali in carta? 
La domanda nasce da alcune considerazioni tra amici, considerazioni che sembrano far intendere che i giornali, i quotidiani e le riviste in generale, abbiano sempre meno peso sul panorama mondiale dell'informazione, sempre più spesso superati da Internet in tutte le sue forme. 
Blog, forum, giornali on line, newsletter, siti monotematici e portali hanno allora, forse, preso il posto delle riviste?
Io credo di no!
Vi chiederete cosa mi spinga ad una affermazione controcorrente, oltre alla mia nomea di bastian contrario... se avete voglia e tempo di leggere queste poche righe lo scoprirete.

Tanto per cominciare vi racconto qual é il mio approccio alla carta stampata e ad Internet quale fonte di informazione. Io preferisco la carta stampata... sempre. 
Nonostante utilizzi Internet in maniera massiccia per le mie ricerche, non vi é niente di più confortante e rassicurante di un libro stampato, di un quotidiano, di una rivista in cui vi é la notizia che mi occorre! Sarà solo una questione di età, ma per me é così! Internet é utile ma non sempre affidabile (ma ciò vale anche per i giornali, sia chiaro) e in ogni caso se devo studiare ho BISOGNO di avere qualcosa di fisico sotto mano!
Da queste prime poche righe emerge un fattore importante, l'età! Quando infatti ho parlato di me e del mio approccio alla ricerca delle informazioni ed ho citato "la mia età", non l'ho fatto a caso ma volutamente. L'ètà é un fattore importante, chi ha sempre studiato con i libri davanti, difficilmente potrà adattarsi a leggere un e-book o a studiare da wikipedia in vece della cara vecchia, pesante, solida, enciclopedia cartacea! Uso il computer da 25 anni ma per me é così! 
Ok, direte voi, questo é un tuo punto di vista, ma secondo il tuo ragionamento, tra qualche anno, quando ormai i giovani avranno iniziato a studiare con il computer, per loro non ci sarà alcun problema di "abitudine". Questo vorrà dire che i giovani, tra dieci anni, non avranno alcun legame con la carta stampata...
Ma così non é! Ma per capire il perché di questa affermazione occorre fare un passo avanti.
Consideriamo un sistema informatico, le informazioni al suo interno sono conservati sotto forma di dati legati tra loro da relazioni e vengono "scritti" su supporti magnetici o ottici, leggibili solo attraverso strumenti sofisticati e difficilmente estraibili ed interpretabili senza una grande quantità di strumenti tecnologici, interfacce uomo-macchina e così via. Ciò significa fondamentalmente che i dati e le informazioni che essi contengono sono ALTAMENTE VOLATILI! Ecco il motivo principale per cui io, se potessi, non mi affiderei mai completamente alla tecnologia. La carta stampata, nonostante i problemi di durata, è molto più sicura (dal punto di vista di conservazione dell'informazione) dei computer e di Internet. 
Allora direte, "bravo Matusa, allora perché non scrivi ancora sulla roccia, come facevano gli Egizi?"
In effetti alcuni Stati lo fanno, i più previdenti stampano le informazioni che ritengono debbano essere disponibili ai posteri su carte particolari e con inchiostri particolari che ne garantiranno la sopravvivenza per centinaia d'anni... se non migliaia!
In ogni caso, pensate ciò che volete, ma io sono convinto che la carta stampata non abbia terminato la sua esistenza e la sua utilità, il problema é un'altro, Internet é la nuova società con le sue regole (o forse sarebbe meglio dire SREGOLE!) e con le sue dinamiche sociali ancora non ben note a tutti. Spesso si pensa che Internet avrà la meglio sulla carta stampata, se ciò dovesse accadere sarà però solo per la legge del mercato, il prodotto con il miglior rapporto prezzo/qualità é quello che viene acquistato. Il vero problema della carta stampata, ultimamente, sta proprio in questo: la qualità degli articoli che si possono leggere é sempre più scadente! Ma questo vale anche per Internet, direte voi... vero, ma Internet é (quasi) gratis!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO