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venerdì 25 aprile 2008

Esiodo, Opere e giorni - I custodi della Giustizia...

Esiodo ci parla della giustizia e di come ci si debba comportare, di cosa significhi essere giusti, poi, per la seconda volta, dopo un breve accenno fatto nel paragrafo sul mito delle razze o ere del mondo, ecco che tornano quei custodi della giustizia della prima era...

[251-255]
"Tre volte dieci per mille sono, sulla terra feconda, gli immortali mandati da Zeus, custodi degli uomini, che guardano alle loro sentenze e all'opere scellerate, vestiti di nebbia, sparsi dovunque su tutta la terra."

Ecco, dicevo, che ritornano i guardiani vestiti di nebbia... a controllare l'operato dell'uomo...
Ma di che cosa si tratta?
Che cosa può significare "vestiti di nebbia"?

Queste domande meritano risposta e dunque è necessario indagare...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 22 aprile 2008

Esiodo, Opere e giorni: il mito delle razze.

Esiodo, autore tra l'altro della Teogonia è anche l'autore di opere meno conosciute ma non per questo meno interessanti... Opere e giorni è un'opera che ha i suoi punti di interesse e senza perder ulteriormente tempo vi dico perché.

In primo luogo "opere e giorni" ci ripropone il mito legato alle cinque età della Terra o che è lo stesso, il mito delle razze. Esiodo infatti a partire dal versetto 106 ci dice:



"Ora, se vuoi, darò coronamento al mio dire con un altro racconto, bene e in modo opportuno, e tu nel tuo cuore riponilo, come medesima origine fu agli dei e ai mortali.

Prima una stirpe aurea di uomini mortali fecero gli immortali che hanno le olimpie dimore.

Erano ai tempi di Crono, quand'egli regnava nel cielo; come dei vivevano, senza affanni nel cuore, lungi e al riparo da pene e miseria, nè per loro arrivava la triste vecchiaia, ma sempre ugualmente forti di gambe e di braccia, nei conviti gioivano, lontano da tutti i malanni; morivano come vinti dal sonno..."



E così la prima razza, la razza aurea, popolò la Terra quando regnava Crono nel cielo, una razza fortunata che viveva come dei, a lungo e senza affanni ed anche la morte errivava senza che la vecchiaia avesse i suoi effetti... Poi accadde qualcosa, il tempo passò e "la Terra ricoprì questa stirpe" che si trasformò, per opera di Zeus, in demoni benigni sulla Terra custodi degli uomini mortali e della giustizia "vestiti di nebbia, sparsi ovunque sulla Terra". Vestiti di nebbia... chissà cosa poteva significare! Poi é il momento della seconda stirpe...



"una stirpe assai peggiore della prima, argentea, fecero gli abitatori delle olimpie dimore, né per l'aspetto all'aurea simile né per la mente, ché per cent'anni il fanciullo presso la madre sua saggia veniva allevato, giocoso e stolto, dentro la casa; ma quando cresciuti giungevano al limitare di giovinezza vivevano ancora per poco, soffrendo dolori per la stoltezza, perché non potevano da tracotante violenza l'un contro l'altro astenersi, né gli immortali venerare volevano..."



La seconda razza, argentea, meno intelligente e più violenta, vive sotto Zeus Cronide, senza rispettare gli dei e il loro prossimo e così, un giorno, é proprio Zeus Cronide che li fece morire. E anche questa razza venne coperta da Terra e trasformata in geni inferiori.

E' quindi il momento di Zeus padre che...


"una terza stirpe di gente mortale fece, di bronzo, in nulla simile a quella d'argento, nata da frassini, potente e terribile: loro di Ares avevano care le opere dolorose e la violenza, né pane mangiavano, ma d'adamante avevano l'intrepido cuore, tremendi: grande era il loro vigore e braccia invincibili dalle spalle spuntavano sulle membra possenti; di bronzo eran le armi e di bronzo le case, col bronzo lavoravano perché il nero ferro non c'era."

La stirpe di bronzo morì per sua mano, ci dice Esiodo, e il tempo passò e fu la volta della quarta razza. Zeus Cronide fece una razza migliore, la quarta volta, una razza di eroi, detti semidei, che ha preceduto la nostra.

"Questi li uccise la guerra malvagia e la battaglia terribile, alcuni a Tebe dalle sette porte, nella terra di Cadmo, combattendo per le greggi di Edipo, altri poi sulle navi al di là del grande abisso del mare condotti a Troia, a causa di Elena dalle belle chiome; là il destino di morte li avvolse; ma poi lontano dagli uomini dando loro vitto e dimora il padre Zeus Cronide della terra li pose ai confini. Abitano con il cuore lontano da affanni nell'isole dei beati presso oceano dai gorghi profondi [..] lontano dagli immortali, ed hanno Crono per re."

Stirpe di semidei, distrutta dalle guerre, ospitata in un luogo lontano dagli immortali... ma chi sono questi immortali? Chissà... ma ancora una volta il creatore, Zeus, pose sulla terra una nuova razza...

"stirpe di uomini mortali dei quali, quelli che ora vivono..."

La stirpe di ferro... ma Zeus distruggerà anche questa stirpe!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 18 aprile 2008

Memorie dalla Penisola Iberica

Non vi dirò chi sono né perché viaggio. Sappiate che però non c’è nessun segreto da scoprire per voi, dietro questa mia reticenza. E’ solo superfluo: ci sono mille motivi per partire ed intraprendere il viaggio. Quando invece tu dici “per lavoro” oppure “ in vacanza”, allora diventa un viaggio, proprio quel viaggio lì, che hai cominciato pieno di bagagli e finito portando con te qualche foto e souvenir. Quello che io vi racconto invece è il viaggio, senza nome e senza tempo. Infatti non vi rivelerò la data ne in cima ne in calce alla pagina. Vi dirò invece il come e il dove e questo, vi assicuro, sarà abbastanza. Lasciare la famiglia, per chi ha la fortuna di avercene una, è un piccolo sacrificio che il viaggio impone. Un fugace bacio all’aeroporto e qualche secondo di solitudine mentre lei svanisce sulla scala mobile. Poi qualche secondo ancora per rompere il ghiaccio coi nuovi compagni di viaggio. Perché una cosa è viaggiare soli, un’altra condividere il viaggio.
I voli di oggi, almeno quelli in Europa, non sono più liturgici come quelli di una volta. Ti sedevi nel tuo comodo sedile, ti coccolava la hostess, “a drink, please”, poi il tempo volava via mangiando il sobrio vassoio che emulava un pranzo. Ora niente. Due ore stretto tra gli altri passeggeri e se vuoi bere “How much?”. Così arriviamo a Madrid. E questo è il dove! L’hotel a 5 stelle nel quartiere commerciale di Salamanca è abbastanza spagnolo nel servizio, non so se mi spiego. Spero di non offendere nessuno, ma non siamo tutti un po’ mediterranei per caso.
Mi concedo il caldo comfort di una doccia, prima di un giro per la città. I grandi viali intravisti dal bus, sembrano boulevard di Parigi. Il museo appena scorto di fretta in mezzo ai turisti, chiacchierando in modo ameno con lo sconosciuto compagno di viaggio.
Il grottesco di certe tele altera il sacro, quel fiammingo che voleva castigare i costumi ma è più licenzioso del suo intento e la sua fantasia macabra si inventa il più assurdo giardino delle delizie.
Poi il nero di ombre e mostri ci inghiotte, noi figli di Saturno. Resto deluso perché non c’è quella fucilazione che sembra una crocifissione. Ed è la seconda volta che vengo a Madrid e non riesco a vedere Guernica. “La guerra civile, del bene contro il male”. Che annunzia il disastro di tutti i disastri. Quella storia vera che mia madre mi ha raccontato, quando i bengala illuminavano la strada tra Roma e Cassino, e che per fortuna mia figlia non vedrà. La leggerà sui libri di Storia, la guerra, ma non sarà la stessa cosa. Sarà diversa da mia madre che l’ha vissuta e noi sentita raccontare. Magari i lager, i bombardamenti sulle città, i rastrellamenti, le sembrerà che siano stati impossibili in questa pacifica Europa. Dopo tutto, il mondo che le lasciamo è migliore, sarà anche migliore lei.
Amo il cibo spagnolo, paella, gaspacho, jambon iberico, tapas. Che elenco! Vi è venuta fame? Mi riporto qualche chilo di troppo dal viaggio! E un caldo sapore di flamenco, che mi riesce ad emozionare sempre. Il canto gitano, d’amore e sofferenza, che la Spagna ha saputo fare suo, che è di tutti noi, viaggiatori del mediterraneo, greci, fenici, punici e romani. Europei. La vera radice d’Europa è il sole che picchia sulle case bianche, sulle onde di questo mare, sulla pelle di uomini e donne che hanno viaggiato a portare la storia e la cultura per le pianure d’Europa.
Un ultimo ricordo che mi porto via da Madrid è un fatto accaduto a Porta del Sol. Ero impegnato in qualche passo, sotto la pioggia peraltro, per l’immancabile acquisto, ma d’incanto mi sono ritrovato a percorrere le strade di 15 anni prima, la foto alla statua dell’orso, l’incanto di entrare nell’asburgica Plaza Major. Come un deja vu’, ho ascoltato i miei passi sotto i porticati e bevuto un caffè in quel bar pieno di teste di toro e foto di corride.
Sono tornato a Lisbona dopo otto anni. Hanno di certo compiuto qualche passo in avanti verso l’Europa, non ancora il gran balzo della Spagna, che ha messo la freccia per il sorpasso.
Chissà quanto è costato loro questo piccolo cambiamento. Le case sono ancora scrostate, i tram tentennanti, sulle ardue salite. Non ci sono più gli ambigui cambiatori di escudo clandestini, ma qualche figuro che ti sussurra “ cannabis, cocaina” ancora lo trovi sul Barrio Alto.
Anche qui sono andato di ricordo in ricordo, ma il deja vù non mi inquieta più, non mi commuove, vuol dire che mi sono abituato e non mi sorprende più.
E’ tutto un gioco questo viaggio, ti porti con te come una maschera, un ruolo da attore. E allora giochiamo per i saliscendi di Lisbona, percorsi dal tram, e una torre battuta dalle onde del mare, ma è un inganno anche questo, una delle magie di questa città, perché si tratta di un fiume. Il largo estuario del Tago che va a morire nell’oceano, che s’apre qualche chilometro più in là.
E’ tutto qualche passo più in là, a Lisboa. “Triste lugubre pioggia, litanìa alla finestra” dice il poeta.
E sogna. La nebbia a Belem dirada e arriva una caravella, beccheggiando, ondeggiando. Tocca il molo e scompare. La vela è come un sudario e avvolge il poeta perché Lisbona è come la morte.
Così pressappoco la lascio, in una mattina di sole, alla conclusione del sogno. Alla fine del viaggio.
Giuseppe Marchi

lunedì 14 aprile 2008

Naturales Quaestiones, la dimensione del Sole... (Lucio Anneo Seneca)

Dopo aver detto che della Terra si deve parlare tra i corpi celesti, Seneca nel LIBER I (3,10) del suo "Naturales quaestiones" parlandoci del Sole afferma che:

"i calcoli dimostrano che è più grande di tutto quanto il globo terrestre, ma la nostra vista lo considerò così piccolo che alcuni scienziati sostennero che avesse un diametro di un piede; e pur sapendo che che è il corpo più veloce di tutti, nessuno di noi lo vede muoversi e non crederemmo che si sposti, se non potessimo verificare che si è spostato. Il mondo stesso che ruota a velocità vertiginosa e rinnova in un batter d'occhio il sorgere e il tramontare degli astri, nessuno di noi s'accorge che si muova".

Dunque quando fu composta l'opera, 62-63 d.C., si sapeva che la Terra (il mondo) ruota a velocità vertiginosa... senza effetti apparenti sugli esseri umani che possono rendersi conto di ciò dall'osservazione delle stelle. Afferma inoltre che il Sole è più grande della Terra e che si tratta del corpo più veloce di tutti...
E' chiaro che Seneca aveva sicuramente idea dei movimenti reciproci di Sole e Terra e delle loro dimensioni...
Ma da dove venivano queste conoscenze?
Pare che le fonti cui Seneca poteva attingere in quei tempi così lontani da noi fossero poche, le opere di Posidonio (filosofo e scienziato greco, 135 - 50 a.C. circa, autore di tantissime opere tra le quali una Storia Universale in 52 libri...) in primo luogo, ma anche Carneade (filosofo greco, 214 - 129 a.C. circa), Enesidemo (filosofo greco, I sec. a.C.) ed ancora Asclepiodoto (filosofo greco, allievo di Posidonio), citato diverse volte dall'autore.
Bene, io penso che in quegli anni Lucio Anneo Seneca avrebbe potuto attingere a conoscenze molto più antiche di quanto oggi si pensi... le biblioteche esistevano già da tempo e l'estendersi dell'Impero Romano aveva sicuramente portato opere e conoscenze dei popoli conquistati...
In ogni caso Naturales Quaestiones è un'opera immensa e bellissima... che merita di essere letta attentamente... e dunque, buona lettura!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 5 aprile 2008

Sofisticazioni alimentari...

E' di questi giorni la notizia dei vini adulterati, o meglio, prodotti con sostanze diverse dall'uva...
Dopo le mozzarelle di bufala alla diossina ecco il vino all'acido!
Contemporaneamente si svolge la più grande manifestazione di settore, la "Vinitaly", così la notizia si diffonderà immediatamente in tutto il mondo e un altro settore, uno dei pochi ancora attivi, risentirà dei risvolti che lo scandalo provocherà!
Si avranno ancora blocchi alle importazioni? Chissà... vedremo nei prossimi giorni.
Tutto ciò quando l'Italia è indicata dall'Unione Europea come nazione a crescita zero.
E noi non possiamo far altro che assistere alla morte della nostra società, economica, politica e sociale... Amen!


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 4 aprile 2008

Erodoto e l'evoluzione della civiltà umana...

Storie, a seconda di come si legge, è una fonte inesauribile di informazioni. Parlando dell'origine della guerra di Troia, Erodoto ci dice ciò che pensa dello sviluppo della civiltà umana...

[Storie, libro I, 5]
"... proseguirò la mia trattazione, trattando della città degli uomini, senza differenza, sia piccole sia grandi, ora per lo più sono diventate di scarsa importanza; mentre quelle che ai tempi miei sono grandi, prima erano trascurabili. Essendo quindi persuaso che la prosperità umana non rimane mai fissa nello stesso luogo, io ricorderò allo stesso modo sia le une che le altre...".

Ecco dunque cosa pensava Erodoto... ed io penso proprio che avesse ragione!
Niente evoluzione graduale per la civiltà umana ma un alternarsi di successi ed insuccessi, di glorie e sconfitte, di prosperità e carestie... che spingono Erodoto a ricordare sia le città famose e prospere del suo tempo, sia quelle che lo sono state in altri tempi passati.
Una storia, forse, diversa da quella che ci è sempre stata data ad intendere?
Altri illustri personaggi hanno detto la stessa cosa, è il caso di Platone, per esempio...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 1 aprile 2008

Inquinamento e raccolta differenziata.

Anche stamattina, come tutte le mattine, prendendo il solito trenino dei pendolari, il solito ragazzo mi mette in mano il solito quotidiano di turno da leggere in treno.
Oggi non mi ricordo a chi è toccato, ma i nomi si ripetono e sono LEGGO, CITY o 24MINUTI per citarne alcuni.

Oggi in modo particolare mi ha colpito un annuncio che parla di inquinamento, ma vedendo oltre l’articolo mi sono accorto che non c’è nulla di più inquinante del giornale su cui è scritto.
La carta è di pessima qualità. L’inchiostro resta appiccicato sulle dita, tanto che se non ci pensa il treno a trasmettermi qualche malattia, il giornale sicuramente si impegna.
…e poi, alla fine, arrivati alla stazione, non ci sono cestini dove buttare il giornale! Così qualche volta questo quotidiano finisce in borsa per buttarlo al lavoro, spesso resta sul treno nella speranza che qualche altro passeggero lo legga e si trastulli per il suo viaggio, ma altre volte, ahimè!, finisce in terra ed aumenta il tasso di inquinamento del nostro povero paese.

E tutto questo per vedere tanta pubblicità sulle solite cose e qualche notizia trita e ritrita di nulla. Giusto l’oroscopo per chi ci crede, il sudoku per chi ha voglia e le previsioni del tempo fatte ad uso e consumo di qualche casa venditrice di ombrelli possono contribuire a far ricordare il giornalino del trenino. Mia mamma una volta ci ha incartato il servizio bello, quello delle feste, per conservarlo in modo da non rompersi, per poi scoprire la volta successiva che era diventato nero, un po’ fumo di Londra ed ha dovuto lavarlo per ben 3 volte prima di rimetterlo a tavola.

Non sarebbe più facile ripulirlo dalla pubblicità o limitarlo a degli annunci ridotti e dare un po’ di sostanza alle notizie. …magari qualcuno lo conserva pure.

Paolo Cartillone