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venerdì 16 novembre 2007

A mio Padre...

Ti dico Grazie,
con tanti anni di ritardo, Grazie!

Ti voglio Bene,
l'ho capito tardi forse, ma ti voglio Bene!

C'é voluto un figlio... per Capire,
ma ho Capito!

Grazie... Pà,
per tutto, Grazie ancora!

Tuo figlio...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 15 novembre 2007

A SIENA 1995

Or voglio, ma l’anima ne freme dolcemente
Rammentarci di un pomeriggio presto
Prima ancora che l’estate sia il sole del Palio
Che salimmo in cima alla città e di quel giorno
Noi due ne siamo segreti testimoni.

Il Duomo, i tetti rossi e il Mangia
Oscillavano al vento insieme ai tuoi capelli
E lo sguardo non si stancava di viaggiare.

C’era il silenzio immaginario delle case
Viste di lontano e potei ascoltare almeno allora
Le parole non dette dalle tue labbra.
Or voglio ricordarmi, amica mia,
con l’anima rapita da un oceano chiuso
sporti da quell’angusto merlo di tre metri
in cima a Siena e in mezzo al cielo intero
ci siam sentiti liberi davvero.

Giuseppe MARCHI
“già pubblicata su Raccolta Ansol 2000- Milano”

Sa domu 'e su para - La casa del frate

Percorrendo la nuova strada Gesico-Villamar, a circa cinque chilometri da Gesico, ma in territorio di Guamaggiore, nascosta nella valle del Rio Salliu, “s’Arriu Sabiu” (fiume salato), si trova una vecchia costruzione ormai diroccata e che va via via scomparendo sepolta da pietre e terra. Per chi conosce la zona non é difficile arrivarci, infatti sulla sinistra, all’altezza de “is contrasa de Leunessi” (contrada di Leunessi), si trova una strada campestre che fiancheggia s’Arriu Sabiu e che dopo circa un chilometro permette di raggiungere “sa domu ‘e su Para”.
Alcuni anziani ricordano ancora quella piccola costruzione che di tanto in tanto veniva utilizzata come riparo, ma ora non restano che poche rovine a testimoniare la sua esistenza. Lungo la strada il paesaggio desolato ci porta a pensare a chi, cinquanta e più anni fa, pernottava presso “is domus de Peppi Pai” (le case di Peppi Pai), anche di queste non restano che vecchi ruderi visibili alla nostra sinistra. In quei tempi i bambini di cinque o sei anni venivano portati in campagna e lasciati a custodire il gregge. Questi piccoli uomini avevano paura, specialmente la notte, ma allora così era la vita. Per raggiungere le rovine bisogna camminare lungo il sentiero per circa venti minuti, tra cespugli di “tramatzu” e di “moddizzi”, ammirando splendidi pennacchi di “cruccuri” per giungere “assa domu ‘e su Para”. Alla sinistra, poco sotto Bruncu Murcioni, possiamo vedere Nuraxi ‘e Accasa”, ma noi ci fermiamo prima, quando vediamo le prime tracce di pietra lavorata.
Di fronte a noi si apre un foro circolare di circa tre metri di diametro e profondo circa un metro e cinquanta. Si tratta dei resti di una costruzione in pietra lavorata, di forma circolare, che presenta un ingresso sul lato Ovest. Il pavimento é stato rimosso e si può notare che la costruzione é poggiata su una fila di pietre non lavorate. Su di queste si trovano tre file di pietre lavorate. Le mura sono spesse circa ottanta centimetri e, ad un esame sommario, sembra che siano costituite da due file di pietre lavorate a T, la fila esterna presenta la faccia convessa lavorata mentre la fila interna presenta la faccia concava. Tra le due file si trovano delle pietre di dimensione ridotta legate con fango e terra. Per poter essere certi del metodo costruttivo e quindi risalire allo stile architettonico e cercare di datare la costruzione bisognerebbe intraprendere degli scavi in tutta la zona. Pietre lavorate si possono notare un po’ ovunque, dentro e fuori la costruzione. A circa dieci metri di distanza si trovano i resti di una seconda costruzione di diversa fattura. Le mura sono costituite da pietre di dimensioni inferiori, rispetto alla prima, e non lavorate, legate tra loro con terra. Di questa seconda costruzione resta solo una parte a forma di cupola. Dalla forma si potrebbe pensare si trattasse di un forno o di una cisterna, ma , come già detto, solo degli scavi accurati potrebbero portare alla luce elementi determinanti e chiarificatori. La leggenda popolare racconta che queste costruzioni erano abitate da un frate che viveva nella zona ma non si conoscono altri particolari. Al di là delle rovine de “sa domu ‘e su Para”, che già di per se possono offrire una valida motivazione ad affrontare il viaggio per Gesico e le sue campagne, la zona presenta delle sue caratteristiche peculiari per le quali vale la pena dedicarvi una giornata. Si può raggiungere a piedi o a cavallo, facendo bene attenzione a non recar fastidio alle greggi e chiedendo l’autorizzazione ad attraversare i terreni ai legittimi proprietari al fine di evitare danneggiamenti. Nel periodo piovoso si può assaggiare l’acqua salata de “s’arriu Sabiu”, negli altri periodi dell’anno il ruscello é asciutto. Questo ruscello dall’acqua salata, in passato , si credeva fosse ciò che restava di un antico mare e qualcuno racconta di aver visto degli anelli in ferro infissi nella roccia che dovevano essere utilizzati come attracchi per le imbarcazioni. Nessuno mi ha saputo indicare l’ubicazione di questi anelli, probabilmente perché non sono mai esistiti. Sembra improbabile credere alla storia del mare come a quella degli anelli di ferro,é più facile ipotizzare un deposito di sale a monte della sorgente. Tutta la zona é ricoperta di cespugli di moddizzi, (Lentisco) di questi in passato venivano raccolte le bacche utilizzate per la produzione de “s’ollu e stinci”, usato al posto dell’olio d’oliva; si trova anche qualche cespuglio di tramatzu (Tamerice) i cui rami venivano tenuti nei pollai per allontanare le pulci delle galline. Rientrando possiamo immaginare la vita di quel piccolo pastorello che cinquanta e più anni fa si aggirava intimorito per queste campagne, possiamo quasi vederlo mentre raccoglie le bacche da un cespuglio di “arruabi” per placare la fame e la sete. Potete farlo anche voi se volete, i cespugli di “arruabi” ci sono ancora ed in settembre le bacche sono mature e saporite.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
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Da quando ho visitato il posto l'ultima volta sono passati diversi anni... chissà se il tempo (e i vandali) ha modificato le cose...

mercoledì 14 novembre 2007

Erodoto di Turi - Dario e il governo popolare

Dario e i sei suoi alleati, dopo aver fatto strage dei Magi che avevano usurpato il potere, sedato il tumulto e trascorsi cinque giorni durante i quali fu sospesa la legge, decisero di riunirsi per discutere sulla forma di governo che avrebbe dovuto adottare i Persiani.

Otane, uno dei sette,
"consigliava di introdurre fra i Persiani il governo popolare, adducendo queste ragioni: Io sono del parere che non debba più uno di noi farsi padrone assoluto, poiché non è cosa ne bella ne buona. Voi, infatti, avete visto fino a qual punto è arrivata la tracotanza di Cambise e avete sperimentato anche la prepotenza del Mago. E come potrebbe essere un governo ben ordinato il dominio d'un solo, se egli può fare quello che vuole, senza rendere conto ad alcuno? Poiché anche l'uomo migliore del mondo, investito di questa autorità, si troverà al di fuori del consueto modo di pensare. Per l'abbondanza dei beni che lo circondano, mette radici in lui l'orgoglio, mentre in ogni uomo è radicata per natura l'invidia fin dalla prima origine e quando uno possiede questi due vizi, racchiude in sé ogni perversità [..] Invece quando è il popolo che detiene il comando, in primo luogo il governo ha il nome più bello d'ogni altro: uguaglianza di diritti; poi, non commette nessuno di quei soprusi che compie il monarca; le cariche pubbliche si ottengono per sorteggio; il governo è soggetto a rendiconto e tutte le decisioni sono prese in comune. Io propongo quindi che noi rinunciamo alla monarchia, per dare forza al governo popolare poiché nella maggioranza c'è la fonte di ogni diritto".
Così si espresse Otane, per il governo popolare, per la democrazia, avrebbero detto i greci, e dunque contro la monarchia...
Si, democrazia avrebbero detto i greci... greci... ma Otane era Persiano...
E come ne parla, non sembra stia improvvisando al momento... vi è dietro un pensiero già formato... studiato e conosciuto... nel 500 a.C.!

Ma poi, per farla breve, decidono per la Monarchia!
Ma questa è un'altra storia...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 12 novembre 2007

GATTI

GATTI
Dopo le nove di sera
siamo tutti dei gatti

quelli che fuggono
alla ricerca
dell'avventura della notte

e quelli che s'accovacciano
bisognosi di tenere
carezze d'amore
Giovanni Bernardi (1996)

domenica 11 novembre 2007

VIRGILIO - Georgiche... e parlano le bestie

Virgilio compose il suo "Georgiche" intorno al 37 a.C., in lingua latina, facendo riferimento alle sue conoscenze e a testi e autori più antichi... tra questi Lucrezio e Esiodo.Ma non voglio certo annoiarvi con dati che potete trovare ovunque, ciò che mi preme è mettere in evidenza alcune parti che mi hanno colpito...
Virgilio sta parlando dell'Etna e delle sue numerose eruzioni, quindi dei terremoti delle Alpi quando...
(Libro I, 475-490)
E un alto grido, da tutti udito, corse in mezzo ai boschi silenziosi, e si videro fantasmi pallidi in strani atteggiamenti al buio della notte e parlano le bestie, terribile! Si ferman l'acque e s'aprono le terre, e mesti piangono nei templi gli avori e i bronzi sudano. Travolti con l'infuriata piena i boschi, scorse l'Eridano, dei fiumi il re, dovunque per le campagne trascinando armenti e stalle. In quello stesso tempo infauste fibre nei tristi visceri si videro nè cessò di sgorgar sangue nei pozzi: e nella notte l'ululu dei lupi entro l'alte città sempre echeggiava. Mai più che allora, nel sereno cielo saettarono folgori e comete funeste fiammeggiarono.
Cosa accadde?
Un alto grido...
Fantasmi pallidi...
E parlano le bestie...
Piangono gli avori e i bronzi sudano...
Infauste fibre nei tristi visceri si videro...
Sgorgar sangue nei pozzi...
Fenomeni naturali estremi accomunati a manifestazioni particolari...
Invenzioni e immaginazione?
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

La posizione dell'Unione Europea nel conflitto USA-IRAQ

In seno all’Unione Europea bisogna rilevare la solita spaccatura interna dovuta alla mancanza di una politica estera comune nonostante i passi avanti fatti in questi ultimi anni nel campo della PESD.
Come abbiamo già accennato, gli Stati europei seguitano a prendere posizione seguendo la propria linea di politica estera e non secondo una comune linea di politica estera europea, spesso influenzati in ciò da interessi industriali, accordi commerciali, problemi interni di natura religiosa dovuti alla presenza di immigrati dai paesi musulmani, per citarne solo alcuni.
La mancanza della politica estera comune e più in generale, di coordinamento, provoca spaccature interne che hanno ripercussioni soprattutto sullo sviluppo delle istituzioni europee ma che nell’immediato provocano la sensazione dell’inesistenza politica dell’Europa come struttura politica in grado di affrontare situazioni di crisi in maniera unitaria, nel rispetto di regole comuni.
In un primo tempo la presidenza greca dell’Unione Europea, resasi conto della situazione ha agito troppo tardi fissando per il diciassette del mese di febbraio un summit dei capi di Stato e di governo dell’UE sulla questione Iraq.
Alla data fissata per il summit lo schieramento delle truppe statunitensi e britanniche era già in stato avanzato, dunque, qualunque decisione o presa di posizione avrebbe comunque incontrato troppi ostacoli.
Durante il summit i quindici paesi dell’Unione Europea, alla presenza del Segretario Generale dell’ONU, hanno cercato di raggiungere un compromesso che evitasse, nel contempo, di approfondire le spaccature esistenti all’interno dell’Europa e tra Europa e Stati Uniti. Durante il summit il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha espresso la sua preoccupazione per le tensioni esistenti tra le nazioni e per le tensioni esistenti nelle relazioni transatlantiche (1).
Al termine del summit, gli Stati partecipanti sono addivenuti ad una dichiarazione in cui si è stabilito che l’obiettivo dell’Unione Europea è quello dell’effettivo e totale disarmo dell’Iraq, obiettivo che deve essere raggiunto pacificamente. D’altro canto le ispezioni non potranno proseguire all’infinito in assenza della totale collaborazione dell’Iraq.
In ogni caso, l’uso della forza deve essere preso in considerazione esclusivamente come ultima risorsa.
La dichiarazione di principio appare essere un mero compromesso politico totalmente privo di qualunque utilità.
Per il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, il piano Franco-Tedesco (tendente ad aumentare il numero degli ispettori e a dotarli di più potenti strumenti) va nella giusta direzione tenendo nella giusta considerazione le norme di diritto internazionale e le competenze delle Nazioni Unite.
Per il deputato francese al Parlamento Europeo Jean-Louis Bourlanges esistono due condizioni fondamentali affinchè l’Europa possa dire e dimostrare con i fatti di esistere: in primo luogo occorre che Francia e Germania siano essere d’accordo sui veri obiettivi comuni, in secondo luogo occorre che tale accordo Franco-Tedesco sia accettabile dalla maggioranza degli altri stati europei. Secondo Bourlanges, se si analizza la questione irachena secondo le due condizioni fondamentali appena illustrate ci si rende conto del fatto che queste non sono soddisfatte, infatti non solo l’accordo franco-tedesco non è ben definito ma questo, comunque, non risponde alle necessità degli altri stati europei, che ritengono più importante appoggiare l’alleato d’oltre oceano.
Gli europei desiderano la pace e rifiutano l’unilateralismo degli americani ma allo stesso tempo non desiderano rompere i rapporti con gli Stati Uniti, sia in considerazione dei trascorsi bellici, sia in considerazione della realtà oggettiva del momento storico che vede gli Stati Uniti come unica superpotenza mondiale.
Il presidente Jaques Chirac inizialmente ha insistito sulla impossibilità di fare una guerra senza mandato dell’ONU e sul fatto che non vi possa essere un mandato ONU senza prove di colpevolezza. L’appoggio dei tedeschi, contrari alla guerra anch’essi, ha portato all’irrigidimento sulle proprie posizioni e alla fine alla frattura dell’Unione Europea in due opposti schieramenti.
E’ chiaro che una situazione simile non può che far comodo a chi, nella più completa mancanza di accordo politico internazionale, decida di comportarsi come meglio crede anche in forza della superiorità economica e militare.
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1) Le figaro.fr, Pierre Bocev e Philippe Gélie, “Les Quinze n’excluent plus un recours à la force”, 18 febbraio 2003.
Alessandro Giovanni PAolo RUGOLO