Domani partiremo per lasciare il paese d'origine, Gesico, per tornare a casa a Roma.
Torneremo
l'anno prossimo in estate a trovare i genitori.
Anche
questa volta non sono riuscito a fare che un decimo delle cose che mi
ero ripromesso, ma anche questa è una costante. Vediamo: ho ancora
in tasca la lista delle cose da fare compilata prima di cominciare le
vacanze.
Visita
al nuraghe Cobumbus – fatto.
Visita
all'amico Celeste – fatto.
Cena
con i vecchi compagni di scuola – saltata.
Visita
al museo di Cagliari – fatto.
Visita
a zia Nina... accidenti. Anche quest'anno!
Ogni
volta la stessa storia. Faccio l'elenco delle cose importanti e poi
lo controllo sempre l'ultimo giorno.
Mancano
solo poche ore all'ora di cena, se sono fortunato faccio ancora in
tempo a salutare zia Nina e zio Lucio.
Ma
si, proviamo!
Chiedo a mio figlio di accompagnarmi da Zia Nina, lui viene sempre volentieri a salutare i parenti.
Zia
Nina è la più vecchia rappresentante della famiglia Schirru a
Gesico, sorella di mia nonna Cenza, e quando posso vado sempre a
salutarla.
Passo
a prendere mia madre e tutti e tre raggiungiamo la casa di zia,
all'ingresso del paese.
La
casa è fatta per una famiglia numerosa, come un tempo. Il portone
grande e massiccio nasconde il cortile interno, con al centro un
bellissimo pozzo. Il cortile è pavimentato con pietre irregolari e
tra queste cresce l'erba. Sul lato sinistro si vedono ancora le
loggette per il bestiame, un tempo si sarebbero sentiti i belati
delle pecore e il rumore della gente che vi lavorava. Oggi è tutto
cambiato, tutto abbandonato, triste e spento. A destra la casa
padronale, con sul davanti un filare di alberi d'arancio ornamentali.
Una volta da bambino avevo assaggiato uno di quei frutti amarissimi,
non potrò mai scordarlo!
Quando arriviamo sono appena le sei. La zia è in cortile, seduta su una seggiola bassa, circondata da parenti venuti a trovarla, salutiamo tutti e veniamo invitati a sedere. Zia Nina ci offre un'aranciata e un dolce, come è sua abitudine.
Poi
ai saluti seguono le interminabili chiacchierate sui parenti, sulle
nascite e morti e sull'albero genealogico di famiglia.
Solo
più tardi zia inizia a raccontare quelle cose che più mi piacciono,
piccole filastrocche, muttettus e preghiere in lingua sarda
campidanese.
Che
memoria!
La
serata è bella, ma la zia guarda con insistenza verso sud e ad un
certo punto comincia a parlare a voce alta, per attirare l'attenzione
di tutti.
“Domani
sarà una brutta giornata. Mi raccomando, state a casa. Evitate i
viaggi e portate il bestiame nella stalla.”
“Ma
zia, che dici, nelle previsioni del tempo non hanno detto niente.”
Mi
lamento io, ma lei mi guarda con un sorriso beffardo di chi la sa
lunga e continua come se io non esistessi.
“Non
c'è alcun dubbio, si avvicina un grosso temporale. Pregherò santa
Barbara perché lo tenga lontano da casa e santu Jaccu perchè vi
protegga lungo il viaggio.”
Era
inutile discutere. Se zia si era messa in testa una cosa, doveva
essere quella.
Le
credenze popolari della Sardegna attribuivano ai santi il compito di
proteggere le persone da eventi naturali che potevano essere
pericolosi o dal malocchio.
Qualche
anno prima mi aveva raccontato come si curava il malocchio e mi aveva
insegnato "is brebus", le parole da pronunciare per
proteggere o per curare chi veniva colpito dal malocchio.
All'interno
della filastrocca vi erano spesso i nomi di alcuni santi che
avrebbero dovuto fungere da protettori o intermediari.
Ebbene,
anche per proteggersi dai temporali i santi avevano la loro
importanza, Santa Barbara e San Giacomo in particolare.
La
visita era finita, erano le sette e ci aspettavano a casa per la
cena.
Ero
felice di esser riuscito a salutare la zia e potevamo rientrare con
la certezza che, se un temporale ci fosse stato, qualcuno ci avrebbe
protetto.
Cenammo
tutti assieme in cortile a casa dei miei genitori. La serata era
bella, l'aria tiepida e il vino buono aiutava nella conversazione.
Poi,
ad un certo punto, mia madre chiese di aiutarla a ritirare tutto
prima di andar via. Sparecchiammo velocemente e mi accingevo a
salutare quando chiese di aiutarla a portare dentro anche i tavoli,
le sedie e i vasi che aveva in veranda.
“Che
bisogno c'è di portare dentro tutto, è una bellissima serata...”
La
sua risposta mi lasciò di stucco. “Alessandro, non hai ancora
capito che se un vecchio ti dice una cosa lo devi ascoltare? Se zia
ha detto che domani ci sarà un brutto temporale, occorre prestar
fede e prepararsi.”
Non
avevo voglia di discutere, aiutai a portare dentro i vasi e poi ci
salutammo. Ci saremmo rivisti l'estate prossima.
Quella
notte mi tornò in mente una vecchia filastrocca che avevo sentito
tante volte da piccolo. Mia nonna la recitava sempre quando si
avvicinava un temporale. Diceva che serviva a proteggere i suoi cari
dai pericolosi temporali e dai fulmini. La filastrocca era solo parte
di un rito complesso che mi aveva spiegato.
“Questi
riti fanno parte della nostra famiglia da secoli. Non tutti li
conoscono e anche se li conoscono non possono recitarli perché solo
gli appartenenti alle famiglie di stregoni hanno il potere di farlo.”
Io
ascoltavo sempre mia nonna, anche quando diceva delle cose insolite.
Chiusi
gli occhi e cercai di dormire.
Era
passata da qualche minuto la mezzanotte quando un rumore sordo
cominciò a farsi sempre più forte. Un tuono lontano si
avvicinava... il vento si era alzato di colpo e gli scurini in legno
cominciarono a cigolare, come per avvisare del pericolo che si
avvicinava. Mi alzai incredulo e mi affacciai alla finestra.
Il
cielo, a sud, era illuminato a giorno dai lampi. Le nuvole nere si
stagliavano sul cielo illuminato dalla luna. Un temporale, come aveva
detto la zia, si avvicinava...
Santa
Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.1
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.1
Le
parole mi tornarono in mente di colpo, con chiarezza, le sentivo
rimbombare nella mia testa. Senza rendermene conto mi diressi verso
il camino in cucina. Allungai la mano destra e afferrai una manciata
di cenere.
Tornai
alla finestra, mi portai la mano all'altezza della bocca e cominciai
a soffiare verso il temporale senza smettere di ripetere mentalmente
il ritornello.
Santa
Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.
Poi
le labbra cominciarono a muoversi, involontariamente. Avevo terminato
la cenere e come in un sogno vidi le mie braccia alzarsi verso il
cielo.
Recitai
le formule magiche, prima lentamente, poi più velocemente e a voce
sempre più alta...
Santa Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.
Mi sembrò che il tempo non passasse più. Poi di colpo mi resi conto che il vento cambiava direzione. Il temporale si allontanava verso ovest, accompagnato dai tuoni e fulmini.
Tornai
a letto in silenzio, sembrava che nessuno si fosse reso conto di
niente.
Mia
moglie dormiva girata sul fianco e il silenzio era tornato a regnare
nella stanza.
La
mattina dopo mi alzai tardi, mi sentivo stanco. Ricordavo a malapena
di aver sognato.
Un
sogno strano. Avevo sentito il rombo del temporale avvicinarsi, ma il
sole alla finestra diceva che la giornata sarebbe stata bella. Zia
Nina aveva sbagliato previsioni, meglio così. Avevamo un lungo
viaggio da fare e guidare con la pioggia non mi era mai piaciuto!
Scesi
in cucina. Mia moglie aveva appena messo il caffè sul fuoco e
l'odore aveva appena cominciato a diffondersi nell'aria.
“Hai
dormito bene?” Chiese con indifferenza.
Risposi
di si, anche se ero veramente stanco, come se non fossi andato a
letto per niente.
“Sai,
questa notte mi è sembrato di averti visto in piedi di fronte alla
finestra. Sarà stato un sogno...”
Solo
in quel momento mi resi conto di essere tutto sudato, come se avessi
compiuto chissà quale sforzo. Di
colpo ricordai tutto con lucidità. Impossibile, pensai! Raggiunsi di
corsa la finestra della camera da letto, poggiai le mani sul
davanzale e osservai a lungo il cielo, cercando risposte.
Non
può essere, ho sognato... pensai, e tornai in cucina.
Mi
sedetti al mio solito posto e cominciai a sorseggiare il caffè.
“Amore,
ti sei sporcato le mani di cenere? Vai a lavarti...”
Aggiunse
mia moglie, con tono deciso...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
1
La traduzione è circa questa: Santa Barbara e san Giacomo/
voi avete le chiavi del fulmine/voi avete le chiavi del cielo/
non colpite i figli degli altri/ne a casa ne in campagna/santa Barbara e san Giacomo.
voi avete le chiavi del fulmine/voi avete le chiavi del cielo/
non colpite i figli degli altri/ne a casa ne in campagna/santa Barbara e san Giacomo.