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domenica 19 febbraio 2012

Lezioni spirituali per giovani samurai (di Yukio Mishima)


Un libro strano... ai miei occhi di occidentale!

Forse semplicemente un libro strano in quanto non avevo mai letto niente scritto da un Giapponese, eppure...

Yukio Mishima è morto, non oggi, sia chiaro, ma il 25 novembre 1970... suicida!
Perché, vi chiederete? 
Per la Patria, diremo noi... per il Giappone, disse lui!

Le sue ultime parole, prima del suicidio rituale, furono:

"Noi ora testimonieremo a tutti voi l'esistenza di un valore più alto del rispetto per la vita. Questo valore non è la libertà, non è la democrazia. E' il Giappone. Il Paese della nostra amata storia, delle nostre tradizioni: il Giappone. Non c'è nessuno tra voi disposto a morire per scagliarsi contro la Costituzione che ha disossato la nostra patria? Se esiste, che sorga e muoia con noi! Abbiamo intrapreso questa azione nell'ardente speranza che voi tutti, a cui è stato donato un animo purissimo, possiate ritornare ad essere veri uomini, veri guerrieri."

Ecco, ecco le ultime parole di un uomo, un intellettuale, un patriota... 

Potrete chiedervi perché abbia scritto queste poche righe, senza scrivere una sola riga sul libro... la risposta è la solita, perché il libro è tutto da leggere, se volete sapere di cosa parla... 
tutto da scoprire, pagina dopo pagina, fino alla fine...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 12 febbraio 2012

Amore amando

Tu non trovi incredibile
Sto scrivendo versi d’amore
Dopo più di vent’anni
Tu sai che il miracolo
È stato possibile
Vivendo la stessa strada
Ardua salita talvolta
Scoscesa o in discesa
Mai piatto andare di giorni.

Tu ascolta ancora una volta
La stretta della mia mano
Fredda di inverni e di montagne
Debole di fatica e di viaggi
Ma che non ti lascia andare
Neanche un istante
Perché è libera e dolce.

Tu guarda il mio sguardo
Quando si posa sulle tue forme
Quando ride del tuo riso
E si riempie come in un mare
Delle tue lacrime più amare.
Allora sarà amore amando
Che spinge le spalle e la testa
Oltre il difficile ostacolo
Che si para davanti.

Tu ricorda tutto il tempo
E buttalo via perché lo stesso
Sarà domani farsi presente
E continuare vivendo
Non stretti o vicini
L’uno all’altra perché
Non ce n’è bisogno.
è bisogno.
osa sola.tempo
a
lia.i
endo
agli
Noi siamo una cosa sola.

Giuseppe Marchi

sabato 11 febbraio 2012

A mio zio Umberto...

Voglio ricordarti così, zio...
Con il sorriso sulle labbra,
anche se la malattia ti lasciava poco spazio per sorridere.

Voglio ricordarti così, zio...
come quando ci portavi al mare,
ed in macchina ascoltavamo Celentano.

Voglio ricordarti così, zio...
soddisfatto per la tua famiglia,
che ti amerà per sempre.

Voglio ricordarti così, zio...
come quando rientravi tardi a casa
e nonna Cenza lì ad aspettarti.

Voglio ricordarti così, zio...
con un fumetto di Tex Willer in mano
e tante idee in testa.

Voglio ricordarti così, zio...
andando al monte in trattore
a festeggiare San Mauro con gli amici.

Voglio ricordarti,
e ti ricorderò sempre...
grazie per tutto, zio...

Tuo nipote Alessandro

Mio fratello



Sulle punte più alte
Quando muove gli alberi
Al profilo disegnato della strada
Il vento è mio fratello

Nel vicolo che ingoia la via
Quando è solo la riga bianca
A illuminare la notte
Il buio è mio fratello

Le strie lucide delle lacrime
Il sangue fermo in mezzo al cuore
Senza cammino da scegliere
Il dolore è mio fratello

Apro l’ombrello sotto questa pioggia
Ma sono lapilli e lava
Un ombra nera proietta l’anima
Il cielo è mio fratello

Davanti casa mia da quarant’anni
Saluto lo stesso bambino che adesso
E’ l’uomo che posso chiamare di notte
Se crolla la casa o brucia la strada
Quell’amico è mio fratello.


Giuseppe Marchi

venerdì 10 febbraio 2012

Dal "Catalogo delle lingue conosciute e notizia della loro affinità e diversità... " un testo sul Giudice Barisone

Ecco un interessante testo, catalogato come "Linguaggio Sardo dell'anno 1182", tratto dal libro "Catalogo delle lingue conosciute e notizia della loro affinità, e diversità" scritto dall'Abate Don Lorenzo Hervas e pubblicato nel 1784.

E' un atto del Giudice d'Arborea Barisone...

Ego Judice Barasune podestando totu Logu d'Arbarae simul cum Mugere mia Donna Algaburga Regina de Logu, & Archiepiscopu Comita de Lacon, & d'essos Piscobos meos... & totus fideles meos, & Clerigos, & Laigos de Logu d'Arbarae cum Curiae consiliu, & cum mia boluntate fago guista carta a Sanctu Nigola... pro causa de regnu inne pargent sas domos, & isas domestigas, & ipsas binias, et issos saltos... pradus de Cavallos ca causa de regnu las castigent... cherant piscare... et d'essa piscadura d'essus a rius de Kirras, como au cat aver dane, como innanti... de Curadores, & de homines bonos sanctos, d'essa terras mea & c.

Il significato credo sia:

Io Giudice Barisone, regnando su tutte le terre d'Arborea assieme a mia moglie Donna Algaburga regina delle terre d'Arborea, e all'arcivescovo Comita di Lacon e dei miei vescovi e tutti i miei fedeli e clerici e laici della terra d'Arborea dietro consiglio della Curia e di mia volontà emetto questo documento a favore di San Nicola...

del restante testo non riesco a capire il senso generale, forse manca qualche parte o più semplicemente sono io che devo studiarlo meglio!

Un saluto e a presto,

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 2 febbraio 2012

LA BABELE AFGHANA

Parlando con il collega e amico Rugolo della babele linguistica dell’Afghanistan, mi è stato rivolto l’invito a scrivere due righe senza pretesa, invito che raccolgo volentieri.
Jaish-e-Italia o Armii-e-Italio? 
Queste frasi apparentemente dissimili sono il nostro punto di partenza. Vogliono dire la stessa cosa, ossia Esercito Italiano, ma una è in arabo e l’altra in persiano. Il cittadino italiano generico medio fa fatica a capire che c’è una differenza tra i due popoli, differenza complicata dal fatto che viene usato lo stesso alfabeto per scrivere (e da destra a sinistra), ma questa differenza è cruciale: se si scrive sulla fiancata dei mezzi una frase in arabo, essa andrà bene in Iraq e in Libano, ma è estremamente scorretta in Afghanistan e, a parer mio, offensiva.
Ma quali e quante lingue si parlano in Afghanistan? 
Una risposta scientifica non potrà mai essere data, perché la varietà di lingue, dialetti e cadenze è pari solo al sub-continente indiano.  Tuttavia un modo per fare chiarezza c’è e si basa sull’antropologia e sulla storia.
Fughiamo subito il dubbio del nostro cittadino: la maggior parte degli afghani è indoeuropea e non araba. Si, proprio gli stessi indoeuropei che popolano la gran parte dell’Europa (il cittadino italiano più accorto si sarebbe dovuto accorgere della somiglianza di Armii con Armata, Armija, Army etc) .
In effetti, una tesi ardita di Felice Vinci (Omero nel Baltico) ipotizza un’antica migrazione dei Baltici fino al Mediterraneo (da cui la civiltà achea ed il mito di Troia), Sarmazia, Scizia e Battriana, citando popoli alti e biondi dagli occhi azzurri che compaiono improvvisamente in Asia centrale e i cui fonemi ancora resistono nelle culture indiane, ma questo affascinante campo di ricerca esula dai nostri scopi.
Dunque chi popola oggi l’Afghanistan? 
Le statistiche (ah, le scienze esatte!) ci dicono:
-          42%       Pashtun
-          27%       Tagiki
-          9%         Hazara
-          9%         Uzbeki
-          13%       altri gruppi.
I Pashtun erano antichi principi indù (si, proprio così!) di stirpe indoeuropea, alla conversione all’Islam diventano in parte nomadi e popolano a macchia di leopardo  la nazione. Parlano una lingua iranica, che si scrive in maniera simile al Dari, cioè con l’alfabeto arabo (e 4 consonanti in più), ma dalla quale si differenzia sostanzialmente nella pronuncia. E’ parlata principalmente nel sud del paese e nelle aree di confine del Pakistan. Ecco perché qualcuno parla di Pashtun-istan ad indicare le regioni etnicamente Pashtun. Il Pashtu è la madrelingua per il 35% della popolazione afghana.
I Tagiki sono gli eredi della tradizione persiana sassanide, che ha istituito le odierne basi e regole grammaticali del persiano e si identificano con quella cultura/retaggio storico (non con la politica o i dogmi religiosi, essendo i tagiki per la maggior parte sunniti a differenza degli iraniani sciiti). Il Farsi ed il Dari, volendo approssimare, sono nient’altro che la lingua persiana chiamata in maniera diversa per opportunità politiche o pratiche. Il Dari (o Afghan Persian, o Eastern Farsi) è la lingua commerciale dell’Aghanistan (amministrativa, dei contratti, delle scritture contabili etc), si scrive con l’alfabeto arabo e possiede 12 consonanti in più rispetto a quella lingua (ricchezze e sfarzi del passato di Herat, capitale dell’impero timuride!). Il 50% della popolazione parla Farsi/Dari.
Gli Hàzara, che vivono nel centro del Paese, scontano l’odio delle altre etnie per essersi fusi coi mongoli invasori.  Essi erano contadini buddisti (i Buddah di Bamyan) prima dell’invasione di C’inghiz-chan (Gengis Khan) del 12°secolo. L’Hazaragi è una lingua farsi, mutuata dalla pronuncia mongolide e ristrutturata sulla grammatica turca (indoeuropeo e polisillabiche ural-altaiche agglutinanti, per chi volesse dilettarsi…).  Sono sciiti tutelati dall’attuale governo iraniano.
Gli Uzbeki, che vivono nel nord, sono i discendenti dei conquistatori turchi. L’uzbeko, ceppo etnico altaico, ha modificato la propria lingua sulla base turca, ed è oggi affine ai popoli turcomanni (turco, azero, turcomanno, etc). Viene parlato dall’11% della popolazione afghana principalmente nel nord. Curiosamente, durante l’epoca sovietica, veniva scritto con l’alfabeto cirillico (eccezioni incredibili che solo in Asia succedono!).
Si vede bene che le percentuali etniche non coincidono con quelle delle lingue parlate. La spiegazione è che alcune frange  di popolazione, per esempio etnicamente pashtun, si esprime in un'altra lingua, per esempio Dari.
Mi fermo qui, come si vede la torre di Babele è una leggenda con un fondamento di realtà! 
Questi incroci di popolazioni e di lingue, queste fusioni di culture diverse e questi ibridi estremamente particolari mi evocano sempre scenari affascinanti e storie incredibili.
In fondo l’Asia è anche questo.
Khoda Hafiz (arrivederci).    

Livio CIANCARELLA

domenica 29 gennaio 2012

Testimonianze dal passato: i Giudici in Sardegna

Ci fu un periodo in cui i Giudici governavano la Sardegna.
Erano quattro e si spartivano l'Isola.
Ma quando e chi ci testimonia la loro presenza?
La notizia più antica che ci è giunta riguarda una lettera di Papa Gregorio VII che scrive ai Giudici intorno all'anno 1079 d.C. per presentare il nuovo arcivescovo di Torres, Costantino, da lui appena nominato. Ma vediamo cosa ci ha lasciato scritto Gaetano Moroni, primo aiutante di camera si sua santità, nel suo "Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni", pubblicato a Venezia nel 1845.

"Rivolgendo i suoi sguardi alla Sardegna Gregorio VII consacrò in Capua arcivescovo di Torres Costantino e lo munì d una lettera pei così detti giudici o sovrani dell'isola per far rivivere in quel popolo l'antica affezione alla santa Sede e ristabilire tra la chiesa di Roma e gl'isolani quella concordia ch'erasi con grave detrimento del culto guastata promettendo loro di spedirgli quanto prima un legato per istruirli delle sue ulteriori determinazioni. Costantino ricevette pure l'incarico di predisporre gli animi del popolo a risguardar la Sardegna quale immediato antico dominio della santa Sede e di guadagnarsi i nobili e i più autorevoli giudici. Ma costoro imponendo silenzio a Costantino vollero che un di loro per nome Orzocco giudice di Cagliari trattasse direttamente col Papa il quale volle che tutti i giudici fossero chiamati a deliberare e che gli si comunicassero le risoluzioni dell adunanza che se nel termine d'un anno non gli davano soddisfacente risposta egli farebbe valere i diritti della Chiesa. E in fatti al principio del 1080 il vescovo di Populonia fu mandato legato apostolico a trattare con Orzocco il quale lo accolse con onore e si sottomise quietamente ai voleri del Papa. Questi allora dichiarò agl'isolani che già da gran tempo i normanni, i toscani, i lombardi e perfino parecchie tribù montanare andavano implorando alla santa Sede la permissione di conquistar la Sardegna, promettendo fede e tributi da vassalli in compenso della bramata licenza, ch'egli non aveva voluto cedere alle istanze di alcuno prima di essere dai suoi legati istruito qual fosse l'animo dei sardi verso la Chiesa, che adesso essendosi ricoverati sotto la protezione di s. Pietro e fatti pupilli del romano Pontefice si tenessero sicuri da ogni offesa per degli stranieri. All'arcivescovo poi di Cagliari, Giacobbe, ed al suo clero impose di radersi la barba per uniformarsi al costume della chiesa occidentale."

Ecco dunque le prime tracce di questi Giudici dell Sardegna.
Proverò a seguirle per vedere dove portano, anche se per ora sembra chiaro...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO