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domenica 2 febbraio 2014

Il mondo delle App

Cari amici, tra le tante cose che mi piacciono c'è anche l'informatica anche se non l'ho dato a vedere.
Oggi voglio fare una breve panoramica su un mondo relativamente nuovo, quello delle Apps.
Cominciamo dalla domanda più banale: cos'è una App?
Una App è una applicazione per dispositivi mobili. Il termine App è infatti l'abbreviazione di applicazione.
Le App sono dunque dei programmi che possono essere creati per consentire ai dispositivi mobili di effetturare certe operazioni.
Le prime app comparvero intorno al 2008 ad opera della Apple che creò anche un sistema di distribuzione dei prodotti chiamato Apple store. E' interessante notare che App non è solo l'abbreviazione di applicazione, ma anche di Apple!
In ogni caso, da allora molti produttori hanno iniziato a creare le proprie app e a distribuirle in parte gratuitamente ma anche a pagamento.
Ora veniamo alle cose più interessanti. La seconda domanda è la seguente:
Come si costruisce una App?
Per cercare la risposta a questa domanda qualche giorno fa sono finito su un sito del Massachusset Institute of Technology (MIT) e ho cominciato a scoprire il mondo di MIT App Inventor, un sistema on line che consente di avvicinarsi in modo semplice ed intuitivo alla programmazione di Apps.
Il sito è in inglese ma è abbastanza semplice da capire anche per chi ha poca dimestichezza con la lingua.
Ecco la prima schermata.

Si nota subito in basso a sinistra il pulsante Get Started, di colore verde.
Occorre semplicemente cliccarci sopra e farsi guidare. Niente fretta, seguite le istruzioni passo passo e poi provate a dar sfogo alla vostra fantasia. Nel giro di qualche ora sarete in grado di produrre la vostra prima App!
Buon divetimento...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 27 gennaio 2014

Un'idea attendo

La mancanza d'idee è una brutta bestia,
terribile quasi quanto la peste e la morte.

L'unica differenza,
e non è poco,
è pur sempre la speranza
che il tempo passi e un'idea ritorni.
L'attesa talvolta è lunga
ma più è l'attesa maggiore è
la gioia al suo arrivare...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 25 gennaio 2014

La leggenda di Iside che diventa dea, dal Ramo d'oro di Frazer

Cari amici, questa sera torno ancora una volta a parlarvi del libro di Frazer, il ramo d'oro, per raccontarvi come secondo una leggenda di cui non avevo mai sentito parlare, Iside sia diventata Dea. Nella mia versione non vi è alcuna indicazione della provenienza di questo racconto ma poco importa, ecco come Frazer lo riporta quando parla dei tabù dei nomi delle divinità.
Iside era una donna abile nel parlare che era stanca di vivere nel mondo e voleva raggiungere gli dei e meditava in cuor suo di farlo in virtù del gran nome di Ra e regnare così in cielo e in terra.
          "Molti nomi infatti aveva Ra ma il gran nome, quello che gli dava potere su uomini e dei, solo lui lo conosceva. Ora, in quel tempo il dio era diventato vecchio; sbavava, e la sua saliva gocciolò sulla terra. Iside a raccolse e, col fango impregnato di saliva, modellò un serpente e lo pose sul cammino che il grande dio percorreva ogni giorno diretto, secondo il desiderio del suo cuore, al suo duplice reame. E quando giunse, secondo l'uso, accompagnato da tutti gli dei, il sacro serpente lo morse"
Il dio sentitosi mordere cominciò a gridare rivolto al cielo, e con lui gridavano tutti gli dei che lo accompagnavano. 
          "Cosa ti tormenta? Gridavano gli dei. Ho, meraviglia!
Ma lui non poteva rispondere: batteva i denti, gli tremavano le membra. il veleno scorreva nelle sue membra come il Nilo scorre sulla terra. Quando il gran dio ebbe placato il battito del suo cuore gridò al suo seguito: venite figli miei, frutto del mio corpo. Io sono principe, figlio di principe, divino seme di un dio. Mio padre ideò il mio nome, mio padre e mia madre mi diedero il mio nome, ed esso restò celato in me fin dalla nascita, così che nessun mago potesse avere su di me poteri magici. Sono uscito per ammirare ciò che ho creato, ho camminato nelle due terre che ho creato, ed ecco! Qualcosa mi ha punto. Cosa fosse non so. Era fuoco? Era acqua? Il mio cuore è in fiamme, la mia carne trema, un fremito scuote tutte le mie membra. Portatemi i figli degli dei, dalla parola che risana, dalle labbra sapienti, il cui potere raggiunge il cielo. E allora vennero a lui i figli degli dei e molto si dolevano."
Il grande Ra era veramente mal ridotto. chissà se la storia aveva un fondamento reale. Ra rappresentava il disco solare alto nel cielo... Il racconto continua con l'arrivo di Iside.
          "E venne Iside, con la sua scaltrezza, la cui bocca è colma del respiro della vita, i cui sortilegi scacciano il dolore, La cui parola fa risuscitare i morti. E disse: cos'hai padre divino? Che accade?
E il santo dio apri la bocca e disse: Andavo per la mia strada, percorrevo, secondo il desiderio del mio cuore, le due regioni che ho creato, ed ecco! Un serpente che non vidi mi morse. E' fuoco? E' acqua? Sono più gelato dell'acqua, più del fuoco ardo, sudano le mie membra, io tremo, il mio occhio si appanna, non vedo il cielo, umido è il mio volto, come d'estate.
Disse allora Iside: dimmi il tuo nome, padre divino, poiché l'uomo chiamato col tuo nome vivrà.
Rispose allora Ra: Io creai cielo e terra, io disposi le montagne, feci il grande, vasto mare, come una tenda stesi i due orizzonti. Colui io sono che apre gli occhi, ed è la luce, che li chiude, ed è tenebra. Al suo comando si innalza il Nilo, ma gli dei non conoscono il suo nome. Sono Khepri al mattino, Ra al meriggio, Atum al tramonto.
Ma il veleno non fu allontanato da lui, più a fondo, sempre più a fondo lo trafiggeva, e il grande dio non poteva più camminare.
Gli disse allora Iside: non era il tuo nome, quello che mi dicesti. Dimmelo, dunque, affinché il veleno possa allontanarsi, poiché colui il cui nome è pronunciato, vivrà.
Il veleno bruciava adesso come fuoco, era più ardente della fiamma del fuoco.
Disse il dio: consento a Iside di cercare dentro di me, e che il mio nome passi dal mio petto al suo.
E allora il dio si nascose dagli altri dei, e il suo posto nella barca dell'eternità restò vuoto.
In tal modo il nome del grande dio gli fu tolto, e Iside, la maga, parlò: Scorri via, veleno, allontanati da Ra. Io sono, proprio io, che ho vinto il veleno e l'ho gettato a terra; perché il nome del grande dio è stato strappato da lui. Che Ra viva, e che il veleno muoia.
Così disse, la grande Iside, regina degli dei, colei che conosce Ra e il suo vero nome."

E così vi lascio per oggi, in attesa di trovare qualche altro interessante spunto di riflessione.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO 

venerdì 24 gennaio 2014

Licaone... empio sovrano d'Arcadia!


"... si narra che i Giganti aspirarono ad impadronirsi del regno celeste e che ammucchiarono i monti innalzandoli fino alle stelle..."1.


I Giganti. Esseri mitologici o realtà?

Questo era il titolo della conferenza che avrei dovuto tenere il prossimo sabato all'Accademia delle Scienze.

Ovidio diceva che la stirpe umana nacque dalla terra bagnata dal sangue dei giganti, schiacciati sotto le montagne che loro stessi avevano sollevato. Per questo motivo la stirpe umana era così cattiva, crudele e assetata di sangue che: “divenne sprezzante degli dei e avidissima di strage spietata e violenta".

Così Giove, proseguiva Ovidio, "quando vide tali scelleratezze dall'alto dei cieli se ne dolse e, ripensando ai ributtanti banchetti della reggia di Licaone, imbanditi di recente e per questo non ancora divulgati concepisce nell'animo un'ira tremenda e degna di lui e convoca un concilio..."

Stupidaggini per creduloni, tutte queste storie, però ottime per introdurre l'argomento della conferenza ovvero l'esposizione degli ultimi ritrovamenti avvenuti durante gli scavi di una antica città ritrovata ai piedi del monte Olimpo. Città ancora senza nome, almeno per ora.

"Pensate forse, o dei superni, che essi non corrano pericoli?

Dal momento che Licaone, noto per la sua ferocia, ha teso insidie a me, che pure sono armato del fulmine e tengo voi sotto il mio potere?"

Così Giove apostrofava gli dei prima della punizione.

Per gli uomini fu l'inizio della fine, fu il Diluvio. E questa città sembrava proprio distrutta dal Diluvio, quello di Noè del Vecchio Testamento, che il Censorino chiama Diluvio di Ogigia, avvenuto probabilmente intorno al 2376 a.C.

Mi tornavano in mente brani del discorso che avevo scritto per l'apertura della conferenza.

Poi, in diretta dal luogo degli scavi, si sarebbe proceduto all'apertura di uno splendido sarcofago in marmo e oro, ultimo ritrovato. Il sarcofago risaliva almeno al 2000 a.C. e dalle incisioni rinvenute sembrava proprio contenere i resti di Licaone, l'empio sovrano d'Arcadia.

La procedura di apertura avrebbe richiesto circa due ore durante le quali io avrei intrattenuto il pubblico con la storia di Licaone.

E' arrivato il momento di capire di cosa è accusato Licaone per aver provocato l'ira degli Dei: in un immaginario tribunale chiamiamo così a testimoniare Giove:

"L'ignominia del tempo era giunta alle nostre orecchie, augurandomi che essa non fosse vera, scendo dal sommo Olimpo e, pur dio, esploro le terre sotto sembianza umana. Sarebbe lungo descrivere quanta malvagità abbia trovato in ogni luogo: la cattiva fama era inferiore al vero".

Giove attraversò la terra di Arcadia.

Mandò un segno per annunciare il suo arrivo e il popolo cominciò a pregare ma non Licaone che al contrario deride chi prega!

Empio com'era, non contento di deridere gli uomini, decide di mettere alla prova il re degli dei.

"Proverò di sapere, con un esperimento palese, se sia un dio o un uomo".

Questo pensa Licaone, e si prepara ad uccidere il Padre degli dei nel sonno. Ma la sua crudeltà non ha limiti e così decide di servire al suo ospite cibo umano quindi, sgozzato con la spada un ostaggio mandato dai Molossi, getta nell'acqua bollente parte delle membra e parte le abbrustolisce al fuoco.

Giove, quando gli venne servito il banchetto, riconobbe Licaone colpevole e fece crollare la sua casa. Licaone scappò e raggiunta la campagna

"comincia ad ululare e invano tenta di parlare; la bocca raccoglie da lui stesso la rabbia e sfoga la brama della strage, per lui abituale, sugli armenti, e ancora oggi gode del sangue. La veste si muta in un vello, le braccia in zampe; diventa lupo e mantiene le tracce dell'antico aspetto; identico il colore grigiastro, identica la ferocia del volto; guizzano minacciosi gli stessi occhi, immutata l'aria di crudeltà".

Questa è la punizione di Giove per Licaone, ma è solo l'inizio. Giove e il consiglio degli dei si apprestano infatti a distruggere la stirpe umana con i fulmini ma poi cambia idea e opta per "distruggere la stirpe dei mortali con un'inondazione e mandare un diluvio da ogni parte del cielo".

Il Diluvio distrusse la stirpe umana e il ricordo viene conservato sotto forma di racconto morale nella cultura greca antica.

Naturalmente a questo punto avrei dovuto passare la linea al responsabile degli scavi per procedere all'apertura del sarcofago, sperando che oltre alle ossa, probabilmente ridotte in polvere, ci fosse qualche tesoro la qual cosa avrebbe sicuramente fruttato maggior notorietà e chissà quante conferenze in giro per il mondo!

Ancora due giorni al grande momento. Ma per ora solo seccature burocratiche da adempiere per l'apertura del sarcofago e stupide email cui rispondere. Meglio rientrare a casa visto come s'era messo il cielo. Non vorrei che venisse giù un altro diluvio mentre sono per strada, pensai.
- Certo che la gente non ragiona proprio. Siamo nel 2014 dopo Cristo è c'è ancora chi crede nelle favole!

Senza volerlo, mentre leggevo l'ultima email, avevo parlato a voce alta. Ma che dire di fronte a simili assurdità?
- Un rispettabile professore Universitario!
Ecco cosa mi mandava ancora di più in bestia. Un Professore Universitario, membro dell'Accademia delle Scienze, mi invitava a fare attenzione all'apertura del sarcofago perché vi era una antico sortilegio collegato che sicuramente era ancora efficace nonostante il tempo passato, e mi invitava a mettere in campo un contro incantesimo trovato in non si sa bene quale libro, per evitare al mondo una nuova e più terribile punizione.

Avrei potuto capire se una cosa del genere fosse arrivata da un sacerdote di una setta esoterica, ma da un Professore Universitario era una cosa inconcepibile!

Non meritava neppure risposta.
Con un gesto nervoso etichettai l'email come spam e inserii il mittente tra gli indesiderati. Almeno non avrei più dovuto leggere le sue stupidaggini.

Andai a dormire tardi, come ormai era abitudine negli ultimi mesi. Afferrai un libro dalla libreria con l'intenzione di leggere qualche pagina per conciliare il sonno, senza fare troppa attenzione al titolo e mi infilai tra le coperte.

Aprii il libro in una pagina a caso, senza neanche guardare la copertina e cominciai a leggere:

Si narra che gli antichi Arcadi venerassero Pan, dio delle greggi; egli era sopratutto presente sui monti d'Arcadia”

- Ecco, lo sapevo, tra tanti libri che possiedo, proprio Ovidio dovevo prendere stasera!

Ne sarà testimone il Foloe, lo attestano le onde dello Stinfalo e il Ladone che con le sue veloci acque corre al mare e le alture del bosco di Nonacris cinte di pini, e l'albero Cillene e le cime nevose della Parrasia. Là Pan era nume tutelare di armenti e cavalle e riceveva offerte votive per non distruggere le greggi. Un solo giorno al mese avrebbe mangiato a sazietà nutrendosi del loro sangue...”

Ma no, Ovidio non diceva questo! E poi Pan era un protettore, non un demone sanguinario. Vediamo chi ha scritto simili stupidaggini...

Solo in quell'istante, rigirando il libro tra le mani, mi resi conto che si trattava di un libro antico che non avevo mai notato prima. Non era la prima volta che mi capitava. Spesso compravo pacchi di libri ai mercatini, li lasciavo sul tavolo del salotto ancora incartati e impolverati. Poi la mia domestica li puliva e li riponeva in ordine sulla libreria. Così doveva essere accaduto anche per questo volume.

Dalla prima pagina si capiva che era stato stampato a Torino nel 1647, il titolo recitava “Ovidio ritrovato, opera completa, tradotta dal Signor Marchese de Mourillac, esperto di lingue antiche”. Mai sentito prima...

Aprii nuovamente il libro qualche pagina più avanti e continuai a leggere incuriosito.

Chi aveva allora supposto l'esistenza delle Iadi o delle Pleiadi, le figlie di Atlante dalle forti spalle?

O dei due poli, sotto la volta celeste? E che vi fossero le due Orse: la prima, Cinosura è usata dai fenici per orientarsi; la seconda, Elice, dai greci. Chi l'avrebbe mai immaginato?

E che i cavalli di Febe in un solo mese percorressero le stesse costellazioni che il fratello, Febo, impiegava un anno intero?

Liberi e inosservati correvano gli astri durante l'anno, ritenuti quasi da tutti potenti divinità. Non tutti gli antichi conoscevano i percorsi delle stelle nel cielo, non tutti adoravano come dei ciò che non era altro che Terra, Luna o Sole. Per i Maghi Caldei queste cose erano chiare, il percorso delle stelle parlava loro, mostrando pericoli imminenti e lontani. Spiegando le leggi della Natura. Ponendo l'Astro al centro del mondo e dispiegando le ali di Morte...”

Chiunque fosse questo Marchese de Mourillac, doveva avere una fervida fantasia, oppure doveva aver trovato una versione dei Fasti di Ovidio sconosciuta al mondo intiero. La teoria eliocentrica non era certo nuova. Ai tempi di Ovidio diversi autori ne avevano già parlato in precedenza ma non avevo mai letto che i Caldei la conoscessero.

          “gli dei superni, sterilizzavano la Terra dalla peste dell'Uomo, per mezzo del fuoco o dell'acqua. Oppure, in casi speciali, per il tramite dello spirito Pan, capace di incarnarsi nel corpo di un uomo terribile. L'ultimo della sua specie fu Licaone, re possente d'Arcadia. Non resuscitate la sua anima, non disturbate il suo riposo...”

Questa è proprio forte! Meglio lasciar perdere questo libro. Domani sarà una giornata lunga e devo essere ben sveglio.

La notte passò con tranquillità nonostante il temporale non accennasse a placarsi. Era già da due giorni che la pioggia veniva giù senza interruzione e in tv non facevano altro che parlare di incidenti, frane e fiumi che avevano raggiunto gli argini. Mi alzai per accostare le tende, i lampi continuavano a illuminare a giorno la città, inconsapevoli del fatto che il servizio meteo avesse previsto miglioramenti su tutta la regione per l'indomani.

Mi alzai, feci una doccia calda e andai a lavorare presto.

A pranzo avevo un appuntamento di lavoro con il responsabile delle riprese video dell'Accademia delle Scienze. Volevo essere sicuro che tutto fosse pronto per la sera. Alle 18.00 si cominciava e non potevo permettermi errori. Dopo il panino e il caffè infilai la mano nella borsa per cercare l'agenda in cui avevo preso alcuni appunti nei giorni precedenti. Con mio stupore estrassi il libro di Ovidio che avevo letto la sera prima. Sicuramente l'avrò infilato in borsa questa mattina senza accorgermene, pensai.

Dopo pranzo avevo una riunione con il responsabile dell'accoglienza degli ospiti e poi feci una visita veloce nella sala. Tutto sembrava in ordine, non restava che aspettare le 18.00.

Il temporale sembrava non dar tregua.

Il cielo era nero e solo i lampi, di tanto in tanto, illuminavano le nuvole. Un brutto temporale, pensai. Sarebbe passato prima o poi.

Potevo riposare una mezz'ora. Ne sentivo proprio la necessità.

Mi sedetti nella poltrona del mio ufficio e presi il libro che avevo nella borsa, volevo dare un altro sguardo all'introduzione. Chissà che non ci fosse qualche notizia interessante sull'autore.

- Come si chiamava? de Mourillac, se non ricordo male!

Nell'introduzione non si diceva altro sull'autore. I soliti ringraziamenti al re di Spagna e alla sua gentile consorte, tipico dei libri di quel periodo, una pagina in cui vi era l'autorizzazione ecclesiastica alla pubblicazione e niente di più. Doveva trattarsi di una edizione economica, o magari pirata, a bassa tiratura.

La copertina era anonima, in cartone rivestito di tessuto verde. Molto consumato. Rilegato a mano senza troppa attenzione. Le pagine erano di carta molto grossa e alcune erano incollate dall'umidità e dal tempo.

Dal mio terminale potevo accedere ai testi delle principali biblioteche del mondo, una ricerca su questo de Mourillac mi avrebbe forse dato qualche informazione in più sulla strana edizione di Ovidio che mi trovavo tra le mani.

O almeno così pensavo. Il motore di ricerca non restituì nessuna informazione. Il Marchese de Mourillac semplicemente non esisteva, almeno non come autore di testi del 1600.

Aprii nuovamente a caso e lessi:

Per molti anni durò tale stato del cielo, finché il dio più antico fu deposto dal suo regno. La Terra allora partorì con dolore i Giganti dalle forti membra, terribili mostri, che avrebbero osato assalire il regno di Giove, in cielo.

Lì fece col il ferro ed il fuoco, enormi alla vista. Serpenti di fuoco uscivano dai mostri, mentre questi si sollevavano minacciosi verso il cielo, regno di Giove. Movete guerra agli dei, urlava Licaone. Essi si preparavano a percorrere le immense distanze tra la Terra e il regno di Giove ma il padre degli dei, che tutto sapeva, li precedette, scaraventando sulla Terra ordigni di fuoco, portando morte e distruzione e seppellendo quella razza che aveva osato sfidarlo, sotto montagne di roccia.

Licaone fu condannato alla dannazione eterna, il suo nome sarebbe stato associato a quello del lupo nemico delle greggi, oppure dell'uomo che mangia i suoi simili, temuto da tutti e mai dimenticato, sarebbe stato il responsabile del diluvio che aveva distrutto il mondo. Licaone non doveva essere mai più dissepolto perché con lui sarebbe riemerso il male e il mondo sarebbe stato distrutto...”

Si. Come nella peggiore sceneggiatura di un film di seconda categoria. Gli archeologi aprono il sarcofago e ne spunta fuori, vivo e vegeto un mostro sanguinario!

Per fortuna che non ero mai stato impressionabile.

Però questo libro meritava più attenzione.

Vi erano veramente tante differenze con la versione nota a tutti. Non fosse altro che per decretarne la falsità sarebbe stato interessante approfondirne le origini.

Me ne sarei occupato più avanti. Ora avevo cose più importanti a cui pensare.

La conferenza cominciò alle diciotto in punto. I primi ospiti cominciarono ad arrivare verso le diciassette, qualcuno si avvicinò per salutarmi, tra questi un mio vecchio professore dei tempi dell'Università che non vedevo da almeno vent'anni.

Alle diciotto e trenta ebbe luogo il primo collegamento video. Il luogo degli scavi era coperto dalla pioggia incessante. Fortunatamente il sarcofago era stato portato in un grosso hangar allestito per l'occasione. Poteva piovere quanto voleva ma lo spettacolo sarebbe andato avanti comunque.

Alle diciannove e trenta mi avviavo alla conclusione. Ancora qualche minuto e sarebbe arrivato il segnale che tutto era pronto per aprire il sarcofago in diretta. Mi apprestavo a fare le mie considerazioni finali sul significato della morte di Licaone e su cosa ci si poteva aspettare di trovare all'interno del sarcofago dopo circa quattromila anni. Se le condizioni di umidità fossero state ottimali il teschio si sarebbe potuto conservare intatto, probabilmente anche parte del tessuto che ricopriva il corpo. Era sperabile che con il re fossero state seppellite anche le sue armi e qualche gioiello, ma niente più.

Erano le otto e in teoria il segnale della diretta doveva essere già arrivato ma così non era. Sarei potuto andare avanti ancora per qualche minuto ma non di più, a meno di inventare o dare la parola agli ospiti per eventuali domande.

Poi, di colpo, eccolo finalmente.
- Signori, ora assisteremo all'apertura in diretta del sarcofago che ha custodito Licaone, l'empio sovrano d'Arcadia, negli ultimi quattromila anni.

La voce stentorea con cui diedi l'annuncio quasi mi fece trasalire. Mentre pronunciavo queste parole un lampo più potente degli altri aveva illuminato a giorno le finestre dell'auditorium. Un sordo brontolio lo seguì, a distanza di qualche secondo.

Il sarcofago si aprì. Il massiccio coperchio venne poggiato a terra e l'operatore tv si accinse finalmente a riprendere le immagine di un re vissuto quattromila anni prima.

Le ossa erano integre, la forma perfettamente distinguibile sotto un velo sottile di polvere dorata, era quella di un enorme lupo...
Da quel giorno passarono mesi senza che la pioggia cessasse per un solo attimo.

Ancora un fulmine nel cielo, forse a testimoniare la collera di Giove per aver riesumato il suo antico nemico, cadde sulla terra.

Ma nessuno più avrebbe potuto testimoniarlo...
 
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

1 Ovidio, Metamorfosi.

martedì 21 gennaio 2014

Dodici racconti per un anno

Scrivere un racconto è una fantastica esperienza.
Non è facile ma lascia in bocca il dolce sapore del miele.
La fantasia e lo studio devono supportare ogni storia. L'inizio e la fine ne decretano il successo ma solo se ogni parola, ogni immagine che si vuole trasmettere è curata con attenzione.
Questo è il mio secondo libro di racconti, spero sia meglio del primo.

Buona lettura!

Dodici racconti per un anno

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

domenica 19 gennaio 2014

Ancora sulla storia di Gesico

Ho riletto qualche giorno fa un vecchio articolo scritto da mio fratello Antonello  su Gesico: Gesico nei libri, così ho pensato di aggiungere qualche informazione curiosa che mi è capitato di trovare in questi anni.
 
Cominciamo con il parlare di Gesico nel periodo della conquista spagnola della Sardegna.
Le notizie sono tratte dalla Historia general de la Isla, y Reyno de Sardeña Di Francisco de Vico (1639).
Siamo nel 1324 quando avviene l'infeudazione della Villa di Gesico. 
L'autore ci racconta che l'Infante don Alonso in quell'anno concesse la Villa di Gesico in feudo con un censo di cinquanta fiorini d'oro a Pedro Marco consigliere di Barcellona.
Qualche anno dopo, nel 1331, Gesico fu venduta a Ramon Desvall al prezzo di 35.000 monete Alfonsine con decreto reale del Re don Alonso. In quell'anno Gesico passa sotto la giurisdizione di Valencia.
Nel 1335 Dona Catalina Desvall rivende al Re don Pedro Gesico, unitamente ai paesi di Sabolla, Pirri, Salvatrano, Corongio, Mandras (Mandas) e Nurri.
Qualche anno dopo, nel 1368 il Re fa dono di Gesico a Antonio Puig (o Poualt). Antonio Puig fece dono di Gesico a sua figlia Iuana nel 1376 che si sposò con Marco Momboy.
A Marco Momboy succedette il figlio Juan. La moglie di Marco Momboy invece lasciò la sua parte ai figli IoàAntonio, Matheo e Marco.
Qualche anno dopo ritroviamo Gesico tra le proprietà di Juan, figlio di Juan Momboy. Nel 1450 il paese di Gesico, assieme a Samazay, Gonniperas, Barrali e Samassi passa di proprietà di Francisco de Eril, Governatore Generale del Regno di Sardegna, al prezzo di 1500 fiorini d'oro d'Aragona.
La famiglia Eril tenne il possesso di Gesico fino al 1541 quando la vendette assieme ad altri paesi a don Salvador Aymerich che due anni dopo dichiarò di averle acquistate su commissioni del Dottor Pedro Sanna di Bruno Letrado di Cagliari, che ne assunse la proprietà.
Alla sua morte, nel 1545, la Villa di Gesico passò, assieme ad altre proprietà, al figlio Tiberio Sanna.
Tiberio Sanna lasciò i suoi possedimenti al figlio Iuan Bautista nel 1580. Gli succedette don Ioseph Sanna e a questo il figlio Iuan Bautista che al momento della pubblicazione del libro, 1639, possedeva la proprietà di Gesico.
Occorre saltare un secolo per trovare nuovamente traccia del paese di Gesico nei testi. Nella "Genealogia de la nobilissima familia de Cervellòn di Manuel Maria Ribera, pubblicato nel 1733 grazie al sostegno di Donna Antonia Sanna, moglie di don Francisco de Cervellòn.
L'autore racconta infatti che un avo di Donna Antonia, don Tiberio Sanna Barone di Gesico, sposò Donna Benita de Cervellòn, si tratta probabilmente dello stesso Tiberio visto poco fa.
Nel libro Ribera racconta le origini nobili della famiglia Sanna facendole risalire al 1353, grazie ai meriti di due fratelli, Lorenzo e Giovanni Sanna, che servirono con onore sotto la Corona reale durante le guerre di Sardegna.
Fu Don Pedro III che nel 1354 li investì di un grande territorio, per ringraziarli delle loro opere e della loro fedeltà anche di fronte al pericolo corso in tempo di guerra.
 
Da allora i Sanna divennero una delle famiglie più ricche e importanti del paese di Gesico.
 
Ora devo nuovamente fare un salto di quasi un secolo per trovare altre notizie di gesico, nel libro "Storia di Sardegna dall'anno 1799 al 1816" di Pietro Martini. 
 
Si parla di un periodo in cui la Sardegna dipendeva dal Piemonte. Dal 1815 esisteva una "segreteria di stato per le cose della Sardegna" il cui capo era Silvestro Borgese, che era stato in servizio a Cagliari dal 1772 al 1792 come "professore di sagri canoni" e "aggiunto alla reale udienza" e "avvocato fiscale regio".
Doveva essere un periodo abbastanza burrascoso per la Sardegna (e non solo!) e Gesico non era un paese tranquillo.
Dice Pietro Martini che sono da ricordare i tumulti di Gesico, dove fu arrestato il nobile Giovanni Diana, nonostante la protezione di cui godeva da parte del Marchese di S. Tomaso.
Alla cattura del Diana partecipò un tal Giovanni Corrias. Il Marchese (o Barone?) cercò di vendicarsi arrestando il Corrias ma il Re lo rimproverò. Il nobiluomo si ritirò a Gesico e probabilmente ebbe la sua parte nel sollevamento della popolazione contro il prete, amico del Corrias.
Il governo spedì a Gesico le sue truppe e la popolazione fu così ridotta all'obbedienza.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 18 gennaio 2014

Gesico nei libri

Il paese per quanto piccolo, mi è piaciuto molto per il suo territorio, ricco di sorprese "datate"...
Gesico fa parte dei miei vissuti, spezzettati e divisi tra i paesi in cui ho dimorato.
Ciascuno di questi luoghi ha riempito un pezzettino del mio cuore, emozioni ed esperienze diverse che mi hanno portato ad oggi, pregi e "difetti" compresi.
Ho fatto una piccola ricerca di libri che citano questo piccolo paesello nascosto in una vallata della Trexenta in Sardegna. Lungi dall'averli trovati tutti, ma può darsi che qualcuno possa trarne beneficio, se non altro per pura curiosità o conoscenza.
Brevi cenni storici:
Gesico ebbe una storia in epoca medievale, e fu capoluogo della sua baronia nel XVII secolo. Il feudo di Gesico si formò con l'investitura del marchesato di S. Tommaso nel 1769 e durò fino al 1839. Era costituito da grosse proprietà, ufficialmente di circa 1680 ettari, ma a cui si aggiungevano le proprietà della chiesa (dal 1700) e altre. Le proprietà private si costituirono dopo lo scioglimento del feudo e la concessione in gestione ai comuni. I comuni vendettero le terre demaniali ai privati in seguito ai regolamenti del 1839. La Sardegna era allora divisa in diversi giudicati, a sua volta suddivisi in molte curatorie.

Fonti parziali: Dizionario ufficiale dei comuni e dei centri abitatidati del 4/11/1951 - popolazione residente 1189altitudine 328 m - altitudine del suo territorio da 195 m a 501 m
REPUBBLICA ITALIANA - Istituto Centrale di Statistica POPOLAZIONE E MOVIMENTO ANAGRAFICO DEI COMUNI VOL. XV - 1970 Roma



Nell'Anagrafico dei singoli comuni la popolazione residente al 31 dic. 1969 è di 1.322.
di Manlio Brigaglia enciclopedia LA SARDEGNA 1982 - EDIZIONI DELLA TORRE
Dal VOL. I - Nel referendum istituzionale del 1946 vediamo che dei 137 comuni della provincia di Cagliari solo 28 diedero una maggioranza repubblicana, tra cui anche Gesico.
Dal VOL. II - ... Nel 1971 aveva 1235 abitanti.

Angius/Casalis
Dizionario Geografico Storico Statistico Commerciale degli Stati di S.M. IL RE DI SARDEGNAProv. di Cagliari Vol. I (libro del 1840 ca.)Amministrazione provinciale Cagliari - EDITRICE SARDEGNA

Villaggio della Sardegna nella provincia e prefettura di Isili, Gesico è nel mandamento di Mandas, compresa nella Curatoria di Seurgus, dipartimento del Regno cagliaritano.
Gesico è composto da Gesico-mannu e Gesicheddu, separati da un fiumicello. Gesico-mannu è bagnato dall'altra parte dal rio di Mandas. Attraversano il paese due strade principali, una da Mandas a Selegas, l'altra da Siurgus a Villanovafranca. Ci sono a Gesico circa 220 famiglie, con una popolazione di circa 950 abitanti. I gesichesi sono sotto la giurisdizione dell'arcivescovo di Cagliari. La chiesa parrocchiale è nel rione di Gesico-mannu. E' intitolata a Santa Giusta, di bella struttura, con 8 altari ed abbellita con marmi e argenti. Le chiese minori sono 5: S. Maria, la vergine d'Itria che credono essere stata l'antica parrocchiale, che si trova alla fine del paese; S. Amatore, distante pochi minuti dall'abitato; S. Lucia e S. Sebastiano, molto vicine, e S. Mauro, a mezz'ora dalpaese, sul monte Corona. Nel 1817 nacque il campo santo, alle spalle della chiesa di S. Amatore. Le feste principali sono: il 14 maggio per S. Mauro nella cima del monte Corona; per S. Amatore nella terza domenica di ottobre, nella quale si tiene una delle migliori fiere.Infine nel territorio di Gèsico non ci sono meno di 15 nuraghi, in gran parte distrutti.

di Alberto della Marmora
ITINERARIO dell'isola di SARDEGNA - tradotto e compendiato dal Can. Spano 1868 Cagliari - VOL. I - edizione anastatica sui tipi di A. AlagnaEdizione TROIS

"... mentre che verso ponente si vedono spuntare le cime marnose di Punta accuzza, ed il Monte Corona, a basso del quale si nasconde il fangoso villaggio di Gesico (1), indi si arriva sempre in pianura a quello di Mandas."
Aggiunge quindi un commento nella nota:"(1) In questo villaggio si trovano con frequenza monete antiche. Vicino avvi una chiesa campestre Sant' Amatore, in cui si fa una bella fiera. Lungi si vede il Monte Corona nella di cui cima vi è la chiesa di S. Mauro (N.S.)."

di Marcello Serra
ENCICLOPEDIA della SARDEGNA - con un saggio introdutt. intitolato Alla scoperta dell'IsolaGIARDINI EDITORI E STAMPATORI IN PISA

di Gesico cita così:"Piccolo centro della Trexenta (ab. 1.300 circa), situato sulle pendici del M. S. Mauro (m. 501). Nel territorio si trovano i nuraghi Sitziddiri, Su Linu, Columbas, Accas, Su Mulloni, Battudis, Mattas Nieddas. Nella Parrocchiale di S. Giusta si notano alcune strutture del Quattrocento e in quella di santa Maria qualche elemento del sec. XIV. Nella terza domenica di ottobre si svolge qui la Fiera di S. Amatore, destinata ai fidanzati che stanno per mettere su casa."

di Marcello Serra
MAL DI SARDEGNA - EDITRICE SARDA FOSSATARO CAGLIARI
"[...] Ritornati sulla strada principale, dopo il nuraghe Piscu, dove fu ritrovato un cumulo di grano carbonizzato da secoli, un bivio discende a GESICO, piccolo paese incassato in una valle, dove ad ottobre si celebra la grande fiera di S. Amatore. In questa occasione i fidanzati dei paesi vicini vengono a riornirsi del corredo e di quanto occorre per la loro casa. Infatti nelle botteghe sistemate intorno alla chiesa rustica, che si chiamano cumbessias , si può acquistare di tutto. E' dunque questa la festa degli innamorati della Sardegna, e il nome del Santo d'altra parte si adatta perfettamente alla simpatica sagra."

di Salvatore Colomo - Francesco Ticca
SARDEGNA - Immagini di un'isola1984 - VOL. I - EDITRICE ARCHIVIO FOTOGRAFICO SARDO - NUORO

Il paragrafo che riassumo non parla di Gèsico, ma della dominazione Aragonese e Spagnola. Dal 1300 al 1700 la Sardegna fu sotto la dominazione Aragonese, e poi spagnola. Dal 1500 in poi lo stile Gotico-Aragonese ha uno sviluppo notevole, determinato dalla costruzione di moltissime nuove chiese parrocchiali. Nel cagliaritano si trovano importanti esempi di tale stile. Tali chiese hanno in genere la facciata quadrata, coronata da merli e rinforzata ai lati da contrafforti. All'interno, l'uso della volta stellare, costituita da costoni che si incrociano nelle chiavi di volta. [Molto simile alla parrocchia di Gesico, avente le caratteristiche descritte è la chiesa di S. Pietro ad Assemini].

di Luigi Spanu
SAGRE E FESTE POPOLARI NEI COMUNI DELLA PROV. DI CAGLIARI 1987 - Prov. di CA Assessorato allaCultura

"Gesico si trova nel centro dell'estremo settentrione dellaTrexenta, in zona collinare a circa 50 km da Cagliari []. A metà ottobre si tiene la Sagra di S. Amatore. In tale occasione si fa la processione dalla parrocchia alla chiesetta campestre di S. Amatore. Tale chiesa restaurata qualche anno fa, sorge su un'altura alla fine dell'abitato. Risalente al 1500, fu costruita su una cappella a pianta quadrata greco ortodossa. Le reliquie del santo si trovano nell'altare maggiore della parrocchia. La festa di origine antichissima, attira migliaia di persone, essendo uno dei più tradizionali e sentiti culti popolari della trexenta. Un'altra festa altrettanto suggestiva, è quella di S. Mauro, in cui il simulacro del santo viene portato in processione fino alla chiesetta omonima situata su un colle, il monte Corona, circondato da una vasta vallata, la festa dura tre giorni, sul colle e poi in paese, con canti e balli."

di Rinaldo Botticini
GEO Sardegna - Ambiente Uomo Insediamenti 1991 - SOLE Edizioni

Traduce il nome dal sardo gessa=gelso, e quindi gessicu= sito di gelsi." Un susseguirsi di colline che raggiungono i 500-600 mt di altezza e sono intersecate da amene vallate, fanno da sfondo al centro urbano. Esso sorge nel punto di confluenza del torrente Sipiu con gli affluenti e si è sviluppato secondo direttrici parallele al corso d'acqua. La tipologia abitativa è tipica delle zone ad economia pastorale con edifici accorpati lungo le vie. Nuraghi e reperti punico-romani sono presenti in numero notevole sul territorio circostante. Il paese ebbe una storia in epoca medioevale e, nel XVII secolo, fu capoluogo della omonima baronia. [..] Nella parrocchiale di Santa Giusta si alternano vari stili: romano, pisano e gotico-aragonese."C'è anche una foto della chiesa campestre di S.Amatore.

DIZIONARIO DI TOPONOMASTICA
Storia e significato dei nomi geografici italianiUTET

"Località del Campidano a 51 km da Cagliari, è situata in una conca pianeggiante a 300 m. s. m. (TCI Sard. 257). Attestato in RDSard. aa. 1346-1350 Item a presbitero Bernardo Oliverii vicario de Gesico n. 1545 e passim, il toponimo è di origine incerta, verosimilmente prelatina (cfr. Paulis 1987, 432). Fantasiosa è l'interpretazione etimologica di Spano 1872, 54 da una voce fenicia ges "valle, fosso", "luogo basso". La pronuncia locale del nome è gèsico, in dialetto gèsigu (DETI 240). C.M."


conoscere L'ITALIA
Enciclopedia dell'Italia antica e modernaSARDEGNA - ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI NOVARA

Brevissima citazione come esempio di struttura semplice dei nuraghi: "Più numerosi che in qualunque altra zona dell'Isola sono i nuraghi nella Trexenta (0,9 per chilometro quadrato). Nella esemplificazione dei nuraghi presenti dal Campidano alla Trexenta, cita i vari tipi dai più semplici, composti da un'unica torre circolare, ai più complessi, fatti di molte torri."[...] Talora è aggiunto alla torre circolare... una torre minore e un cortile (Su Covunu, a Gèsico)."


da "Il Giornale della Trexenta"
ANNO I n°2 - Agosto 1992Articolo di Carlo Carta

In un ampio discorso di morale sullo sviluppo economico e socio-culturale della trexenta, viene citato il restauro di Chiese insieme a qualche scavo archeologico, i quali una volta iniziati, sono rimasti fermi in attesa di fondi e di finanziamenti. Tali interventi riguardano anche la parrocchia di S. Giusta.

ANNO I n°6 - Dicembre 1992Articolo di Carlo Carta

Viene citato il Casalis, nel quale viene esaltata la Parrocchia di S. Giusta, per la sua bella struttura, per le sue opere d'arte ma sopratutto per la magnificenza dei suoi marmi. "Oggi le nobili ma vecchie strutture murarie non hanno retto alla pesante copertura, provocando all'interno delle pericolosissime lesioni che immediatamente hanno richiamato un intervento di restauro". "L'inizio dei lavori nell'anno 1989, sono stati finanziati dagli organi regionali preposti con circa £ 200 milioni. Il finanziamento si è però subito dissolto a causa di diverse scoperte. [..] E' stato trovato sotto l'altare maggiore un bellissimo abside, attualmente ancora in studio dalla soprintendenza alle belle arti. [..] Attualmente le funzioni religiose si celebrano in un locale di fortuna ricavato dal Parroco in un vecchio cinema."

Antonello RUGOLO