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giovedì 5 gennaio 2017

Mostra di Antonio Ligabue

Da alcuni mesi e fino al 29 gennaio, al Vittoriano è possibile visitare la mostra di Antonio Ligabue, pittore italiano (ma nato in Svizzera, a Zurigo, nel 1899).


Ligabue (Antonio Costa, poi Laccabue) ebbe una gioventù abbastanza movimentata, nato a Zurigo, da padre ignoto, fu riconosciuto dal marito della madre, ma sin da subito fu affidato ad un'altra famiglia svizzera con la quale visse.
Ebbe grossi problemi comportamentali a causa dei quali dovette cambiare scuola diverse volte. Nel 1917 ebbe una crisi di nervi e fu ricoverato in un ospedale psichiatrico. Infine, nel 1919, fu addirittura cacciato dalla Svizzera, su denuncia della madre adottiva.
Esiliato in Italia, senza amici, senza parenti e senza conoscere la lingua, si trovò a cercare di sopravvivere come poteva, lungo le rive del Po.
Nel 1928 incontrò Renato Marino Mazzacurati, scultore e pittore italiano della cosiddetta scuola Romana. Questo artista riteneva che l'arte avesse una funzione sociale e, forse anche per ciò, aiutò Ligabue a sviluppare il suo talento. Ligabue aveva iniziato a disegnare e dipingere già dal 1920.
I quadri di Ligabue sono generalmente considerati appartenenti alla corrente pittorica "naif".
Quasi tutti i suoi quadri (quelli presenti nella mostra) presentano come soggetto principale una scena di lotta tra animali.
E' difficile trovare un soggetto differente.
Qui sotto, uno dei quadri che mi è piaciuto di più, la tigre. 
  
 

Ligabue si cimentò non solo nella pittura ma anche nella scultura, sono sue diverse opere esposte, tra le quali questo splendido tacchino.
 Il leone
 La capra

 il gufo
Uno dei soggetti preferiti del pittore era il leopardo, sempre ripreso in movimento, in azione di caccia.


 
Interessanti i particolari. I quadri vanno osservati attentamente, spesso infatti tra le foglie o gli alberi si nascondono personaggi o animali.
Qui sotto invece, tra le zampe del leopardo si trova uno scheletro umano che sembra sorridere.
Bellissimi i colori.
Sembra che a Ligabue piacesse molto ritrarsi. Sono numerosi gli autoritratti esposti. In ognuno vi è qualche particolare distintivo, un cappello, una farfalla, una mosca...

  Belli anche i paesaggi alpini, con le mucche al pascolo.


o i cavalli delle carrozze postali dei paesaggi Svizzeri.



Ecco una bella scena di caccia al cinghiale
 
la lotta per la sopravvivenza tra un ragno gigante e un piccolo uccello
 la lotta tra galli
 i cani in caccia

 un paesaggio di campagna
ed infine, uno scoiattolo, questa volta solitario.
Una bella mostra, non il mio genere preferito, ma la pittura di Ligabue ha qualcosa di selvaggio, che colpisce e attira.
Lui non ebbe modo di godersi la fama.
Al termine della sua vita la pittura gli permise di non lottare più contro la fame, ma nulla di più.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 3 gennaio 2017

Archimede e l'assedio di Siracusa

Spesso dalla lettura di un libro, nascono delle curiosità da soddisfare che ti condcono inesorabilemnte a leggere altri libri, visitare luoghi, conoscere persone ed opere...
Nel mio caso, dalla lettura della biografia di "Annibale", di Baker, hsono passato ad approfondire alcuni brani di Polibio e a conoscere l'opera di Giulio Parigi.
Ad un certo punto nel libro su Annibale si parla infatti dell'assedio di Siracusa ad opera di Marco Marcello, allora console romano.

Ci troviamo proiettati nel 212 a.C., cosa che non dobbiamo dimenticare!
Siracusa, come tutti sappiamo, era la patria di Achimede.
Di Archimede si racconta sempre che fu l'inventore degli specchi ustori. 
Ma questa non fu l'unica "arma" da guerra del grande matematico. 
Opera di Giulio Parigi - Architetto e matematico fiorentino
Polibio, grande storico dell'antichità, racconta che durante l'assedio di Siracusa da parte dei romani, il console Marco Marcello era a capo della flotta condotta alla conquista di Siracusa.
Nel libro l'autore scrive così delle invenzioni di Archimede: 
"... Archimede sventò i progetti del console. Il muro era stato bucato perché le barbette e gli scorpioni potessero tirare, oggi si direbbe, a bruciapelo. E non solo gli assalitori dovettero subire questi congegni, ma ebbero ad affrontare qualcosa di più spaventoso.: grandi braccia, munite alle loro estremità di una mano di ferro e di una catena, passarono al disopra dei merli. Quelle mani spazzarono i soldati che erano più avanti lasciando cadere enormi pesi; poi afferrarono le prore delle navi. Furono veduti allora i vascelli innalzarsi al disopra dell'acqua. Quando all'uomo che manovrava quelle macchine pareva che il battello fosse abbastanza sollevato in alto, apriva la mano di ferro tirando una corda e lo lasciava ricadere. Alcuni ricaddero su un fianco, altri si capovolsero, altri colarono a picco con tutti gli occupanti... 
Fu necessario battere di nuovo in ritirata."
 
Oggi possiamo dire che il grande Archimede utilizzò, a quanto pare, delle enormi gru come arma, indubbiamente efficaci sul piano materiale. 
Possiamo solo tentare di immaginare quale effetto psicologico ebbe la scienza di Archimede sugli avversari!


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO