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venerdì 14 aprile 2017

Vincenzo Tiberio, Ufficiale medico della Regia Marina, primo italiano scopritore degli antibiotici.


Il ruolo della fortuna, più o meno casuale (serendipity) od orientata dalle competenze non è appannaggio solo del gioco o di tutte quelle azioni umane o sociali in qualche modo ad esso collegate.
Lo stesso dicasi per quanto riguarda l'informazione e la fama soprattutto se correlate con il Potere!
Anche in ambito scientifico, spesso, la più brillante competenza nella ricerca, pure dimostrata dalle scoperte conseguite, nulla può, nonostante i migliori risultati, contro l'oblio generato dalla ignoranza o superficialità dei contesti accademici o dalla insignificanza relativa delle Istituzioni o dei Paesi in cui le scoperte stesse vengono conseguite e segnalate! Così i Ricercatori e i loro lavori rimangono ignoti al grande pubblico, e addirittura alla comunità scientifica. Così le loro fatiche non solo non vengono premiate, ma non hanno nemmeno le positive ricadute che pure avrebbero dovuto avere, talora per tutta l'umanità!
E' questa la sorte, neanche a dirlo, di un brillane medico e biochimico italiano che fu, anche, Ufficiale Medico della Regia Marina: Vincenzo Tiberio. Egli nacque a Sepino in Molise il 1° maggio 1869 e dopo brillanti studi classici si iscrisse alla Facoltà di Medicina nella R. Università di Napoli. Prima ancora di laurearsi si dedicò con passione alla ricerca microbiologica nell'ambito dell'Igiene e della Microbiologia che continuò per tutta la vita.
Nel 1895, sulla Rivista scientifica “Annali d'Igiene sperimentale dell'Università di Roma”, pubblicò un articolo con il titolo “Sugli estratti di alcune muffe” come resoconto del suo lavoro in cui individuò per la prima volta il potere battericida di alcune particolari muffe: “L’autore ha osservata l’azione degli estratti acquosi [di vari tipi di muffe] su alcuni [microrganismi] patogeni... trovandoli forniti... di notevole potere battericida... Le proprietà di queste muffe sono di forte ostacolo per la vita e per la propagazione dei batteri patogeni.”
Nonostante la estrema esattezza e replicabilità della ricerca ed i suoi evidenti risultati terapeutici, la scoperta non ebbe alcuna diffusione né seguito in ambito universitario. Deluso nelle sue aspirazioni accademiche e cliniche, entrò nel 1896 nella Regia Marina Militare come Ufficiale medico.
Fu imbarcato su diverse Regie Navi e prese parte a numerose missioni anche in Mari lontani. Nel corso di queste operazioni ebbe modo di studiare, curare e risolvere diverse problematiche di natura infettivologia ed igienica.
Nel 1905 sposò la cugina, Amalia Teresa Graniero dalla quale ebbe tre figlie.Durante le attività di soccorso alle popolazioni colpite dal terremoto di Messina (1908) il suo impegno gli fece meritare la menzione d'onore “per essersi segnalato in operosità, coraggio e filantropia”.
Nel gennaio 1913 fu inviato a Tobruk, nella Libia appena conquistata, come Direttore della locale infermeria della Regia Marina. Sulla pubblicazione “Patologia libica e vaccinazione antitifica” riportò i risultati ottenuti con la sua lotta antitifica e l'uso della vaccinazione: in tutto il 1913 nella base di Tobruk ci furono solo due casi di paratifo di lieve entità. Per questo ricevette un elogio dalla Direzione della Sanità militare e la promozione a Maggiore.
Venne trasferito alla fine del 1914 a Napoli come Direttore del Gabinetto di Igiene e Batteriologia dell'Ospedale della Marina. Sperava di riprendere gli studi sulle muffe, a cui, durante gli anni di servizio nella Marina Militare, non aveva potuto dedicarsi in maniera costante e prolungata, ma non ebbe il tempo di farlo poiché un infarto cardiaco lo stroncò il 7 gennaio del 1915, all'età di soli 45 anni.
Nell'ultima decade dell'800 in cui Tiberio frequentò la Facoltà di Medicina e Chirurgia a Napoli, questo Ateneo non era solo luogo di istruzione, ma anche e soprattutto di ricerca, specie in campo batteriologico. In quel periodo, infatti, il professor Eugenio Fazio pubblicava un lavoro sulla Concorrenza vitale tra i batteri della putrefazione e quelli del carbonchio e del tifo e il professor Arnaldo Cantani sperimentava una terapia per la tubercolosi, applicando il principio dell'antagonismo di Louis Pasteur, e ottenendo interessanti risultati.
In questo ambiente, Tiberio, ancora studente in Medicina, iniziò a frequentare i laboratori di Igiene, per verificare alcune sue intuizioni. Nel cortile della casa di Arzano, dove viveva, vi era una cisterna per l'acqua piovana utilizzata anche per bere. Sul bordo della cisterna crescevano muffe che venivano, per ovvi motivi igienici, periodicamente eliminate. Ebbene, Tiberio notò che quando le muffe non c'erano si manifestavano infezioni gastrointestinali a carico degli utilizzatori dell'acqua, quando invece c'erano l'uso dell'acqua era innocuo.
Egli intuì un collegamento tra la presenza delle muffe e la crescita di batteri patogeni per l'organismo umano. Sottoposta a verifica sperimentale tale intuizione, Tiberio riuscì a dimostrare come l'azione terapeutica delle muffe fosse legata ad alcune sostanze presenti in esse. Riuscì inoltre ad isolare alcune di queste sostanze ed a sperimentarne l'effetto benefico fino ad arrivare alla preparazione di una sostanza con effetti antibiotici.
I risultati della sua ricerca, raccolti nella già citata pubblicazione, gli consentirono di osservare che: “Nella sostanza cellulare delle muffe esaminate sono contenuti dei principi solubili in acqua, forniti di azione battericida.”Nel lavoro suddetto sono descritti il metodo di preparazione del terreno di coltura e di prelevamento del liquido dalle piastre, le caratteristiche chimiche ed organolettiche del liquido e le tecniche di studio. La capacità di stimolare la risposta dei Globuli bianchi alle infezioni (chemiotassi), e il potere battericida di vari ceppi della muffa Aspergillus sul bacillo del tifo furono successivamente confermati da diversi ricercatori. 
Quasi contemporaneamente anche Bartolomeo Gosio, a Roma, in una specie di muffa, scoprì una metabolita con delle proprietà antibiotiche, e la purificò.
L'acido micofenolico (MPA) è stato il primo vero antibiotico della storia!
L'attività scientifica di Tiberio, che completò, alla fine dell'800, l'intero ciclo sperimentale dall'osservazione, alla verifica dell'ipotesi iniziale, fino alla preparazione delle sostanza antibiotica, era assai più progredita di quella di Alexander Fleming nel 1928/29. Quest'ultimo, conosceva probabilmente le ricerche di Tiberio e sicuramente quelle di Gosio nonostante la scarsadiffusione delle stesse al di fuori d'Italia, e arrivò alla scoperta della
penicillina, come egli stesso riferì, a causa di un errore: “la contaminazione involontaria di una capsula contenente colonie di Staphilococcus aureus con colonie fungine”, che aveva poi prodotto “un'inibizione della crescita batterica nelle colonie di Staphilococcus aureus”. Tuttavia, Fleming non riuscì poi a preparare sperimentalmente il farmaco, non chiudendo così il ciclo di ricerca, come avevano invece fatto a Napoli, Tiberio ed a Roma, Gosio.
Nel 1947, due anni dopo il conferimento del Premio Nobel ad Alexander Fleming, venne ritrovato il fascicolo degli Annali di Igiene sperimentale dell'Università di Roma del 1895, in cui era stato pubblicato il lavoro Sugli estratti di alcune muffe.
I risultati e le metodiche della ricerca furono diffusi su riviste scientifiche nazionali, ma, ovviamente, non ebbero la risonanza meritata.
Oggi la verità è ben nota, ma la fama di Tiberio è, nonostante tutto, conosciuta solo dai cultori appassionati della Storia della Medicina ed ignorata dai più!





Enzo Cantarano


Bibliografia

Benigno P, Un precursore delle ricerche sugli antibiotici, in Minerva Medica, no 37, II (1946).
Bentley R, Bartolomeo Gosio, 1863-1944: An Appreciation. In: Advances in Applied Microbiology. Vol 48, 2001, p. 229-250
Bucci R, Galli P, Vincenzo Tiberio: a misunderstood researcher, in Journal of Public Health, vol. 8, no 4, IX (2011), pp. 404-406.
Cantarano E, Carini L, Storia della Medicina e della Assistenza per le Professioni Sanitarie. UniversItalia 2013, pag 174.
Corcella R, La penicillina? Una scoperta italiana, in Corriere della Sera, 9 febbraio 2011.
De Rosa S, Aruta S (a cura di), Atti della conferenza Vincenzo Tiberio: il "vero" scopritore della penicillina, Napoli, Associazione Agrippinus, 2007.
Il caso Tiberio, su minerva.unito.it. URL consultato il 19 maggio 2014.
Sterpellone L, I grandi della Medicina. Le scoperte che hanno cambiato la qualità della vita, Roma, Donzelli Editore, 2004, p. 191.

venerdì 7 aprile 2017

La Cyber diventa una scienza?

Un po per caso, un po perché la mia curiosità mi porta sempre alla ricerca di nuove esperienze, qualche giorno fa ho notato che alla Sapienza, presso il Dipartimento di Informatica, organizzato dal Professor Mancini, (presidente del nuovo corso di laurea magistrale in Cybersecurity) si sarebbe svolto un seminario dal titolo interessante: “From Muddle to Model: Modeling and Simulation in Cyber”, ovvero, dal disordine alla modellazione: modellazione e simulazione in ambiente Cyber.
Il relatore era di sicuro interessante: Alexander Kott.
Decisi così di iscrivermi al seminario, aperto a tutti, e fortuna volle che vi fossero ancora posti disponibili.
Così il 3 aprile, nel primo pomeriggio, mi sono recato alla Sapienza a seguire il seminario e non mi sbagliavo. 

Relatore superlativo e seminario interessantissimo, un’occasione persa per chi non ha partecipato, infatti tra studenti, professori e curiosi in tutto saremmo stati in quindici.

Cominciamo però dall’inizio: chi è Alexander Kott?

Il relatore, PhD Alexander Kott, è Chief Scientist presso lo U.S. Army Research Laboratory in Adelphi. 
Autore, tra l’altro di un interessante testo sulla Cyber: “Cyber Defense and Situational Awareness”, pubblicato nel 2015 e che spero di riuscire a leggere presto. I suoi campi di ricerca sono principalmente l’intelligenza Artificiale e la Cyber.
I laboratori della US Army, dislocati in diversi stati tra cui gli USA, Regno Unito, Giappone e Cile, impiegano circa 3000 scienziati nei più diversi campi di ricerca di base, occupandosi di argomenti che diverranno capacità militari tra venti-trenta anni, avvalendosi per le ricerche, di collaboratori e studiosi provenienti da tutto il mondo.
Nel corso del suo intervento sono stati toccati temi interessanti e che meritano attenta riflessione.
In primo luogo è stato evidenziato come la Cyber stia diventando una scienza.
La scienza della sicurezza Cyber può essere descritta come lo studio e l'ottimizzazione delle relazioni tra Policy (P), attaccante (A) e difensore (D), per usare le parole del Relatore, si consideri:

Policy P : a set of assertions about what event should and should not happen. To simplify, focus on incidents I: events that should not happen;

Defender D : a model / description of defender’s defensive tools and techniques Td, and operational assets, networks and systems Nd;

Attacker A : a model / description of attacker’s tools and techniques Ta,

dunque     (I, Td, Nd, Ta) = 0.
Per cercare di essere chiari, lasciando perdere le formule che sono solo ed esclusivamente esemplificative, la sicurezza cyber è in relazione con le organizzazioni in campo, con le loro regole interne, con i vincoli esterni (normativi, tecnologici, economici, ecc...), con la preparazione del personale (attaccante e difensore che sia), con i decisori e la loro preparazione nella materia, con gli strumenti usati per l'attacco e per la difesa, con le reti (informatiche e non - vedasi il concetto di infrastrutture critiche e le relazioni esistenti tra esse e il cyber space).

Tutto ciò che ho detto può essere rappresentato attraverso modelli matematici più o meno complessi.
L'impiego di questi modelli consente, attraverso simulazioni (oppure emulazioni!) di eseguire test e fare previsioni.

Naturalmente il passo dalla cyber verso la "cognitive science" è breve e perchè questi studi abbiano una loro applicazione occorre approfondire il comportamento umano di fronte al rischio derivante da un attacco cyber. Ogni persona è diversa dal suo vicino e ciò fa si che il comportamento (la risposta comportamentale) di fronte ad un evento sia potenzialmente ogni volta diverso.   
Ma non voglio entrare in particolari che sono troppo complessi da trattare in per un articolo divulgativo per cui qui mi fermo.

Occorre però capire che chiunque voglia in qualche modo contare qualcosa nello specifico settore della Cyber Security dovrà organizzarsi per studiare e insegnare questa nuova disciplina.
Disciplina non esclusivamente confinata al mondo informatico ma che, anche grazie alla sua capacità di permeare tutti i settori della società dell’informazione, aspira ad una sua ben definita identità nel mondo accademico.
Nel campo addestrativo, il relatore ha fatto notare come la US Army ha recentemente riconosciuto l’importanza dell’addestrare gli Ufficiali (e non solo i tecnici!) a riconoscere un Cyber Attack.
La cosa non è banale ed è forse il primo passo per la diffusione massiva della conoscenza nel settore. 
Questo è comprensibile e logico in quanto nonostante sia utile che i tecnici siano in grado di riconoscere un attacco Cyber, è sicuramente più utile che gli Ufficiali delle armi non tecniche siano in grado di riconoscere un attacco di questo genere e possano, da una posizione di comando, prendere le corrette decisioni in merito.

Nel corso del seminario è emersa ancora una volta l’importanza, se non la centralità, dell’uomo nel riconoscere attività Cyber poste in essere dal nemico.
Esistono studi e software che cercano di individuare comportamenti potenzialmente pericolosi, ma sembra che niente sia meglio di persone, analisti, capaci, preparati e “open mind”. Non è un caso se gli analisti del settore sono rari e molto ben pagati.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Fonti:
https://www.arl.army.mil/www/default.cfm?article=2380;
http://mastersicurezza.di.uniroma1.it/mastersicurezza/index.php/master-sicurezza 

sabato 1 aprile 2017

La Bibbia non parla di Dio, di Mauro Biglino (Intervista - recensione)

Signore, Dio, Yahweh, questi sono solo alcuni dei nomi utilizzati nella Bibbia per rappresentare l'Entità suprema di alcune delle religioni monoteistiche più conosciute.
Ma siamo sicuri che la Bibbia parli veramente di Dio?
Secondo Mauro Biglino, l'autore del libro che ho appena terminato di leggere, non è così!
Ma, chi è Mauro Biglino?
E' stato per anni traduttore dall'Ebraico antico per conto delle edizioni San Paolo, da lui sono stati tradotti 17 libri dell'Antico Testamento. Studioso di storia delle religioni, ha iniziato a scrivere ciò che in anni di traduzioni ha portato alla luce ed ora è impegnato nel diffondere la sua teoria.
Il libro che ho appena terminato di leggere, “La Bibbia non parla di Dio”, non è il primo della serie e di tanto in tanto fa riferimento ai lavori precedenti ma è comunque autoconsistente e può essere letto senza particolari problemi da chi è di mente sufficientemente aperta.
Biglino parte da un'ipotesi, che diventa una metodologia di ricerca: fare finta che...
Dottor Biglino, può spiegarci in cosa consiste il “Fare finta che?”
M.B.:
Significa partire da una serie di dati di fatto incontrovertibili: della Bibbia, o saprebbe meglio dire delle Bibbie, non sappiamo nulla.
Non sappiamo chi le ha scritte, quando le ha scritte (non abbiamo certezze neppure su una sola riga), come siano state scritte in origine, come fossero lette (visto che le vocali non esistono)… Sappiamo solo che quelle che leggiamo noi oggi sono certamente diverse da quelle scritte nei secoli visto che le cambiavano continuamente. Data questa premessa il metodo da me formalmente dichiarato dal 2010 è quello di “fare finta” che le cose che leggiamo siano quelle che hanno (non sappiamo chi) scritte in origine e che quando scrivevano una cosa volessero dire quella, perché se, nella totale ignoranza in cui vaghiamo, affermiamo pure di “sapere” che quando scrivevano una cosa ne volevano dire un’altra, non facciamo altro che aggiungere incertezza ad incertezza, il che non sarebbe un problema se da quelle incertezze non si pretendesse di ricavare verità assolute e indiscutibili.
“Fare finta”, a mio avviso, è quindi l’unico atteggiamento intellettualmente onesto che si può tenere con quell’insieme di scritti.
Io dunque “faccio finta” e vedo che cosa ne scaturisce, senza alcuna pretesa di verità.
A.R.: Fare finta che... la Bibbia e anche altri testi antichi siano stati scritti sotto forma di cronaca, per cui ciò che vi è scritto va compreso lasciando da parte le interpretazioni religiose posteriori. 
In questo modo la Bibbia diventa fonte di informazioni preziose e particolarmente sconvolgenti.
Naturalmente la Bibbia è solo uno dei testi utilizzati dall'autore. Gli scritti omerici e diversi studi di genetica completano l'opera.
Ma perchè la Bibbia non parla di Dio? Che cosa significa questo titolo? 
M.B.: Il titolo deriva dal fatto che nell’ebraico biblico non esiste neppure un termine che abbia senso e significato di Dio così come inteso nella religione occidentale che è stata costruita mutuando quel concetto dalla filosofia greca, neoplatonica in particolare.
Il termine non esiste perché nell’antico pensiero israelitico non esisteva neppure il concetto e tutto il contenuto biblico documenta come quei testi parlino di un gruppo di individui (elohim) tra i quali Yahweh non era che uno dei tanti: quello cui era stata affidata dal comandante (Elyon) la famiglia di Giacobbe e non l’intero popolo ebraico, come erroneamente si ritiene.
A.R.: E poi, di quale Bibbia stiamo parlando?
Iniziamo a chiarire che non esiste una Bibbia, ma innumerevoli.
Le diverse religioni che la utilizzano come testo sacro (cattolica, copta, ebraica...) hanno elaborato ognuna diverse Bibbie. In alcune sono riconosciuti come autentici alcuni libri, in altre no:
M.B.: le varianti sono notevoli, dal canone ebraico a quello cattolico, da quello protestante a quello ortodosso fino a quello copto o samaritano. I libri da ritenere veri e ai quali credere dipendono in sostanza dal luogo geografico in cui nasciamo.
A.R.: Bisogna considerare che la Bibbia, anzi, le Bibbie, sono dei testi tradotti e ritradotti, modificati nel tempo per far fronte a nuove esigenze o perchè alcuni concetti non erano più adatti alla società del tempo.
Inoltre, la Bibbia sembra essere stata elaborata sulla base di testi più antichi Sumero-Accadici e Fenici.
Tempo addietro mi sono imbattuto in uno di questi libri non presente nella Bibbia cattolica e ne ho scritto: il libro di Enoch. Uno dei testi più strani che abbia mai letto, dopo l'Apocalisse!
L'autore, ci riporta indietro al tempo dei più antichi testi e ci racconta, traducendo da questi, ciò che negli anni ha letto.
E così scopriamo che quando nella Bibbia dei giorni nostri leggiamo Dio, Signore o Yahweh, non stiamo leggendo ciò che era scritto in origine ma ciò che nel tempo, le varie Religioni, hanno voluto che noi leggessimo.
La prima considerazione riguardo i nomi di Dio è sulla pluralità, nella Bibbia i nomi che sono stati tradotti con il termine Dio sono: Elyon, Elohim, El, Eloah, Yahweh. 
Il primo termine, Elyon, è normalmente tradotto con "l'Altissimo".
Sulla base delle conoscenze del Ebraico antico e dell'uso che si è fatto del termine, l'autore ne contesta la traduzione e afferma che con Elyon si deve fare riferimento ad un superiore gerarchico e non ad un "Altissimo" in senso religioso!
Elyon sarebbe dunque un Capo, il capo degli Elohim, tra i quali aveva diviso i territori sotto la sua influenza, assegnando un territorio e una famiglia da controllare ad ognuno dei suoi più fidati Elohim. Tra gli Elohim ve n'era uno di nome Yahweh!
Yahweh, come pure altri suoi colleghi Elohim, era un capo militare, un Comandante che guidava una famiglia di esseri umani, Giacobbe e i suoi discendenti, per compiere i suoi voleri che, quasi sempre consistevano nel fare la guerra ai vicini e nello sterminarli!
Dottor Biglino, lei afferma dunque che Elyon e similmente gli Elohim, erano dei Capi Militari. Potremmo definirli dei conquistatori? E se è così, da dove provenivano?
M.B.: Erano e si sono comportati a tutti gli effetti come dei normalissimi conquistatori/colonizzatori: si sono spartiti i territori e poi hanno pure combattuto tra di loro per incrementare potere e ricchezza. La Bibbia ci parla in particolare, quasi in via eslcusiva, di uno di loro e dei suoi diretti rivali che nomina anche espressamente: contro Yahweh combattevano ad esempio i suoi colleghi antagonisti Kamosh, Milkom… che governavano su famiglie strettissimamente imparentate con quella di Israele: ne erano i cugini primi.
Come detto sopra, spesso l’ordine dato da Yahweh era per altro quello di sterminare quei “parenti” (Madianiti, Amalekiti…) per prendere i loro beni e le loro terre.
L’Antico Testamento è un vero e proprio libro di guerra e, a ben vedere, uno dei libri più immorali mai scritti nella storia dell’umanità: stermini, genocidi, furti, assassini, femminicidi, infanticidi selettivi… rappresentano la normalità del comportamento di quel presunto dio che per fortuna dio non è.
Non so dire da dove provenissero, i testi Biblici giunti fino a noi non ce lo dicono anche se, nel salmo 24, si fa riferimento a due tipi di porte, la seconda delle quali, stando al significato letterale dei termini, si apre su un luogo “non conosciuto” ed era utilizzata da Yahweh con il suo kavod (termine cui ho dedicato amplissimo spazio nei miei libri).
A.R.: In effetti chiunque abbia letto la Bibbia non può non essere stato colpito dalla crudeltà di Dio e del suo popolo. Io stesso ricordo che da piccolo non riuscivo a capire come si potesse predicare la pace universale sulla base di ciò che leggevo nella Bibbia. Non capivo allora e non lo capisco ora, nonostante tutto!
Al pari di Yahweh, vi erano altri Elohim posti dall'Altissimo, Elyon, a capo di altre famiglie. Gli Elhoim erano degli esseri particolari, che vivevano molto a lungo, da cui deriva la traduzione di "Eterno", riferita Dio. Eppure nella Bibbia, gli Elohim muoiono!
M.B.: La Bibbia è chiara pure in questo: gli elohim vivevano molto a lungo ma morivano come tutti gli uomini (salmo 82) e questa affermazione costituisce un problema per gli esegeti monoteisti che , per tentare di ovviare a questa palese e inaccettabile incongruenza, in quel passo danno al termine elohim il significato di “giudici” mentre per il resto sostengono che significhi Dio, anche se è plurale.
A.R.: Dottor Biglino, leggere il suo libro è stata un’esperienza interessante. Non è la prima volta che mi imbatto in strani parallelismi tra le conoscenze di due millenni fa e quelle attuali. Queste conoscenze sono riportate non solo nella Bibbia ma anche in altri testi, come i testi omerici o anche Questioni Naturali di Seneca. Una delle cose che mi colpì tanti anni fa, leggendo Questioni Naturali fu questo pezzo [libro III-29,3]:
"Come nel seme è compreso il principio informativo di tutto l'uomo futuro e il bambino non ancora nato racchiude in se il codice che presiede allo sviluppo della barba e dei capelli bianchi (vi sono infatti miniaturizzate e nascoste le linee fondamentali del corpo nel suo insieme e di ogni successivo sviluppo)...”
Non le chiedo cosa ne pensa perché Lei nel suo libro afferma che l’Uomo è stato “costruito” a tavolino, attraverso modifiche al DNA. Le chiedo invece, per quale motivo queste conoscenze sono state ignorate fino ad oggi? Può essere spiegato tutto con le esigenze della Chiesa o c’è qualcos’altro?
M.B.: La citazione che lei riporta è molto interessante e significativa circa le conoscenze di cui si disponeva. Per gli ebrei è normale affermare che la Bibbia parli di ingegneria genetica, clonazione…, me lo dicono anche di persona, ma so bene che sono temi di cui non si deve assolutamente parlare in ambito cristiano ed è per questo che il mio lavoro suscita, non a caso, tante reazioni, spesso anche pesanti e verbalmente molto violente. Di queste conoscenze e della tecnologia che ne derivava ho detto ampiamente nel secondo libro pubblicato con Mondadori, “Il falso testamento” (2016).
D’altra parte devo dire che il primo strumento per governare è garantirsi la gestione della conoscenza e quindi mantenere i sottomessi nell’ignoranza, elaborando per loro contenuti e informazioni che hanno il solo scopo di giustificare il controllo esercitato.
Se i fedeli prendessero conoscenza del vero contenuto della Bibbia, cadrebbe immediatamente la costruzione artificiosa che su di essa è stata edificata, ma questo non è sufficiente, bisognerebbe infatti chiedersi se la Chiesa o, per meglio dire, le Chiese governano solo per se stesse oppure sono le rappresentanti di poteri ben più alti e lontani.
A.R.: Potrei andare avanti così raccontandovi tutto il libro e quanto, a parer dell'autore, è scritto realmente nella Bibbia, ma ritengo sia più opportuno invitare tutti coloro che ritengono di essere capaci di ampie vedute di affrontare la lettura di un libro che sotto certi aspetti è sconvolgente e, per quanto mi riguarda, non fa altro che confermare tante delle cose che ho sempre pensato: che l'Uomo è una creatura diversa dagli altri esseri animali, in quanto prodotta da esseri di natura extraterrestre. Naturalmente ora non vedo l’ora di leggere gli altri libri dell’autore.
Dottore, immagino che i suoi studi proseguano. Può dare ai lettori di “Difesaonline” un’anteprima del suo prossimo lavoro?
M.B.: Coerente con il metodo dichiarato sto lavorando con appartenenti a vari ambiti della scienza e il volume in uscita per il salone del libro di Torino (maggio 2017), scritto con il giornalista Dr. Enrico Baccarini che si è occupato dell’oriente, vede l’apporto di otto ingegneri (sei italiani e due induisti), un neurochirurgo, uno storico e un laureato in scienze filosofiche.
In questo nuovo lavoro molto corposo (“La caduta degli dèi”, Unoeditori) vengono esaminati i testi sacri dell’occidente e dell’oriente (dalla Bibbia ai Veda) alla luce delle acquisizioni scientifiche che rendono comprensibili quei contenuti che la tradizione tende a relegare nelle categorie interpretative della allegoria e della metafora per nasconderne il vero significato che è devastante per le dottrine tradizionali ma affascinante per le menti aperte.
La concretezza di quei testi antichi va recuperata nel nome di quella necessità di conoscenza che può rendere liberi da secoli di condizionamenti.

A.R. :
Che dire di più?
Grazie a Lei, Dottor Biglino, e a tutti noi... Buona lettura!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 21 marzo 2017

Il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio


Se la sera uscite per Roma può capitare, di tanto in tanto, di assistere a cerimonie che hanno tutto il sapore del passato!
Ieri, verso le 17.00, mi trovavo a passare nei pressi del Maxxi, in via Guido Reni. Di fronte, sull’altro lato della strada, era in corso la mostra del videogioco. Poco oltre invece, verso la via Flaminia, si trova la “Basilica di santa Croce a via Flaminia”, e di quest’ultima che vi parlo.
Io e mia moglie siamo entrati nella chiesa per vedere quali opere d’arte conteneva e, di colpo, siamo stati proiettati nel passato… immersi in un’atmosfera d’altri tempi!

A destra della navata centrale, nella cappella dedicata a San Giorgio, aveva corso una cerimonia particolare cui prendevano parte alcuni cavalieri del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.
Poi, documentandomi, ho scoperto che nella Basilica ha sede la Reale Deputazione del ramo spagnolo dell’Ordine cavalleresco.
Il sacerdote e i Cavalieri hanno celebrato la messa, una messa particolare, nel corso della quale sono stati ricordati i Cavalieri dell’Ordine ed è stata letta la preghiera del Cavaliere:

Signore Gesù, che Vi siete degnato di farmi partecipare alla Milizia dei Cavalieri Costantiniani di San Giorgio, Vi supplico umilmente, per intercessione della Beata Vergine di Pompei, Regina delle Vittorie, del valoroso San Giorgio Martire, Vostro glorioso Cavaliere, e di tutti i Santi,
di aiutarmi a restare fedele alle tradizioni del nostro Ordine, praticando e difendendo la Santa Religione Cattolica, Apostolica, Romana contro l'assalto dell'empietà. Essa diventi per me armatura di fede e scudo di buona volontà, sicura difesa contro le insidie dei miei nemici, tanto visibili quanto invisibili. Vi prego affinché possa avere la grazia di esercitare la Carità verso il prossimo
e specialmente verso i poveri ed i perseguitati a causa della Giustizia. Datemi infine le virtù necessarie per realizzare secondo lo spirito del Vangelo, con animo disinteressato e profondamente cristiano, questi santi desideri per la maggior Gloria di Dio, la Glorificazione della Santa Croce e la Propaganda della Fede, per la Pace del Mondo ed il bene dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio.
Amen.”
Nel corso della messa, cui assistevano pochissimi curiosi, è stata consegnata una pergamena ad uno dei Cavalieri, chissà per quale opera di benemerenza.

Durante il rientro a casa, con mia moglie ci siamo chiesti qual era il compito dell’Ordine cavalleresco alla sua nascita e quale sia il compito attuale, nella società moderna.

Alla prima domanda è semplice rispondere, le informazioni sono reperibili su internet e il sito ufficiale dell’Ordine ci spiega che “Il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio è un Ordine Equestre le cui origini, per tradizione, vengono fatte risalire all’Imperatore Costantino, dopo l’apparizione della Croce a Saxa Rubra, ed è pertanto considerato uno dei più antichi ordini cavallereschi. Si propone la propagazione della Fede e la glorificazione della Croce e dà il suo contributo d’azione e di attività nelle opere di Assistenza Sociale e Ospedaliera.”
Sul sito è detto che il più antico documento conosciuto, relativo ai Cavalieri Costantiniani, risale al 1190 ed è lo statuto riformato dall’Imperatore d’Oriente Isacco IV Angelo Flavio Comneno.
Il Gran Magistero passò di padre in figlio nella dinastia dei Comneno fino all’ultimo di loro, quindi passò al Duca di Parma Francesco Farnese. Nel 1718 il Papa Clemente XI, con la bolla “Militantis Ecclesiae”, pose l’Ordine sotto la protezione della Santa Sede. La suprema dignità dell’Ordine passò poi ai Borbone. Da allora la famiglia Reale ne conserva il Gran Magistero. 
Dal 14 dicembre del 1900 a causa di dispute interne alla casa borbonica sulla successione, anche l’ordine si è separato in due rami, quello franco-napoletano e quello ispano-napoletano. L’attuale Gran Maestro del ramo ispano-napoletano è S.A.R. don Pedro di Borbone delle Due Sicilie, duca di Calabria, mentre per il ramo franco-napoletano è il Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie, Duca di Castro. Ho trovato anche traccia della riconciliazione avvenuta tra le due casate (nel 2014), ma subito dopo i due rami hanno smentito gli accordi. Dunque oggi esistono ancora i due rami separati.
Questa, in sintesi, la storia passata, ma non sono riuscito a trovare risposta alla seconda domanda: qual è il compito, il servizio, che un antico ordine cavalleresco come questo può rendere oggi alla società?
Immagino che la risposta vada cercata tra le parole: “Si propone la propagazione della Fede e la glorificazione della Croce e dà il suo contributo d’azione e di attività nelle opere di Assistenza Sociale e Ospedaliera.”

Eppure sul sito ufficiale abbiamo cercato di capire quali attività si svolgono a Roma, anche perché sarei curioso di assistere (eventualmente partecipare), per quanto nelle mie possibilità. Roma è grande e immagino che qualcosa tenga occupati i Cavalieri (tempo addietro mi è capitato di partecipare ad una distribuzione di viveri ai poveri organizzata dai Cavalieri dell’Ordine di Malta).
Apparentemente l’unica attività permanente, a Roma, è la celebrazione mensile della santa Messa.

Forse un po' poco per un’Ordine Cavalleresco che opera a Roma, ma d’altra parte non si può pretendere troppo al giorno d’oggi, in una società ormai priva di valori di carità cristiana e tutta dedicata ad apparire piuttosto che a fare.
Dove sono oggi i giovani, quelli che in ogni tempo, hanno costituito il nerbo degli eserciti e portato avanti le idee nuove mantenendo pure uno sguardo alla tradizione?
Chi sono oggi, i Cavalieri della fede?
Chi è che li guida?
Ha ancora senso l’appartenenza ad un Ordine Cavalleresco, in una società come la nostra?
Come si concilia in ambito ecclesiale la Tradizione con la attuale posizione della Santa Sede?

Alessandro RUGOLO

 

domenica 19 marzo 2017

Cifratura dei dati e DNA


Marlene e George Bachand (Photo by Lonnie Anderson - https://share-ng.sandia.gov/news/resources/news_releases/dna_storage/)
Gli scienziati dei Sandia National Laboratories stanno cercando dei partners per l'applicazione di tecnologie per la cifratura di testi utilizzando la tecnologia del DNA sintetico.
La cifratura è molto più robusta delle tecnologie convenzionali e praticamente impossibile da rompere, dicono i ricercatori.

Nel settembre del 2016, il team dei laboratori Sandia ha concluso un progetto triennale di ricerca dal titolo “Syntetic DNA for Highly Secure Information Storage and Transmission”.

Il progetto ha consentito di sviluppare un nuovo metodo per cifrare e memorizzare informazioni utilizzando il DNA.

Attualmente il team si sta preparando per richiedere il brevetto e per approntare le tecnologie del prossimo livello, quello applicativo.

Stiamo discutendo con diversi interlocutori con l’obiettivo di trovare finanziatori per continuare il nostro lavoro”, ha detto George Bachand, un bioingeniere del centro Sandia per le nano tecnologie integrate e principale ricercatore del progetto. Egli ha aggiunto che è troppo presto per fornire molti dettagli sulle discussioni ma ha informato che sia il dipartimento di Stato americano che il dipartimento della Difesa lo ha contattato. Tra le potenziali applicazioni, come per esempio la conservazione di documenti storici, Bachand prevede di utilizzare la tecnologia per memorizzare la storia dei materiali: luogo, data e tempo di preparazione e il numero del lotto di produzione.

“Immaginiamo ora se si potessero prendere tutte queste informazioni, inserirle all'interno di un pezzo di DNA sintetico e attaccarlo al materiale. Questa potrebbe essere una strada semplice per procedere nel certificare che questo materiale non è stato contraffatto e che rispetta le specifiche del fornitore”, queste le dichiarazioni riportate in un articolo di George I. Seffers apparso nel numero di febbraio 2017 di Signal, organo della AFCEA (Armed Forces Communications & Electronics Association).

Ma questa nuova tecnologia apre scenari totalmente nuovi
Se si dedica un po di tempo ad approfondire le possibilità offerte dalla nuova tecnologia sul sito dei laboratori Sandia (http://www.sandia.gov/), si possono trovare interessanti informazioni.

Consideriamo la mole di dati prodotti durante esperimenti di fisica di base, per esempio al CERN, si tratta di numeri indiscutibilmente elevati e per la conservazione, gestione e analisi dei quali occorre impiegate enormi quantità di memoria e, di conseguenza, enormi quantità di energia.

Fino ad oggi le tecnologie impiegate per la conservazione dei dati sono essenzialmente due: analogiche e digitali, entrambe richiedono che i dati siano riscritti ogni circa dieci – venti anni, a causa del degrado dei supporti impiegati. Tra le tecnologie analogiche possiamo considerare anche la carta stampata, che può durare di più ma richiede molto più spazio per la conservazione.

Consideriamo ora il DNA.

Oggi è possibile estrarre il DNA da una sostanza organica e interpretarlo correttamente anche dopo migliaia di anni.

Il DNA contiene in spazi ridotti, elevate quantità di informazioni e, per la loro conservazione, non richiede grosse quantità di energia, sicuramente non paragonabili alle energie impiegate da colossi quali Google per alimentare i propri Data Center.

Marlene e George Bachand, gli scienziati che hanno condotto il progetto, ritengono che una volta sviluppata la tecnologia di base, la tecnica del DNA sintetico occuperà un posto importante nella conservazione sicura delle informazioni nella nostra società.

Naturalmente non è tutto fatto e non è tutto semplice.
Dopo la teoria, ora, si stanno cencando fondi per metterla in pratica, occorre infatti sviluppare le tecniche per “riversare” le informazioni da una forma all’altra e come fare ciò in tutta sicurezza.
Secondo le stime dei due scienziati, è teoricamente possibile memorizzare circa 2,2 petabytes di informazioni (ricordo che un Petabyte vale un milione di miliardi di byte!) in un grammo di DNA!
Gli scienziati dei Sandia Laboratories hanno già sviluppato le tecniche di base per riversare le informazioni tra le diverse tecnologie ed ora stanno cercando di migliorarle per ridurre i tempi e i costi.

Tabella rappresentativa della misura dei dati, wikipedia.
Credo sia inutile dire quali vantaggi economici, ma soprattutto strategici, possa fornire ad una Nazione, l’impiego di questa tecnologia.
La cifratura dei dati utilizzando il DNA sintetico e la possibilità di conservarli, trasmetterli e decodificarli con basso consumo di energia e usando vettori differenti da quelli classici, può dare una marcia in più a chiunque ne possieda la chiave.
Il Sandia National Laboratory è un laboratorio di ricerca multiprogramma gestito dalla Sandia Corporation, una consociata interamente controllata dalla Lockheed Martin Corporation, che opera per il U.S. Department of Energy’s National Nuclear Security Administration e questo la dice lunga su chi possiede la tecnologia.
Ecco un campo sul quale credo valga la pena investire anche da noi in Italia. 
I ricercatori nelle università ci sono, e sono una risorsa per il Paese, speriamo che questo articolo (e quelli che seguiranno sullo stesso argomento) possano indirizzarli verso un campo di ricerca multidisciplinare che potrebbe rivelarsi molto utile per la nazione nel prossimo futuro. 

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO