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domenica 14 maggio 2017

Solimano il Magnifico, di Fairfax Downey

Vi sono libri di storia che cercano di rendere al meglio un'epoca, un periodo dell'umanità, non sempre riuscendo nell'intento. Vi sono altri libri che, avendo come intento dichiarato quello di raccontare un uomo, riescono a fare di più, descrivendo magnificamente un'epoca! A questa seconda categoria appartiene la biografia di Solimano, scritta da Fairfax.
Solimano il Magnifico, figlio di Selim il Crudele, decimo della dinastia degli Osmanli o Ottomani, sale al trono nel 1520 come "Sultano degli Ottomani, Rappresentante di Allah sulla terra, Signore dei Signori di questo mondo, Arbitro  e Padrone dei destini umani, Re dei Credenti e degli Infedeli, Sovrano dei Sovrani, Imperatore dell'oriente e dell'Occidente, Capo degli Alti Dignitari, Principe della Felicissima Costellazione, Sublime Cesare, Suggello della Vittoria, Rifugio di tutte le genti, Ombra dell'Onnipotente che dispensa la pace e la tranquillità sul globo."
Lo accolsero festanti i Giannizzeri, agli ordini dell'Agha che li precedeva.
Accompagnato da questo poderoso corpo di guerrieri Solimano fa il suo ingresso a Costantinopoli, sede dell'Impero Romano d'Oriente e poi dei Sultani Osmanli da quando, il 29 maggio 1453, Mohammed II il Conquistatore se ne impadronì.
La città risplendeva di colori. Una legge aveva decretato che le case dovevano essere tinte secondo la religione di chi vi abitava: giallo e rosso per i turchi,, grigio chiaro per gli armeni, grigio scuro per i greci, porpora per gli ebrei, bianco per gli edifici pubblici e sacri.
Il padre Selim gli aveva lasciato il compito di utilizzare le sue armate per conquistare la Cristianità!
Come spesso accade, il passaggio di potere da una generazione all'altra non è indolore. Una rivolta scoppiò in Siria. Ghasali Bey chiamò a se mammalucchi e arabi e conquistò Damasco e Beirut pensando di poter sfidare impunemente il giovane sultano.
Solimano però non si fece sorprendere, inviò immediatamente il suo esercito sotto la guida di Ferhad Pascià. Questi affrontò e sconfisse i ribelli sotto le mura di Damasco. Ghasali Bey fu ucciso e la rivolta sedata nel sangue.
Ora, avendo chiarito a tutti chi comandava, era tempo di dichiarare guerra alla Cristianità: l'Ungheria divenne il suo obiettivo. Il pretesto per l'attacco lo ebbe quando il Re Luigi II d'Ungheria fece torturare e uccidere un suo ambasciatore colpevole di aver chiesto il pagamento di un tributo per il suo Re. In vece del tributo richiesto Luigi II ricevette indietro orecchie e naso del suo Ambasciatore come chiaro messaggio che preannunciava l'imminenza della guerra.
L'esercito fu approntato. Gli Akinji (cavalleria leggera turca) si spingevano in avanti devastando i territori ungheresi. Seguiva la fanteria, gli Azab, i Giannizzeri e in coda i Deli o Teste Matte, per i loro capelli svolazzanti sotto berretti di pelle di leopardo, leone o orso; e poi vi erano i soldati della Rumelia e Anatolia, la cavalleria regolare (i Sipahi). 
I Dervisci, seminudi, correvano tra le truppe incitando alla guerra urlano brani tratti dal Corano.
L'esercito di Solimano era armato di pistole, pugnali, scimitarre, scuri, mazze, archi e frecce, artiglieria e polvere da sparo.
Per Solimano la logistica era forse la parte più importante dell'esercito. Sapeva bene che da essa dipendevano gli esiti di una campagna militare.
I Giannizzeri custodivano una bandiera bianca con una scritta tratta dal Corano e una spada fiammeggiante, lo stendardo a tre code di cavallo dell'Agha e i paioli, simbolo del loro diritto a ricevere gli alimenti da parte del Sultano!
I Giannizzeri erano le truppe scelte del Sultano sin da quando, nel lontano 1328, il fratello del sultano Orkhan aveva pensato di formare un corpo scelto costituito da cristiani, per combattere i cristiani. Catturati, ricevuti come tributo o comperati da ragazzi, venivano circoncisi e istruiti alla pratica della guerra e a servire il loro signore. Furono chiamati Yeni Tcheri, cioè "Nuovi Soldati", da cui il nome col quale vennero conosciuti in Europa:Giannizzeri.
Da loro dipendevano le fortune dei sultani Ottomani così come le sfortune!
L'esercito si presentò sotto le mura di Belgrado dove i cannoni turchi aprirono delle brecce. La Porta dell'Ungheria veniva conquistata e i suoi ultimi difensori, arresisi dietro la promessa di aver salva la vita, furono invece massacrati.

Nel corso della sua lunga vita Solimano più volte si trovò di fronte un nemico instancabile: i Cavalieri di San Giovanni, allora insediati a Rodi erano una spina nel fianco per il suo Impero.
Il loro Gran Maestro era Filippo Villiers de l'isle Adam.
Era il 6 giugno 1522 quando l'esercito di Solimano si presentò al largo dell'isola di Rodi.
Poco tempo prima Solimano aveva scritto una lettera al Gran Maestro in cui, neanche tanto velatamente, lo invitava a rallegrarsi per le sue vittorie contro l'Ungheria: "Sono lieto della tua elezione e della sovranità a cui sei stato innalzato e desidero che tu possa goderne a lungo e felicemente. E per questo spero che tu sappia superare in onore e lealtà tutti coloro che prima di te hanno esercitato il loro dominio a Rodi. E come i miei antenati si sono sempre astenuti dal toccarli, così io, seguendo il loro esempio, intendo mantenere con te rapporti di buon accordo e di perfetta amicizia. Rallegrati dunque, amico mio, e godi anche della mia vittoria e del mio trionfo: poichè l'estate scorsa, attraversando il Danubio, a insegne spiegate, vi aspettai il Re d'Ungheria, convinto che volesse darmi battaglia. Espugnai e strappai dalle sue mani Belgrado, la più forte città del suo regno, con altre località potentemente munite; e dopo aver annientato col ferro e col fuoco grandi masse di combattenti e trascinata molta gente in schiavitù nel mio ritorno di  conquistatore in trionfo, ho sciolto il mio esercito, ritirandomi nella mia sede imperiale di Costantinopoli. E da questa città ti saluto."
Il Gran Maestro prese la lettera come un avvertimento dell'approssimarsi della guerra e cominciò i preparativi rafforzando le difese dell'isola.
Seicento cavalieri e undicimila tra fanti, arcieri, cittadini e contadini dovettero affrontare l'assedio di circa centoquindici mila turchi! A capodanno Rodi era di Solimano.
I cavalieri resistettero per mesi e alla fine, per il coraggio e l'ostinazione dimostrata, Solimano concesse ai cavalieri superstiti la facoltà di lasciare l'isola con le armi, coi propri averi e con tutti i cittadini che volessero seguirli. Coloro tra gli isolani che invece gradivano restare potevano farlo, mantenendo i loro averi, la qualità di uomo libero e la propria religione!

Conquistata Rodi era tornato il momento di riprendere i conti con l'Ungheria. La vita di Solimano era votata alla conquista del mondo, come i suoi predecessori.

In più di una occasione dimostrò il suo sangue freddo affrontando in prima persona la furia dei suoi stessi soldati. La sua sola presenza era sufficiente a ristabilire l'ordine come a spingerli all'estremo sacrificio.
Eppure, quando la sua stella tramontò, il 29 agosto 1566, quasi cinquant'anni dopo la sua ascesa al potere, l'impero turco si avviava verso la dissoluzione anche a causa dei suoi errori.
A Solimano il Magnifico seguì suo figlio Selim, non all'altezza del suo ruolo. Solimano lasciò al suo successore un impero la cui prosperità non aveva paragoni, ma minato alla base da alcuni errori: la sua assenza alle sedute del Divano (l'equivalente del Consiglio dei Ministri), l'assegnazione di alte cariche a persone che non avevano percorso tutta la scala gerarchica, la corruzione generalizzata e la mal riposta fiducia nei suoi parenti più prossimi, la schiava-moglie Rosselana e i suoi figli.

Un bellissimo libro, da leggere e conservare nella propria biblioteca per  approfondire personaggi e avvenimenti di quell'epoca.

Alessandro Rugolo

L'arte della ceramica a Porto Torres si chiama Budroni

Se si percorre via Sassari fino al centro, che poi diventa via Vittorio Emanuele II, dirigendosi verso la torre Aragonese, sulla sinistra poco prima della chiesa si può notare un negozio unico per tipologia di merce esposta: le ceramiche.
L'autore di questi gioielli artistici si chiama Fabrizio Budroni.
"La mia è una passione che ha avuto inizio più di trent'anni fa. Ero ragazzo. Ho frequentato l'istituto d'arte dedicandomi alla ceramica. Poi ho iniziato a lavorare, a Muros, presso un ceramista. Il lavoro mi appassionava. Per migliorarmi ho frequentato alcuni corsi in Toscana e in Umbria e così ho iniziato questa bella esperienza."
Fabrizio parla poco, come tutti i sardi preferisce che a parlare per lui siano le sue opere, ispirate ai temi della tradizione della Sardegna quali la pavoncella, senza però disdegnare soggetti più moderni. 
Le figure della tradizione sono spesso rielaborate, rivisitate secondo gusti più moderni.

In negozio c'è Cristian, ad accogliere i clienti e mostrar loro le opere tutte diverse che escono dal laboratorio del fratello maggiore.

Bellissimo il cavallino stilizzato,



Stupendo il polpo nero!


Ogni angolo è un tripudio di oggetti di tutte le forme e di tutti i colori e non è sufficiente un solo giro per distinguerli tutti.


Grazie Fabrizio, per la tua arte.

Appena possibile torneremo a trovarti, magari per frequentare uno dei corsi che organizzi presso il tuo laboratorio.

Alessandro Rugolo e Giusy Schirru

giovedì 11 maggio 2017

Le ossa del drago

Camminavamo assieme come ogni sera lungo la pista ciclabile di Porto Torres.

Il mare era mosso e le onde si infrangevano rumorosamente sugli scogli sollevando schiuma bianca che ricadeva sulla roccia nuda.

Ci fermammo un attimo ad osservare il mare.

Di fronte a noi si stagliavano, immerse nella foschia, quasi irreali, le cime dell'isola dell'Asinara.

- Guarda! - dice mia moglie - sembrano galleggiare sul mare.
La foschia in cui l'isola era immersa faceva si che sembrasse galleggiare 
nell'aria.
- Si, hai ragione, è molto bella. Faccio una foto...

Ci fermammo un attimo, il tempo necessario per scattare qualche foto e stavamo per riprendere la camminata quando dietro di noi si fermò un vecchio.

- Bella vista, vero? - disse, rivolgendosi a noi in sardo, ma con un accento particolare.
- Si, fantastica...
- Quelle sono le ossa del drago. - aggiunse il vecchio indicando le cime dell'isola che emergevano dalla foschia. 

Era impossibile non notare la sua pelle scura e secca. Il viso era raggrinzito come una prugna secca e sulle labbra e sulla fronte i segni del tempo erano incisi in profondità. Doveva avere almeno... novant'anni, pensai!
Eppure niente nei suoi movimenti denotava stanchezza o vecchiaia.
Gli occhi erano neri e lucenti, profondi. Di bassa statura, spalle robuste, braccia ancora spesse e muscolose spuntavano da una vecchia maglietta pulita ma consumata dal tempo.
Si era fermato a guardare l'isola, affianco a noi, con quei suoi occhi antichi.
- Scusate - mormorò a bassa voce, e fece per andar via.
- Perchè dite che quelle sono le ossa del drago? - Domandò mia moglie incuriosita più dalla figura del vecchio che dalle sue parole - Cosa significa?

Il vecchio si era già girato di spalle, pronto ad allontanarsi silenziosamente come era arrivato. La domanda lo sorprese, forse, perchè si fermò di scatto e voltatosi, ci guardava fisso, prima lei, poi me, poi di nuovo lei... come se fosse indeciso su cosa dire.

- Volete sentire una storia antica?
- Si, naturalmente! - disse mia moglie, mettendosi seduta nella panchina che stava proprio affianco a noi e porgendo al vecchio la mano. Io sono Giusy...
- ed io Alessandro.

- Bene, allora ascoltate... - e cominciò a raccontare, con la sua voce profonda da vecchio...

- Ci fu un tempo in cui la terra era molto diversa da come la conosciamo oggi. Il mare non era così grande, le montagne erano giovani ed alte. Il paese, qui dietro, non era altro che un piccolo villaggio di capanne di pescatori che si stendeva laggiù - e indico il mare di fronte a noi - e tutta questa terra era una unica distesa di boschi di querce.
Era estate ed il mare era calmo. Era liscio come l'olio, e molti pescatori erano usciti al largo con le loro barche. Si pescava bene in quei giorni, splendide orate, spigole, scorfani e sardine abbondavano. Gli uomini rispettavano il mare e il mare rispettava gli uomini. Non come oggi... - e mentre raccontava gli occhi gli si illuminavano, come se parlando rivivesse quei momenti passati con rimpianto. Aveva un suo modo di parlare che aveva qualcosa di particolare, di affascinante. La pelle della fronte si aggrottava e distendeva, mentre parlava. Tutto il suo corpo si tendeva mentre si concentrava per cercare di ricordare. Sembrava quasi che lui fosse stato li presente, protagonista della sua storia.

- Dai vostri sguardi capisco che possiate non credermi, non vi chiedo di credermi, ma ora ho iniziato... abbiate pazienza ed ascoltate le farneticazioni di un vecchio pescatore.

- La vita scorreva tranquilla. Ogni giorno il sole sorgendo illuminava gli uomini intenti nelle loro occupazioni. C'era chi pescava, chi esercitava la professione di medico, chi allevava bestiame, chi panificava. I bambini andavano a scuola e, per prima cosa, imparavano come si deve rispettare la natura. I capi delle comunità, oggi diremo i sindaci, si occupavano del benessere di tutti e avevano una grande cura delle cose di tutti. Il loro compito era far si che ciò che il paese aveva ricevuto dai loro avi e predecessori venisse passato integro ai figli e ai figli dei loro figli.

Le parole avevano un suono familiare. Non conoscevamo il vecchio ma era come se fosse stato sempre di famiglia. Era come se uno dei nostri nonni fosse tornato in vita e noi, bambini, lo ascoltavamo in riverente silenzio...

- Le guerre erano rare. Era da tempo che nell'isola non si avevano più problemi con i pirati. Gli ultimi erano stati scacciati definitivamente in una grande battaglia sul mare, dove oggi c'è la spiaggia di Stintino e le nuove generazioni non avevano idea di cosa significasse combattere per la propria sopravvivenza. Forse ciò fu causa, almeno in parte, di ciò che accadde dopo.
Una mattina, all'alba, per le strade della città antica risuonò potente e incessante la sirena dell'allarme. Uomini e donne si precipitarono per strada, non più abituati a sentire il sibilo della sirena. I vecchi, nonostante gli acciacchi, furono i primi a riversarsi per strada. Prendevano con se solo un soprabito pesante e una fiasca d'acqua, incitando i giovani a fare come loro e con quel carico leggero si dirigevano verso gli ingressi che portavano sotto terra. Di questi ingressi ormai non è restato più niente a vista, infatti il mare li ha ricoperti tutti e molti sono crollati.

Il vecchio si fermò un attimo ad osservare il mare sotto di noi, quasi potesse vedere cose che noi non vedevamo. Il suo sguardo era fisso verso la chiesetta di Balai vicino.

- Immagino che gli ingressi si trovassero dove oggi si trovano le profonde fenditure nella roccia. - Disse mia moglie indicando le spaccature che mettono a rischio la tenuta della strada che costeggia Porto Torres.

- Si, laggiù c'era l'ingresso principale e da quassù avreste visto migliaia di persone che senza mai voltarsi si dirigevano a passo veloce nelle profondità della terra. Molti di loro non sapevano come comportarsi ma i più anziani gli davano l'esempio. Per i bambini era tutto più semplice. Per loro era quasi come un gioco. A scuola gli veniva insegnato che dovevano prendersi per mano e seguire gli adulti, in silenzio, e così facevano.

Poi c'erano gli altri, quelli che avevano dei compiti specifici da assolvere. C'era chi era incaricato di provvedere ai viveri per tutti; un piccolo gruppo di uomini e donne erano incaricati di ciò. Si diressero verso i camini in pietra disseminati per il paese e grazie a grossi cesti vi calarono dentro tutto il pane fresco, verdure, frutta e formaggi  che trovarono nei banconi dei negozi, quindi anche loro si misero in salvo. Questi camini in pietra oggi non esistono più, sono stati distrutti dal tempo che riduce in polvere le pietre come i ricordi.
E infine c'erano i sacerdoti. Anche loro avevano il loro bel da fare.
I più giovani si misero subito a disposizione dei più vecchi. Avevano bisogno della loro guida per compiere tutte le operazioni che avevano studiato sui testi sacri ma mai messe in pratica. Ognuno di loro aveva il suo compito, ma il più importante era il Grande Padre, colui che aveva la responsabilità di tutte le operazioni per il risveglio, colui che non poteva essere sostituito perchè ne nasceva solo uno ogni mille anni e il suo destino era segnato sin dalla nascita.

- Il grande padre? Risveglio? Ma di cosa sta parlando? - Dissi a voce bassa all'orecchio di mia moglie, un po spazientito...
- Shhh! - Mi rispose lei - lasciami ascoltare!

Era un vecchio dalle rughe profonde che solcavano la sua fronte ampia. La pelle scurita dalle tante stagioni passate lo faceva somigliare ad una mummia di quelle che si vedono nei musei. Ma la sua mente era sveglia, i suoi occhi attenti, lo spirito presente in ogni momento, la voce potente...
Era circondato dai suoi dieci allievi. Un giorno uno di loro, solo uno, avrebbe preso il suo posto. Fortunato e sfortunato allo stesso tempo, avrebbe visto gli anni scorrere a fiumi, i suoi amici sarebbero invecchiati e morti, con loro sarebbero scomparsi i suoi affetti più cari...

Le operazioni si susseguivano senza sosta, la voce cantilenante del Grande Padre risuonava per tutto il paese diffondendo quel senso di sicurezza che tanti secoli di storia assicuravano. Il rumore di antichi ingranaggi rimessi in movimento dopo tanti anni risuonava nell'aria e la polvere del tempo si sollevava dalle colline e si diffondeva nell'aria ricoprendo i tetti delle case di un sottile strato lucente.
In lontananza si intravvedevano le sagome di navi da battaglia. Alcune solcavano il mare, le più grandi, altre volavano nell'aria, leggere.
Il Grande Padre sapeva di non avere più molto tempo ma non poteva far altro che ripetere quelle operazioni che aveva imparato tanti anni prima e che aveva già messo in atto diverse volte in passato. Non avrebbe modificato una sola operazione, non avrebbe cambiato una sola parola del suo cantilenante ritmo.

Il difensore intanto si risvegliava. 
La testa affusolata era già emersa dalla polvere, le sue spalle possenti la sostenevano, centinaia di metri al di sopra dei tetti delle case più alte. La polvere continuava a cadere sui tetti dando l'idea di un paese abbandonato da tempo. 

Poi, il Grande Vecchio si fermò! Smise per una attimo di cantare, solo per un attimo, per poi riprendere con una nenia del tutto differente. Mentre prima doveva risvegliare il difensore, ora doveva guidarlo in battaglia, contro il nemico che era sempre più vicino. Il ritmo si fece più incalzante, la voce più profonda e potente che mai. Suoni minacciosi come rombi di tuono riempivano l'aria. Lampi di fuoco colpivano la terra e il mare circostante, senza però nuocere gli uomini che oramai, compiuto il loro dovere, erano riparati nei rifugi. Solo il Grande Padre, con i suoi dieci giovani aiutanti, proseguiva nel suo lavoro, mettendo a rischio la propria vita per la salvezza di tutti gli altri. 

Il vecchio continuava il suo racconto. 
La voce roca e profonda aveva un effetto quasi soporifero su di noi eppure le parole risuonavano chiare nella nostra mente. In lontananza la sagoma dell'isola dell'Asinara sembrava prendere vita e rizzarsi su zampe possenti a difesa del porto e della cittadina di Porto Torres.
Io e mia moglie sembravamo in trance...

Poi si udì un boato spaventoso. Una colonna di fuoco e polvere si sollevò proprio di fronte al paese, dove oggi c'è il porto. In lontananza un rombo di tuono, continuo, si avvicinava minaccioso, portando con se il terrore della forza della natura violenta. Il mare si riversò sul paese, lungo le strade, dentro i camini di pietra, fin nelle viscere della terra. 
Il Grande Padre e il difensore sembravano inermi di fronte all'ondata distruttiva. Il nemico era stato colpito anch'esso. Le grandi navi in balia delle onde vennero rovesciate. I vascelli volanti, sorpresi alle spalle dall'onda gigantesca non fecero in tempo a sollevarsi e furono travolti.
Fu un giorno terribile...

Mentre pronunciava queste parole, il vecchio piangeva, come se, ancora una volta, rivivesse quei terribili istanti.

Poi il difensore, sentendo il pianto del Grande Padre per la distruzione che lo circondava, prese l'iniziativa. Ritto sulle sue enormi zampe si frappose tra il paese ed il mare, trattenendo quell'enorme onda, impedendo che raggiungesse l'ingresso principale dei sotterranei.
Il difensore si distese di fronte al paese formando una enorme catena montuosa che col tempo e con il crescere delle acque si trasformò in un'isola, l'isola dell'Asinara. 
Quelle che oggi vedete, confuse nella foschia, non solo altro che le ossa di un vecchio difensore, sacrificatosi per il paese... le ossa del drago!

Alzammo gli occhi di fronte a noi. 
Le gobbe dell'isola sembravano ciò che restava di un gigantesco drago, ormai a riposo.
Ci girammo intorno ma il vecchio, così com'era arrivato, silenziosamente era sparito, lasciandoci nel cuore il senso di tristezza e solitudine di una giornata umida e ventosa...

Alessandro Rugolo e Giusy Schirru

domenica 7 maggio 2017

Jean Dominique de Larrey, il chirurgo di Napoleone e inventore del “Triage”


E' impossibile fare riferimento al Primo Soccorso in caso di eventi “catastrofici”, di qualunque natura ed origine, in cui il numero delle vittime superi di gran lunga quello dei soccorritori, senza ricordare l'inventore del Sistema per affrontare in termini di efficacia, efficienza ed economicità questo tipo di eventi avversi caratterizzati dalla discrepanza tra richiesta ed offerta di assistenza. 
Come spesso accade nella storia umana, da fatti drammatici e sanguinosi, di esclusiva responsabilità antropica come le guerre, sono derivate competenti e felici intuizioni di uomini e/o donne “speciali” circa il modo di affrontare, “domi bellique” (in pace come in guerra), i devastanti effetti di situazioni critiche che con la guerra poco o nulla hanno a che spartire! Se oggi sappiamo come affrontare al meglio disastri ad elevata magnitudo d'impatto lo si deve ad uno di questi “benemeriti”: Jean Dominique de Larrey.
Egli nacque l'8 luglio 1766. All'età di tredici anni iniziò gli studi di medicina. Giunto a Parigi verso la fine del 1787, fu selezionato come chirurgo ausiliario imbarcato sulla fregata “La Vigilante”. Le cure fornite nei casi di malattia e le precauzioni da lui adottate circa l'igiene durante il viaggio ottennero un tale successo che, al suo rientro, la nave non aveva perso un solo uomo!
Quando, nel 1792, la Francia entrò in guerra contro l'Austria, il Cittadino Larrey rispose alla Leva in Massa per soccorrere “La Patrie en danger” (la Patria in pericolo), where ideology "not only mobilized manpower for the regular armies, but also inspired ordinary people to fight on their own account.”1. Fu nominato Capo-chirurgo dell'esercito del Reno. 
Qui entrò per la prima volta a contatto con il mondo militare rimanendo profondamente colpito dal divario esistente tra le necessità reali e l'organizzazione effettiva del sistema. Questa discrepanza era tanto più evidente nella cura e trasporto dei feriti attuato con carri che arrivavano sul campo di battaglia addirittura giorni dopo lo scontro. Al loro arrivo, gli uomini feriti gravemente erano ormai quasi tutti morti. In tali circostanze i comandanti divennero più che mai interessati a preservare la loro forza numerica e i servizi sanitari militari assunsero un'importanza del tutto nuova nell'economia di guerra. Per porre fine a tali situazioni, Larrey ideò un sistema di ambulanze “volanti” con cui i chirurghi militari potessero seguire tutti gli spostamenti delle truppe e dare aiuto immediato ai feriti. Avendo a disposizione un simile sistema, Larrey ebbe la possibilità di organizzare il primo sistema di triage direttamente sul campo di battaglia. I feriti potevano o essere trattati sul posto (attualmente si parla di “stay & play”) ed, eventualmente, essere immediatamente rispediti a combattere, o recuperati e trasportati (“scoop & run”) in tempo utile presso le strutture sanitarie arretrate. Ogni ambulanza venne specificamente progettata e dotata di personale medico e paramedico e di materiali di primo soccorso necessari secondo una politica di sgombero “ante litteram”.  Tale ambulanza funzionò come prima unità sanitaria di pronto soccorso.
Nell'arco di dieci campagne, Larrey operò costantemente sul campo di battaglia facendo notevoli scoperte ad esempio modificò la forma degli aghi di sutura per permetterne la migliore maneggevolezza, e avendo occasione di dimostrare, contro l'opinione di famosi Chirurghi, la necessità dell'amputazione immediata al fine di evitare l'insorgere di infezioni che molto spesso, a quel tempo, portavano alla morte. 
Nel 1796 fu nominato professore alla Scuola Militare di Medicina e Chirurgia a Parigi. Per gli strabilianti risultati ottenuti, lo stesso Napoleone volle Larrey alle sue dirette dipendenze durante tutte le successive campagne militari.
Il chirurgo quindi tornò al servizio attivo, partendo il 1º maggio 1797 verso l'Italia. Dopo aver visitato le provincie conquistate, Larrey ispezionò gli Ospedali e istituì in diverse città Scuole di chirurgia; organizzò le ambulanze e formò uno speciale Corpo Sanitario attagliato alle esigenze della “moderna” guerra “di popolo” ed alla politica espansionistica napoleonica. Tra il “piccolo Caporale” ed il suo Chirurgo in Capo, da questo momento in poi, si creerà un profondo legame.
Nel 1798 Larrey fu al seguito delle truppe napoleoniche in Egitto ed in Siria. Nel 1802 fu nominato Medico generale della Guardia dei Consoli, mentre, nel 1804, ricevette la croce di Ufficiale della Legion d'Onore e, nel 1805, fu nominato Ispettore Generale della Sanità dell'esercito.
Una volta Imperatore, Napoleone lo richiamò sul campo di battaglia: Larrey parteciperà alle battaglie di Ulm e Austerlitz, alle Campagne di Polonia, Spagna. A Wagram, dopo la battaglia, ricevette da Napoleone il titolo di barone. 
Nel 1812 venne nominato Chirurgo in Capo della Grande Armée con cui prese parte alla disastrosa campagna di Russia. In particolare nella battaglia alle porte di Mosca, privo di personale e di mezzi, cercò di riportare l'ordine stabilendo la sua ambulanza generale al centro della linea di battaglia, dove passarono ben due terzi dei feriti, praticando durante le prime 24 ore più di duecento amputazioni di uno dei quattro arti nonostante mancassero garze, coperte, forniture, uccidendo i cavalli per il nutrimento dei feriti, la cui maggioranza morì più tardi durante la ritirata.
Rimanendo fedele all'Imperatore, rientrò in Francia e lo seguì anche durante l'avventura dei “100 giorni” culminata nella sconfitta definitiva di Napoleone a Waterloo. Larrey seguì l'Esercito in ritirata. Fu catturato da soldati Prussiani e corse il rischio di essere fucilato. Lo stesso Comandante in Capo dell'Esercito prussiano, il Generale von Blucher, il cui figlio era stato salvato dal Chirurgo durante la Campagna d'Austria, impedì l'esecuzione e lo fece liberare.
Considerato come uno dei più devoti sostenitori di Napoleone, alla caduta dell'Imperatore, fu privato del suo titolo di Barone e della retribuzione di Ispettore Generale della Sanità militare; perse inoltre le pensioni e il reddito da parte della Legion D'Onore. Conservò soltanto il posto di Capo Chirurgo all'Ospedale militare.
Nel 1818 una legge lo reintegrò e ciò gli diede il coraggio di ricostruire la sua scuola. Pubblicò un quarto volume delle sue Campagne, scrisse il trattato di "Clinica Chirurgica", nel 1820 fu eletto Membro dell'Accademia di Medicina e nel 1829 fu chiamato all'Accademia delle Scienze. 
Dopo un viaggio in Belgio nel 1832 per organizzare il servizio sanitario militare di quel Paese, riprese il posto di Capo chirurgo all' Hôtel des Invalides di Parigi e fu nominato Membro del Consiglio Generale della Sanità.
Morì di ritorno da un viaggio di studio in Algeria, il 25 luglio 1842. La sua statua in bronzo si trova nel cortile esterno dell'Ospedale militare di Parigi. 
Larrey ha lasciato al mondo della Medicina diverse opere, nate soprattutto da una serie di osservazioni dirette durante il servizio medico attivo sui campi di battaglia.

1Townshend C. The Oxford History of Modern War. p. 177 ISBN – 0 – 19 – 280645 – 9

Bibliografia:
  • Bayle M.M., Thillaye, Biographie Médicale par ordre chronologique d'après Daniel Leclerc, Eloy, etc., Tome second, pp. 837-844, Parigi, Adolphe Delahays Libraire, 1855.
  • Bégin L.J., Dictionnaire des sciences médicales: Biographie Médicale, Volume 5, pp. 524-529, Parigi, C.L.F.Panckoucke éditeur, 1822.
  • Cantarano E, Carini L, Storia della Medicina e della Assistenza per le Professioni Sanitarie, UniversItalia, Roma, 2013, pag 151.
  • Cosmacini G, Guerra e Medicina, Bari, Laterza Editori, 2011.
  • Weiner Dora B. , "Dominique Jean Larrey", in W.F.Bynum and H. Bynum (eds.), Dictionary of medical biography, Westport-London, Greenwood Press, 2007, Volume 3, p. 774

Luisa CARINI, Enzo CANTARANO, Federico BIZZARRI

venerdì 5 maggio 2017

Non è uno scherzo: l’Arabia Saudita eletta alla Women's Rights Commission

Qualche giorno fa sono apparsi, anche sui giornali italiani, diversi articoli riportanti la notizia “bomba” dell’elezione dell’Arabia Saudita tra gli Stati Membri della Commissione dell’ONU sui Diritti delle donne per gli anni 2018-2022. 
La notizia ha destato scalpore in quanto l’Arabia Saudita nella graduatoria 2016, stilata dalla stessa Commissione, si trova al 141° posto su un campione di 144° Stati del mondo per il rispetto dei diritti delle donne. 
Peggio hanno fatto solo Siria, Pakistan e Yemen. 
Chi per primo ha portato il fatto all’attenzione delle cronache è il gruppo per i diritti umani chiamato UN Watch, ONG con base a Ginevra. 
Il Direttore esecutivo, Hillel Neuer, noto avvocato, diplomatico e attivista, ha commentato così il fatto: “Electing Saudi Arabia to protect women’s rights is like making an arsonist into the town fire chief”, ovvero, “Eleggere l’Arabia Saudita a protezione dei diritti delle donne è come mettere un piromane a capo dei pompieri”, ed ancora: “Today the UN sent a message that women’s rights can be sold out for petro-dollars and politics”, ovvero: “Oggi le Nazioni Unite hanno inviato il messaggio che i diritti delle donne possono essere svenduti in cambio di petrodollari e politica”. 
Naturalmente la frase ha fatto immediatamente il giro del mondo, in alcuni casi creando anche un certo imbarazzo in alcuni ambienti, come nel caso del Belgio dove è cresciuta la polemica quando si è saputo che il governo ha appoggiato la candidatura dell’Arabia Saudita. 
In effetti l’Arabia Saudita, nonostante le recenti modifiche normative che hanno garantito anche alle donne alcuni diritti fondamentali, tra cui il decreto reale del 2011 che da loro la possibilità di votare e di candidarsi alle elezioni, non si può certo annoverare tra gli Stati più virtuosi in materia.
L’elezione dell’Arabia Saudita è avvenuta a scrutinio segreto; tra i 54 membri dell’ECOSOC (Economic and Social Council) vengono eletti 45 membri (non tutti contemporaneamente). Quest’anno, lo scorso mese di aprile, sono stati eletti 13 nuovi membri che saranno in carica per gli anni 2018-2022: Algeria, Comore, Congo, Ghana, Kenya, Iraq, Giappone, Repubblica di Corea, Arabia Saudita, Turkmenistan, Ecuador, Haiti e Nicaragua. Per approfondire è utile dare uno sguardo al Global Gender Gap report del 2016 da cui sono stati presi i dati relativi alla posizione dell’Arabia Saudita. Si tratta di un documento complesso introdotto per la prima volta nel 2006 nell’ambito del World Economic Forum per evidenziare le disparità di genere e tracciare i progressi nel tempo. E’ così possibile vedere come sono stati valutati gli Stati negli anni scorsi e come l’indice è variato nel tempo. 
L’indice misura le differenze esistenti in campo economico, educativo, della salute e politico. Al primo posto nel 2016 si è posizionata l’Islanda, seguita dalla Finlandia, Norvegia, Svezia e Ruanda. In effetti trovare il Ruanda al 5 posto mi ha lasciato un po stupito! Vorrei ricordare che il Ministero della Salute del Ruanda nel 2012 ha dichiarato che il 56% delle donne tra i 15 e i 49 anni ha subito violenze fisiche o sessuali dal proprio partner. Sono passati 5 anni da allora e tutto è cambiato? Forse qualche dubbio sul come viene calcolata la posizione nella graduatoria e sul come la stessa tenga conto degli anni precedenti è legittimo. 
Ancora: che dire della Cina e della pratica di aborto selettivo? Nonostante ciò sia oggi illegale è un dato di fatto che vi sia uno sbilanciamento delle nascite a favore dei maschi. Eppure, come si tiene conto di ciò nel calcolo della uguaglianza dei diritti? Semplicemente con un numero che non sembra riflettersi nella graduatoria finale dove la Cina appare al 99° posto, a poca distanza dalla Grecia! 
Oppure del Burundi e della Namibia, anche questi tra i primi venti Stati, molto avanti rispetto alla stessa Italia, che si trova solo al 50° posto, poco dopo la Serbia (48°)! 
Eppure, a ben vedere, se si volesse valutare il livello di disuguaglianza di trattamento tra uomini e donne, occorrerebbe fare riferimento al “Gender Inequality Index”, un indice che riflette per l’appunto la disuguaglianza di genere, utilizzato, ancora una volta, dalle stesse Nazioni Unite nell’ambito dello United Nations Development Programme (Human Development Report). 
Se si va a leggere il “Gender Inequality Index” si scoprirà che le cose stanno diversamente, il Ruanda, a titolo d’esempio, è 159° su 188 (dati del 2015), l’Arabia Saudita è al 38° posto, l’Italia è al 26° posto e la Norvegia è al 1°. Naturalmente al primo posto si trova lo Stato con valore di disuguaglianza più basso. 
Se usassimo questa scala per valutare chi può far parte e chi no del gruppo, scopriremo che la classifica sarebbe la seguente: Algeria (83°), Comore (160°), Congo (176°), Ghana (139°), Kenya (146°), Iraq (121°), Giappone (17°), Repubblica di Corea (18°), Arabia Saudita (38°), Turkmenistan (111°), Ecuador (89°), Haiti (163°) e Nicaragua (124°). Eppure non mi sembra di aver sentito niente a proposito dell’elezione del Congo tra gli Stati Membri della Commissione dell’ONU sui Diritti delle donne per gli anni 2018-2022! 
Sembra che tutti siano concentrati solo ed esclusivamente sull’Arabia Saudita. Forse il motivo di tanto interessamento è da ricercare tra quelli economici e, dunque, di potere? 
Si dice che a pensar male si compie peccato, ma spesso ci s’azzecca... 
Non per voler difendere l’Arabia Saudita, eppure, se si considera che il consiglio per i diritti delle donne è un comitato eletto nell’ambito dell’ECOSOC e che quindi si occupa dello sviluppo della parità delle donne nell’ottica di un maggior sviluppo economico mondiale - in quanto si presume (senza però dimostrarlo!) che in un mondo in cui vi sia eguaglianza tra uomo e donna vi sia maggior sviluppo economico - è ancora tanto strano che uno Stato come l’Arabia Saudita ne faccia parte? 
Al signor Neuer invece va forse ricordato che l’ONU altro non è che un mezzo atto al governo mondiale. Cosa c’è da stupirsi se poi le logiche di potere, e tra queste il denaro la fa da padrone, riempiono ogni spazio utile?

Comunque sia, se volessimo fare come in Belgio dovremmo chiederci: “Qual’è stata la posizione ufficiale dell’Italia in questa vicenda?” 

Alessandro Rugolo 

Fonti:
https://www.unwatch.org/no-joke-u-n-elects-saudi-arabia-womens-rights-commission;
https://www.sciencedaily.com/releases/2011/03/110314132244.htm;
https://unstats.un.org/unsd/gender/downloads/WorldsWomen2015_report.pdf;
http://hdr.undp.org/en/composite/GI.

martedì 2 maggio 2017

Locked Shield 2017: la più importante esercitazione Cyber del mondo

Foto Ministero della Difesa

Nei giorni tra il 24 e il 28 aprile si è tenuta presso il NATO Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence (CCDCOE), in Tallin, l’esercitazione Locked Shields, la più grande e avanzata esercitazione di cyber defence al mondo.
L’esercitazione ha avuto lo scopo di esercitare gli esperti di sicurezza informatica nel proteggere i sistemi IT nazionali.
Ai team partecipanti è stato assegnato il compito di proteggere e mantenere efficienti i sistemi e i servizi di una ipotetica nazione (questi team di persone provenienti da tutto il mondo sono chiamati Blue Team). Nel corso dell’esercitazione i team sono stati sottoposti ad una serie di prove, dalla gestione di incidenti informatici a più ampie considerazioni di carattere legale, giuridico o strategico. Tutto è stato predisposto affinché l’esercitazione fosse il più realistico possibile, a tal scopo è stato fatto largo uso di tecniche di difesa e di attacco di nuova concezione e impiegate tutte le tecnologie emergenti disponibili.
Nello specifico, l’esercitazione Locked Shield 2017 consisteva nel mantenere l’operatività di reti e servizi di una base militare aerea di una nazione fittizia soggetta a complessi attacchi al sistema elettrico, agli UAV (unmanned aerial vehicles), ai sistemi di Comando e Controllo, alle infrastrutture informatiche critiche e così via.
Credo sia chiaro che la dimensione di questa esercitazione e la tipologia di problemi cui sono sottoposti i Blue Team pone sfide che spaziano all’interno dell’intero Cyber Space, quale che sia la definizione adottata.1
Più di 2500 possibili differenti tipologie di attacco possono essere eseguiti per testare le capacità dei Blue Team. Per questa esercitazione a partiti contrapposti infatti esistono anche i Red Team che hanno il compito opposto ai Blue Team, ovvero attaccare e distruggere (o rubare i dati, modificarli, renderli inservibili e distruggere così le capacità di Comando e Controllo avversarie), la rete e i servizi.
Oltre agli aspetti tattici dell’operazione, che mirano ad ottenere dei vantaggi pratici sul campo, una operazione di Cyber Defence (o di Cyber Attack!) può avere degli aspetti strategici per esempio agendo sul morale di una intera Nazione o mettendo alla berlina una industria mondiale del software. L’esercitazione Locked Shield quest’anno , per la prima volta, ha tenuto conto anche degli aspetti strategici di operazioni condotte nel Cyber Space.
L’esercitazione non è aperta a tutti ma la partecipazione avviene su invito. Alla attuale edizione hanno partecipato Team di 25 nazioni per un totale di 800 partecipanti. La sede stanziale dell’esercitazione è Tallin, in Estonia, ma i Blue Team hanno partecipato all’esercitazione dal proprio Paese, attraverso accessi sicuri alla rete.
L’esercitazione si è svolta in due tempi. In un primo tempo, il 18 e 19 aprile, è stata data a tutti la possibilità di esplorare la rete di esercitazione. Nel corso di tale fase i Team Blue hanno potuto costruire le mappe occorrenti per la difesa.
La seconda fase, quella attiva, ha visto impegnati i contendenti, tra questi il Blue Team italiano.
Dopo questa piccola introduzione che mira a dare a tutti un minimo di conoscenze sull’attività, ora vediamo più in dettaglio cosa è successo, attraverso la voce di alcuni partecipanti al Blue Team italiano appartenenti al gruppo di ricerca del Prof. Luigi V. Mancini del Dipartimento di Informatica della Università la Sapienza di Roma.
Professor Mancini,
come era composto il Team nazionale? Avete giocato tutti come Blue Team, è corretto?
Si. Il Team era composto da componenti della Difesa, Università ed Industrie, abbiamo lavorato tutti come Blue Team ma con compiti specifici, come ad esempio Legale, Forense, Rapid Response, Pubblica Informazione, Ticketing etc etc.
Avete avuto a disposizione i documenti dell’esercitazione? Che tipo di documentazione vi è stata resa disponibile? Avevate, o avete ricostruito, gli schemi di rete?
Naturalmente abbiamo avuto accesso alla piattaforma condivisa utilizzata per l’esercitazione in cui avevamo una descrizione sommaria dei sistemi. Abbiamo avuto l’accesso effettivo solo con la familiarizzazione del 18-19 Aprile, a quel punto avevamo accesso ai sistemi per toccare con mano alcune configurazioni.
Avevamo lo schema di rete, non dettagliato al massimo ma con i soli sistemi che dovevano essere a noi noti. Lo schema completo, con eventuali Rouge AP o macchine non segnalate, non era noto.
Quali erano gli obiettivi del Blue Team?
Il nostro obiettivo, come Blue Team, consisteva nel monitorare la rete ed effettuare una gestione degli eventuali incidenti, sotto l’aspetto tecnico, legale e comunicativo.
Chi giocava la parte del Red Team?
Il Red Team è composto da membri delle nazioni stesse collocati a Tallinn, in aggiunta a membri del CCDCOE e aziende. Rappresenta un gruppo tecnico che conosce in anticipo l'intera infrastruttura, e le relative vulnerabilità, ed in modo sistematico attacca i vari team in modo da valutare la capacità di risposta e monitoraggio.
Professor Mancini, secondo la sua esperienza, quanto può essere considerata realistica una siffatta esercitazione? Nel mondo reale il Cyberspace viene sottoposto a modifiche continue nei suoi componenti e gli eventuali attaccanti hanno dalla loro il tempo (APT è considerato il rischio maggiore), in questa esercitazione invece non vi è il tempo per studiare le abitudini degli utenti e per esplorare modalità di attacco. Questo limita fortemente le possibilità di attacco a un sottoinsieme del reale. Cosa ne pensa? Come dovrebbe essere organizzata e realizzata una esercitazione affinché sia il più possibile realistica?
L'esercitazione così composta è sicuramente un modo di addestrarsi a scenari reali, si inizia con il presupposto che i sistemi siano compromessi, quindi sicuramente una mentalità che dovrebbe essere utilizzata più spesso. La gestione di una infrastruttura complessa come quella della Locked Shield è sicuramente uno stimolo per i tecnici, e deve essere utilizzata dal sistema per sperimentare soluzioni innovative o  testare nuovi prodotti, siano essi Proprietari o Open Source. Uno degli aspetti più challenging dell'esercitazione è dato sicuramente dalle limitazioni in tempo e risorse, ad esempio il Blue Team non può monitorare tutto al meglio ma deve effettuare delle scelte ed il conseguente triage degli eventi in modo da capire cosa trattare con maggiore dettaglio o meno, il tutto garantendo l'esperienza utente, che deve continuare a lavorare senza alcun tipo di problema. Ci siamo trovati ad affrontare azioni utente che portavano rischi a livello di sicurezza, e quindi avevamo la necessità di mitigare queste azioni senza intaccare l'operatività dell'utente.
Professore,
la ringraziamo per queste sue prime risposte, sperando di poter approfondire ancora con Lei alcuni aspetti di questa esercitazione e, più in generale, di questo “cyberspace” che giorno dopo giorno stiamo cominciando a conoscere.

Alessandro RUGOLO, Ciro Metaggiata.

Note:
1Non esiste una definizione condivisa di Cyber Space. Potremmo adottare quella italiana prevista nel recente DPCM del 17 febbraio 2017 pubblicato in GU del 13 aprile 2017. L’Art. 2.h definisce lo spazio cibernetico come: “l’insieme delle infrastrutture informatiche interconnesse, comprensivo di hardware, software, dati ed utenti, nonché delle relazioni logiche, comunque stabilite, tra di essi”. Altre definizioni ufficiali possono essere reperite al link: https://ccdcoe.org/cyber-definitions.html.
Fonti:


http://www.difesa.it/SMD_/Eventi/Pagine/Locked-Shields-2017-termina-esercitazione-internazionale-tecnica-Cyber-Defence.aspx

domenica 30 aprile 2017

“A' la guerre comme à la guerre”: Florence Nightingale, ovvero, se la lampada non basta... meglio il martello!

Come abbiamo già avuto modo di notare, spesso il “carnaio”della guerra, spudoratamente nascosto dalla “foglia di fico” di “vari ed eventuali” ideali, serve per fini “politici”. Tuttavia, sorvolando sulla crudezza della considerazione predetta, occorre notare che, a causa della guerra, emergono figure che, pur non avendo nulla di eroico secondo le regole del “kamasutra” militare, hanno saputo affondare un'impronta tutt'altro che superficiale nella storia umana!
Come sappiamo, la Guerra di Crimea, all'epoca chiamata  Guerra d'Oriente, fu un conflitto combattuto dal 4 ottobre 1853 al 1º febbraio 1856 fra l'Impero Russo, da un lato, e un'alleanza composta da Impero Ottomano, Francia, Inghilterra e Regno di Sardegna, dall'altro.
Le drammatiche condizioni di abbandono dei feriti e dei malati inglesi (per i francesi c’erano le Suore di Carità e per i russi le 300 Sorelle dell’Esaltazione della Croce di Helen Paulowna) durante le operazioni belliche, rese note sul “Times” dal primo reporter di guerra, indusse il Governo britannico ad intervenire sotto le pressioni, rapidamente crescenti, di un'opinione pubblica da sempre molto ascoltata e potente.
Non c’era una Organizzazione precostituita che fosse all’altezza del compito in una zona, tra l’altro, assai impervia ed insalubre.
Alla fine fu inviata l’Angel Band: 38 infermiere agli ordini di F. Nightingale.
La Nightingale, inglese, ma nata in Italia, aveva di fronte due possibili soluzioni per affrontare il difficile compito: quella “latina” e quella “teutonica”.
La prima, epifenomeno dell’antropologia assistenziale “cattolica romana”, forniva una preparazione “umana”, forse, ma, sicuramente, non “professionale”. L’infermiera, umile e sottomessa al medico, non poteva avere alcun ruolo autonomo o responsabilizzante!
La seconda, come espressione dell’antropologia “riformata”, prevedeva un iter formativo, teorico – pratico, tale da rendere l’infermiera vera e propria “manager dell’assistenza” ante litteram! Florence fece la sua scelta e si recò a studiare in Germania presso la scuola delle Infermiere Diaconesse di Kaiserwerth fondata nel 1836. Al ritorno le si pose il difficile problema di scegliere le sue infermiere da impiegare sul campo.“
Le donne, preparate a dedicarsi alla cura dei malati, avevano due concetti totalmente contrapposti sui compiti dell’infermiera. Quella d’ospedale, alcolizzata, scostumata e turbolenta, considerava suo compito curare il corpo malato del paziente riconducendolo alla salute secondo le prescrizioni dei medici; quella proveniente da istituti religiosi…non alcolizzata né scostumata, era però più incline ad occuparsi dell’anima del malato che del suo corpo. Questo pensiero non era solo degli appartenenti ad Ordini religiosi, ma era condiviso da un discreto numero di donne colte che si dedicavano al volontariato assistenziale come “signore o dame”, non infermiere. Florence non volle nel suo “gruppo”né le une né le altre! Le sue dovevano essere tutte infermiere!”1
Per unanime consenso (tranne quello dei comandi militari che le si opporranno strenuamente, lottando anche contro l'evidenza!) l’azione delle infermiere sul campo fu risolutiva!
Le condizioni generali migliorarono, calò in 6 mesi la mortalità per infezioni dal 42,7 al 2,2% e a tutti fu offerto supporto psicologico.
La storia è, da sempre, “cosa da uomini”, interpretata da uomini e per uomini. Da ciò consegue che “la verità” è solo quella degli uomini! Quindi la maggior parte delle testimonianze deve essere riletta alla luce di questa realtà!
Florence non fu mai chiamata “la signora con la lampada”, bensì “signora col martello”2, immagine abilmente rimaneggiata dal cronista di guerra del “Times”, che la riteneva un po’ troppo volgare per i suoi lettori. Lungi dall’aggirarsi silenziosa per l’ospedale tenendo alta la sua lampada, la Nightingale si guadagnò l’appellativo per aver forzato la porta chiusa a chiave di un deposito, quando un ufficiale rifiutò di fornirle i medicinali che le servivano per alleviare le sofferenze dei malati.” 3
Al suo ritorno venne festeggiata come un’eroina, a lei ed alla sua missione si ispirò una letteratura sentimentale volta a coprire la durezza della realtà lavorativa.
Fondi, fama e prestigio le permisero di istituire una scuola nonostante le fortissime opposizioni della classe medica per la quale: “Le infermiere sono come domestiche, hanno bisogno di pochi insegnamenti…” Si occupò, mediante l’applicazione della statistica e di opportune ricerche sul campo, di migliorare gli ospedali civili.
A lei si deve la ristrutturazione dei servizi sanitari militari inglesi: nonostante l'opposizione degli Stati Maggiori, venne istituita la Scuola Medica Militare. Come c'era da aspettarsi, i suoi insegnamenti tardarono ad essere accolti da parte delle istituzioni militari che pure avevano provato la loro efficacia: durante la Guerra Boera (1899 – 1902) le malattie provocarono una mortalità cinque volte superiore alle ferite belliche! Fu solo durante la Guerra Russo – giapponese (1904 – 1905) che le intuizioni della Nightingale circa l'igiene, l'assistenza e l'alimentazione delle truppe, finalmente applicate su vasta scala, dimostrarono a pieno la loro efficacia!
Il governo britannico avviò una riforma della scuola per gli infermieri che prevedeva tirocini pratici presso ospedali validati!
Venne interpellata, anche Oltreoceano, non solo come esperta in organizzazione sanitaria, ma anche come intelligente consigliera in tema di edilizia sanitaria.
Morì a 90 anni dopo avere dato alla professione infermieristica un contributo incommensurabile soprattutto modificandone l’immagine pubblica.
La cultura infermieristica è stata profondamente influenzata dalle sue opere: educazione sanitaria, formazione, professionalizzazione, autonomia, indipendenza.
Alla base della teoria del nursing, secondo la Nightingale, vi doveva necessariamente l’ambiente: microclima, igiene e dieta, erano i fattori su cui l’infermiera (abile, preparata, vigilante e perseverante) doveva agire per non ostacolare la vis medicatrix naturae stimolando la eventuale “passività” del “patiens” a cooperare verso la guarigione. “La donna aveva trovato un suo posto nel sistema sanitario, ma un posto subordinato. I Medici, inizialmente ostili, finiranno per accettare ben volentieri la sua collaborazione obbediente e sottomessa.”4
Lei, però, si oppose alla batteriologia ed al femminismo e i limiti della sua teoria furono quelli del contesto socioculturale di riferimento riassunti nell’assioma secondo cui: “Ogni donna è un’infermiera”.
Adottò i modelli maschilisti e vittoriani dei ruoli di moglie, madre e massaia trapiantandoli nella realtà infermieristica!

Luisa CARINI, Enzo CANTARANO, Federico BIZZARRI.

Bibliografia
Angeletti L R, Storia, filosofia ed etica generale della Medicina, Masson, 2004
Cantarano E, Carini L, Storia della Medicina e della Assistenza per le Professioni sanitarie, UniversItalia, Roma, 2013, pag. 159 -161.
Cosmacini G, L'arte lunga, Laterza, 2006
Fornaciari G, Giuffra V, Manuale di storia della medicina, Felici ed. 2011

1 da “Florence Nightingale”, Woodham Smith 1954
2 cfr: Votes for Women, 9 aprile 1912, pag 737
3 da “Storia femminile del mondo” Rosalind Miles, Elliot Ed. 2009, Roma
4 Calamandrei C, L'assistenza infermieristica: storia, teoria, metodi, Carocci Editore, 1983.

mercoledì 26 aprile 2017

La filosofia degli automi

L'editore Boringhieri, nel 1965, la avuto il gran merito di pubblicare questo stupendo libro.
Gli autori sono, almeno penso, conosciuti a tutti coloro che si occupano in qualche modo di informatica: von Neumann, Ryle, Shannon, Sherrington, Turing e Wiener.
Il libro è una raccolta di saggi e curiosità aventi per oggetto gli automi. Da questi scritti e grazie a questi autori la nostra società è ciò che conosciamo, con i computer, le reti, le App, i robot... 
Tutto naturalmente parte dall'analisi del cervello e più in generale del sistema nervoso, della coscienza, della memoria e delle funzioni del cervello. Gli appunti sul cervello non hanno comunque altro scopo che quello di dare lo spunto al ragionamento sugli automi, le macchine calcolatrici e le macchine universali, quelle che oggi chiamiamo computer, capaci di svolgere qualunque compito se opportunamente programmate.
Leggere la descrizione dei calcolatori fatta da von Neumann sapendo quali evoluzioni vi sono state nel tempo è una cosa fantastica!
Tra i saggisti vi è anche Norbert Wiener, creatore del termine "cibernetica" per indicare un campo di ricerca che pone al centro la proprietà di autocontrollarsi e autoregolarsi tipica del cervello umano. Termine oggi utilizzato comunemente anche se distorcendone il parte il significato.
La discussione tra questi grandi della scienza passa attraverso il significato della mente per arrivare fino al concetto di autoapprendimento, senza mai trascurare gli aspetti sociali di un ipotetico mondo futuro (il nostro?) dominato dalla presenza delle macchine e il mondo futuro (di Samuel Butler) in cui le macchine vengono distrutte per paura che un giorno prendano il sopravvento!

Che dire, una lettura non proprio semplice ma sicuramente appassionante.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO