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sabato 28 luglio 2007

Iraq - Usa e il Diritto Internazionale

Senza voler cercare colpevoli e innocenti in questa guerra... in queste poche righe ho voluto provare a mettere in evidenza il fatto che, in ogni caso, chi esce perdente è la comunità internazionale ed il Diritto Internazionale... spero di esserci riuscito!
(Tratto dalla Tesi di Laurea "Il Diritto Internazionale alla luce del conflitto USA-IRAQ" - A.A. 2002-2003 - Trieste)

Il conflitto USA – Iraq, per mezzo delle sue peculiarità, sta influenzando prepotentemente la comunità internazionale.
L’interesse dei media per il terrorismo internazionale post 11 settembre, per le armi di distruzione di massa, chimiche, biologiche e nucleari, le discussioni e le divisioni all’interno dei governi degli stati interessati, le spaccature interne all’Unione Europea e all’ONU, hanno fatto del conflitto un fatto di interesse mondiale.

Noi siamo interessati ad analizzare i risvolti che questo conflitto potrebbe avere nell’influenzare l’evoluzione del Diritto Internazionale.
Per comprendere a fondo il conflitto USA - Iraq è necessario conoscere le relazioni che negli ultimi vent'anni sono intercorse tra questi due stati e tra l’Iraq e gli altri attori della comunità internazionale.
Tale conflitto non deve essere considerato a se stante, come non può essere considerato figlio di una sola causa, il terrorismo internazionale, ma deve essere studiato in relazione alla complessa situazione politica internazionale.
Si può parlare sicuramente dell’esistenza di una serie di concause, relazionate tra loro e non facilmente separabili, che hanno portato allo sviluppo della situazione di crisi che tutti conosciamo.

Solo la completa conoscenza e la corretta comprensione delle complesse realtà politiche ed economiche regionali e, più in generale, mondiali, unite allo studio dei fenomeni legati agli interessi e alla politica condotta dalle grandi famiglie americane, elezioni politiche, interessi finanziari, situazione economica dell'America, permette di capire (o forse è meglio dire "di intravedere") il perché del conflitto attuale e quale possa essere il futuro della regione.
Allo stesso modo, la conoscenza degli atti aventi rilevanza per la comunità internazionale e la corretta interpretazione di questi alla luce del diritto internazionale possono permettere di ipotizzare se e come il diritto internazionale stesso subirà delle modifiche come conseguenza del conflitto o, più in generale, come conseguenza dell’evoluzione e dello sviluppo dei comportamenti dei membri della comunità internazionale.

Non vi è alcun dubbio, infatti, che il diritto internazionale evolve, si modifica, si trasforma, non sempre sulla spinta di commissioni di studio e di ricerca, peraltro sempre attive, quanto piuttosto sulla base degli accadimenti internazionali, sulla base dello sviluppo dei rapporti di potenza tra Stati e tra questi e le Organizzazioni internazionali.
I rapporti di potenza, come si può facilmente immaginare, sono influenzati dal potere economico, politico, finanziario e militare (inteso come espressione dei precedenti indicatori) e influenzano, a loro volta, le scelte della comunità internazionale e quindi, conseguentemente, delle norme e dei principi che ne regolano le relazioni tra i soggetti della comunità stessa. Un esempio di ciò può essere visto nella diatriba tra Nazioni Unite e USA sulla Corte Penale Internazionale1.

La Corte Penale Internazionale, istituita con lo Statuto di Roma adottato dalle Nazioni Unite il 17 luglio 1998, è un organismo di giustizia internazionale permanente e può esercitare il suo potere sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale, la sua giurisdizione è complementare alle giurisdizioni penali nazionali2 ed ha competenza sui crimini di genocidio, sui crimini contro l’umanità, sui crimini di guerra e sui crimini di aggressione. Tale Corte è espressione della volontà internazionale di porre freno alle continue violazioni dei diritti umani e nasce a seguito dei lavori (iniziati nel 1947) della Commissione sul Diritto Internazionale.
Non tutti gli stati delle Nazioni Unite hanno firmato lo Statuto della Corte e non tutti l’hanno ratificato, a causa di motivazioni diverse.

Gli Stati Uniti, per esempio, impegnati su sempre più fronti, per “portare o mantenere la pace”, sia come membro ONU sia come guida di coalizioni multinazionali, sono contrari alla sottomissione dei propri militari alla giurisdizione della Corte. Il motivo principale, ma probabilmente non l’unico, consiste nel fatto che, anche se involontariamente, potrebbero verificarsi problemi dovuti alla legalità delle azioni compiute dai militari americani nello svolgimento dei loro compiti in uno dei tanti teatri in cui gli Stati Uniti sono presenti a livello mondiale.
Non potendo ignorare l’esistenza di questa realtà, gli USA tentano di ridurne i possibili effetti negativi per mezzo di accordi bilaterali tendenti a garantire l’immunità dei soldati americani dalla giurisdizione della Corte Penale Internazionale.
Tale iniziativa non è piaciuta a tutti, così diversi Stati si sono rifiutati di aderire ad accordi bilaterali, in tali casi,
“Gli Stati Uniti hanno sospeso l’assistenza militare [..] il Pentagono ha ribadito che la legge sulla protezione dei militari passata dal Congresso nel 2002 non lascia alternative. La legge ha esentato da accordi bilaterali solo gli altri diciotto membri della NATO, nonché l’Australia, Israele, l’Egitto, la Corea del Sud e il Giappone. [..]La sospensione dell’assistenza militare segna il culmine di una campagna scatenata dall’amministrazione Bush contro la Corte penale internazionale un anno fa, dopo che un centinaio di nazioni la sottoscrissero. L’amministrazione è giunta al punto di minacciare la fine di tutte le missioni di pace dell’ONU a meno che i suoi militari non ricevessero l’immunità. Il 12 giugno scorso il Consiglio di sicurezza, che gliela aveva già concessa per dodici mesi, l’ha prorogata di dodici, nonostante le obiezioni del Segretario Generale Kofi Annan. [..].”3

Ecco dunque come, in virtù di un favorevole rapporto di potenza, uno stato possa esercitare pressioni economiche e politiche in grado di influenzare l’evoluzione del Diritto Internazionale rendendo nullo, di fatto, il potere della Corte Penale Internazionale nei confronti dei suoi militari.
E’ lecito chiedersi se ci sarebbe stato questo conflitto nel caso in cui l’ONU avesse avuto la possibilità di intervenire direttamente, con proprie forze, in Iraq e quale sarebbe stata la reazione della comunità internazionale in un caso simile. Seppur indirettamente, infatti, la mancata esecuzione, di alcuni articoli della Carta delle Nazioni Unite ha provocato, nel tempo, un grave vuoto di potere. L’ONU avrebbe dovuto possedere una forza militare propria concepita allo scopo di “contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”4 che avrebbe permesso di intervenire immediatamente nella risoluzione dei conflitti bloccandoli sul nascere. Per questo motivo i membri delle Nazioni Unite si sarebbero dovuti impegnare
“a mettere a disposizione del Consiglio di Sicurezza, a sua richiesta ed in conformità ad un accordo o ad accordi speciali, le forze armate, l’assistenza e le facilitazioni, compreso il diritto di passaggio, necessario per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.”5
Tutto ciò non è avvenuto e tuttora, per intervenire militarmente in un teatro l’ONU deve fare ricorso a organizzazioni militari esterne, qual è la NATO, o a “coalition of willings” costituite ad hoc per la risoluzione di un problema.

Come si può facilmente intuire, anche sulla base delle precedenti considerazioni, questo conflitto più di altri ha fatto si che alcuni interrogativi siano balzati prepotentemente alla ribalta, grazie anche all’interesse dei mass media.
Nelle sedi governative nazionali e negli ambienti sovranazionali ci si chiede sempre più spesso se l’ONU sia ancora in grado – sempre che lo sia mai stata - di assolvere il compito cui è istituzionalmente preposta, il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e la risposta non sempre è affermativa.
La discussione, fino ad ora incentrata sul diritto di veto detenuto dalle cinque potenze fondatrici dell’ONU ma spesso causa di ritardo, d’inazione e di mancato intervento, si sposta ora su altre problematiche.
La discussione è ora incentrata principalmente sulla liceità dell’impiego della forza in mancanza di un’autorizzazione preventiva del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e sul problema legato alla validità della dottrina della legittima difesa preventiva e del diritto d’ingerenza umanitaria. Argomentazioni sempre più spesso invocate a giustificazione di azioni unilaterali condotte direttamente da Stati membri delle Nazioni Unite contro gli avversari del momento.

L’accusa diretta ad uno stato di fomentare il terrorismo internazionale può legittimare una guerra?
Può essere una guerra “preventiva”?
La falsificazione di documenti allo scopo di giustificare la guerra contro uno stato può essere considerato un crimine internazionale soggetto alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale?
Nuovi problemi e nuove domande da porsi, la cui risposta non è ne semplice ne scontata anche in funzione delle nuove tendenze comportamentali degli Stati occidentali e dell’inazione dell’ONU.
Con queste domande nella mente mi accingo, dunque, ad affrontare questa tesi in cui attori principali sono gli Stati Uniti, l'Iraq e il Diritto Internazionale.

1 Ratificato con Legge 12 luglio 1999, n. 232.
2 AI sensi dell’Art. 1, “E’ istituita una Corte penale internazionale in quanto istituzione permanente che può esercitare il suo potere giurisdizionale sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale, ai sensi del presente Statuto. Essa è complementare alle giurisdizioni penali nazionali”.
3 Ennio Caretto, Lite sulla Corte Internazionale, Washington blocca aiuti militari a 35 Paesi, in Corriere della Sera, pag. 11, 02 luglio 2003.
4 Carta delle Nazioni Unite, Cap. VII, Art. 43.
5 Carta delle Nazioni Unite, Cap. VII, art. 43.
Forse, continua....
Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

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