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giovedì 16 gennaio 2014

La partenza

Alla fine è arrivato il diciassette di agosto, l'ultimo giorno di vacanza.

Domani partiremo per lasciare il paese d'origine, Gesico, per tornare a casa a Roma.

Torneremo l'anno prossimo in estate a trovare i genitori.

Anche questa volta non sono riuscito a fare che un decimo delle cose che mi ero ripromesso, ma anche questa è una costante. Vediamo: ho ancora in tasca la lista delle cose da fare compilata prima di cominciare le vacanze.
Visita al nuraghe Cobumbus – fatto.

Visita all'amico Celeste – fatto.

Cena con i vecchi compagni di scuola – saltata.

Visita al museo di Cagliari – fatto.

Visita a zia Nina... accidenti. Anche quest'anno!
Ogni volta la stessa storia. Faccio l'elenco delle cose importanti e poi lo controllo sempre l'ultimo giorno.

Mancano solo poche ore all'ora di cena, se sono fortunato faccio ancora in tempo a salutare zia Nina e zio Lucio.

Ma si, proviamo!

Chiedo a mio figlio di accompagnarmi da Zia Nina, lui viene sempre volentieri a salutare i parenti.


Zia Nina è la più vecchia rappresentante della famiglia Schirru a Gesico, sorella di mia nonna Cenza, e quando posso vado sempre a salutarla.

Passo a prendere mia madre e tutti e tre raggiungiamo la casa di zia, all'ingresso del paese.

La casa è fatta per una famiglia numerosa, come un tempo. Il portone grande e massiccio nasconde il cortile interno, con al centro un bellissimo pozzo. Il cortile è pavimentato con pietre irregolari e tra queste cresce l'erba. Sul lato sinistro si vedono ancora le loggette per il bestiame, un tempo si sarebbero sentiti i belati delle pecore e il rumore della gente che vi lavorava. Oggi è tutto cambiato, tutto abbandonato, triste e spento. A destra la casa padronale, con sul davanti un filare di alberi d'arancio ornamentali. Una volta da bambino avevo assaggiato uno di quei frutti amarissimi, non potrò mai scordarlo!

Quando arriviamo sono appena le sei. La zia è in cortile, seduta su una seggiola bassa, circondata da parenti venuti a trovarla, salutiamo tutti e veniamo invitati a sedere. Zia Nina ci offre un'aranciata e un dolce, come è sua abitudine.


Poi ai saluti seguono le interminabili chiacchierate sui parenti, sulle nascite e morti e sull'albero genealogico di famiglia.

Solo più tardi zia inizia a raccontare quelle cose che più mi piacciono, piccole filastrocche, muttettus e preghiere in lingua sarda campidanese.

Che memoria!
La serata è bella, ma la zia guarda con insistenza verso sud e ad un certo punto comincia a parlare a voce alta, per attirare l'attenzione di tutti.

“Domani sarà una brutta giornata. Mi raccomando, state a casa. Evitate i viaggi e portate il bestiame nella stalla.”

“Ma zia, che dici, nelle previsioni del tempo non hanno detto niente.”

Mi lamento io, ma lei mi guarda con un sorriso beffardo di chi la sa lunga e continua come se io non esistessi.

“Non c'è alcun dubbio, si avvicina un grosso temporale. Pregherò santa Barbara perché lo tenga lontano da casa e santu Jaccu perchè vi protegga lungo il viaggio.”

Era inutile discutere. Se zia si era messa in testa una cosa, doveva essere quella.

Le credenze popolari della Sardegna attribuivano ai santi il compito di proteggere le persone da eventi naturali che potevano essere pericolosi o dal malocchio.

Qualche anno prima mi aveva raccontato come si curava il malocchio e mi aveva insegnato "is brebus", le parole da pronunciare per proteggere o per curare chi veniva colpito dal malocchio.

All'interno della filastrocca vi erano spesso i nomi di alcuni santi che avrebbero dovuto fungere da protettori o intermediari.

Ebbene, anche per proteggersi dai temporali i santi avevano la loro importanza, Santa Barbara e San Giacomo in particolare.
La visita era finita, erano le sette e ci aspettavano a casa per la cena.

Ero felice di esser riuscito a salutare la zia e potevamo rientrare con la certezza che, se un temporale ci fosse stato, qualcuno ci avrebbe protetto.
Cenammo tutti assieme in cortile a casa dei miei genitori. La serata era bella, l'aria tiepida e il vino buono aiutava nella conversazione.

Poi, ad un certo punto, mia madre chiese di aiutarla a ritirare tutto prima di andar via. Sparecchiammo velocemente e mi accingevo a salutare quando chiese di aiutarla a portare dentro anche i tavoli, le sedie e i vasi che aveva in veranda.

“Che bisogno c'è di portare dentro tutto, è una bellissima serata...”

La sua risposta mi lasciò di stucco. “Alessandro, non hai ancora capito che se un vecchio ti dice una cosa lo devi ascoltare? Se zia ha detto che domani ci sarà un brutto temporale, occorre prestar fede e prepararsi.”

Non avevo voglia di discutere, aiutai a portare dentro i vasi e poi ci salutammo. Ci saremmo rivisti l'estate prossima.

Quella notte mi tornò in mente una vecchia filastrocca che avevo sentito tante volte da piccolo. Mia nonna la recitava sempre quando si avvicinava un temporale. Diceva che serviva a proteggere i suoi cari dai pericolosi temporali e dai fulmini. La filastrocca era solo parte di un rito complesso che mi aveva spiegato.

“Questi riti fanno parte della nostra famiglia da secoli. Non tutti li conoscono e anche se li conoscono non possono recitarli perché solo gli appartenenti alle famiglie di stregoni hanno il potere di farlo.”

Io ascoltavo sempre mia nonna, anche quando diceva delle cose insolite.

Chiusi gli occhi e cercai di dormire.

Era passata da qualche minuto la mezzanotte quando un rumore sordo cominciò a farsi sempre più forte. Un tuono lontano si avvicinava... il vento si era alzato di colpo e gli scurini in legno cominciarono a cigolare, come per avvisare del pericolo che si avvicinava. Mi alzai incredulo e mi affacciai alla finestra.

Il cielo, a sud, era illuminato a giorno dai lampi. Le nuvole nere si stagliavano sul cielo illuminato dalla luna. Un temporale, come aveva detto la zia, si avvicinava...
Santa Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.
1

Le parole mi tornarono in mente di colpo, con chiarezza, le sentivo rimbombare nella mia testa. Senza rendermene conto mi diressi verso il camino in cucina. Allungai la mano destra e afferrai una manciata di cenere.

Tornai alla finestra, mi portai la mano all'altezza della bocca e cominciai a soffiare verso il temporale senza smettere di ripetere mentalmente il ritornello.
Santa Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.

Poi le labbra cominciarono a muoversi, involontariamente. Avevo terminato la cenere e come in un sogno vidi le mie braccia alzarsi verso il cielo.

Recitai le formule magiche, prima lentamente, poi più velocemente e a voce sempre più alta...

Santa Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.


Mi sembrò che il tempo non passasse più. Poi di colpo mi resi conto che il vento cambiava direzione. Il temporale si allontanava verso ovest, accompagnato dai tuoni e fulmini.


Tornai a letto in silenzio, sembrava che nessuno si fosse reso conto di niente.

Mia moglie dormiva girata sul fianco e il silenzio era tornato a regnare nella stanza.

La mattina dopo mi alzai tardi, mi sentivo stanco. Ricordavo a malapena di aver sognato.
Un sogno strano. Avevo sentito il rombo del temporale avvicinarsi, ma il sole alla finestra diceva che la giornata sarebbe stata bella. Zia Nina aveva sbagliato previsioni, meglio così. Avevamo un lungo viaggio da fare e guidare con la pioggia non mi era mai piaciuto!

Scesi in cucina. Mia moglie aveva appena messo il caffè sul fuoco e l'odore aveva appena cominciato a diffondersi nell'aria.
“Hai dormito bene?” Chiese con indifferenza.
Risposi di si, anche se ero veramente stanco, come se non fossi andato a letto per niente.
“Sai, questa notte mi è sembrato di averti visto in piedi di fronte alla finestra. Sarà stato un sogno...”
Solo in quel momento mi resi conto di essere tutto sudato, come se avessi compiuto chissà quale sforzo. Di colpo ricordai tutto con lucidità. Impossibile, pensai! Raggiunsi di corsa la finestra della camera da letto, poggiai le mani sul davanzale e osservai a lungo il cielo, cercando risposte.
Non può essere, ho sognato... pensai, e tornai in cucina.

Mi sedetti al mio solito posto e cominciai a sorseggiare il caffè.
“Amore, ti sei sporcato le mani di cenere? Vai a lavarti...”

Aggiunse mia moglie, con tono deciso...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


1 La traduzione è circa questa: Santa Barbara e san Giacomo/
voi avete le chiavi del fulmine/voi avete le chiavi del cielo/
non colpite i figli degli altri/ne a casa ne in campagna/santa Barbara e san Giacomo.

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