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domenica 23 marzo 2014

I custodi della storia (Cap. III) - Un'occasione mancata

In quei primi anni di studio mi ero appassionato sempre più alla storia antica. Avevo seguito il corso che più mi si attagliava, l'archeologia e la storia degli antichi popoli mediorientali era il nucleo centrale del mio corso di studi ma mi ero interessato anche delle culture primitive centroamericane senza perdere occasione di approfondire la storia della mia isola nei ritagli di tempo sfruttando le enormi risorse della biblioteca.
La biblioteca era quasi la mia seconda casa, almeno per numero di ore passate al suo interno. Era enorme, custodiva decine di migliaia di libri la cui consultazione era abbastanza semplice per gli studenti. Divenni quasi subito buon amico dei bibliotecari e spesso mi lasciavo guidare da loro nella scelta dei libri su cui approfondire i miei studi.
Uno di loro si chiamava Andrea, aveva una decina d'anni più di me e lavorava li da quando si era laureato. Alto, biondo, colorito pallido, sembrava provenire dal nord Europa, invece era siciliano, di un paese in provincia di Enna che si chiama Nicosia. Era nato per fare il bibliotecario, diceva sempre, e lo faceva con passione. Fu proprio Andrea ad introdurmi nel mondo della biblioteca. Mi spiegò i vari metodi di classificazione dei libri, come trovare velocemente ciò che mi serviva consultando gli indici per titolo ed autore, mi illustrò la disposizione dei libri sugli scaffali. Tutte cose di comune utilità per un bibliotecario, ma non solo. Andrea era innamorato dei libri, erano tutta la sua vita, sin da bambino per cui mi raccontava la storia dei libri a stampa o i metodi di rilegazione come ai bimbi si raccontano le fiabe. Le sue conoscenze erano veramente enormi e quando si aveva bisogno di sapere qualcosa su una particolare edizione di un certo libro bastava chiedere a lui e raramente la richiesta non veniva soddisfatta! Fu lui che mi suggerì di studiare i testi antichi possibilmente nella lingua in cui erano stati scritti in origine. Diceva infatti che ogni traduzione mascherava il testo originale non solo con una lingua diversa ma anche con la cultura di chi lo traduceva e del periodo in cui ciò veniva fatto.
Così, per migliorare le mie conoscenze linguistiche frequentai dei corsi paralleli di lingua greca antica e di ebraico senza trascurare le lingue moderne, inglese e francese, che mi sarebbero state utili per seguire i colleghi studiosi degli altri paesi.
Mi laureai con una tesi sulla storia antica dei Caldei e mi iscrissi immediatamente al Dottorato di ricerca. Il mio professore, Claudio, divenne il mio mentore e quasi il fratello maggiore che non avevo mai avuto.
Claudio era basso di statura, leggermente sovrappeso e con i capelli grigi. Indossava sempre un paio di occhiali a fondo di bottiglia che lo facevano assomigliare ad un vecchio topo di biblioteca. Sotto il braccio destro portava sempre un vecchio tomo dalla copertina rossa, solo più tardi scoprii trattarsi della sua agenda personale di cui era estremamente geloso e su cui prendeva appunti sulle novità e scoperte della storia che più lo incuriosivano. La sua vita sociale era inesistente, a meno che non si voglia considerare tale la sua frequentazione della biblioteca dell'istituto. Non era sposato e raramente si allontanava per andare a trovare l'anziano padre che viveva solo a Pavia. Passammo assieme un fine settimana a Pavia, durante il quale approfittai per visitare la Certosa.
Claudio era un grande studioso, intelligente, paziente, con l'animo del ricercatore e una enorme passione per l'insegnamento, cosa non comune neanche tra gli insegnanti migliori. Anche da professore infatti non si tirava mai indietro e conduceva le sue ricerche in prima persona facendosi sempre promotore di nuove iniziative culturali. Era difficile non innamorarsi della storia antica con un professore come lui e infatti il suo corso era sempre il più seguito.
Solitamente il sabato pomeriggio ci si incontrava nella biblioteca e scelto un volume antico tra le migliaia di titoli disponibili, i partecipanti si alternavano nella sua lettura ad alta voce e poi si discuteva ciò che si era letto. Poteva sembrare una attività da scuola superiore ma così non era, in questo modo noi studenti approfondivamo la conoscenza delle lingue antiche e degli autori classici e allo stesso tempo imparavamo a conoscerci meglio.
La vita da dottorando proseguiva tranquilla tra studi, lezioni e lavoro da portinaio. Non mi potevo certo lamentare anche se quando avevo lasciato la mia terra aspiravo a qualcosa di più.
Poi, un giorno, Claudio mi chiamò per telefono annunciandomi di aver fatto una scoperta che avrebbe cambiato non solo la sua vita ma – disse – il mondo intero. Disse che avrebbe avuto bisogno di qualcuno che gli desse una mano perché ci sarebbe stato molto lavoro da fare e voleva che quello fossi io, mi chiese di diventare suo assistente. Io non riuscivo a crederci, ma accettai immediatamente.
- Certo Claudio, sai che puoi contare su di me. Ma cosa dovrò fare? Di cosa mi dovrò occupare?
- Alessandro, ne parliamo al mio rientro a Milano. Ora ho fretta e non posso stare al telefono. Puoi venire a prendermi all'aeroporto?
- Certamente, a domani sera Professore. Mi capitava spesso di chiamarlo ancora professore nonostante ci conoscessimo da diversi anni e fossimo ora buoni amici.
Mi avrebbe raccontato tutto al suo rientro a Milano, sarei dovuto andare a prenderlo il giorno dopo, a Malpensa alle 22.00, scalo internazionale.
Claudio negli ultimi due anni si era assentato diverse volte per lavoro, stava svolgendo alcune ricerche nel sud America ma non mi aveva mai parlato di questi suoi studi. Quando facevo qualche domanda rispondeva sempre evasivamente e dopo un po' avevo pensato che fosse meglio non fare domande sull'argomento. Ma ora cambiava tutto. Se aveva bisogno di un assistente avrebbe dovuto spiegarmi di cosa si stava occupando e del perché di tanta segretezza.
Passai la serata in compagnia di alcuni amici nel pub irlandese che si trovava vicino a casa cercando di non pensare troppo al futuro. Diventare assistente di Claudio mi inorgogliva ma allo stesso tempo significava che avrei dovuto lasciare il mio lavoro da portiere. La cosa mi dispiaceva in fondo. Il lavoro non era pesante, mi piaceva e mi piacevano soprattutto i condomini. Col tempo avevo imparato a conoscerli bene. Oltre l'avvocato vi erano altre undici famiglie che mi avevano quasi adottato. Mi sentivo un po' in colpa, ma non potevo rinunciare all'opportunità di diventare assistente di Claudio. Magari avrei potuto cercare un ragazzo del primo anno che avesse bisogno di lavorare e presentarlo all'avvocato. Poi sarebbe stato lui a decidere.
Quella notte andai a letto tardi, non riuscivo a prendere sonno e così passai alcune ore leggendo un libro.
Il giorno dopo come al solito andai all'università. Il tempo sembrava non passare mai.
Quella sera come al solito pioveva.
Si trattava di una pioggerellina sottile e fastidiosa e il vento pungente proveniente dalle Alpi si sentiva nelle ossa, la nebbia fitta inoltre rendeva le strade della periferia milanese molto pericolose.
Decisi di uscire di casa con largo anticipo e arrivai all'aeroporto mezz'ora prima del previsto atterraggio. Fortunatamente trovai parcheggio proprio di fronte agli arrivi internazionali così evitai di bagnarmi troppo. Trovai un posto libero nella grande sala antistante gli arrivi e nell'attesa lessi qualche pagina della biografia di Isaac Newton. Un bel libro, ma la mente non faceva altro che pensare alle parole del professore e poi il freddo della sera non mi lasciava un attimo.
Lasciai perdere la lettura e cominciai a guardarmi attorno alla ricerca di un bar. Mi alzai e decisi di attendere l'arrivo del volo gustando una tazza di cioccolata calda e cercando di trovare le risposte alle tante domande che mi passavano per la mente.
Ero curioso di sapere a cosa andavo incontro. Per telefono il professore era stato evasivo, ma dalla sua voce intuivo che doveva trattarsi di qualcosa di straordinario. Non l'avevo mai sentito così entusiasta come la sera prima, al telefono.
Avevamo parlato tante volte di misteri della storia che affascinavano entrambi che vi era solo l'imbarazzo della scelta. Ancora pochi minuti e avrei saputo di che si trattava.
Un allarme fastidioso mi richiamò alla realtà.
Non vi era stato alcun annuncio ancora ma diversi passeggeri si erano diretti verso le vetrate che davano su una delle piste e parevano visibilmente agitati. Mi resi conto che sotto il brusio generale si sentivano in lontananza le sirene dei vigili del fuoco. Doveva essere accaduto qualcosa.
Qualche istante dopo una folla di gente si affacciava alle vetrate che davano sulla pista. Un bagliore rosso fuoco la illuminava a giorno e le esplosioni si succedevano spaventose.
Un 747 in fase di atterraggio con i suoi centosettanta passeggeri era andato a impattare sulla pista esplodendo all'istante. Nessun sopravvissuto!
Il mio Professore, l'amico Claudio, avrebbe portato il suo segreto con se, nella tomba, per sempre.

Vai al Cap. IV: Terra!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
 

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