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giovedì 21 novembre 2013

Teeteto: le conoscenze antiche

Uno dei dialoghi di Platone, Teeteto, ci porta a seguire i protagonisti nell'approfondimento del concetto della "conoscenza".
Cos'è la conoscenza?
Questa la domanda che guida il dialogo, Socrate naturalmente prende per mano i suoi interlocutori cercando di far emergere le contraddizioni interne alle loro affermazioni.
Il dialogo è molto interessante e consente di approfondire il tema della conoscenza da diversi punti di vista, ma al di la di ciò vorrei far notare un passaggio in cui Socrate, criticando i seguaci di Eraclito per il loro comportamento e la loro inconsistenza, fa riferimento alla loro dottrinna come a qualcosa di più antico:
"... di queste concezioni eraclitee o, come tu dici, omeriche e ancora più antiche..."
Questo riferimento è nolto interessante, a mio parere, perchè sostine la mia opinione sul fatto che dottrine e conoscenze della grecia antica non sono altro che reminiscenze dei tempi più antichi, di cui si è persa almeno in parte la conoscenza.
Riflettete gente, riflettete...

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo 

mercoledì 20 novembre 2013

A mio zio Umberto

Voglio ricordarti così, zio...
con il sorriso sulle labbra,
anche se la malattia ti lasciava poco spazio
per sorridere.

Voglio ricordarti così, zio...
come quando ci portavi al mare
ed in macchina ascoltavamo Celentano.

Voglio ricordarti così, zio...
soddisfatto per la tua famiglia che ti amerà per sempre.

Voglio ricordarti così, zio...
come quando rientravi tardi a casa
e nonna Cenza li ad aspettarti.

Voglio ricordarti così, zio...
con un fumetto di Tex Willer in mano
e tante idee per la testa.

Voglio ricordarti così, zio...
andando al monte in trattore
per festeggiare San Mauro con gli amici.

Voglio ricordarti
e ti ricorderò per sempre.

Grazie per tutto, zio...

Tuo nipote,

Alessandro

Mathematica Doctrinalis, scritti matematici di Cassiodoro, di Giovanni Bianchi

In questi giorni ho avuto l'occasione di leggere il libro "Mathematica Doctrinalis" di Giovanni Bianchi.
Il libro presenta un autore antico, Cassiodoro (Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore), inquadrandolo nel suo tempo.
Cassiodoro nasce probabilmente a Scylacium (Squillace, in Calabria) o, in alternativa a Ravenna, intorno al 490 d.C. e muore a Vivarium località nei pressi di Squillace intorno al 583 d.C..
Cassiodoro apparteneva ad una famiglia di alti funzionari, il padre fu Consulares con l'incarico di Governatore della Sicilia, Ministro del Tesoro e Ministro delle Finanze sotto l'Imperatore Odoacre (a Ravenna). Anche sotto Teodorico il padre esercitò le sue funzioni ai massimi livelli raggiungendo il livello di Patricius; è in questo ambiente che cresce Cassiodoro.
Alla corte di Teodorico Cassiodoro lo troviamo come quaestor, ovvero segretario particolare di Teodorico, all'età di appena diciasette anni, ma non voglio seguire la carriera politica di Cassiodoro, peraltro interessante per cui mi occuperò delle sue inclinazioni culturali e delle sue opere.
Scrive un testo celebrativo dei Goti, Chronica, opera storiografica e, poco dopo, una Storia dei Goti.
In quel periodo a corte si trovavano anche altri personaggi importanti quali Simmaco e Boezio, che però caddero in disgrazia e furono giustiziati, Cassiodoro prese il posto di Boezio con l'incarico di Magister officiorum. La sua carriera proseguì, con incarichi diversi sempre ad altissimo livello fino al 537, anno in cui si ritirò dalla vita pubblica.
In questi anni scriverà le Variae, in cui raccoglie una serie di lettere ufficiali scritte durante tutto il periodo in cui servì sotto i diversi imperatori, e il De anima.
Inizia quindi la sua collaborazione con il Papa Agapito per la realizzazione di un progetto di scuola teologica. Scrisse un commento ai Salmi (Expositio Psalmorum).
Dopo un periodo di esilio passato a Costantinopoli, finalmente rientra in Italia all'età di settanta anni, rientrato a Squillace, fondò un monastero in località Vivarium. Monastero che aveva il compito di conservare e trasmettere ai posteri i testi del tempo, Cassiodoro ne fu un consigliere oltre che finanziatore, ma lui non fu mai monaco.
In questo periodo compone le Institutiones e una serie di altre opere di carattere religioso.
Sono le instituziones al centro della cultura monastica medievale. Si tratta di un'opera enciclopedica che raccoglieva l'elenco dei libri presenti nel monastero e vari riassunti relativi ai più disparati argomenti del sapere organizzato in modo tale da essere da guida per l'istruzione dei monaci del tempo. Tra queste conoscenze si trovava anche il sapere profano e la matematica, che allora si divideva in quattro discipline: aritmetica, musica, geometria e astronomia.
Nel resto del libro il nostro autore traduce le quattro parti della matematica e inoltre aggiunge alcuni testi tratti dalle opere di Cassiodoro, permettendoci di apprezzare meglio il suo operato.
Un grazie a Giovanni Bianchi per la sua opera che oltre a presentare al pubblico l'opera di Cassiodoro ci ricorda un periodo della storia dell'Italia non sempre conosciuto, il periodo dei Goti.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 13 novembre 2013

Armi, acciaio e malattie, di Jared Diamond

Come ogni buon lettore onnivoro che si rispetti, mi sono da poco imbattuto (grazie all'amico Giuseppe!) in un libro di quelli che non è possibile solo assaggiare ma il cui contenuto, pagina dopo pagina, ti spinge a divorare con voracità.
Il libro s'intitola "Armi, acciaio e malattie" e il sottotitolo lascia intravvedere con maggior chiarezza il contenuto: "breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni".
L'autore è il Professor Jared Diamond, insegna Geografia all'Università della California a Los Angeles. 
Tutto sembra cominciare da una chiacchierata in spiaggia tra il Professor Diamond e un uomo politico della Nuova Guinea, Yali, durante la quale Yali chiede: "come mai voi bianchi avete tutto questo cargo e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?"
Yali e i suoi compaesani usavano il termine "cargo" per indicare i beni materiali che venivano commercializzati!
Questa domanda, elaborata nel tempo e grazie alle esperienze di lavoro in giro per il mondo si trasforma in "Perché la ricchezza e il potere sono distribuite così nel mondo?", trova parziale risposta nel libro che comincia con l'analisi delle diverse civiltà emerse nel mondo dall'ultima glaciazione e delle risorse rese disponibili dal territorio che occupavano.
Risorse in termini di piante e animali domesticabili, minerali, ampiezza del territorio, possibilità di scambi culturali con altre civiltà vicine e cosi via.
Il libro è un percorso di conoscenze che va seguito fino alla fine e che ci porta ad approfondire aspetti differenti dello sviluppo della civiltà umana, fino a giungere ai giorni nostri.
Le idee dell'autore sono espresse sempre chiaramente e discusse da diverse angolazioni affinché chi legge si possa fare una sua idea.
Il libro è veramente ottimo anche se credo che manchi un aspetto che a mio parere è stato importante nell'evoluzione delle civiltà, l'effetto delle catastrofi naturali (terremoti, maremoti, tzunami ecc...) sulla evoluzione/regressione delle stesse.
 
Il mio consiglio è che questo libro non può mancare nella biblioteca di casa ma non voglio essere io a raccontarvi tutto per cui Vi auguro buona lettura...
E ricordate che in Italia in ogni paese esiste almeno una biblioteca che sarà ben lieta di ricevere il vostro suggerimento d'acquisto qualora il libro non fosse disponibile!


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

La vita è un lungo percorso...

La vita è un lungo percorso,
fatto di strade maestre,
di viottoli, autostrade, incroci pericolosi
e compagni di viaggio...

Vi sono tratti di strada caotici,
nei quali si rimane intrappolati
e si viaggia come trascinati dalla corrente.
Senza soste per il riposo,
senza fermarsi a guardare che succede,
senza scegliere a quale bivio svoltare.

Eppure nel mondo esistono strade caotiche e frequentate
come viottoli tranquilli ed isolati,
basta saper guardare!

Di tanto in tanto, allora,
occorre fermarsi a riflettere...
guardare la strada percorsa
e controllare se ci si trova su quella giusta.
E se ci si rende conto di aver imboccato la strada sbagliata,
bisogna avere il coraggio di tornare indietro e se occorre cambiare direzione!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 27 ottobre 2013

L'Italia nel Dittamondo di Faccio degli Uberti

Un altro brano dal Dittamondo.
In questo si parla dell'Italia e dei suoi primi abitatori... l'autore parla con Roma del passato!

"Nel tempo che nel mondo la mia spera
apparve in prima qui dove noi stiamo,
dopo il Diluvio ancor poca gente era.

Noè, che si può dire un altro Adamo,
navigando per mar giunse al mio lito,
come piacque a colui, ch'io credo ed amo;
e tanto gli fu dolce questo sito,
che per riposo alla sua fine il prese,
con darmi più del suo, ch'io non ti addito.

Giano appresso a dominarmi intese,
e costui mi adornò d'una corona,
insieme con Iafet e con Camese.

Italo poi un'altra me ne dona.

Si fé Saturno, che di Creti venne,
lo qual molto onorò la mia persona.

Ercole, quel che nelle braccia tenne
Pallante, per lo suo valor, non meno
che gli altri, fece ciò che si convenne.

Evandro con gli Arcadii ricco e pieno,
una ne fabbrico nel nome mio,
maggiore assai che gli altri non mi feno.

Roma, Aventino, e Glauco non oblio,
i quai men fenno tre, tal che ciascuna
per sua beltà in gran pregio salio.

E sì m'era allor dolce la fortuna,
che da Oriente a me venne il re Tibri,
al quale piacendo ancor, me ne fè una.

Ma perché d'ogni dubbi ti delibri,
e sappi ragionar, se mai t'affronti
con gente a cui diletti legger libri,
piacemi ancor che più chiaro ti conti.

Sappi, queste corone ch'io ti dico,
mi fur donate dentro a sette monti.

Ma qui ritorno a giano mio antico,
del qual ti ho detto, che dopo Noè
gli piacque il luogo dove i' mi nutrico.

De' Latin fu costui il primo re,
pien di scienza e cotanta virtute,
che di molte gran cose al mondo fè."

La storia continua e dopo Giano si parla degli altri re che fecero l'Italia, ma per oggi è sufficiente, chi vuole può proseguir da se, leggendo il Dittamondo da Google Libri!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

La Sardegna nel Dittamondo di Faccio degli Uberti

Faccio (o Fazio) degli Uberti fu un poeta didascalico fiorentino del 1300 (1305-1367) vissuto quasi da profugo tra una corte e l'altra del nord Italia.
Autore, fra l'altro, di un'opera didascalica chiamata "Dittamondo", in cui racconta il suo personale viaggio nel mondo conosciuto compiuto in compagnia di un geografo antico, Solino (III sec. d. C.).
Lascio a chi ha voglia e tempo il piacere di leggere tutto il libro alla ricerca, magari, di notizie curiose sul proprio paese di origine e mi concentro su ciò che Faccio dice della mia Isola, la Sardegna, riportandovi di seguito ciò che egli scrisse:

"Molto sarebbe l'Isola benigna
più che non è, se per alcun mal vento
che soffia ivi, non la fesse maligna.

Ivi son vene, che fan molto argento,
li si vede gran quantità di sale,
ivi son bagni sani com'unguento.

Non la vidd'io, ma ben l'udio da tale,
a cui do fe, che v'era una fontana,
ch'à ritrovar i furti molto vale.

Un'erba v'è spiacevole e villana,
la qual gustata senza fallo uccide,
et così come è rea è molto strana,
che in forma propria d'huomo quando ride
gli cambia il volto, e scuopre alcuanto i denti,
si fa morto già mai non si vide.

Securi son da lupi, e da serpenti,
la sua lunghezza par da cento miglia,
e tanto più quanto son venti, e venti.

Io viddi, che mi parve meraviglia
una gente ch'alcuno non l'intende,
né essi sanno quel ch'altri bisbiglia.

Vero è, che s'altri di lor cose prende,
per darne cambio, in questo modo fanno,
ch'una ne toglie, et un'altra ne rende.

Quel che sia Cresime, e Battesimo non sanno,
le Barbace gliè detto è in lor paese,
in secura montagna e forte stanno.

Quest'Isola dal Sardo il nome prese,
la qual per se fu nominata assai
ma più per buon padre onde discese.

Un picciol animal quivi trovai,
gli abitanti lo chiaman Solefuggi,
perché al sol fugge quando può più mai.

E poniam che fra lor serpi non bruggi,
pur nondimeno à la natura piace
che da se stessa alcun verme lo fuggi.

Sassari, Buosa, Callari, e Stampace,
Arestan, Villa Nuova, et la Lighiera,
che le sue parti più dentro al mar giace.

Quest'Isola, secondo che si avera,
Genova, et Pisa, al Saracin la tolse,
laqual sentiron con l'haver, che v'era,
el mobil tutto à Genovesi tolse,
et la Terra a Pisani, et furon quivi
infin che Raganesi ne gli spolse.

Et più in giù,
parlar'uddimo, e ragionar all'hora,
che v'è un bagno, il quale ripara,
et salda ogni osso rotto in poco d'hora."

Ecco, il testo è finito, se volete leggerlo dall'originale lo trovate nel Dittamondo al libro III, canto dodicesimo.

Un saluto e a presto,

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO