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lunedì 7 luglio 2014

Dracula, di Bram Stoker



Son so perchè ma ero convinto di aver letto da tempo uno dei classici del romanzo gotico, "Dracula", di Bram Stoker, scrittore irlandese (1847-1912). Eppure si trattava di una mia falsa convinzione, forse basata sui tanti film di vampiri che sono usciti in questi ultimi anni, forse un semplice errore.
Qualche settimana fa, mentre mi aggiravo tra gli scaffali della mia libreria personale, ho ritrovato il libro di Dracula, in lingua originale, comprato anni fa e mai letto, così mi sono reso conto che non conoscevo la storia del Dracula di Stoker ma solo alcuni luoghi comuni sui vampiri, il loro odio per l'aglio, la mancanza di immagine riflessa nello specchio, i poteri mentali che i vampiri esercitano sulle loro vittime e poco altro.
La storia si svolge tra la Transilvania e Londra e vede un gruppo di uomini impegnati nella lotta contro il male rappresentato da Dracula, un Conte non-morto, che dopo secoli di vita ritirata nella lontana Transilvania ha deciso di trasferirsi a Londra.
Stoker racconta la lotta contro questo mostro per il tramite dei diari dei protagonisti del romanzo attraverso articoli di giornale attraverso cui è possibile ricostruire lo sviluppo delle azioni.
Talvolta questi diari si sovrappongono, si intrecciano, sembra perfino che si allontanino dal filo principale del racconto per poi farvi immancabilmente ritorno.
Jonathan Harker, avvocato londinese, viene inviato dalla sua società presso il Conte Dracula per aiutarlo a preparasi alla nuova vita a Londra.
Il viaggio di avvicinamento al castello viene raccontato con maestria da Stoker che mette ben in evidenza i sentimenti della popolazione circostante nei confronti del Conte, temuto da tutti.
Jonathan porta a compimento il suo lavoro, rendendosi conto troppo tardi di trovarsi prigioniero nel castello del Conte...
 
Riuscirà a fuggire?
Riuscirà a tornare a Londra dalla sua amata Mina?
Chi è veramente il Conte Dracula?
 
Il libro ci racconterà tutto con dovizia di particolari... per cui, buona lettura a tutti!
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO 

giovedì 3 luglio 2014

Su goppai miu de Casteddu (Il mio compare di Cagliari)

Ancora si raccontano, a Gesico, storielle antiche che parlano dell'ingenuità delle persone umili.
Eccone una, raccontata da mia nonna Annunziata Carboni, che la cara zia Nina pochi giorni fa ha riportato alla mia memoria.

Un signore deve mandare un dono ad un compare che abita a Cagliari.
Siamo negli anni '50.
Chiama la domestica e le dice: "Porta custu presenti a goppai Luigi".
     (Porta questo regalo a compare Luigi)
La ragazza, un po preoccupata risponde: "Sissignore, ma in dui dia deppi pottai?"
     (Sissignore, ma dove lo devo portare?)
"A Casteddu 'ndui bivvidi su goppai miu!"
     (A Cagliari, dove vive compare Luigi)
"A Casteddu?" Risponde la domestica.
     (A Cagliari?)
"Ma su merixeddu miu caru, deu non mi sciu giostrai beni in Casteddu, ma bandu cun d'una amiga mia cara, issa esti prusu acculturada de mei".
     (Ma, padroncino mio caro, io non mi so giostrare bene a Cagliari, ma vado con una mia amica che è più acculturata)
Così le due ragazze partono per la città.
Una volta arrivate, la ragazza più sveglia chiede all'altra quale fosse l'indirizzo.
La domestica risponde: "Su merixeddu m'a nau de bussai e domandai de goppai Luigi"
      (Il padroncino mi ha detto di bussare e chiedere di compare Luigi)
Così le due ragazze bussano alla prima porta che trovano.
- "Cosa volete?" Risponde una voce da dietro la porta chiusa.
"Esti vi signoria goppai Luigi?" Dicono timidamente le due ragazze paesane.
      (E' Lei compare Luigi?)
- Andate via, puttane zozze! Risponde una voce dall'interno scambiandole per donne di malaffare.
Le ragazze, capendo male, ringraziano e si allontanano.
"Duncasa, deppeusu bussai in cussa via e in cussa porta! DIce la più acculturata alla domestica.
     (Dunque, dobbiamo bussare in quella via e in quella porta.)
Si spostano di pochi metri e bussano ancora: - Toc, toc...
"Bivvidi innoi su signori nostru?" Chiedono ancora le due ragazze.
     (Abita qui, il signore nostro?)
Affacciandosi, una voce gentile risponde: "Chi cercate, signorine belle?"
"Ciccausu su signori nostru. Pottausu uno presenti de su goppai de vi signoria"
     (Cerchiamo il nostro signore. Portiamo un dono del suo compare.)
- Entrate pure - risponde l'uomo pregustando i doni - Cosa mi manda il mio bravo compare? Chiede interessato.
"Pottausu unu porceddu, pani de simbua e is pardulasa po fai una bella Pasca."
     (Portiamo un maialetto, pane di semola e le formaggelle per fare una buona Pasqua)
- Ma prego, accomodatevi pure. Risponde l'uomo furbescamente, approfittando della ingenuità delle due ragazze.
- Siete arrivate nella casa giusta e ringraziate tanto il compare per essersi disturbato con tutto questo ben di dio.
Le ragazze così tornano a casa soddisfatte.
Al loro rientro il padrone chiede come è stato il viaggio e se è stato facile trovare il compare.
"Facili facili, eusu bussau in sa prima porta e s'anti arrespustu - in cussa via e in cussa porta! -
      (Facilissimo, abbiamo bussato alla prima porta che ci è capitata e ci hanno risposto "in quella via e in quella porta")
Il padrone è così soddisfatto del lavoro svolto, ignorando però che il suo compare non aveva ricevuto niente!

Demuro Fernanda

sabato 14 giugno 2014

Il Cardinale di Richelieu, di Michele L. Straniero

Diversi anni fa lessi, per la prima volta, la biografia di Richelieu. Probabilmente lo feci in un momento in cui la mia mente era occupata da tanti pensieri perchè in linea di massima non ricordavo niente oltre il fatto di aver già letto il libro.
Così qualche giorno fa, mentre sceglievo nella mia biblioteca il libro che mi avrebbe accompagnato per una settimana, imbattendomi sulla vecchia copertina in finta pelle della biografia del Cardinale, non ho avuto dubbi, avrei riletto un libro, come se fosse la prima volta!

Richelieu, al secolo Armando Giovanni du Plessis, duca di Richelieu, nasce a Richelieu, nel Poitou, il 9 settembre 1585. Nei primi anni il giovane Richelieu, era un ragazzo di salute cagionevole. Fu istruito a casa fino all'età di nove anni, poi frequentò il collegio di Navarra e quindi l'Accademia militare. Qualche anno dopo il fratello Alfonso, rifiutò il vescovado di Lucon, da tempo appannaggio della famiglia Richelieu; Armando, allora diciassettenne, prese la palla al balzo e si buttò nello studio della teologia per diventare vescovo. All'età di ventun anni diviene vescovo, conclude anche gli studi accademici e si reca a Roma a fare scuola di vita. Grazie alla sua intelligenza entra velocemente nelle grazie del papa Paolo V.
L'incontro casuale tra Richelieu e il nobile Francesco Leclerc du Tremblay (che sarà conosciuto come eminenza grigia), diventato cappuccino nonostante il volere della famiglia, diede vita ad una coppia inseparabile e vincente, che avrebbe affrontato assieme le vicissitudini del tempo guidando la Francia di Luigi XIII attraverso le guerre e gli intrighi di corte per portarlo verso la creazione di una nuova Francia.

La vita di Richelieu e gli intrighi di corte sono magistralmente raccontati nel libro anche facendo spesso parallelismi con il più famoso libro "I tre moschettieri" di Dumas e con precedenti biografie tra queste una sicuramente interessante che spero di riuscire a leggere di Aldous Huxley.

Un'ultima frase di Richelieu mi ha colpito per la sua forza e per il valore che ha mantenuto nel tempo: "Essere rigoroso verso i privati che si fanno una gloria di disprezzare le leggi e le ordinanze dello Stato, vuol dire fare il bene pubblico".

Bellissima biografia, da leggere per chi vuole capire meglio le origini della Europa dei nostri giorni.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 6 giugno 2014

Churchill , di Martin Gilbert

Chi non ha sentito parlare di Churchill?
Chi non ha visto qualche sua immagine, magari col sigaro in bocca e il pastrano tutto sdrucito?
Winston Churchill mi ha sempre affascinato e il desiderio di conoscerlo meglio mi ha portato a leggere la sua biografia, scritta da Gilbert, suo biografo ufficiale.
Winston Leonard Spencer Churchill nasce il 30 novembre 1874 nel palazzo di famiglia, Blenheim Palace, a Woodstock, nei pressi di Oxford, il nome altisonante dovrebbe far capire che la sua sarà un vita ricca e interessante ma il piccolo Winston era un po ribelle e il padre non lo considerava all'altezza dei compiti che avrebbe dovuto affrontare in qualità di membro di una importante famiglia quale la loro era. A scuola era irrequieto e il rendimento generale non era elevato anche se col tempo imparò ad essere più disciplinato. La famiglia era sempre lontana e lui crebbe nei vari istituti scolastici con brevi visite presso la famiglia.
Entrò al Royal Military College di Sandhurst dove scopre come incanalare le sue energie in un lavoro faticoso quale è quello del militare. Nel mentre scrive per i giornali del luogo e tiene comizi politici per il partito cui fa il tifo partecipando a pieno titolo alla vita sociale e politica del Paese.
Nel 1895 Churchill diviene Ufficiale di Cavalleria e viene assegnato al 4° Ussari, dove inizia la sua carriera militare, che amerà per tutta la vita e alternerà alle attività di politico, giornalista e scrittore.
La vita militare lo entusiasmava, partecipò a diverse guerre, la Gran Bretagna gliene dava l'occasione grazie all'Impero sempre in subbuglio. Durante i suoi viaggi conobbe tanti militari cui resterà sempre affezionato. La sua carriera politica lo porterà comunque a incontrarli ancora.
Il periodo in cui visse, con le due guerre mondiali, fece di Churchill un eroe della resistenza antinazista in Europa e, forse, il maggior artefice della sconfitta di Hitler, che lo temeva per la sua acutezza e forza di volontà.
Churchill, nonostante i suoi incarichi importanti, non dimenticò mai di parlare con i suoi uomini, civili o militari che fossero, per incitarli in ogni occasione a fare del loro meglio e questo forse fu il suo più grande merito.
 
La biografia di Churchill non può mancare nella biblioteca di casa e la sua vita andrebbe sempre tenuta ad esempio per le giovani generazioni, non solo inglesi!

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

domenica 1 giugno 2014

Anteprima: Storia della Sardegna antica

Cari amici, penso sia arrivato il momento di cominciare a parlare del mio prossimo libro, Storia della Sardegna antica, che dopo anni di ricerche sto terminando di scrivere.
Oggi, vi voglio regalare un capitolo, anche perchè vorrei avere vostri suggerimenti.
Ma non voglio farvi perdere tempo, ecco il capitolo che parla della storia dei nomi della nostra amata isola, la Sardegna, sperando sia di vostro interesse e che possiate trovare parte delle radici della nostra terra.
Sardegna... storia di un nome

Prima di passare la parola agli storici vorrei parlare brevemente del nome "Sardegna".

Tutti i sardi sanno che l'isola in passato ha avuto altri nomi, uno dei più famosi è Ichnusa1, ma non è l'unico e non è neanche il più antico.

Francisco de Vico, nel suo testo "Historia generale de la Isla y Reyno de Sardeña"2ci dice che il primo nome che ebbe l'isola gli fu dato dai suoi primi abitatori, gli ebrei, che la chiamarono "Cados Sene" il cui significato sarebbe "Calzare Sacro", probabilmente per la sua forma simile all'impronta di un piede o calzare. I greci diedero poi il nome di Ichnusa che vuol dire la stessa cosa, calzare santo.

Sempre De Vico ci dice che secondo Beroso, sacerdote babilonese del terzo secolo a.C. (perché poi un babilonese si sia occupato della Sardegna è tutto da capire!), il termine Sandaliotes era stato attribuito all'isola dagli abitanti che avevano preceduto i greci, a detta sua questi furono i principi vetuloni o toscani, gli etruschi. Poi arrivò in Sardegna Ercole che chiamò l'isola Iolea, per alcuni dal nome di Iole sua moglie,secondo un'altra versione dal nome di Iolao, suo nipote. Dopo Iolao, un figlio di Ercole di nome Sardo divenne Re e da lui l'isola prese il nome che porta ancora oggi: Sardegna.

Qualche secolo dopo De Vico, nell'anno 1792, l'abate gesuita Matteo Madao nelle sue “Dissertazioni Storiche e apologetiche critiche delle Sarde Antichità” scrive: “Assai più forte congettura che le sposte non sono, per provar e chiarire il nostro argomento, e per mostrare l'antidiluviana popolazione di quest'isola, pare che sia un'altra, che qui addurremo, la quale si tira dal primo e prisco nome Cadossene, onde, secondo Beroso, Solino, Plinio, Annio di Viterbo, Pineda, Albertino, ed altri storici autori, la Sardegna fu chiamata sin dal principio dell'antichissima sua fondazione: nome ebraico, composto di due vocaboli, i quali uniti significano pianella, o sandalo santo e divino (epperò Cados valesanto, e Sene pianella, o sandalo in lingua ebrea, o aramea), che per trovarlo i Greci, antichissimi abitatori d'essa Sardegna, assai proprio e significante, e adattato alla di lei figura di uman vestigio, il voltaron poi nel greco Sandaliothis, affatto corrispondente a Cadossene, non meno nel significato che nel congiungimento dei due vocaboli, i quali al pari de' due suddetti ebrei esprimono in greco la forma della stess'isola dacchè Sandalion significa sandalo, o pianella, e Theion, forma neutra di theios, santo e divino”.

Il nostro Madao riporta anche i commenti di Francesco Sansovino al testo di Beroso: “Cadossene, che i Greci dicono Sandalioti, i Latini Sancta Crepida, e noi Sardigna”...

Poco avanti, nello stesso libro, il padre gesuita, parlando della discendenza di Adamo e del significato dei primi nomi dati alle regioni del mondo dai colonizzatori ebrei, aggiunge: “Cadossene, onde l'isola di Sardegna da' primi di lei abitatori fu chiamata, ed al quale poi nei secoli postdiluviani altri nuovi nomi via via succedettero per appellarla, come Sandaliotis, Icnusa, Munivia3,Sardon, Sardinia, inventati da' Greci, da Fenicj, e Romani”.

Ed ecco così ancora due nomi, Sardon e Munivia, che riemergono dal passato e dai testi di autori antichi ormai dimenticati. Procopio invece dice che “Sardò è il proprio nome di questa che chiamasi ora Sardegna".

Come avrete notato non sempre gli autori concordano sull'origine dei nomi, questa è una cosa molto comune quando si parla dei tempi antichi, ed essendo la Sardegna terra antichissima, purtroppo è soggetta a questo problema.

Come comportarsi allora, vi chiederete.

Se volete, fate come faccio io, raccogliete tutte le testimonianze e fatevi una vostra idea della cosa più probabile, senza pretendere di arrivare alla verità, probabilmente persa per sempre nelle nebbie del passato più remoto.

Riassumendo, la terra che oggi è conosciuta col nome di Sardegna di oggi ebbe diversi nomi nel tempo e a seconda delle lingue dei popoli usate per descriverla: Cados Sene, Iolea, Munivia (e forse, Gadyla), Ichnusa, Sandaliotis, Sardon, Sancta Crepida e infine Sardegna, probabilmente ve ne sono altri che non conosco e ciò mi spinge a proseguire le ricerche.

Note:

1Ιχνουσσα in greco antico, traslitterato come Hyknusa o Icnussa.

2 Testo pubblicato a Barcellona nel 1639.

3 Sulla "Revue des deux mondes. Sept. 1836, tomo 7, pag. 543-564", in un testo di natura controversa, ho trovato anche il nome di Gadyla, ma di questo non sono certo. Vedi: Sulla scoperta d'un manoscritto contenente la traduzione di Sanchuniathon, di Filone di Biblos. sul mio sito, all'indirizzo http://tuttologi-accademia.blogspot.it/2013/07/sulla-storia-dei-fenici-secondo.html.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 23 maggio 2014

L'Europa crolla sotto il suo stesso peso

Europa, un sogno di molte generazioni.
Il sogno di vedere le Nazioni europee finalmente in pace, desiderio sempre più forte di chi visse e combattè le due Guerre Mondiali, un sogno troppo lontano dalle generazioni attuali, che di quelle guerre ricorda forse poche cose, sentite forse durante una lezione di storia.
Dell'Europa oggi cosa vediamo?
L'Euro e poco altro.
Non esiste neanche una rete televisiva europea che ci tenga informati su quello che si sta facendo per tutti.
Non esiste un documento che dica, in vece che "Italiano", "Spagnolo", "Tedesco", semplicemente "Europeo".
Non esiste una lingua usata da tutti per il lavoro quotidiano o anche solo per la burocrazia. E dico di più, non esiste e non esisterà, anche perchè la lingua più parlata è l'Inglese e gli inglesi non fanno neanche parte a pieno titolo dell'Unione Europea!
Ma cosa ha affossato realmente l'Europa in questi anni?
L'Europa stessa!
O meglio la mancanza dell'Europa.
Devo dire che mi sono sentito sempre poco europeo, purtroppo.
Cosa ha fatto per me l'Europa?
A occhio e croce niente, anche se forse occorrerebbe mettere sul piatto della bilancia anche l'assenza di guerre negli ultimi settanta anni.
In ogni caso, l'Europa ha creato solo burocrazia e sovrastrutture statuali assolutamente lontane dal cittadino comune che non ha avuto alcun nuovo modo di conoscere l'Europa. Ecco, la burocrazia ha distrutto l'Europa sul nascere.
Un'Europa che voglia contare qualcosa dovrebbe essere più presente nella vita di tutti i giorni, un modo sarebbe quello di aprire un televisione Europea, che trasmetta su tutto il territorio europeo, usando magari le lingue europee a rotazione per trasmettere però gli stessi messaggi: noi europei esistiamo e siamo qui, affianco a voi, tutti i giorni!
Ma ora, forse, è già troppo tardi...
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 18 maggio 2014

Gesico - Is berbus de s'ogu pigau (preghiere contro il malocchio)


“Berbu era in Sardo antico il vocabolo ordinario per ‘parola’ [..] oggi si usa solo
al plurale (Logudorese: sos berbos; campidanese: is brebus) e significa gli scongiuri e le formole per attirare la fortuna, per allontanare i fulmini, per trovare le cose smarrite, per fugare i diavoli, i dolori ecc. e per far arrivare le pallottole al cuore del nemico;” (La lingua Sarda, Max Leopold Wagner, pag. 103) in questo modo Max Leopold Wagner, descrive il significato del termine ‘berbu/brebu’.
Ma cos’è ‘s’ogu pigau’?
Il malocchio; quando parlo di quest’argomento con gli anziani del mio paese si sente in loro una certa riluttanza, dicono e non dicono, parlano sottovoce, come se avessero paura o meglio, come se fosse un argomento tabù.
La frase più ricorrente è: “.. le formule sono segrete e devono restare tali perché facciano effetto...”.
Qualche anno fa, quando cominciai ad interessarmi di tradizioni popolari, chiesi di sapere quali frasi venivano pronunciate “da su brusciu”(lo stregone) per curare i porri, mi fu detto che ‘is brebus’ non si potevano raccontare, se volevo conoscerli ‘du su deppìu furai’(avrei dovuto rubarli, sottrarli).
Da allora cominciai a documentarmi, chiesi informazioni, cercai sui testi, tesi le orecchie discretamente ogni volta che si toccava l’argomento finché, non so bene se per caso o per costanza, sono riuscito a carpire alcune frasi ‘de sa meiscina de s’ogu pigau (la cura contro il malocchio) .Ho già parlato in altre occasioni di questo argomento (vedi “In Sardegna” n° 16 e “Il Notiziario n° 6), ma sempre in modo volutamente superficiale in quanto ero in possesso di dati incompleti, ora credo sia arrivato il momento di approfondire il discorso in quanto sono venuto a conoscenza di tre versioni de ‘is brebus’ per cui è possibile fare dei raffronti e delle considerazioni.
In primo luogo vorrei chiarire che ‘is brebus’ sono delle preghiere (che potremo comprendere tra la magia bianca) formulate probabilmente nel tardo Medio Evo e trasmesse sempre oralmente per cui ciò che scriverò potrebbe essere in parte errato o incompleto. Affinché facessero effetto, is brebus, dovevano essere recitati da ‘su brusciu’ che avrebbe dovuto rubarli ad uno stregone anziano al termine della sua carriera. Da parte del malato è richiesta fede incondizionata nel guaritore; quando ciò non è possibile, perché il malato è un bambino piccolo o un animale, devono essere i genitori o il proprietario ad aver fede.
Su brusciu serio non chiedeva compenso per la sua opera ma spesso riceveva dei regali per ringraziamento.Alcuni guaritori, prima di effettuare ‘sa meiscina’ si assicurano che il presunto malato sia effettivamente ‘pigau de ogu’, a tal fine utilizzano un bicchiere d’acqua e dei chicchi di grano o di sale grosso che, fatti cadere nell’acqua, permettono all’occhio attento del guaritore di leggere il responso.
Si procede immediatamente dopo alla recitazione de is brebus che spesso terminano con il segno della croce o con la imposizione delle mani. La trasmissione de is brebus era esclusivamente orale si potevano verificare delle variazioni dal testo originale dovute ad incomprensioni, inoltre normalmente, su brusciu o il suo equivalente femminile, “sa coga”(la strega) , non conosceva il significato delle preghiere in quanto alcune volte vi erano termini in latino o greco e conseguentemente non erano in grado di correggere eventuali errori che quindi venivano tramandati. Per chiarezza espositiva chiamerò le tre versioni con una lettera maiuscola (A,B,C) e numererò le righe (per esempio A.13 significa versione A, riga 13) in questo modo si potranno fare dei riferimenti in maniera semplice e concisa. Per ultimo voglio dire che i versi in sardo sono scritti così come si pronunciano senza utilizzare nessun sistema di trascrizione fonetica che risulterebbe utile solo ai conoscitori della lingua sarda ma di difficile interpretazione per tutti gli altri lettori.
Versione A
A.1 Gesusu e Santu Antiogu - Gesù e Sant’Antioco
A.2 T’anti pigau de ogu - ti hanno attaccato il malocchio
A.3 Santu Liberau - Santo Liberato
A.4 De ogu t’anti pigau - ti hanno attaccato il malocchio
A.5 Santu Pianu Conti - Santo Pianu Conti (?)
A.6 Ti pongiu manu in fronti - ti poggio la mano sulla fronte
A.7 Ti pongiu manu in testa - ti poggio la mano sulla testa
A.8 Chi no timmas nottesta - affinché tu non tema questa notte
A.9 E ni per una notti - e nessun’altra notte
A.10 Santu Giuanni Battista - San Giovanni Battista
A.11 Ti torridi cara e vista - ti restituisca il colorito e la vista
A.12 Santa Maria Clara - Santa Maria Clara
A.13 Ti torridi vista e cara. - Ti restituisca la vista e il colorito.
A.14 Santa Lucia de oristanisi - Santa Lucia d’Oristano
A.15 Tottusu beninti imparisi - tutti arrivano assieme
A.16 Dopu de custa notti - dopo questa notte
A.17 Pregai a Deusu - pregate Dio
A.18 Santi Basili dottori - San Basilio dottore
A.19 Ca fusti meigadori - che fosti guaritore (?)
A.20 Fusti meigheri - fosti guaritore (?)
A.21 Paga no pigheisi - non prendete paga
A.22 Non di pigheisi paga - non prendete paga
A.23 Scetti s’anima salva - solo l’anima (abbiate) salva
A.24 E chi si’nda pigau - e chi si è fatto pagare
A.25 sia pedronau - sia perdonato
A.26 Santu Damiau lusci - San Damiano luminoso
A.27 E ti fazzu sa gruxi - ti segno con la croce
A.28 E ti azziu sa manu - ti impongo la mano
A.29 In nomini ‘e su Babbu - nel nome del Padre
A.30 De su Fillu - del Figlio
A.31 e su Spiritu Santu - e dello Spirito Santo.

Versione B
B.1 Gesusu e Santu Antiogu - Gesù e Sant’Antioco
B.2 T’anti pigau de ogu - ti hanno attaccato il malocchio
B.3 Santu Liberau - San Liberato
B.4 De ogu t’anti pigau - ti hanno attaccato il malocchio
B.5 Santu Giuanni Battista - San Giovanni Battista
B.6 Chi ti torridi forza, poderi e vista - ti restituisca forza, potere e vista
B.7 Santa Maria Clara - Santa Maria Clara
B.8 Chi ti torridi sa gana. - Ti restituisca la voglia
B.9 Santa Lucia de Tertenia, d’Escuveri e de Oristani - Santa Lucia di Tertenia, d’Escuveri e d’Oristano
B.10 Tottus bengianta imparisi - tutte vengano assieme
B.11 Po abrebai a tia - per farti gli scongiuri
B.12 Santu Pianu Conti - Santo Pianu Conti (?)
B.13 Ti pongiu manu in fronti - ti poggio la mano in fronte
B.14 Ti pongiu manu in testa - ti poggio la mano in testa
B.15 Chi no timmas nottesta - affinché non tema questa notte
B.16 E ni per una notti. - ne nessun’altra notte
B.17 Luisu manu e dottori - Luigi (?) mano di dottore
B.18 Ca fu meigadori - che fosti guaritore (?)
B.19 Ca fu meigheri - che fosti guaritore (?)
B.20 Paga non di pigheisi - non prendete paga
B.21 Scetti s’anima salva - solo l’anima (abbiate) salva
B.22 E no di pigheisi paga. - E non prendete paga
B.23 Cristo rendi - Cristo rendi (?)
B.24 D’ognia mali defendi - da tutti i mali difendi
B.25 A chini ti dda pigau - a chi te l’ha preso (?)
B.26 Sia pedronau - sia perdonato
B.27 Cosimo e Damianu - Cosimo e Damiano
B.28 Deu ti fazzu sa meiscina - io ti faccio la medicina
B.29 E Deusu ti azzi sa manu - e Dio ti imponga la mano
(ripetere per tre volte)

Versione C
C.1 Gesusu e Santu Antiogu - Gesù e Sant’Antioco
C.2 T’anti pigau de ogu - ti hanno attaccato il malocchio
C.3 Santu Liberau - San Liberato
C.4 De ogu t’anti pigau - Ti hanno attaccato il malocchio
C.5 Santu Patriarca - San Patriarca
C.6 Ti torridi sa tracca - ti restituisca lo scheletro
C.7 Santu Giuanni Battista (nome del malato) - San Giovanni Battista (..)
C.8 ti torridi gana e vista - ti restituisca voglia e vista
C.9 Santa Maria Clara - Santa Maria Clara
C.10 Chi ti torridi vista e gana. - Ti restituisca vista e voglia
C.11 Santa Lucia de Oristanisi - Santa Lucia d’Oristano
C.12 Tottus bengianta imparisi - tutte vengano assieme
C.13 Aintru de custa die - durante questo giorno
C.14 po abrebai a tie - per farti gli scongiuri
C.15 Santu Pianu Conti - San Pianu Conti (?)
C.16 Ti pongiu manu in fronti - ti poggio la mano in fronte
C.17 Ti pongiu manu in testa - ti poggio la mano in testa
C.18 Chi non timmas nottesta - affinché non tema questa notte
C.19 E ni d’ognia notti - e nessun’altra notte
C.20 Santu Pianu Conti. - San Pianu Conti (?)
C.21 Basili mannu dottori - Basilio gran dottore
C.22 Ca furia meigadori - che fu guaritore (?)
C.23 Ca furia meigheri - che fu guaritore (?)
C.24 Paga non ddi pigheisi - non prendete paga
C.25 Scetti s’anima salva - solo l’anima (abbiate) salva
C.26 non ddi pigheisi paga. - Non prendete paga
C.27 Cristo arrendi - Cristo ‘arrendi’ (?)
C.28 D’ognia mali difendi - da tutti i mali difendi
C.29 A chi ti dda pigau - a chi te l’ha preso
C.30 Chi siada pedronau - sia perdonato
C.31 Cosimo e Damianu - Cosimo e Damiano
C.32 Deus ti torri sa vista - Dio ti restituisca la vista
C.33 E ti pesi sa manu - e ti imponga la mano.
Come si può notare le tre versioni sono molto simili e probabilmente d’origine comune, alla base delle ‘preghiere’ è posta la fede nei santi come guaritori.
Ma come nascono queste preghiere e quando? Difficile dirlo, in Gesico non ho mai trovato niente di scritto attinente ai brebus de s’ogu pigau, sembra che questi esistano solo nella tradizione orale, inoltre diventa sempre più difficile trovare qualcuno che li conosca e si ricordi bene a memoria tutto. Probabilmente vengono tramandati da qualche secolo ma non ho trovato alcun riferimento temporale. Per quanto riguarda la provenienza, penso siano nati nel campidano visti i termini utilizzati e la forma delle frasi, anche se alcuni passi mi lasciano dubbioso, sarebbe interessante effettuare uno studio della distribuzione di questi brebus per capire la zona di provenienza. Ho trovato qualche difficoltà nella interpretazione dei termini ‘meigadori’ e ‘meigheri’, potrebbe darsi che questi siano da ricollegarsi al logudorese ‘meigu’ che significa medico e quindi gli si potrebbe dare il significato di ‘guaritore’, questo significato sembra attribuibile, almeno leggendo la versione A, infatti: A17 Santi Basili dottori A18 ca fusti meigadori A19 fusti meigheri… Eppure la versione A è quella che ritengo più incompleta e meno corretta, così, analizzando bene le altre versioni si nota che nella B sparisce ‘Santi Basili’ per lasciar spazio ad un fantomatico ‘Luisu’ (Luigi?) senza dire niente riguardo alla sua santità. Nella versione C si torna a ‘Basili’ senza chiamarlo ‘Santi’, chiamandolo ‘mannu dottori’ cioè ‘gran dottore’. Come mai tutte queste varianti del tema? Si potrebbe ipotizzare che questo passo fosse particolarmente oscuro a coloro che nel tempo si sono tramandati is brebus, la cattiva comprensione del passo originale potrebbe aver favorito il nascere di diverse versioni, eppure a prima vista non sembra che vi siano cose strane (a parte i termini ‘meigheri’ e ‘meigadori’).
In un primo tempo ho pensato che nella versione C fosse andato perduto l’appellativo di ‘Santi’ per ‘Basili’, ma poi, ripensandoci, è strano che solo in una delle tre versioni si riporti questo termine così importante, si potrebbe pensare che ‘Basili’ non sia un santo e che tutta la frase abbia un altro significato.
E’ stato quasi per caso che, leggendo il libro ‘La lingua Sarda’, mi sono imbattuto nella frase “.. magistrato giudiziario ed amministrativo ad un tempo, che rappresentava il giudice nelle singole regioni (curatorìas) e governava a suo nome. Il curatore maiore corrisponde al "megas courator" (courator ton basilicon oikon della corte bizantina)” (La lingua Sarda, Max Leopold Wagner, pagg. 166-167) Ora, la frase ‘Basili mannu dottori’ potrebbe essere una cattiva interpretazione del greco megas=grande=>mannu e courator=curatore=>dottori, quindi il termine ‘Basili’ non è il nome di un santo ma il 'basilicon' or ora visto.
(Maggio 2014) Voglio aggiungere ancora una possibilità, leggendo "Storia della Medicina e dell'Assistenza per le Professioni Sanitarie" di Enzo Cantarano e Luisa Carini, mi sono imbattuto ancora una volta in San Basilio Magno, che istituì il cenobitismo maschile in Oriente. Riporto direttamente dal testo: "nella sua Regola, ispiratrice di quella di San Benedetto, assegnava un posto preminente alla cura del malato. Egli istituì in Cappadocia, regione dell'Asia Minore, la prima struttura ospitaliero-assistenziale, la Basiliade, che costituì esempio per analoghe istituzioni religiose e statali". A questo punto è probabile che l'interpretazione debba andare verso la direzione di San Basilio in quanto precursore dell'assistenza dei malati.
Vorrei ora evidenziare brevemente le caratteristiche principali delle tre versioni.
I tratti caratteristici della versione A sono: l’uso del termine ‘cara’ come ‘colorito della pelle’; l’appellativo di ‘santi’ per ‘Basili’.
Nella versione B si ha: in B.9 e B.10 si ha concordanza di numero, cosa che non si ha nelle altre versioni. non si cita ‘Basili’ ma ‘Luisu’.
Nella versione C, infine, si può leggere: C.5 Santu Patriarca C.6 ti torridi sa tracca.
Vorrei far notare come nella B e C sia presente la strofa: Cristo (ar)rendi D’ognia mali defendi A chi(ni) ti dd’a pigau Sia pedronau Assente nella A, nella quale compaiono solo le ultime due righe in A.23 e A.24.
Ritengo che le B.23, B.24 e le C.29, C.30 siano da leggere così: a chini ‘de ogu’ t’adi pigau sia pedronau. Il termine ‘rendi’ o ‘arrendi’ non mi è stato spiegato, forse è il termine ‘Rei’ per Re, ma potrebbe anche essere ‘redentore’.
Sono convinto che vi siano ancora tante cose da dire su questi brebus e spero che ciò serva a salvare questi resti di antichità per tanto tempo tenuti nascosti alla conoscenza umana, anche perché queste preghiere giungono a noi direttamente dal passato avendo subito ben pochi cambiamenti, sono quindi testimoni della evoluzione della lingua sarda nel tempo.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO