La posizione dei paesi islamici, come nel caso dei paesi europei, non può essere ben definita, in quanto non esiste un’unica voce ma ogni Stato ha la sua posizione ufficiale che dipende essenzialmente dalla situazione interna e dal contesto internazionale in cui è inserito.
La posizione dei paesi islamici, spesso dipende dalla situazione religiosa interna, appare difficile per i governi giustificare di fronte al popolo in gran parte musulmano, la presa di posizione in favore dei paesi occidentali, per motivi differenti, spesso economici. Gli stessi governi non possono o non vogliono schierarsi apertamente contro gli Stati Uniti in quanto talvolta sono stati proprio gli Stati Uniti ad aver appoggiato l’ascesa al potere di dinastie considerate affidabili.
La situazione politica dell’area medio-orientale è instabile da sempre e sia gli Stati Uniti che il Regno Unito, come pure altre nazioni occidentali, hanno da sempre i loro interessi nella zona. Paesi quali la Giordania, l’Arabia Saudita, la Siria, il Libano e lo stesso Israele, a seguito dell’intervento contro l’Iraq, si troveranno di fronte ad un sostanziale cambiamento della situazione strategico-politica della zona. La sbandierata democrazia occidentale, che la guerra all’Iraq porterà nella regione, se agli stati occidentali può apparire un sottoprodotto positivo del conflitto, ai governi della regione suona come un pericolo in quanto quasi sempre è una piccola minoranza della popolazione a detenere il potere e governare con pugno di ferro (1). Anche per questo motivo non è possibile stabilire quali siano le reali intenzioni dei paesi arabi, al di là delle dichiarazioni ufficiali dei governi in carica.
Durante l’incontro del 9 febbraio 2003 tra il presidente egiziano Hosni Moubarak, il siriano Bachar Al-Assad e il Capo del governo libico Mouammar Kadhafi, il presidente Moubarak sostiene la necessità di dare più tempo agli ispettori dell’ONU per lo svolgimento del loro lavoro ma afferma che comunque gli arabi non possono far niente per prevenire la guerra (2).
Il ministro degli esteri dello Yemen, Abou Bakr Abdallah Al-Kourbi, sostiene che la posizione corretta è quella tenuta dalla Francia in quanto fondata sul rispetto della Carta delle Nazioni Unite e sul diritto internazionale.
Secondo l’Indonesia, il più grande paese musulmano al mondo, la guerra all’Iraq dichiarata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito sarà considerata illegale in quanto non rispetta le regole del diritto internazionale.
In Pakistan, i movimenti islamici, hanno chiesto alla comunità internazionale di resistere alle pressioni americane e hanno accusato Bush di essere un guerrafondaio.
La Malaysia ha condannato come un atto d’aggressione illegale, la guerra contro l’Iraq.
Nonostante le dichiarazioni di condanna per la guerra contro l’Iraq, nessun paese ha preso alcuna iniziativa schierandosi apertamente a favore del governo di Saddam Hussein.
La posizione dei paesi islamici, spesso dipende dalla situazione religiosa interna, appare difficile per i governi giustificare di fronte al popolo in gran parte musulmano, la presa di posizione in favore dei paesi occidentali, per motivi differenti, spesso economici. Gli stessi governi non possono o non vogliono schierarsi apertamente contro gli Stati Uniti in quanto talvolta sono stati proprio gli Stati Uniti ad aver appoggiato l’ascesa al potere di dinastie considerate affidabili.
La situazione politica dell’area medio-orientale è instabile da sempre e sia gli Stati Uniti che il Regno Unito, come pure altre nazioni occidentali, hanno da sempre i loro interessi nella zona. Paesi quali la Giordania, l’Arabia Saudita, la Siria, il Libano e lo stesso Israele, a seguito dell’intervento contro l’Iraq, si troveranno di fronte ad un sostanziale cambiamento della situazione strategico-politica della zona. La sbandierata democrazia occidentale, che la guerra all’Iraq porterà nella regione, se agli stati occidentali può apparire un sottoprodotto positivo del conflitto, ai governi della regione suona come un pericolo in quanto quasi sempre è una piccola minoranza della popolazione a detenere il potere e governare con pugno di ferro (1). Anche per questo motivo non è possibile stabilire quali siano le reali intenzioni dei paesi arabi, al di là delle dichiarazioni ufficiali dei governi in carica.
Durante l’incontro del 9 febbraio 2003 tra il presidente egiziano Hosni Moubarak, il siriano Bachar Al-Assad e il Capo del governo libico Mouammar Kadhafi, il presidente Moubarak sostiene la necessità di dare più tempo agli ispettori dell’ONU per lo svolgimento del loro lavoro ma afferma che comunque gli arabi non possono far niente per prevenire la guerra (2).
Il ministro degli esteri dello Yemen, Abou Bakr Abdallah Al-Kourbi, sostiene che la posizione corretta è quella tenuta dalla Francia in quanto fondata sul rispetto della Carta delle Nazioni Unite e sul diritto internazionale.
Secondo l’Indonesia, il più grande paese musulmano al mondo, la guerra all’Iraq dichiarata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito sarà considerata illegale in quanto non rispetta le regole del diritto internazionale.
In Pakistan, i movimenti islamici, hanno chiesto alla comunità internazionale di resistere alle pressioni americane e hanno accusato Bush di essere un guerrafondaio.
La Malaysia ha condannato come un atto d’aggressione illegale, la guerra contro l’Iraq.
Nonostante le dichiarazioni di condanna per la guerra contro l’Iraq, nessun paese ha preso alcuna iniziativa schierandosi apertamente a favore del governo di Saddam Hussein.
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1 Alessandro Politi, “Iraq. Quale pace?”, in Rivista Aeronautica n.2/2003, pag. 19 e seguenti.
2 Tale affermazione ci dà l’idea dei problemi interni sia ai paesi arabi, sia all’interno delle organizzazioni arabe.
1 Alessandro Politi, “Iraq. Quale pace?”, in Rivista Aeronautica n.2/2003, pag. 19 e seguenti.
2 Tale affermazione ci dà l’idea dei problemi interni sia ai paesi arabi, sia all’interno delle organizzazioni arabe.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
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