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giovedì 21 giugno 2018

Ombre sull'Ofanto, di Raffaele Nigro

Come tutte le estati, la voglia di riposo e di mare è accompagnata da quella di dedicare qualche ora a letture, diciamo così, rilassanti, per cui mi rivolgo lla mia libreria alla ricerca di qualcosa di accattivante comperato in passato e lasciato li, in attesa del momento giusto per essere letto.
Dopo qualche minuto ho selezionato alcuni libri, il volume "mostruoso" di Stephen king, IT, romanzo horror già letto diversi anni fa, la biografia della famiglia Rothschild e poi un volumetto dal titolo "Ombre sull'Ofanto", di Raffaele Nigro.
E' proprio quest'ultimo che mi attrae maggiormente e, pensando di avere a che fare con un qualche genere di racconto di fantasmi (non so proprio il perchè!) come spesso accade, per curiosità, leggo le prime pagine.
Il libro è nella libreria da diversi anni, non ricordo di averlo acquistato io per cui deve essere di mia moglie Giusy o di mio figlio.
Sin dalle prime pagine mi rendo conto di essermi sbagliato, niente a che vedere con i fantasmi, o almeno niente a che vedere con i fantasmi che si possono trovare nei racconti di Edgar Allan Poe o di Meyrink o ancora di Walpole... ma sempre si fantasmi si tratta, a ben guardare, ma di quelli di una società malata.
La storia si svolge nel meridione, tra Venosa e il territorio circostante, fino ad arrivare a Napoli.
E' la storia di una ragazzo, Arminio, appassionato studioso del poeta romano Orazio, nato appunto nella cittadina di Venosa.
Tra citazioni dai testi di Orazio, ricordi di gioventù, bravate da ragazzi e assassini spietati, l'autore racconta come sia facile passare dall'essere vittima a diventare aguzzino in una terra senza legge.
Arminio, figlio di un impresario di pompe funebri, nonostante sia uno studioso si lascia trascinare dagli eventi e nel giro di poco tempo diventa assassino lui stesso e biografo di un capobanda, il Vicciere (ovvero il macellaio).
La storia potrebbe essere quella di un qualunque ragazzo del sud, un sud abbandonato dallo Stato ma anche dai suoi abitanti che non vogliono o non riescono ad uscire dal loro malessere.
Non voglio raccontarvi altro se non che, se volete passare qualche ora sotto l'ombrellone immersi nella lettura, Ombre sull'Ofanto è il libro che fa per voi.

Buona lettura,

Alessandro Rugolo


sabato 12 marzo 2016

Di mare e di guerra, di Giuseppe Sfacteria

Chi è l'autore?
Il Comandante Giuseppe Sfacteria dice di sé: “Sono ligure e penso da ligure, mi comporto da ligure. Il ligure è armato di una sola vera arma: la concretezza.”
E di lui non dirò altro perché chi, come me, lo conosce, non ha bisogno di descrizioni, chi invece non lo conosce da queste poche parole penso possa farsene un'idea.
Allora spenderò qualche altra parola per parlare di un altro Comandante, Giuseppe Aonzo, anch'esso ligure, Medaglia d'oro al Valore Militare nel corso della Grande Guerra.
Del Comandante Aonzo, Giuseppe ha fatto la voce narrante di un collage di storie di pura fantasia. “Nelle pagine che seguono non c’è nulla di vero, se non la descrizione, sommaria e colloquiale, dell’azione che ha portato Luigi Rizzo e Giuseppe Aonzo a meritarsi la medaglia d’oro.”
Azione ricordata nella prefazione di Andrea Tirondola.

Il MAS, ovvero Motobarca Armata SVAN”, dove SVAN è la sigla del cantiere veneziano che produce queste motobarche, è il mezzo usato da Aonzo e Rizzo per la loro impresa. MAS è anche la sigla che D'Annunzio aveva associato alle parole Memento Audere Semper, ovvero “ricorda di osare sempre”.
In queste pagine, i “ricordi” del Comandante Aonzo si frammischiano alle storie e realtà e fantasia si confondono, indistinguibili.
“Su questa terra, per quel che mi riguarda, considero il grado una scala di misura crescente dei doveri. So bene di essere anticonvenzionale, ma so anche di non essere il solo a pensarla così e spero tanto che un giorno tutti i figli di questa Patria amatissima mantengano questa regola.”
Il pensiero di Aonzo, è anche il mio!
Mi vien voglia di dire a voce alta ripensando anche al sacrificio di tanti italiani in uniforme.
Così, il racconto prosegue sul treno che da Ancona conduce Aonzo a casa, a Savona.
Il nostro Aonzo racconta al piccolo Egil l'avventurosa ed eroica impresa che lo vide coprotagonista, al comando del suo MAS 21, con il Comandante Rizzo,dell'impresa di Premuda contro le corazzate Santo Stefano e Teghetoff.
E leggendo, anche io ne apprendo la storia! Non è mai troppo tardi.
Poi è la volta dei ricordi dei commilitoni, Capo Esposito, Mulargia, Salvi, Capo Izzico, Mistretta, veri o inventati che siano, sono comunque soldati. Lo si capisce dalle parole che l'autore ci presenta, lo si capisce dallo spirito cameratesco, dallo spirito di servizio, dalla descrizione di momenti che seppure di fantasia, fanno riferimento a fatti che ogni comandante di uomini non può, almeno una volta nella vita, non aver vissuto.

Grazie Giuseppe, grazie per il tuo libro. Grazie per averci dato l'opportunità di conoscere, o ricordare, un pezzo di storia d'Italia.
Grazie per avermi concesso qualche ora di interessante e piacevole lettura.
E per finire, Giuseppe, ti saluto, attendendo il Tuo prossimo libro...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 25 aprile 2014

I custodi della storia (VIII capitolo) - Dimitri

Dimitri, smettila di leggere quel libro e vieni a letto!

Le parole di lei non ammettevano replica. Lei lo amava, ma quando usava quel tono non era il caso di contraddirla!

Aveva imparato a conoscerla col tempo. Sapeva fino a dove poteva spingersi e quando invece doveva assecondarla senza discutere. Era tanto ormai che non la sentiva più usare quel tono fermo, eppure quella sera era diverso... dopo anni di ricerche finalmente aveva trovato qualcosa che lo spingeva a replicare.

-Un attimo, cara. Forse ho trovato qualcosa...

Zinaida scese dal letto, indossò una pesante vestaglia da notte e si avvicinò silenziosa alle spalle del marito.

Lui, chino sullo scrittoio intento ad osservare delle vecchie carte geografiche che aveva avuto in prestito da un amico non la sentì arrivare.

Lei gli poggiò le mani sulle spalle con delicatezza e si sporse sopra di lui per capire cosa ci fosse di tanto importante in quelle vecchie carte da spingere il marito a rifiutare un suo invito.

La sua figura snella e slanciata divenne un tutt'uno con quella china del marito. I capelli lunghi e biondi si posarono sulle spalle di Dimitri che quasi non si mosse. Osservava con attenzione spasmodica con l'ausilio di una potente lente una vecchia mappa consunta dal tempo.

-Ti piace il mio nuovo profumo? L'ho acquistato questa sera in centro. Viene da Parigi...

Disse lei con voce sensuale stringendogli le braccia attorno al collo e baciandolo dolcemente sulla nuca.

-Aida mia...

Sospirò Dimitri posando la lente e lasciandosi massaggiare le spalle dalle sue calde mani.

-Ho appena fatto una scoperta eccezionale! Se le cose stanno come penso il tuo profumo preferito la prossima volta lo comprerai direttamente a Parigi.

Disse lui, spegnendo la candela poggiata sullo scrittoio e cedendo alle carezze invitanti della giovane moglie. Lei lo tirò per le braccia verso il letto senza incontrare più alcuna resistenza, fino ad immergersi tra le soffici coperte.

-Domani mi racconterai tutto!

Disse lei stringendolo a sé senza dargli il tempo di rispondere...

Erano sposati da poco più di un anno e si conoscevano da due ma la passione che li aveva travolti non era per niente assopita.

Si erano conosciuti a Tbilisi in un caffè letterario nel quale Dimitri amava sorseggiare il suo tèe comporre versi. Lei era appena diciottenne ed amava la poesia come nient'altro al mondo.

Si erano scambiati uno sguardo ammiccante ed era subito nato l'amore.

Lei aveva appena compiuto diciannove anni e dopo pochi mesi si trovarono sposati.

-Allora, ieri sera mi parlavi di una tua scoperta eccezionale, a cosa ti riferivi?

La domanda era stata repentina ma Dimitri impiegò solo un attimo per riordinare le idee e cominciare a parlare velocemente, come faceva sempre quando era eccitato.

-Ieri sera studiavo una delle vecchie mappe che hai visto sulla scrivania.

Prese fiato un attimo come se cercasse le parole giuste.

-In quella mappa antica vi è un riferimento alla parola greca phoinix, fenicio, con la spiegazione del suo significato. Phoinix viene tradotto generalmente col termine'rosso', ma a bordo mappa si dice che anticamente voleva dire 'pellerossa'.La scritta è quasi cancellata e io stesso non vi avrei dedicato troppa attenzione se non fosse per quel disegno raffigurante un mostro marino al largo della costa africana. Veramente affascinante...

Disse a voce alta osservando la silhouettedella moglie, avvolta in una vestaglia trasparente, per poi riprendere la sua spiegazione.

-Devi sapere, mia cara, che i greci omerici chiamavano con l'appellativo di pellerossa gli emigranti dell'isola di Creta, dove abitavano i Pelasgi, gli Eteocretesi che erano poii Keftiu egiziani, 'uomini delle Stirpi Marine', affini ai libici nell'Africa Settentrionale, ai Liguri in Italia, agli Iberi in Spagna, alle razze che vivevano lungo tutta la via mediterraneo-atlantica verso l'Oriente. Razze queste che a giudicare dalle pitture murali lasciate nelle sedi in cui abitavano potrebbero essere tardi discendenti neolitici dei Cro Magnon. Rappresentano infattifigure umane 'pellirosse' o rossobronzee, senza barbacome i Toltechi e gli Aztechi del Messico precolombiamo. Altre cose cambiano ma il colore della pelle è un indizio stabile per la distinzione delle razze nei millenni: se lo sono i discendenti probabilmente anche gli antenati erano 'pellirosse', del tutto o in parte. Sembra che un riverbero dell'eterno Occidente, del 'Tramonto di tutti i soli', arda sul giovane volto dell'Europa.

Se ciò che penso è vero, questo rappresenta un legame tra le antiche popolazioni europee e gli indiani d'America!

Ecco cosa ho scoperto, forse tutte le popolazioni attuali del mondo hanno un'unica origine: Atlantide. Una civiltà scomparsa dalla faccia della terra e trasformata in mito ma non senza lasciare parte della sua antica popolazione su entrambe le sponde dell'Oceano Atlantico, in America, in Europa e in Africa.

Pensa alla stirpe dei Baschi, chiusa tra i Pirenei, parla una lingua antica e particolare che non somiglia a nessun'altra lingua d'Europa, d'Africa e d'Asia ma che se guardi bene assomiglia assai alle lingue delle razze paleoamericane. Se questa lingua, come molti ritengono, è un frammento salvo per miracolo dell'antichità dei Cro Magnon, è probabile il legame dell'Europa paleolitica con le lingue dell'antica America.

Capisci che questa è una scoperta incredibile?

Zanaida lo guardo dritto negli occhi, afferrò con forza il colletto della camicia da notte attirandolo verso le sue labbra sensuali e trascinandolo a letto ancora una volta.

Carte e mappe soccombettero alla forza vitale dei due giovani sposi...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 17 aprile 2014

I custodi della storia (Capitolo VII) - Notte insonne

L'agenda cominciava con una data, il due marzo 1988, sei anni prima. In quell'anno io mi trovavo ancora in Sardegna – pensai – e non immaginavo neppure lontanamente come sarebbe stata la mia vita futura.
Cominciava con una nota isolata sulle notizie di un viaggio in terre sconosciute riportato in un testo ormai perduto di Filone di Biblo.
Claudio sembrava credere che alcuni frammenti di quel libro esistessero ancora. La sua convinzione derivava dal fatto che durante una visita ad uno dei soliti mercatini dell'usato aveva trovato un vecchio volume francese del 1836 della Revue des deux mondes in cui si parlava proprio di questo viaggio in un articolo dal titolo:Sulla scoperta d'un manoscritto contenente la traduzione di Sanchuniathon, di Filone di Biblos”.
Non avevo idea di chi fosse Sanchuniaton, nei libri non avevo mai incontrato questo nome a differenza di Filone di Biblo di cui ricordavo che era uno storico greco del primo secolo dopo Cristo ma niente più.Mi sarei informato con calma il giorno dopo presso la biblioteca dell'università.
Poi, di seguito vi era l'articolo tradotto dal francese, pagine fitte di parole, piene di cancellature, ripensamenti e correzioni, come di chi legge e traduce di getto.
Non era facile decifrare quella scrittura ma la curiosità era tanta e il sonno ormaiera andato via del tutto. Mi avvicinai al camino per usufruire appienodella tenue luce del fuoco e cominciai a leggere con pazienza.
Se la storia antica, disse uno storico saggioha subito una perdita sensibile ed in nessun modo recuperabile, è soprattutto a causa della scomparsadegli scritti che trattavano della costituzione delle imprese e delle opere dei Fenici. Tantoquesto popolo ha influito sullo sviluppo dell'umanità per le sue invenzioni, per aver stabilito le sue numerose colonie e per il suo commercio immenso, che maggiormente si sente la mancanza che la perdita di questi scritti ha lasciato nei fasti del genere umano.
Tuttavia, malgrado questa assenza totale di documenti originali, il venerabile professore di Gottinga, non avendo come soccorso che pochi dati sparsi tra la Bibbia e gli autori greci e latini, ma guidato da quella coscienza intima che egli ha della vita dei popoli dell'antichità, è riuscito a farci conoscere la situazione politica, costituzione, le colonie fenicie e le rotte che seguiva nel suo immenso commercio, tanto per terra che per mare. Ma che talvolta si rammaricava, nel suo libro, di non avere sotto gli occhi le storie di Dius e di Menandro d'Efeso di cui Giuseppe Flavioci ha conservato alcuni frammenti, e soprattutto la storia della Fenicia scritta da Sanchuniathon, di cui Eusebio, nella sua Preparazione evangelica, ha citato dei lunghi frammenti che, disgraziatamente, non contengono che la parte cosmogonica dell'opera.”
Mentre leggevo avevo sempre più la sensazione di essermi imbattuto in una storia lunga e complicata.
Claudio doveva avere una conoscenza dell'antichità enorme, cosa che io non avevo. Avrei impiegato anni per acquisire le nozioni utili alla comprensione di tutto i riferimenti presenti in quella sua agenda, ora mia. La cosa però mi dava soddisfazione. Provavo quasi la stessa sensazione che provai da bambino entrando in un nuraghe la prima volta. Le enormi pietre mi sormontavano quasi a volermi schiacciare ma io le sentivo amiche e protettrici. Così l'agenda mi travolgeva con le sue parole, ma io le sentivo stimolanti.
Sarebbe stata una impresa che avevo inconsciamente già deciso affrontare.
“Così egli ha dovuto apprendere con vivissima gioia, ma senza dubbio misto con qualche incertezza, la notizia annunciata da circa sei mesi dai giornali, che la traduzione greca di Sanchuniathon, a cura di Filone di Biblo, era stata ritrovata in un convento portoghese.”
Le parole “convento portoghese” erano evidenziate in giallo come se la cosa avesse grande importanza. Eppure non vi era nessuna nota che mi aiutasse a capire di che si trattasse o di quale fosse il convento. Forse il professore aveva in mente qualcosa che a lui era già noto e perciò non riteneva necessario approfondire ma semplicemente evidenziare la cosa. Ma io cosa potevo fare? Io non sapevo niente di conventi portoghesi! Mi fermai un attimo, posai l'agenda e cercai una matita nel cassetto dello scrittoio. Cominciai a prendere appunti anche io. Cominciai proprio con “cercare informazioni sui conventi portoghesi”. Avrei iniziato una mia agenda parallela. Mi sarebbe stata utile pensai. E aggiunsi: “Cercare notizie su Sanchuniathon”. Quindi continuai a leggere.


La sua gioia e la sua incertezza, sono condivise da tutti gli amici dell'antichità, ma lo scoramento ha subito seguito la speranza quando si è visto che questo annuncio non fu seguito da alcun altro documento, sia sullo stato del manoscritto, sia sul contenuto, sia sul suo futuro editore. Questo terribile silenzio è stato rotto, infine, dalla pubblicazione di un volantino annunciato quale precursore del testo greco di Filone, e dal titolo:“Analisi della storia primitiva dei Fenici secondo Sanchuniathon, fatta sul manoscritto recentemente ritrovato della traduzione completa di Filone”; con delle osservazioni di Wagenfeld. Questo volantino apparso presso Hahn, ad Hannover, contiene inoltre un facsimile del manoscritto e un proemio del dottor G.F. Grotefend, direttore del Liceo di Hannover, conosciuto da lungo tempo nel mondo dei saggi per importanti lavori coi quali si è librato sulle iscrizioni di Persepoli e su quelle della Licia.

Altre cose da approfondire – pensai – e ricopiai i nomi di Wagenfeld e Grotefend, direttore del liceo di Hannover. Forse avrei potuto trovare qualche informazione anche su questi signori, soprattutto se avevano scritto qualcosa di importante.

Cosa dobbiamo pensare di questa pubblicazione? Dobbiamo guardarla come una mistificazione o come un documento serio? Il nome di Grotefend, se non se ne è abusato, come si è abusato questo inverno del nome di Herschell, non consente ancora di vedere in questa brochure l'opera di un falsario? La germania non èla classica terra di questo tipo di soperchierie di cui l'Italia ha dato così tanti funesti esempi. La buana fede, meglio, il candore germanico, non ammette ancora una tale supposizione.”

- Ecco! Ancora una volta emerge lo stereotipo dell'italiano imbroglione e falsario! Già tante volte ho sentito queste parole. Purtroppo anche all'università, dove si trovavano studenti di tutte le nazioni, la cosa era abbastanza risaputa. L'italiano medio era generalmente considerato un imbroglione, falsario e poco affidabile e il comportamento tenuto da certi miei colleghi di studi non faceva certo cambiare idea. Mi era capitato diverse volte di discutere con colleghi stranieri ma di solito mi ero dovuto ritirare di fronte ai troppi esempi concreti. Meglio proseguire nella lettura, pensai a voce alta mentre con gli occhi scorrevo voracemente le righe dell'agenda.

Il fac simile del manoscritto unito alla brochure, è realizzato con una scrittura molto antica, che mostra la mano non di un greco, ma di un uomo dell'occidente; un falsario non avrebbe scelto preferibilmente un carattere di questo genere che avrebbe potuto tradirlo. Dirò di più, un mistificatore il cui scopo sarebbe stato principalmente quello di ottenere una vendita a prezzo elevato, avrebbe cercato di comporre un libro più divertente, avrebbe messo più episodi romanzeschi; difficilmente si inventa la storia completa di un popolo come quello dei fenici, che, ad ogni passo è esposto a tradirci. Ora dobbiamo convenire seguendo l'analisi di Sanchuniathon, la semplicità e la verità della narrazione, le sue coincidenze con la Bibbia, la molteplicità di dettagli, la semplicità con cui i nomi propri si possono spiegare con l'ebraico, tutto sembra annunciare una composizione originale. Per finire, ma questo argomento lo introduco non senza qualche forzatura, l'autore, che fissa l'esistenza di Sanchunuathon al VI sec. A.C., non ha tralasciato di inserire nel suo libro la storia della fondazione di Cartagine e soprattutto il racconto dell'assedio di Tiro da parte di Nabuchodonosor, tanto che si ferma al nono secolo, limitandosi ad indicare gli storici che hanno raccontato gli avvenimenti posteriori. Non si può usare come argomento negativo l'epoca tardiva della scoperta, altrimenti si dovrebbe negare l'esistenza della Repubblica di Cicerone, delle Istituzioni di Gaio, della Cronaca di Eusebio, delle diverse opere di Lido e così via. Non si tratta, d'altronde, della prima menzione che si fa d'un manoscritto di Sanchuniaton. Beck in una nota sulla Biblioteca greca di Fabricius, afferma che esiste un frammento inedito di questo autore presso la biblioteca Medicea a Firenze; egli aggiunge che un terzo frammento è stato raccolto in oriente da Peiresc che lo ha portato a Roma an padre Kircher ma che quest'utimo si rifiutò di pubblicarlo. Infine Leon Allatius ha, se non mi inganno, detto di aver visto con i suoi propri occhi un manoscritto di Filone di Biblo in un monastero nei pressi di Roma.”

Aggiunsi queste informazioni sulla mia agenda, alla voce Sanchuniathon.

Non riuscivo a credere ai miei occhi, più leggevo e più cominciavo a capire l'importanza della scoperta del mio ex professore. In tutti questi anni aveva continuato a insegnare, studiare e viaggiare inseguendo le flebili tracce scoperte per caso in quello che si potrebbe definire un manoscritto ritrovato, anche se incompleto e magari falso. Eppure se Claudio aveva fatto tutto questo, qualcosa di vero doveva pur esserci! Mi segnai nell'agenda anche il nome di Sanchuniathon, non vedevo l'ora di saperne di più su questo storico del VI° secolo a.C.. E chissà chi era questo padre Kircher e Leon Allatius. Quante cose da approfondire mi attendevano. Ma ormai non avevo scelta. Era una sfida che avevo già accettato.

“Il solo argomento negativo che ha qualche senso è l'assenza di qualunque informazione precisa sul manoscritto che si pretende sia stato scoperto nella penisola spagnola. Ma se è vero, come si dice, che questo libro proviene da un convento portoghese che fu saccheggiato ai tempi della spedizione di don Pedro contro suo fratello, e che è stato portato in Germania da un ufficiale di Hannover, si può capire perché si esiti a citare i nomi propri. Opinioni molto differenti sono già state emesse su questa scoperta. Noi sappiamo, dall'Athenaeum del 25 luglio scorso, che il saggio Gesenius, il più celebre di tutti gli studiosi ebrei della germania, Gesenius, che ci promette la spiegazione prossima delle iscrizioni fenicie rispettate dal tempo, si è pronunciato in favore dell'autenticità del manoscritto del quale il signor Wagenfend ha appena pubblicato l'analisi. E' anche vero che secondo lo stesso giornale il signor Wilken, lo storico delle crociate, si è pronunciato in senso negativo, ma qualunque sia il rispetto che merita l'opinione del signor Wilken, in questa materia quella del signor Gesenius dovrebbe sorpassarla.

Ecco ancora un personaggio da approfondire, Gesenius, e da come se ne parlava doveva essere molto famoso, non sarebbe stato difficile trovarlo.

Noi dobbiamo aggiungere che, se dobbiamo credere all'articolo dell'Athenaeum, il signor Grotefend ha pubblicato la seguente nota sul libro del signor Wagenfeld: “Per prevenire l'intenzione laddove si potrebbe fare (...) di tradurre quest'opera in altre lingue”

Perché? Perché impedire la traduzione in altre lingue? Perché questo accanimento contro una possibile scoperta epocale? Si chiedeva il professore per poi riprendere immediatamente la traduzione. In effetti era uno strano comportamento ma era ancora presto per prendere posizione.

“io credo che sia mio dovere il dichiarare pubblicamente e senza perder tempo, che dopo le informazioni raccolte fino ad ora, io sono moralmente convinto che l'estratto di Sanchuniathon non è altro che un ingegnoso falso. E io faccio questa dichiarazione senza attendere alcuna ricerca che richiederebbe troppo tempo; perché, anche supponendo che alla fine il risultato dimostrasse che questa dichiarazione non sia fondata, la stessa sarà sufficiente sin da ora per impegnare il signor Wagenfeld a difendere il suo onore dando prova della sua onestà".

Ma, a primo acchito, questa nota difficilmente può essere opera del signor Grotefend.

Come! O egli è stato crudelmente falsificato, oppure si è slealmente abusato del suo nome ed egli si limita a qualificare l'opera come "ingegnosa finzione"; e questa dichiarazione per parte sua non ha altro scopo che di impedire la traduzione della brochure in altre lingue straniere! Ma, nell'uno o nell'altro caso, chi non avrebbe cominciato per schiacciare il falsario sotto il peso della giusta indignazione, senza preoccuparsi se delle traduzioni in altre lingue avrebbero potuto contribuire a propagare l'errore? Se la nota sull' Athenaeum è del signor Grotefend, potrebbe darsi che sia stata snaturata dal traduttore inglese, sia involontariamente, sia a causa di un interesse personale, queste erano le riflessioni che suggerivano all'autore di questo articolo una tale complicazione di incidenti e di dubbi, quando ha ricevuto la lettera seguente del signor Grotefend, al quale si era indirizzato per eliminare le proprie incertezze. (Hannover, 18.8.1836)

A questo punto la scrittura si faceva più fluente.

Era come se Claudio avesse ora una marcia in più nella traduzione, forse aveva trovato qualcuno che lo aiutava, magari uno studente come me che conosceva il francese. Purtroppo non c'era nessun riferimento in proposito. Comunque vi erano sempre meno cancellature e la traduzione era più chiara e anche i termini utilizzati erano più attinenti all'argomento di cui si parlava.

“Signore,

poco tempo dopo aver raccomandato ai saggi l'analisi della traduzione di Sanchuniathon a cura di Filone di Biblo, che si pretende aver scoperto recentemente, mi sono convinto che l'autore di questa analisi non è che un mistificatore e mi sono ritrovato nella necessità di esprimere pubblicamente i miei dubbi sulla autenticità della sua scoperta. E' vero che esistono tanti motivi a sostegno dell'autenticità dell'opera che gli uomini più attenti possono difficilmente trovare materia per dubitare. Ma come tutto ciò che è apparso su questo soggetto al pubblico dal signor Wagenfeld, un insigne mistificatore, e siccome nessuno fino ad ora ha potuto esaminare il manoscritto, si è autorizzati a dubitare della sua autenticità, se non del tutto, almeno su molti dettagli. Si è d'altronde ancor più lontani dall'attendersi una simile soperchieria da parte di un giovane uomo candidato in teologia e filosofia a Brema, che l'amore per la verità è il tratto caratteristico dei tedeschi. Ma purtroppo il signor Wagenfeld ha così poco amore per la verità che mi sono visto obbligato a rompere tutte le relazioni con lui. I dubbi che ho espresso sui giornali non avevano altro scopo che il metterlo con le spalle al muro, al fine di arrivare almeno a qualche certezza. Questo ha avuto come risultato di costringerlo a trattare con la libreria Schunemann, a Brema, per la stampa dell'originale greco. Ma disgraziatamente si dubita ugualmente dell'autenticità di questo originale. Ed anche ammettendo che questo testo greco abbia avuto per base un antico manoscritto non è possibile prendere per argento sonante ciò che viene da un uomo che, come il signor Wagenfeld, è noto che per il piacere di imbrogliare il pubblico, non teme di far ricorso all'impostura.
G.F.Grotefend.
Chissà cosa accadde tra Wagenfeld e Grotefend per giustificare parole così pesanti! Forse la mia curiosità sarebbe stata soddisfatta più avanti. Mi fermai un attimo e guardai il vecchio orologio appeso sul camino. Erano le tre e la mattina mi sarei dovuto alzare alle sette per andare al lavoro. Poi avevo lezione dalle undici e trenta alle quindici, quindi di nuovo in portineria fino alle venti. Era stata una giornata intensa ed eccitante, l'agenda aveva portato nella mia vita un pizzico di mistero, ma ora era arrivato il momento di riposare, avrei proseguito con calma il giorno dopo.

Vai al Cap. VIII: Dimitri.
Alesssandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 13 aprile 2014

I custodi della storia (Capitolo VI) - Dentro la piramide

L'eco della pietra che cadeva lungo lo stretto corridoio si poteva seguire da lontano. Sicuramente il corridoio si inoltrava all'interno della piramide mantenendo una pendenza molto forte.

Andrea il carpentiere era appena arrivato, accompagnato da altri due uomini di rinforzo mandati dal Capitano.

Si fermò giusto il tempo necessario per bere un po' d'acqua e poi seguì il nostromo e frate Nicola che precedendolo gli indicavano il foro a metà altezza nella parete della grande piramide. Andrea salì su per la parete senza un attimo di esitazione allenato dal suo lavoro quotidiano di controllo degli alberi del vascello e raggiunto il foro vi aveva gettato una pietra per cercare di capire dal rumore cosa lo attendesse. Si girò verso i due compagni e disse di essere disposto a provarci.

- Certo, si può fare. Entrerò con la testa in avanti e voi mi reggerete con due corde così se occorre potrete tirarmi fuori da quel buco! Disse Andrea senza un attimo di esitazione.

I preparativi furono veloci e qualche minuto dopo Andrea si introduceva strisciando come un serpente nelle fredde viscere della piramide. In mano reggeva una piccola lampada ad olio legata ad una corda che reggeva con la mano sinistra e che gli avrebbe consentito di vedere davanti a se. Nella mano destra reggeva un lungo coltello, in caso di brutti incontri.

- Ora calatemi lentamente! Disse rivolto ai compagni che reggevano le corde.
Dopo pochi metri lo stretto cunicolo voltava a destra sottraendo il giovane carpentiere alla vista dei suoi compagni.
- Quaggiù il cunicolo si allarga! – Urlò Andrea una volta raggiunta una solida base – qui si può avanzare camminando in piedi. Proseguì lungo il corridoio tirandosi dietro le corde. Il corridoio aveva una forma trapezoidale ed era realizzato con pietre enormi perfettamente squadrate. Su ogni lato si aprivano degli altri corridoi più stretti che probabilmente servivano a distribuire l'aria fresca nei locali più interni. Andrea avanzava sicuro reggendo in alto la lampada e osservando ogni particolare per poterlo poi descrivere quando fosse uscito. Dopo circa una decina di metri notò alla sua destra all'altezza della sua faccia una pietra sporgente lavorata a forma di uccello, con una grossa sporgenza a forma di becco. La superficie era ricoperta da una specie di sostanza rossastra e gli occhi erano fatti in pietre dure, incastonate nella roccia con maestria, di particolare fattura e di colore giallo. Usò il coltello per estrarre le pietre pensando potessero avere un qualche valore e le mise in tasca. Le avrebbe consegnate a Vadino che avrebbe saputo ricompensarlo. Purtroppo il cunicolo terminava poco più avanti con una enorme lastra verticale che probabilmente era crollata da parte del soffitto. Impossibile proseguire. Un odore fetido, come di carcasse di animali riempiva l'ambiente. Forse il crollo aveva intrappolato qualche animale che ora si decomponeva lentamente. Si voltò e ripercorso il cunicolo all'indietro chiamò i compagni perché lo tirassero fuori.

Qualche minuto più tardi si trovava nuovamente all'aperto con i compagni che lo attorniavano.
- Signor nostromo, ho trovato queste pietre, erano gli occhi di una specie di testa d'uccello scolpita nella roccia. - Disse, porgendo le pietre a Vadino. E proseguì nella descrizione accurata di ciò che aveva visto e della impossibilità di usare quel passaggio per proseguire l'esplorazione. Occorreva trovare un altro ingresso.

- Bene Andrea, tieni queste monete. Ottimo lavoro. Disse il Nostromo lanciandogli tre monete d'oro. In certi casi occorre essere generosi, la fedeltà va sempre premiata. Pensò Vadino.

Il carpentiere prese le monete e ringraziò per la generosità.

L'impossibilità di proseguire l'esplorazione della piramide non significava niente. Avrebbero controllato i dintorni alla ricerca di altre informazioni. La giungla era fitta e di tanto in tanto emergevano dalla vegetazione delle grosse pietre che sembravano lavorate dalla mano dell'uomo. Se la fortuna li avesse assistiti avrebbero potuto trovare qualche altra cosa. Vadino aveva ancora due giorni di tempo e non intendeva certo starsene con le mani in mano ad aspettare che il caso o la fortuna bussassero alla porta. I suoi genitori gli avevano insegnato che la fortuna occorre cercarsela da sé e lui la pensava esattamente allo stesso modo.

Chiamò tutti gli uomini a rapporto e organizzò le ricerche per la giornata. Due di loro sarebbero restati al campo con l'incarico di controllare che non si avvicinassero troppo le besti che avevano sentito la notte precedente. Gli altri divisi in gruppi da tre avrebbero esplorato l'area circostante alla ricerca di altre costruzioni.

Vai al Cap. VII: Notte insonne.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 6 aprile 2014

I custodi della storia - (Capitolo V) L'agenda

Era un mercoledì sera, intorno alle diciotto, quando un corriere espresso suonò al campanello del condominio in cui lavoravo.

Andai ad aprire, il ritiro della posta faceva parte dei miei compiti. Avevo la delega per il ritiro della corrispondenza di quasi tutti i condomini.

- C'è un pacco per Alessandro Ruvolo.

Mi disse il corriere porgendomi la penna per la firma senza neanche guardarmi in faccia.

- Forse intende dire Rugolo. Sono io

Risposi un po' stupito.

Non avevo ordinato niente e non era periodo di feste per ricevere il pacco regalo che i miei mi mandavano sempre per natale.

Firmai e mi assicurai che il corriere uscendo chiudesse il cancello.

Si trattava di un pacchetto confezionato artigianalmente con la vecchia carta per pacchi e legato con spago di pessima qualità.

Nessun mittente, solo un francobollo da due dollari con la scritta Guyana. Un bel francobollo con ritratto un dipinto di Velazquez e un timbro che non lasciava dubbi. Il pacco era stato spedito dalla città di Cayenne, nella Guyana francese.

Non conoscevo nessuno in quella parte del mondo. Chi poteva avermi spedito un pacco?

Dalla consistenza e dimensione doveva trattarsi di un libro. Lo scartai velocemente e il mio stupore fu grande quando mi resi conto che tra le mani stringevo l'agenda del mio ex professore di storia antica, Claudio.

Come era possibile? Lui era morto un mese prima nell'incidente aereo del volo Orlando – Milano. Da dove saltava fuori l'agenda? L'unico che avrebbe potuto spedirmela era proprio lui ma per quale motivo avrebbe dovuto farlo?

Ero curioso e le domande mi si affollavano nella testa.

- Alessandro, è arrivata posta per me?

Trasalii. La voce dell'avvocato mi colse totalmente di sorpresa e dovetti darlo a vedere.

- Scusa, non volevo spaventarti. Chiedevo se fosse arrivata della posta per me, oggi. Sto aspettando un plico urgente da Roma. Se dovesse arrivare puoi avvisarmi subito? Sono nel mio studio.

- No, mi spiace. Niente posta per lei avvocato. Se dovesse arrivare qualcosa entro le otto glielo porto io prima di andar via.

L'avvocato Giorgetti mi salutò con un sorriso e imboccò la strada delle scale. Nonostante il suo studio si trovasse al quarto piano e vi fosse l'ascensore preferiva salire a piedi, diceva che faceva parte della sua attività per allungare la vita.

Per evitare ulteriori problemi posai l'agenda del professore nel mio zaino e ripresi il mio lavoro al gabbiotto. A casa avrei avuto tutto il tempo per cercare di capire come mai il professore mi avesse mandato la sua agenda per posta e magari sarei riuscito a capire cosa fosse andato a fare nella Guyana francese!

Stavo per chiudere il gabbiotto della portineria quando suonò nuovamente il campanello. Si trattava di un fattorino che mi consegnò il plico per l'avvocato. Lo presi in consegna. Firmai e presi l'ascensore per il quarto piano. Bussai alla porta dell'avvocato. Mi aprì lui personalmente e mi invitò ad entrare. Rifiutai cercando di non essere scortese, l'avvocato era sempre stato molto premuroso nei miei confronti ma quella volta avevo fretta di tornare a casa.

Mi chiese se era tutto a posto, offrendomi il suo aiuto, se necessario. Mi chiese se ci fosse qualcosa che mi preoccupava, disse che sembravo un po' strano, quasi assente.

- Le chiedo scusa avvocato. In effetti oggi è successo qualcosa di strano ma non sono preoccupato, solo stupito.

- Vuoi raccontare anche a me cosa ti è successo? Mi chiese con benevolenza. Sin dalla prima volta che mi aveva conosciuto, quando mi ero presentato per avere il lavoro, era sempre stato con me quasi come se fosse stato un mio anziano parente. Gli dissi che il giorno dopo sarei passato da lui sul tardi, se non aveva impegni, e gli avrei raccontato tutto. Adesso era un po' tardi e dovevo passare all'università per ritirare un libro da alcuni amici. Era una scusa banale, me ne rendevo conto, ma non avevo proprio voglia di parlare. Forse il giorno dopo gli avrei raccontato qualcosa, o forse no. Avevo uno strano presentimento e preferivo evitare dell'agenda del mio professore.

Salutai e andai via.

Rientrai a casa in metropolitana. Da quando avevo lasciato la casa dello studente, due anni prima, abitavo in periferia in una zona di Milano ben servita dalla metro. Avevo trovato una mansarda piccola ma accogliente in una palazzina di tre piani che si affacciava in un piccolo parco. Anche per questo dovevo ringraziare l'avvocato. Mi aveva consigliato lui di lasciare la casa dello studente, diceva che era una cosa per ragazzini e io ero cresciuto ormai. Mi aveva fornito un elenco con i nomi di alcuni amici che affittavano appartamenti. Mi disse di andare a suo nome, mi avrebbero trattato bene.

In effetti così era stato. La mansardina mi piacque subito. L'arredamento era essenziale ma funzionale. C'era tutto quello che poteva servirmi. L'ambiente era caldo e accogliente e io avevo aggiunto all'arredamento quei segni distintivi della mia persona che mi portavo appresso sin da piccolo, i miei libri, alcune foto della famiglia e una vecchia maschera in legno tipica della cultura sarda, un mamuthone.

Nella stanza grande, con il letto in ferro da una piazza e mezza che occupava la parete interna si trovava anche una bella libreria e un piccolo scrittoio che usavo spesso per studiare e tra i due vi era un camino, che a Milano non era certo la norma, in cui spesso accendevo il fuoco. Un cucinino, il bagno e un ripostiglio a muro completavano il mio piccolo mondo di trenta metri quadri. Per ora andava più che bene. Il camino era stato decisivo. Non appena lo vidi presi la decisione, senza neanche visitare altri appartamenti.

Quella sera accesi il fuoco e mi preparai due salsicce alla brace per cena. Le fiamme rosse della legna avevano su di me uno strano potere rilassante. Aprii la finestra che dava sul parco, aveva smesso di piovere da poco e l'odore dell'erba bagnata era molto forte.

Mi sdraiai a letto e finalmente presi l'agenda dal mio zaino.

La girai alcune volte tra le mani quasi volessi assicurarmi che fosse reale poi slegai il cordoncino che la teneva chiusa. Era un'agenda artigianale, con la copertina in pelle rossa lavorata a rilievo. Vi era impresso il disegno di un uccello che assomigliava ad un pavone o ad un qualche altro uccello esotico dalle piume lunghe e vaporose, forse una leggendaria fenice. Aprii l'agenda e mi tuffai nella lettura.

Nella prima pagina vi era nome, cognome e numero di telefono del proprietario, ora non avevo più dubbi, l'agenda era appartenuta al mio ex professore.

Senza un particolare motivo la aprii verso le ultime pagine e cercai l'ultima pagina scritta. In alto a destra vi era la data del 15 marzo, quattro giorni prima dell'incidente aereo in cui era morto. Al centro della pagina solo poche parole scritte velocemente.

Alessandro, se dovesse accadermi qualcosa leggi queste ultime pagine e capirai. Decidi tu che fare. Ho fiducia in te. In bocca al lupo!”

Non sapevo più cosa pensare. Quella notte non andai a dormire.

La luce della camera restò accesa fino a tardi e mentre le fiamme del camino spandevano le loro ombre soffuse sulle pareti io leggevo quelle pagine piene zeppe di appunti, disegni e note.

Vai al Cap. VI: Dentro la piramide.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 31 marzo 2014

I custodi della storia (Cap. IV) - Terra!


Era stata una giornata pesante.

Dopo lo sbarco era immediatamente iniziato un lavoro febbrile tra la nave e il campo a terra. Tutti si muovevano su e giù dalla nave scaricando barili, attrezzatura e materiale da costruzione, cordame, vele, reti da pesca, strumenti di misura e da disegno.

I carpentieri si misero subito all'opera per ispezionare la nave e riparare i danni della lunga navigazione. Altri iniziarono a riparare le vele e controllare il cordame del vascello.

Ma il grosso del lavoro era a terra.

Era necessario preparare un campo prima di dare inizio alla esplorazione della nuova terra, bisognava raccogliere tutte le informazioni possibili sulle caratteristiche del territorio, sulle risorse disponibili e sulla presenza di indigeni.

Il campo era situato ad alcune centinaia di metri dalla linea di costa in cui eravamo sbarcati. Il luogo era ben protetto dai venti e si trovava a circa dieci metri sul livello del mare, al sicuro dall'alta marea e allo stesso tempo sufficientemente lontano dalla foresta che si estendeva a perdita d'occhio lungo tutta la costa.

La prima notte qualcuno aveva notato dei fuochi sulla cima della collina, a qualche miglio di distanza dal campo e la voce si era diffusa velocemente tra gli uomini, forse non era niente ma era meglio assicurarsene. Occorreva verificare che sull'isola non si trovassero indigeni ostili prima di potersi dedicare alla raccolta delle provviste che avrebbero consentito di proseguire l'esplorazione della nuova terra.

Inoltre occorreva risolvere immediatamente il problema dell'acqua, le riserve custodite a bordo erano quasi finite. Era necessario trovare una sorgente al più presto.

Il Capitano Vivaldi organizzò accuratamente l'esplorazione dell'isola dividendo il personale in tre gruppi.

Il primo e più numeroso sarebbe restato al campo base con l'incarico di costruire una palizzata difensiva contro la visita di animali o di ospiti non desiderati e di provvedere alla ricerca dell'acqua e alla raccolta di provviste.

Il materiale da costruzione non mancava di certo e i carpentieri erano degli esperti nel tagliare e lavorare il legno. Nel giro di mezza giornata con l'aiuto di una squadra di mozzi avevano tagliato gli alberi necessari a costruire il recinto e le capanne per gli uomini. La sera il recinto era quasi terminato e un riparo provvisorio fu innalzato per la notte. A poca distanza dal campo fu trovato un ruscello dall'acqua era fresca e pulita.

Gli altri due gruppi esplorarono la costa fino ad una distanza di tre ore dal campo e rientrarono al campo prima prima che tramontasse il sole senza aver trovato tracce di vita umana. In compenso avevano catturato diversi esemplari di una razza tipica di maiali del luogo. Dopo mesi di navigazione un po' di carne avrebbe fatto bene al loro fisico debilitato.



Le esplorazioni sarebbero proseguite nei giorni seguenti ma non diedero alcun risultato di rilievo. Nessuna traccia di villaggi indigeni o della presenza dell'uomo.

Il terzo giorno una squadra raggiunse la collina sulla quale la sera dell'arrivo erano state viste delle luci ma questa volta le cose erano diverse.

Di fronte alla squadra di esploratori si ergeva una antica costruzione in pietra. Segno indiscutibile della presenza umana.

Era una specie di piramide in pietra abbandonata da secoli.

Frate Nicola in quei primi giorni si era dedicato a prendere appunti e a disegnare mappe. Aveva tenuto traccia nel suo diario degli avvenimenti principali durante la navigazione e della posizione delle stelle per cercare di calcolare la rotta tenuta e la distanza percorsa. Le sue osservazioni sarebbero state utili al suo rientro ed erano quanto di più prezioso possedesse. Quando la squadra tornò con la notizia del ritrovamento di una strana costruzione a forma di piramide fra' Nicola decise che il giorno dopo sarebbe andato anche lui sul posto per raccogliere informazioni. Forse i suoi studi questa volta potevano risultare utili. Durante gli ultimi anni aveva passato molto tempo a lavorare per arricchire la biblioteca dell'Ordine e sempre sotto la guida di Giovanni aveva letto molti libri di storia. Classici latini e greci.

La mattina dopo il drappello partì dal campo di buon ora. Frà Nicola seguiva il nostromo che aveva il compito di guidare la spedizione. Durante il viaggio che durò appena quattro ore e non presentò alcuna difficoltà si fermò diverse volte ad osservare la flora e la fauna e a prendere appunti. Vi erano piante simili a quelle europee ma quasi sempre erano di dimensioni differenti, molto più grandi e rigogliose. Fratello Giovanni sarebbe stato molto utile in quel momento. Lui aveva avuto una grande conoscenza dei frutti della terra. Raccolse alcune piante che potevano essere utili per le loro capacità curative e altre che invece destavano il suo interesse per le forme particolari e i colori sgargianti. Arrivati alla piramide il nostromo Vadino Doria diede disposizioni per preparare un campo temporaneo. Avrebbero passato alcune notti nei pressi della piramide per esplorare la zona con calma ma occorreva come al solito premunirsi dagli animali e da eventuali visite inaspettate. Il lavoro iniziò subito e tutti si diedero da fare. Fu approntato un rifugio temporaneo utilizzando i resti in pietra di quella che sembrava una capanna abbandonata da tempo e che avrebbe dato riparo ai dieci uomini del gruppo. Acceso il fuoco, i marinai si sedettero a mangiare del pesce salato e dei tuberi allungati che crescevano in parte sotto terra e che dopo cotti avevano un buon sapore anche se un po dolciastro. C'era acqua in abbondanza e se non fosse stato per la distanza dal mare che avrebbe impedito di sorvegliare la nave, sarebbe stato un ottimo posto per il campo permanente. Nel frattempo frate Nicola e Vadino e due mozzi armati di grossi coltelli cominciarono ad esplorare i dintorni della piramide. Era una struttura antica, abbandonata forse da secoli. In mezzo alle grosse pietre erano cresciute delle piante alte anche venti metri e che, a giudicare dalla dimensione del tronco dovevano avere almeno cento anni. La piramide era costruita a scaloni. Il primo era alto almeno due metri e le rocce utilizzate erano enormi. I quattro uomini si arrampicarono sul primo livello e fecero tutto il giro della piramide a forma perfettamente quadrata. Ogni lato doveva essere lungo circa cento metri. La piramide presentava una grossa apertura solo su un lato che dava verso est. Purtroppo l'ingresso era crollato da tempo ed era impossibile rimuovere le rocce che ne ostruivano il passaggio. Nel mezzo di ogni lato si trovavano delle scalinate che da terra portavano fino alla cima. Dal basso non le avevano notate a causa della vegetazione ma ora era facile individuarle. Decisero di salire in cima alla piramide per vedere se era possibile accedere alla struttura. La piramide era alta circa cinquanta metri ed era composta da diversi livelli, sembravano cinque grosse piattaforme impilate l'una sull'altra e in cima, al centro dell'ultima piattaforma, vi era una grossa roccia piatta scolpita, una specie di altare, pensò subito frate Nicola. Purtroppo da lassù non era possibile entrare all'interno della costruzione. Avrebbero dovuto esplorare tutte le pareti con calma per cercare un qualche accesso secondario.

Il tramonto si avvicinava quando uno dei mozzi lanciò un urlo per richiamare l'attenzione del nostromo. Aveva trovato qualcosa. Una specie di stretto cunicolo si apriva a metà della parete ovest e sembrava penetrare all'interno della piramide per alcuni metri prima che il buio impedisse di vedere oltre.

- Solo un ragazzo o un uomo molto magro potrebbe pensare di entrare ad aesplorare quel cunicolo e di riuscire a uscirne vivo. Disse il nostromo rivolgendosi a frate Nicola sconsolato.

- Pensavo che forse uno dei giovani carpentieri forse potrebbe farcela. Mi sembra si chiami Andrea, ma è restato al campo base. Potremmo mandarlo a chiamare e se tutto va bene domani in tarda mattinata potremmo averlo qui da noi. Cosa ne pensate Vadino? Rispose frate Nicola, senza troppa convinzione.

- Vale la pena di provare. Chiamati due dei suoi uomini gli diede disposizioni affinchè rientrassero al campo e riferissero al Capitano le scoperte e le loro esigenze. Sarebbero dovuti tornare la mattina dopo con il carpentiere che si chiamava Andrea.

I due uomini partirono subito. Andando di buon passo con un po' di fortuna sarebbero arrivati al tramonto.

Non sarebbe stato semplice entrare nella piramide e la luce cominciava a calare. Avrebbero ripreso l'esplorazione il giorno dopo con calma, sperando di trovare qualche altro passaggio più praticabile. Intanto gli altri uomini avevano terminato di appontare il riparo e avevano preso alcuni esemplari di grossi animali che assomigliavano a grossi conigli selvatici e che avrebbero fatto da cena per quella sera.

Mangiarono con gusto e poi andarono tutti a dormire. Dell'erba gettata in terra avrebbe fatto da giaciglio e una vecchia coperta di lana li avrebbe protetti dal freddo della notte. Il fuoco ardeva al centro della capanna e alcuni rami freschi sarebbero serviti a chiudere l'ingresso di quell'improvvisato rifugio. La stanchezza era tanta e tutti si addormentarono pesantemente.

Frate Nicola e il nostromo si sedettero vicino al fuoco e passarono una mezz'ora a chiacchierare del loro viaggio. Vadino Doria era poco più grande di frate Nicola. Doveva avere trentacinque o trentasei anni. Apparteneva ad una importante e famosa famiglia genovese che vantava molti avi nella marina e nel commercio. Da piccolo aveva sempre avuto come esempio da seguire uno zio materno che era un Capitano della marina genovese. Sin da piccolo aveva viaggiato con lo zio attraversando il mediterraneo in lungo e in largo. Nonostante la sua giovane età conosceva i venti e le stelle meglio della propria città e se qualcuno poteva guidarli attraverso l'oceano quello era proprio lui. E così era stato! Ora dava dimostrazione di essere anche un buon comandante, tranquillo ma deciso e autorevole, gli uomini lo rispettavano anche più del Capitano. Il Capitano era temuto, Vadino invece era amato e rispettato. Si erano appena sdraiati ai piedi del fuoco quando sentirono un fruscio subito fuori dall'accampamento li fece alzare di colpo. Vadino afferrò la sua sciabola e frate Nicola raccolse un grosso bastone da terra. Era meglio controllare che non si trattasse di qualche animale pericoloso. Svegliarono gli uomini dell'accampamento e armati di torce uscirono a controllare. Mentre rimuovevano i rami che chiudevano l'ingresso un ruggito li mise in allarme. Doveva essere un leone o un animale simile. Il buio non permetteva di vedere che a pochi passi e non era il caso di allontanarsi dal campo. Accesero altri fuochi nei dintorni e tornarono dentro l'accampamento, rinforzando il tetto e l'ingresso con alcuni tronchi raccolti la davanti.

- Sarà meglio se qualcuno resta di guardia questa notte– disse Vadino rivolgendosi ai suoi uomini – turni da due ore. Il primo turno è il tuo Giovanni. Disse Vadino ad uno dei suoi che sembrava più riposato.

- Io gli faccio compagnia – disse frate Nicola –tanto non ho più sonno.

Stabiliti i turni di guardia gli altri tornarono a dormire. La notte era ancora lunga e il giorno dopo avrebbero dovuto proseguire la loro esplorazione e dovevano riposare, per quanto possibile.

La notte proseguì senza altri problemi. Il grosso animale si era fatto sentire qualche altra volta ma sempre più in lontananza. Evidentemente il fuoco ed i rumori lo avevano spaventato. Il resto della notte passò tranquilla e gli uomini poterono finalmente riposare.

Vai al Cap. V: L'agenda
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 23 marzo 2014

I custodi della storia (Cap. III) - Un'occasione mancata

In quei primi anni di studio mi ero appassionato sempre più alla storia antica. Avevo seguito il corso che più mi si attagliava, l'archeologia e la storia degli antichi popoli mediorientali era il nucleo centrale del mio corso di studi ma mi ero interessato anche delle culture primitive centroamericane senza perdere occasione di approfondire la storia della mia isola nei ritagli di tempo sfruttando le enormi risorse della biblioteca.
La biblioteca era quasi la mia seconda casa, almeno per numero di ore passate al suo interno. Era enorme, custodiva decine di migliaia di libri la cui consultazione era abbastanza semplice per gli studenti. Divenni quasi subito buon amico dei bibliotecari e spesso mi lasciavo guidare da loro nella scelta dei libri su cui approfondire i miei studi.
Uno di loro si chiamava Andrea, aveva una decina d'anni più di me e lavorava li da quando si era laureato. Alto, biondo, colorito pallido, sembrava provenire dal nord Europa, invece era siciliano, di un paese in provincia di Enna che si chiama Nicosia. Era nato per fare il bibliotecario, diceva sempre, e lo faceva con passione. Fu proprio Andrea ad introdurmi nel mondo della biblioteca. Mi spiegò i vari metodi di classificazione dei libri, come trovare velocemente ciò che mi serviva consultando gli indici per titolo ed autore, mi illustrò la disposizione dei libri sugli scaffali. Tutte cose di comune utilità per un bibliotecario, ma non solo. Andrea era innamorato dei libri, erano tutta la sua vita, sin da bambino per cui mi raccontava la storia dei libri a stampa o i metodi di rilegazione come ai bimbi si raccontano le fiabe. Le sue conoscenze erano veramente enormi e quando si aveva bisogno di sapere qualcosa su una particolare edizione di un certo libro bastava chiedere a lui e raramente la richiesta non veniva soddisfatta! Fu lui che mi suggerì di studiare i testi antichi possibilmente nella lingua in cui erano stati scritti in origine. Diceva infatti che ogni traduzione mascherava il testo originale non solo con una lingua diversa ma anche con la cultura di chi lo traduceva e del periodo in cui ciò veniva fatto.
Così, per migliorare le mie conoscenze linguistiche frequentai dei corsi paralleli di lingua greca antica e di ebraico senza trascurare le lingue moderne, inglese e francese, che mi sarebbero state utili per seguire i colleghi studiosi degli altri paesi.
Mi laureai con una tesi sulla storia antica dei Caldei e mi iscrissi immediatamente al Dottorato di ricerca. Il mio professore, Claudio, divenne il mio mentore e quasi il fratello maggiore che non avevo mai avuto.
Claudio era basso di statura, leggermente sovrappeso e con i capelli grigi. Indossava sempre un paio di occhiali a fondo di bottiglia che lo facevano assomigliare ad un vecchio topo di biblioteca. Sotto il braccio destro portava sempre un vecchio tomo dalla copertina rossa, solo più tardi scoprii trattarsi della sua agenda personale di cui era estremamente geloso e su cui prendeva appunti sulle novità e scoperte della storia che più lo incuriosivano. La sua vita sociale era inesistente, a meno che non si voglia considerare tale la sua frequentazione della biblioteca dell'istituto. Non era sposato e raramente si allontanava per andare a trovare l'anziano padre che viveva solo a Pavia. Passammo assieme un fine settimana a Pavia, durante il quale approfittai per visitare la Certosa.
Claudio era un grande studioso, intelligente, paziente, con l'animo del ricercatore e una enorme passione per l'insegnamento, cosa non comune neanche tra gli insegnanti migliori. Anche da professore infatti non si tirava mai indietro e conduceva le sue ricerche in prima persona facendosi sempre promotore di nuove iniziative culturali. Era difficile non innamorarsi della storia antica con un professore come lui e infatti il suo corso era sempre il più seguito.
Solitamente il sabato pomeriggio ci si incontrava nella biblioteca e scelto un volume antico tra le migliaia di titoli disponibili, i partecipanti si alternavano nella sua lettura ad alta voce e poi si discuteva ciò che si era letto. Poteva sembrare una attività da scuola superiore ma così non era, in questo modo noi studenti approfondivamo la conoscenza delle lingue antiche e degli autori classici e allo stesso tempo imparavamo a conoscerci meglio.
La vita da dottorando proseguiva tranquilla tra studi, lezioni e lavoro da portinaio. Non mi potevo certo lamentare anche se quando avevo lasciato la mia terra aspiravo a qualcosa di più.
Poi, un giorno, Claudio mi chiamò per telefono annunciandomi di aver fatto una scoperta che avrebbe cambiato non solo la sua vita ma – disse – il mondo intero. Disse che avrebbe avuto bisogno di qualcuno che gli desse una mano perché ci sarebbe stato molto lavoro da fare e voleva che quello fossi io, mi chiese di diventare suo assistente. Io non riuscivo a crederci, ma accettai immediatamente.
- Certo Claudio, sai che puoi contare su di me. Ma cosa dovrò fare? Di cosa mi dovrò occupare?
- Alessandro, ne parliamo al mio rientro a Milano. Ora ho fretta e non posso stare al telefono. Puoi venire a prendermi all'aeroporto?
- Certamente, a domani sera Professore. Mi capitava spesso di chiamarlo ancora professore nonostante ci conoscessimo da diversi anni e fossimo ora buoni amici.
Mi avrebbe raccontato tutto al suo rientro a Milano, sarei dovuto andare a prenderlo il giorno dopo, a Malpensa alle 22.00, scalo internazionale.
Claudio negli ultimi due anni si era assentato diverse volte per lavoro, stava svolgendo alcune ricerche nel sud America ma non mi aveva mai parlato di questi suoi studi. Quando facevo qualche domanda rispondeva sempre evasivamente e dopo un po' avevo pensato che fosse meglio non fare domande sull'argomento. Ma ora cambiava tutto. Se aveva bisogno di un assistente avrebbe dovuto spiegarmi di cosa si stava occupando e del perché di tanta segretezza.
Passai la serata in compagnia di alcuni amici nel pub irlandese che si trovava vicino a casa cercando di non pensare troppo al futuro. Diventare assistente di Claudio mi inorgogliva ma allo stesso tempo significava che avrei dovuto lasciare il mio lavoro da portiere. La cosa mi dispiaceva in fondo. Il lavoro non era pesante, mi piaceva e mi piacevano soprattutto i condomini. Col tempo avevo imparato a conoscerli bene. Oltre l'avvocato vi erano altre undici famiglie che mi avevano quasi adottato. Mi sentivo un po' in colpa, ma non potevo rinunciare all'opportunità di diventare assistente di Claudio. Magari avrei potuto cercare un ragazzo del primo anno che avesse bisogno di lavorare e presentarlo all'avvocato. Poi sarebbe stato lui a decidere.
Quella notte andai a letto tardi, non riuscivo a prendere sonno e così passai alcune ore leggendo un libro.
Il giorno dopo come al solito andai all'università. Il tempo sembrava non passare mai.
Quella sera come al solito pioveva.
Si trattava di una pioggerellina sottile e fastidiosa e il vento pungente proveniente dalle Alpi si sentiva nelle ossa, la nebbia fitta inoltre rendeva le strade della periferia milanese molto pericolose.
Decisi di uscire di casa con largo anticipo e arrivai all'aeroporto mezz'ora prima del previsto atterraggio. Fortunatamente trovai parcheggio proprio di fronte agli arrivi internazionali così evitai di bagnarmi troppo. Trovai un posto libero nella grande sala antistante gli arrivi e nell'attesa lessi qualche pagina della biografia di Isaac Newton. Un bel libro, ma la mente non faceva altro che pensare alle parole del professore e poi il freddo della sera non mi lasciava un attimo.
Lasciai perdere la lettura e cominciai a guardarmi attorno alla ricerca di un bar. Mi alzai e decisi di attendere l'arrivo del volo gustando una tazza di cioccolata calda e cercando di trovare le risposte alle tante domande che mi passavano per la mente.
Ero curioso di sapere a cosa andavo incontro. Per telefono il professore era stato evasivo, ma dalla sua voce intuivo che doveva trattarsi di qualcosa di straordinario. Non l'avevo mai sentito così entusiasta come la sera prima, al telefono.
Avevamo parlato tante volte di misteri della storia che affascinavano entrambi che vi era solo l'imbarazzo della scelta. Ancora pochi minuti e avrei saputo di che si trattava.
Un allarme fastidioso mi richiamò alla realtà.
Non vi era stato alcun annuncio ancora ma diversi passeggeri si erano diretti verso le vetrate che davano su una delle piste e parevano visibilmente agitati. Mi resi conto che sotto il brusio generale si sentivano in lontananza le sirene dei vigili del fuoco. Doveva essere accaduto qualcosa.
Qualche istante dopo una folla di gente si affacciava alle vetrate che davano sulla pista. Un bagliore rosso fuoco la illuminava a giorno e le esplosioni si succedevano spaventose.
Un 747 in fase di atterraggio con i suoi centosettanta passeggeri era andato a impattare sulla pista esplodendo all'istante. Nessun sopravvissuto!
Il mio Professore, l'amico Claudio, avrebbe portato il suo segreto con se, nella tomba, per sempre.

Vai al Cap. IV: Terra!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO