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venerdì 17 marzo 2017

Il fantasma della libreria...

Molto spesso capita di perdermi nei meandri di una libreria...
luminosa o impolverata non ha grande importanza!
Ciò che importa é che vi sia un angolo riservato alla storia, alla filosofia ed ai classici greci e latini... il mio angolo!

"Ha... ha... continua così nonno... mi fai ridere... "

Ti faccio ridere?!?
Ma se non ho ancora iniziato...
E poi questo non é un racconto comico, bensì un racconto molto antico...
e c'é veramente poco da ridere... anzi, ci sarebbe da aver paura!

"Ma io dicevo per la faccia che hai fatto...
sei proprio comico quando fai quel sorrisino beffardo... sembri uno di quei clown nani che si vedono nei film dei cavalieri!
E poi, mio caro nonnino, sei poco serio per raccontare qualcosa di brividoso..."

Ma davvero?
Dovrai ricrederti piccola mia...
ascolta in silenzio, vedremo se le mie parole non ti faranno accapponare la pelle!

"Si dai, nonno...
fammi accapponare la pelle!
Però aspetta un attimo...
Mamma ci porti qualcosa da sgranocchiare?
E anche un pò d'acqua fresca... perché seduti qui, vicino al caminetto, si muore di caldo..."

Bene, visto che ora siamo pronti posso iniziare... anzi, continuare!

Era quasi l'ora di chiusura della libreria del mio amico Mario, quella vecchia libreria che si trova, ora chiusa, all'ingresso del paese, vicino alla piazza con il cavallo, giusto per farti capire...
e come al solito mi trovavo di fronte allo scaffale dei classici greci e latini...
e più che cercare qualcosa in particolare passavo il tempo a sfogliare i volumi più vecchi e impolverati quando...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 24 gennaio 2014

Licaone... empio sovrano d'Arcadia!


"... si narra che i Giganti aspirarono ad impadronirsi del regno celeste e che ammucchiarono i monti innalzandoli fino alle stelle..."1.


I Giganti. Esseri mitologici o realtà?

Questo era il titolo della conferenza che avrei dovuto tenere il prossimo sabato all'Accademia delle Scienze.

Ovidio diceva che la stirpe umana nacque dalla terra bagnata dal sangue dei giganti, schiacciati sotto le montagne che loro stessi avevano sollevato. Per questo motivo la stirpe umana era così cattiva, crudele e assetata di sangue che: “divenne sprezzante degli dei e avidissima di strage spietata e violenta".

Così Giove, proseguiva Ovidio, "quando vide tali scelleratezze dall'alto dei cieli se ne dolse e, ripensando ai ributtanti banchetti della reggia di Licaone, imbanditi di recente e per questo non ancora divulgati concepisce nell'animo un'ira tremenda e degna di lui e convoca un concilio..."

Stupidaggini per creduloni, tutte queste storie, però ottime per introdurre l'argomento della conferenza ovvero l'esposizione degli ultimi ritrovamenti avvenuti durante gli scavi di una antica città ritrovata ai piedi del monte Olimpo. Città ancora senza nome, almeno per ora.

"Pensate forse, o dei superni, che essi non corrano pericoli?

Dal momento che Licaone, noto per la sua ferocia, ha teso insidie a me, che pure sono armato del fulmine e tengo voi sotto il mio potere?"

Così Giove apostrofava gli dei prima della punizione.

Per gli uomini fu l'inizio della fine, fu il Diluvio. E questa città sembrava proprio distrutta dal Diluvio, quello di Noè del Vecchio Testamento, che il Censorino chiama Diluvio di Ogigia, avvenuto probabilmente intorno al 2376 a.C.

Mi tornavano in mente brani del discorso che avevo scritto per l'apertura della conferenza.

Poi, in diretta dal luogo degli scavi, si sarebbe proceduto all'apertura di uno splendido sarcofago in marmo e oro, ultimo ritrovato. Il sarcofago risaliva almeno al 2000 a.C. e dalle incisioni rinvenute sembrava proprio contenere i resti di Licaone, l'empio sovrano d'Arcadia.

La procedura di apertura avrebbe richiesto circa due ore durante le quali io avrei intrattenuto il pubblico con la storia di Licaone.

E' arrivato il momento di capire di cosa è accusato Licaone per aver provocato l'ira degli Dei: in un immaginario tribunale chiamiamo così a testimoniare Giove:

"L'ignominia del tempo era giunta alle nostre orecchie, augurandomi che essa non fosse vera, scendo dal sommo Olimpo e, pur dio, esploro le terre sotto sembianza umana. Sarebbe lungo descrivere quanta malvagità abbia trovato in ogni luogo: la cattiva fama era inferiore al vero".

Giove attraversò la terra di Arcadia.

Mandò un segno per annunciare il suo arrivo e il popolo cominciò a pregare ma non Licaone che al contrario deride chi prega!

Empio com'era, non contento di deridere gli uomini, decide di mettere alla prova il re degli dei.

"Proverò di sapere, con un esperimento palese, se sia un dio o un uomo".

Questo pensa Licaone, e si prepara ad uccidere il Padre degli dei nel sonno. Ma la sua crudeltà non ha limiti e così decide di servire al suo ospite cibo umano quindi, sgozzato con la spada un ostaggio mandato dai Molossi, getta nell'acqua bollente parte delle membra e parte le abbrustolisce al fuoco.

Giove, quando gli venne servito il banchetto, riconobbe Licaone colpevole e fece crollare la sua casa. Licaone scappò e raggiunta la campagna

"comincia ad ululare e invano tenta di parlare; la bocca raccoglie da lui stesso la rabbia e sfoga la brama della strage, per lui abituale, sugli armenti, e ancora oggi gode del sangue. La veste si muta in un vello, le braccia in zampe; diventa lupo e mantiene le tracce dell'antico aspetto; identico il colore grigiastro, identica la ferocia del volto; guizzano minacciosi gli stessi occhi, immutata l'aria di crudeltà".

Questa è la punizione di Giove per Licaone, ma è solo l'inizio. Giove e il consiglio degli dei si apprestano infatti a distruggere la stirpe umana con i fulmini ma poi cambia idea e opta per "distruggere la stirpe dei mortali con un'inondazione e mandare un diluvio da ogni parte del cielo".

Il Diluvio distrusse la stirpe umana e il ricordo viene conservato sotto forma di racconto morale nella cultura greca antica.

Naturalmente a questo punto avrei dovuto passare la linea al responsabile degli scavi per procedere all'apertura del sarcofago, sperando che oltre alle ossa, probabilmente ridotte in polvere, ci fosse qualche tesoro la qual cosa avrebbe sicuramente fruttato maggior notorietà e chissà quante conferenze in giro per il mondo!

Ancora due giorni al grande momento. Ma per ora solo seccature burocratiche da adempiere per l'apertura del sarcofago e stupide email cui rispondere. Meglio rientrare a casa visto come s'era messo il cielo. Non vorrei che venisse giù un altro diluvio mentre sono per strada, pensai.
- Certo che la gente non ragiona proprio. Siamo nel 2014 dopo Cristo è c'è ancora chi crede nelle favole!

Senza volerlo, mentre leggevo l'ultima email, avevo parlato a voce alta. Ma che dire di fronte a simili assurdità?
- Un rispettabile professore Universitario!
Ecco cosa mi mandava ancora di più in bestia. Un Professore Universitario, membro dell'Accademia delle Scienze, mi invitava a fare attenzione all'apertura del sarcofago perché vi era una antico sortilegio collegato che sicuramente era ancora efficace nonostante il tempo passato, e mi invitava a mettere in campo un contro incantesimo trovato in non si sa bene quale libro, per evitare al mondo una nuova e più terribile punizione.

Avrei potuto capire se una cosa del genere fosse arrivata da un sacerdote di una setta esoterica, ma da un Professore Universitario era una cosa inconcepibile!

Non meritava neppure risposta.
Con un gesto nervoso etichettai l'email come spam e inserii il mittente tra gli indesiderati. Almeno non avrei più dovuto leggere le sue stupidaggini.

Andai a dormire tardi, come ormai era abitudine negli ultimi mesi. Afferrai un libro dalla libreria con l'intenzione di leggere qualche pagina per conciliare il sonno, senza fare troppa attenzione al titolo e mi infilai tra le coperte.

Aprii il libro in una pagina a caso, senza neanche guardare la copertina e cominciai a leggere:

Si narra che gli antichi Arcadi venerassero Pan, dio delle greggi; egli era sopratutto presente sui monti d'Arcadia”

- Ecco, lo sapevo, tra tanti libri che possiedo, proprio Ovidio dovevo prendere stasera!

Ne sarà testimone il Foloe, lo attestano le onde dello Stinfalo e il Ladone che con le sue veloci acque corre al mare e le alture del bosco di Nonacris cinte di pini, e l'albero Cillene e le cime nevose della Parrasia. Là Pan era nume tutelare di armenti e cavalle e riceveva offerte votive per non distruggere le greggi. Un solo giorno al mese avrebbe mangiato a sazietà nutrendosi del loro sangue...”

Ma no, Ovidio non diceva questo! E poi Pan era un protettore, non un demone sanguinario. Vediamo chi ha scritto simili stupidaggini...

Solo in quell'istante, rigirando il libro tra le mani, mi resi conto che si trattava di un libro antico che non avevo mai notato prima. Non era la prima volta che mi capitava. Spesso compravo pacchi di libri ai mercatini, li lasciavo sul tavolo del salotto ancora incartati e impolverati. Poi la mia domestica li puliva e li riponeva in ordine sulla libreria. Così doveva essere accaduto anche per questo volume.

Dalla prima pagina si capiva che era stato stampato a Torino nel 1647, il titolo recitava “Ovidio ritrovato, opera completa, tradotta dal Signor Marchese de Mourillac, esperto di lingue antiche”. Mai sentito prima...

Aprii nuovamente il libro qualche pagina più avanti e continuai a leggere incuriosito.

Chi aveva allora supposto l'esistenza delle Iadi o delle Pleiadi, le figlie di Atlante dalle forti spalle?

O dei due poli, sotto la volta celeste? E che vi fossero le due Orse: la prima, Cinosura è usata dai fenici per orientarsi; la seconda, Elice, dai greci. Chi l'avrebbe mai immaginato?

E che i cavalli di Febe in un solo mese percorressero le stesse costellazioni che il fratello, Febo, impiegava un anno intero?

Liberi e inosservati correvano gli astri durante l'anno, ritenuti quasi da tutti potenti divinità. Non tutti gli antichi conoscevano i percorsi delle stelle nel cielo, non tutti adoravano come dei ciò che non era altro che Terra, Luna o Sole. Per i Maghi Caldei queste cose erano chiare, il percorso delle stelle parlava loro, mostrando pericoli imminenti e lontani. Spiegando le leggi della Natura. Ponendo l'Astro al centro del mondo e dispiegando le ali di Morte...”

Chiunque fosse questo Marchese de Mourillac, doveva avere una fervida fantasia, oppure doveva aver trovato una versione dei Fasti di Ovidio sconosciuta al mondo intiero. La teoria eliocentrica non era certo nuova. Ai tempi di Ovidio diversi autori ne avevano già parlato in precedenza ma non avevo mai letto che i Caldei la conoscessero.

          “gli dei superni, sterilizzavano la Terra dalla peste dell'Uomo, per mezzo del fuoco o dell'acqua. Oppure, in casi speciali, per il tramite dello spirito Pan, capace di incarnarsi nel corpo di un uomo terribile. L'ultimo della sua specie fu Licaone, re possente d'Arcadia. Non resuscitate la sua anima, non disturbate il suo riposo...”

Questa è proprio forte! Meglio lasciar perdere questo libro. Domani sarà una giornata lunga e devo essere ben sveglio.

La notte passò con tranquillità nonostante il temporale non accennasse a placarsi. Era già da due giorni che la pioggia veniva giù senza interruzione e in tv non facevano altro che parlare di incidenti, frane e fiumi che avevano raggiunto gli argini. Mi alzai per accostare le tende, i lampi continuavano a illuminare a giorno la città, inconsapevoli del fatto che il servizio meteo avesse previsto miglioramenti su tutta la regione per l'indomani.

Mi alzai, feci una doccia calda e andai a lavorare presto.

A pranzo avevo un appuntamento di lavoro con il responsabile delle riprese video dell'Accademia delle Scienze. Volevo essere sicuro che tutto fosse pronto per la sera. Alle 18.00 si cominciava e non potevo permettermi errori. Dopo il panino e il caffè infilai la mano nella borsa per cercare l'agenda in cui avevo preso alcuni appunti nei giorni precedenti. Con mio stupore estrassi il libro di Ovidio che avevo letto la sera prima. Sicuramente l'avrò infilato in borsa questa mattina senza accorgermene, pensai.

Dopo pranzo avevo una riunione con il responsabile dell'accoglienza degli ospiti e poi feci una visita veloce nella sala. Tutto sembrava in ordine, non restava che aspettare le 18.00.

Il temporale sembrava non dar tregua.

Il cielo era nero e solo i lampi, di tanto in tanto, illuminavano le nuvole. Un brutto temporale, pensai. Sarebbe passato prima o poi.

Potevo riposare una mezz'ora. Ne sentivo proprio la necessità.

Mi sedetti nella poltrona del mio ufficio e presi il libro che avevo nella borsa, volevo dare un altro sguardo all'introduzione. Chissà che non ci fosse qualche notizia interessante sull'autore.

- Come si chiamava? de Mourillac, se non ricordo male!

Nell'introduzione non si diceva altro sull'autore. I soliti ringraziamenti al re di Spagna e alla sua gentile consorte, tipico dei libri di quel periodo, una pagina in cui vi era l'autorizzazione ecclesiastica alla pubblicazione e niente di più. Doveva trattarsi di una edizione economica, o magari pirata, a bassa tiratura.

La copertina era anonima, in cartone rivestito di tessuto verde. Molto consumato. Rilegato a mano senza troppa attenzione. Le pagine erano di carta molto grossa e alcune erano incollate dall'umidità e dal tempo.

Dal mio terminale potevo accedere ai testi delle principali biblioteche del mondo, una ricerca su questo de Mourillac mi avrebbe forse dato qualche informazione in più sulla strana edizione di Ovidio che mi trovavo tra le mani.

O almeno così pensavo. Il motore di ricerca non restituì nessuna informazione. Il Marchese de Mourillac semplicemente non esisteva, almeno non come autore di testi del 1600.

Aprii nuovamente a caso e lessi:

Per molti anni durò tale stato del cielo, finché il dio più antico fu deposto dal suo regno. La Terra allora partorì con dolore i Giganti dalle forti membra, terribili mostri, che avrebbero osato assalire il regno di Giove, in cielo.

Lì fece col il ferro ed il fuoco, enormi alla vista. Serpenti di fuoco uscivano dai mostri, mentre questi si sollevavano minacciosi verso il cielo, regno di Giove. Movete guerra agli dei, urlava Licaone. Essi si preparavano a percorrere le immense distanze tra la Terra e il regno di Giove ma il padre degli dei, che tutto sapeva, li precedette, scaraventando sulla Terra ordigni di fuoco, portando morte e distruzione e seppellendo quella razza che aveva osato sfidarlo, sotto montagne di roccia.

Licaone fu condannato alla dannazione eterna, il suo nome sarebbe stato associato a quello del lupo nemico delle greggi, oppure dell'uomo che mangia i suoi simili, temuto da tutti e mai dimenticato, sarebbe stato il responsabile del diluvio che aveva distrutto il mondo. Licaone non doveva essere mai più dissepolto perché con lui sarebbe riemerso il male e il mondo sarebbe stato distrutto...”

Si. Come nella peggiore sceneggiatura di un film di seconda categoria. Gli archeologi aprono il sarcofago e ne spunta fuori, vivo e vegeto un mostro sanguinario!

Per fortuna che non ero mai stato impressionabile.

Però questo libro meritava più attenzione.

Vi erano veramente tante differenze con la versione nota a tutti. Non fosse altro che per decretarne la falsità sarebbe stato interessante approfondirne le origini.

Me ne sarei occupato più avanti. Ora avevo cose più importanti a cui pensare.

La conferenza cominciò alle diciotto in punto. I primi ospiti cominciarono ad arrivare verso le diciassette, qualcuno si avvicinò per salutarmi, tra questi un mio vecchio professore dei tempi dell'Università che non vedevo da almeno vent'anni.

Alle diciotto e trenta ebbe luogo il primo collegamento video. Il luogo degli scavi era coperto dalla pioggia incessante. Fortunatamente il sarcofago era stato portato in un grosso hangar allestito per l'occasione. Poteva piovere quanto voleva ma lo spettacolo sarebbe andato avanti comunque.

Alle diciannove e trenta mi avviavo alla conclusione. Ancora qualche minuto e sarebbe arrivato il segnale che tutto era pronto per aprire il sarcofago in diretta. Mi apprestavo a fare le mie considerazioni finali sul significato della morte di Licaone e su cosa ci si poteva aspettare di trovare all'interno del sarcofago dopo circa quattromila anni. Se le condizioni di umidità fossero state ottimali il teschio si sarebbe potuto conservare intatto, probabilmente anche parte del tessuto che ricopriva il corpo. Era sperabile che con il re fossero state seppellite anche le sue armi e qualche gioiello, ma niente più.

Erano le otto e in teoria il segnale della diretta doveva essere già arrivato ma così non era. Sarei potuto andare avanti ancora per qualche minuto ma non di più, a meno di inventare o dare la parola agli ospiti per eventuali domande.

Poi, di colpo, eccolo finalmente.
- Signori, ora assisteremo all'apertura in diretta del sarcofago che ha custodito Licaone, l'empio sovrano d'Arcadia, negli ultimi quattromila anni.

La voce stentorea con cui diedi l'annuncio quasi mi fece trasalire. Mentre pronunciavo queste parole un lampo più potente degli altri aveva illuminato a giorno le finestre dell'auditorium. Un sordo brontolio lo seguì, a distanza di qualche secondo.

Il sarcofago si aprì. Il massiccio coperchio venne poggiato a terra e l'operatore tv si accinse finalmente a riprendere le immagine di un re vissuto quattromila anni prima.

Le ossa erano integre, la forma perfettamente distinguibile sotto un velo sottile di polvere dorata, era quella di un enorme lupo...
Da quel giorno passarono mesi senza che la pioggia cessasse per un solo attimo.

Ancora un fulmine nel cielo, forse a testimoniare la collera di Giove per aver riesumato il suo antico nemico, cadde sulla terra.

Ma nessuno più avrebbe potuto testimoniarlo...
 
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

1 Ovidio, Metamorfosi.

venerdì 6 dicembre 2013

Inconsapevolmente vivo...

Aprii gli occhi con difficoltà. Un leggero velo sembrava interporsi tra me e tutto ciò che mi circondava.
Mi trovavo all'ospedale.
Ero confuso, sapevo cosa mi era successo, lo ricordavo perfettamente, eppure il mio subconscio rifiutava di riconoscerlo. Non era facile prendere coscienza del fatto di aver avuto un infarto.
Attorno a me altri pazienti della terapia intensiva, come me attaccati ai macchinari che permettevano agli infermieri di controllarci a distanza. Di tanto in tanto un "bip" più intenso del solito attirava la loro attenzione, qualcuno si avvicinava a controllare.
A volte si trattava della flebo che era terminata, altre volte invece gli infermieri chiamavano il medico e cominciavano ad agitarsi attorno al letto del malcapitato...
Ma tutto ciò è abbastanza normale in terapia intensiva.
Dopo qualche giorno mi spostarono in terapia subintensiva, un posto un po più tranquillo, dove ci si poteva alzare dal letto, andare in bagno senza dover chiedere la padella o il pappagallo (strumenti inventati solo per farti sentire inutile), lavarsi da soli e fare un po di vita sociale con i compagni di camera e con i visitatori. Di tanto in tanto arrivava anche qualche volontario, sempre allegro e pronto a scambiare quattro chiacchiere, anche se non sempre ne avevo voglia, oppure un parroco che si guardava intorno e poi, in silenzio, così come si era avvicinato si allontanava... quasi non volesse disturbare i nostri pensieri con presagi spiacevoli.
La notte cercavo di dormire, cercando di ignorare i dolori al petto, dimenticando il mal di schiena e tutti gli aghi che avevo infilati nelle braccia, sperando che non si staccassero i sensori, altrimenti un infermiere sarebbe arrivato a svegliarmi per riattaccarmeli, e poi chi riusciva a riprendere sonno?
Una anziana signora che stava nella stessa stanza ci intratteneva con le sue urla continue. Di notte urlava e di giorno dormiva e noi stavamo svegli.
Poi finalmente le dimissioni.
Un bel giorno il medico mi disse che dopo pranzo potevo uscire, finalmente!
Preparai le mie poche cose e ricevuto il foglio di dimissioni e delle cure da seguire rientrai a casa.
Quella notte non riuscivo a prendere sonno, la preoccupazione di non essere controllato era tanta. Stare all'ospedale dava una certa sicurezza che ora mi mancava. Ogni dolore sembrava amplificato dalla paura. Ogni battito cardiaco, ogni tremore, ogni crampo, sembrava l'annuncio di un nuovo infarto e l'inizio della fine... ma si trattava solo di sensazioni, e col tempo ci avrei fatto l'abitudine.
Nelle ore passate insonni pensavo e ascoltavo i rumori, il vento fuori dalla finestra, una macchina per strada, qualche cane abbaiare, il bisbiglio di un bambino...
Poi la mattina dopo iniziava la cerimonia dei medicinali, una, due, tre pastiglie. Quella per lo stomaco, quella per la pressione, la betabloccante, la cardioaspirina...
Solo se ti capita ti rendi conto delle libertà perdute! Ma bisogna cercare di non pensarci e andare avanti, cercando di tornare alla normalità, poco per volta.
Dopo i primi giorni potevo finalmente uscire di casa, fare qualche passo era utile, occorre camminare per riprendersi velocemente, pressione permettendo!
E la sera di nuovo a letto presto, cercando di evitare di pensare a quello che può succedere la notte. Perchè la paura è che ti addormenti e non ti svegli più!
Allora prendere sonno è faticoso, e così si passa qualche ora a rivoltarsi tra le coperte ascoltando i soliti rumori... il vento del giorno prima, che però ha cambiato direzione, la solita macchina del solito ritardatario, i ragazzi che passano sotto casa al rientro di una serata in discoteca, i bisbigli di un bambino...
Strano, è già la terza notte che un bambino passa sotto casa, per un istante, bisbigliando qualcosa di incomprensibile.
La mattina, dopo la colazione a base di te, fette biscottate e marmellata e le solite medicine, approfitto della bella giornata per fare quattro passi. Sotto casa c'è un piccolo parco, mi siedo in una panchina e mi godo il sole. Qualcuno mi passa vicino ignorandomi, ma non mi riguarda. Le fronde degli alberi si muovono spinte da un fresco venticello di primavera, i cani giocano con i loro padroni nello spazio loro riservato.
Rientro a casa e la giornata passa come le altre, mangio, leggo, mi riposo e passo il tempo cercando di riprendermi.
La notte arriva inesorabile e con il buio la solita insonnia, la solita macchina e il solito bambino che bisbiglia...
Cosa dici - penso - non capisco, non ti sento bene...
Il bisbiglio si fa più forte, poco a poco sempre più distinto, si trasforma in una voce...
Chi sei, perchè mi chiami...
- Finalmente, seguimi, non puoi restare più qui... il tuo posto è altrove!
Fu questione di un attimo. In quell'istante realizzai finalmente ciò che era successo, chi veramente ero...
Il dolore sparì, le ansie e l'angoscia mi lasciarono per sempre, la paura di morire non aveva più senso, nella mia nuova condizione di fantasma...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 12 agosto 2012

Krankenhaus


“Moritzingerstrasse”,

annunciava la voce semimetallica del bus, linea 10A, a Bolzano…

Era una calda giornata d’estate. L’afa contribuiva a togliere il respiro. Sul bus solo qualche occasionale viaggiatore, dovevano essere tutti in ferie per ferragosto.

Un passeggero era salito alla fermata di Piazza Domenicani, curvo dall’età e dal caldo.

Si era aiutato con le braccia per salire a bordo, forse il caldo gli toglieva quel poco di forze che ancora animavano il suo corpo.

Doveva avere almeno ottant’anni. Da giovane era stato alto e robusto, forse era stato uno sportivo o forse un agricoltore del luogo, un montanaro abituato alla durezza della vita di campagna. Le spalle erano ampie e ancora tradivano la forza che le aveva animate.

L’avevo osservato bene in faccia quando era venuto a sedersi al mio fianco. La pelle era grinzosa e macchiata, i capelli e le sopracciglia bianchi candidi, ancora folti. Le orecchie piccole erano coperte da un ciuffo di capelli arruffati, come se non si fosse pettinato la mattina.

Per il resto era ben curato.

La barba rasata di recente, le mani pulite, le unghie ben tagliate. Non fumava, non sentivo alcun odore di sigaretta. Gli occhi erano azzurri, profondi, un po’ tristi, come se sapesse di essere arrivato alla fine della corsa…

Indossava un paio di jeans puliti, non proprio nuovi, una taglia più grande del necessario, retti dalle bretelle. Una camicia chiara e un paio di scarpe in pelle, marrone. A tracolla portava un borsello di altri tempi, in pelle scura, che stringeva sotto il braccio.

Avevamo viaggiato fianco a fianco per tutto il viaggio senza dire niente. Io lo guardavo ma lui non mi vedeva. Soffriva ma non parlava, neanche un mugolio. Solo una smorfia di dolore, di tanto in tanto, quando il bus andava troppo forte per lui.

“Krankenhaus”, annunciava la voce sul bus… e quella fu l’ultima parola che il vecchio sentì.

Si accasciò senza forze sul sedile, il conduttore non si accorse di niente fino alla fermata successiva, quando fermò il bus di fronte all’ospedale, ma era tardi.

Io ero al suo fianco, quando spirò! Presi la sua anima per mano, lo consolai, gli spiegai cosa doveva fare e lo indirizzai sulla giusta strada… Mentre si allontanava veloce si girò un attimo, mi chiese chi fossi… chi doveva ringraziare.

Gli risposi che ero uno come lui, spirato sullo stesso bus… tanti anni prima.



“Europa Stadium”, già diceva la voce semimetallica…

ancora una corsa, ancora una…

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 19 marzo 2011

Il vecchio cotonificio...

"La mia storia è come quella di tanti ragazzi del sud...
una vita spesa a lavorare, cercando di mettere qualche soldo da parte per poter un giorno tornare al paese.
Ma, sedetevi, la mia casa è povera ma una sedia e un bicchiere d'acqua fresca non si nega a nessuno".

Il vecchio signor Peppino era sempre gentile con noi e ogni volta che andavamo a trovarlo ci raccontava qualche storia di quando era giovane...
Io avevo 10 anni quando lo conobbi per la prima volta, ora ne ho molti di più, ma non l'ho mai dimenticato... 

Un giorno la maestra di quarta elementare ci aveva detto che dovevamo fare una ricerca, dovevamo parlare dei lavori del 1800 nella Lombardia. Così ai miei genitori venne in mente di portarmi a Gorla, un piccolo paese subito fuori Legnano (dove abitavamo) dove qualche anno prima avevano conosciuto per caso un vecchio signore che aveva allora almeno ottanta anni e che aveva lavorato nel vecchio cotonificio Cantoni. Lui avrebbe saputo render sicuramente interessante la ricerca...

"Volete sapere come si lavorava in un cotonificio? Mh... è stato tanti anni fa che non ricordo più neanche il nome del proprietario..."

Oggi so bene che scherzava, il vecchio signor Peppino aveva sempre voglia di scherzare, ciò che non gli era mai mancato era proprio una memoria di ferro e la voglia di vivere che lo portava sempre a vedere il lato positivo delle cose... eppure allora mi sembrò quasi una inutile perdita di tempo. Non capivo perché mio padre mi avesse voluto far conoscere quello strano vecchio. Avrei potuto semplicemente andare in biblioteca, sedermi ad un tavolo e sfogliare uno di quei grossi libri pieni di foto del passato... ma mentre pensavo, il vecchio assunse un'aria pensosa e, chinata la testa come se portasse sulle spalle tutti gli anni del mondo, cominciò a parlare. 
La voce era roca, profonda, come se venisse direttamente dal passato... le parole erano poche e misurate, ne più ne meno di quelle che servivano per descrivere la vita di una Legnano del 1800 e dei sui tanti abitanti di allora, come se ci fosse stato anche lui!

"Allora Legnano era un bella cittadina, certo, non così estesa come oggi, ma comunque bella... la gente camminava per le strade con passo svelto, tutti andavano al lavoro o a sbrigare qualche commissione che non poteva aspettare oltre. Le signorine di buona famiglia erano sempre vestite a festa, scarpette lucide che si impolveravano subito per le strade di Legnano, abiti bellissimi in cotone fresco e colorato, adatti per la tarda primavera e l'estate, un po' meno per le altre stagioni. E quegli abiti, proprio quelli che esse indossavano, erano ciò che ci dava da mangiare... la mia famiglia lavorava al cotonificio Cantoni già dal 1830, quando era una semplice filanda. Il lavoro era duro ma onesto..."

All'inizio avevo pensato che il vecchio signor Peppino ci prendesse in giro, era il 1975, lui non poteva certo parlare di se stesso quando raccontava di ciò che accadeva nel 1830! Ma non mi importava più, il suo modo di parlare, la sua voce profonda e suadente avevano la capacità di portarmi indietro nel tempo, ascoltavo e vedevo le immagini di quelle persone, delle giovani ragazze che passeggiavano, del vecchio signor Peppino che lavorava alla filanda, vecchio già allora!

Senza rendermene conto riempii pagine e pagine di quaderno senza mai fermarmi, come guidato da una mano invisibile e sapiente... Il giorno dopo la maestra fu molto contenta del lavoro e disse che avrebbe conosciuto con piacere quel vecchio che era stato capace di ispirarmi.

Il tempo passò e io crescevo. L'esperienza con il signor Peppino era stata bellissima e toccante, e così ogni anno i miei genitori con una scusa qualsiasi tornavano a trovarlo. Ci presentavamo al cancello del giardino e mio padre lo chiamava da fuori, per nome, aspettando un cenno di autorizzazione per andare oltre. Poi entravamo, io correvo sempre avanti, i miei genitori seguivano con passo svelto. Ogni volta portavamo qualcosa, un pane di grano duro, una salsiccia, una bottiglia di vino. E lui, come quella prima volta, ci offriva da sedere, un bicchiere d'acqua fresca e poi cominciava a raccontare... ed ogni volta era come quella prima volta per me. Restavo incantato ad ascoltare per ore, senza quasi parlare. Poi, poco prima di cena andavamo via dopo aver ringraziato e salutato con rispetto quel vecchio pezzo di storia. Così ogni anno fino a quando non dovetti partire.

Avevo 19 anni quando andai via da casa, ero stato preso in Marina e dovetti partire per la Sicilia... Ero contento, la Sicilia era la terra del vecchio signor Peppino, forse non l'avrei più visto ma almeno avrei potuto conoscere la sua terra.
Il tempo passò, mi sposai, mi trasferii a Roma dopo aver lasciato la Marina e grazie agli studi assidui e alla voglia di lavorare trovai un bel posto sicuro e riuscii a comprarmi una piccola casa in periferia... Tornavo a casa, a Legnano, di tanto in tanto, per trovare i miei genitori che invecchiavano. Col tempo dimenticai le visite al signor Peppino, probabilmente era morto ormai, e i miei genitori non dissero più niente.

Era il 25 aprile del 2000 quando nacque mio figlio. Lo chiamammo Francesco e fu una festa per tutta la famiglia. Per i miei genitori era il primo nipote ed ogni anno, in estate, pretendevano che stesse da loro almeno per un mese. Avevano tante cose da insegnargli, dicevano... io e mia moglie eravamo contenti e li lasciavamo fare.

Per il decimo compleanno di Francesco, il 25 aprile 2010, decidemmo di festeggiare in famiglia. Arrivammo a casa mia la sera del 24, in aereo. L'aeroporto di Malpensa era vicino e così mio padre venne a prenderci in macchina. La sera incartammo i regali e mio padre disse che il regalo per Francesco non si poteva incartare... ma non disse niente di più, aveva un'aria misteriosa che non era da lui. 

La mattina del 25 aprile Francesco ricevette i suoi regali e come tutti i bambini dei nostri giorni venne sommerso da giocattoli elettronici e qualche libro. Mio padre disse che ancora non era arrivato il momento del suo regalo, occorreva aspettare alle cinque del pomeriggio...
Pranzammo tutti assieme, prendemmo il caffè e aspettavamo con ansia di scoprire quale fosse il regalo del nonno che non era stato mai così misterioso!

Mancava mezz'ora alle cinque e Francesco era visibilmente impaziente, forse sperava di ricevere la nuova play station, magari con qualche gioco che avrebbe potuto mostrare ai suoi amici di scuola... 
Poi finalmente, mio padre si alzò dalla sedia, in silenzio e fece cenno di seguirlo. Salimmo in macchina. Guidò per venti minuti, nel traffico di Legnano... lungo la strada semafori rossi, fabbriche, persone in bicicletta, alberi grigi lungo i viali... poi un cartello: Gorla, indicava la nostra destinazione. Eravamo arrivati!

Di colpo mi tornò in mente il volto del vecchio signor Peppino, la sua voce, i suoi racconti e un'idea pazza, per un attimo, mi passò per la mente.
Mio padre si fermò di fronte ad un giardino che conoscevo bene. Scendemmo dalla macchina in silenzio, ci dirigemmo verso il vecchio cancello grigio e li ci fermammo. Mio padre pronunciò il nome a voce alta, secondo un rituale antico, che ben conoscevo... attendemmo alcuni secondi, come tanti anni prima, finché ad un cenno entrammo nel giardino. Francesco corse avanti, come se si trovasse a suo agio, d'altra parte stava per ricevere il suo regalo di compleanno...
Un vecchio dalla pelle scurita dal tempo stava sulla porta e ci aspettava, ci accolse cordialmente, ci offrì una sedia e un bicchiere d'acqua fresca... 

Poi, cominciò a raccontare...  

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 13 marzo 2011

Il fantasma della casa sull'Olona

Non riesco più a fare le cose che facevo prima, non posso più uscire per strada senza pensare a quanto mi è accaduto...
Sono passati tanti anni ormai, ma ancora non riesco a dimenticare. 
La mia vita è cambiata... e non potrò mai tornare indietro...
Ogni volta che mi trovo a passare di fronte a quella casa, un brivido freddo mi percorre la schiena e i miei sensi, stimolati dal ricordo, trasmettono al mio cervello segnali d'allarme! 
Non riesco a dimenticare... non VOGLIO dimenticare!

Cosa accadde, mi chiederete...
Non so se riuscirò mai a dire tutto. 
Anche scrivere, come ora sto facendo, mi riapre una ferita ancora sanguinante... 
Eppure devo provarci, il mio psicologo dice che devo superare quello che mi è successo... dice che devo metabolizzare e secondo lui scrivere e parlare di quanto mi è accaduto non può che farmi bene!
Io non sono tanto convinto ma che altro posso fare?

Era il 1989, quando mi trasferii a Legnano, avevo trovato lavoro in una società della zona come ingegnere alla produzione. Un lavoro ben pagato ma che mi portava via molto tempo. Dovevo viaggiare spesso e non avevo modo di passare molto tempo con mia moglie così, di tanto in tanto, la portavo con me. A lei piaceva molto viaggiare così approfittava dei miei viaggi di lavoro per visitare le capitali d'Europa e per acquistare libri... a volte romanzi ma più spesso antichi testi che lei diceva di adorare.

Lei conosceva diverse lingue oltre l'italiano. Il francese, l'inglese, lo spagnolo, ma anche lingue morte come il latino e il greco antico non la spaventavano per niente, ed ogni volta che per lavoro mi recavo in un paese in cui si parlava una lingua sconosciuta, per lei era una festa. Preparava la sua valigia velocemente, selezionava accuratamente le grammatiche e i libri che le sarebbero potuti servire e, alcune settimane prima della partenza, iniziava a studiare la nuova lingua che poi puntualmente praticava e approfondiva sul posto.
Non sono mai riuscito a capire come facesse... eppure per lei era semplice, sembrava che le lingue non avessero segreti e la cosa cominciava anche ad essere utile per il mio lavoro. Avere un interprete personale e di totale fiducia non è da tutti infatti!

Dopo un anno di duro lavoro la società decise di assumermi come dirigente, dovevo occuparmi dei grossi contratti con l'estero, l'attività era in forte espansione e avrei preso una percentuale per i nuovi contratti. Accettai senza pensarci due volte e anche Anna, così si chiamava mia moglie, ne fu felice.
Ora potevamo permetterci una casa tutta nostra, sarebbe stata la nostra reggia.

Allora abitavamo nei pressi della stazione ferroviaria, in una palazzina degli anni '50, in una mansarda arredata semplicemente, una camera da letto, un angolo cottura che si apriva su un terrazzo che dava sulla stazione, un bagno veramente minuscolo e una seconda stanza che io usavo come studio e Anna come biblioteca, con una sola grande poltrona in pelle nera al centro, che condividevamo, e un tavolino sempre ricoperto di libri e progetti... tutto intorno una libreria in legno scuro stracarica di libri e una lampada a muro rendevano l'ambiente intrigante e accogliente... I libri provenivano da tutto il mondo e probabilmente tutte le lingue vi erano rappresentate, come al palazzo dell'ONU e forse più!
  
Quando decidemmo di compare la casa non avevamo idea di cosa acquistare, l'unica esigenza era legata allo spazio per i libri di Anna e al mio studio, che al momento era troppo ridotto. Per il resto tutto andava bene.
Cominciammo ad uscire la sera alla ricerca di una zona che ci piacesse. Percorremmo a piedi più volte tutta la città di Legnano, ci spingemmo fino a Castellanza, a Busto Arsizio e visitammo anche i paesi limitrofi ma non trovavamo niente che soddisfacesse le nostre esigenze e fosse anche alla nostra portata. Ogni sera, tempo permettendo, facevamo chilometri, osservando attentamente le case, i giardini, le persone... alla ricerca di quella che sarebbe diventata la nostra casa. 
     
Una sera più luminosa del solito, accompagnati dalla luna piena e con il cielo stranamente libero da nuvole, notammo a pochi metri dal fiume Olona, una vecchia casa diroccata, quasi completamente ricoperta di edera rampicante, secca, cadente dai tetti spioventi... 
Le finestre erano chiuse, gli scuri in legno cadenti, appesi ad una cerniera in ferro corrosa dal tempo e dalla pioggia, cigolavano per il vento.
Ci guardammo in faccia, sorridendo. Sembrava la casa dei fantasmi, pensai, e già proseguivo il mio cammino...

"Ecco, è questa la casa che voglio!"   

Le sue parole mi arrivarono all'orecchio come uno schiaffo inaspettato, restai interdetto per un attimo, poi mi girai verso di lei, pensando scherzasse. Dai suoi occhi capii immediatamente che non scherzava, era seria, anzi serissima. Realizzai immediatamente che qualunque cosa avessi potuto dire o fare sarebbe stato inutile, quella sarebbe diventata la nostra casa. Conoscevo Anna da quando era una ragazzina quindicenne e stavamo assieme da altrettanti anni, sapevo che se voleva una cosa l'avrebbe ottenuta, con le buone o con le cattive. Ci dovevo fare l'abitudine, quella sarebbe stata la nostra casa.

Il giorno dopo tornammo assieme di fronte alla casa, certo, ci sarebbe voluto un po di tempo prima di rendere abitabile quel che restava di una casa indipendente, abbandonata da almeno venti anni, ma non c'era fretta. Mentre osservavo il tetto cercando di capire quante di quelle tegole erano ancora intere, una vecchia ci rivolse la parola con quell'accento tipico legnanese che avevamo cominciato a capire ed apprezzare. Ci chiese chi fossimo e cosa volessimo e senza aspettare le nostre risposte cominciò a raccontarci della sua vita, di quando era arrivata a Legnano col marito, della loro vita felice, dei figli, del fatto che ormai era vecchia e non sentiva più bene da un orecchio (ma la lingua le funzionava ancora benissimo, pensai) e dei fantasmi che abitavano la casa che stavamo osservando...    

"Fantasmi?" La interruppi involontariamente...
"Fantasmi?" Ripeté Anna a voce alta...

E così la vecchia, che abitava proprio affianco, cominciò a raccontare dei rumori che provenivano dall'interno di quella casa, delle luci che apparivano di tanto in tanto, delle ombre scure, enormi, che aveva visto tante volte nascosta dietro le tende della finestra della cucina. Dei suoi gatti scomparsi negli anni passati e dei giocattoli rotti che di tanto in tanto trovava nel suo giardino...

Ogni parola non faceva altro che spingere Anna verso quella casa... come esche ben poste sull'amo di un esperto pescatore, quelle parole attiravano la preda verso la trappola mortale. trappola che per Anna avrebbe significato...

Non capivo come potesse piacerle, ma non provai neanche a discutere la sua scelta, anche questa volta l'avrei accontentata e poi, nel caso, me ne sarei pentito in silenzio, per amore.

Riuscimmo a scoprire chi era il proprietario della casa e nel giro di qualche mese fu nostra, solo nostra (e della banca che ci aveva concesso il mutuo) e ancora qualche mese e sarebbe stata abitabile. Ci volle più tempo del previsto a causa di una crepa nascosta che arrivava dal tetto alle fondamenta ma alla fine i lavori terminarono e la casa ci fu consegnata. Non restava che acquistare qualche mobile e fare il trasloco delle nostre cose. Comprammo una bella camera da letto. La cucina dovemmo ordinarla su misura e lo stesso per la libreria dello studio, che era ampio e luminoso. A metà maggio ci trasferimmo.

La casa aveva cambiato aspetto, l'edera rampicante cresceva rigogliosa e tutto ciò che un tempo era arrugginito e cigolante ora sembrava aver ripreso vita. Anna era felicissima e il suo viso raggiante mi aveva fatto dimenticare quella strana sensazione che avevo provato sentendo parlare dei fantasmi...

La vecchia vicina, da quando aveva saputo che avevamo acquistato non ci aveva più rivolto la parola, ci passava vicino senza salutare, triste in volto. La sorpresi una sera mentre gettava del sale di fronte alla nostra porta. In faccia aveva uno strano sorriso. Ma non ci feci tanto caso, al momento.

Erano passati diversi mesi da quando ci eravamo trasferiti nella nostra nuova casa. Sembrava che tutto andasse per il meglio e anche la vicina aveva ripreso a salutarci anche se si vedeva da lontano che non approvava la nostra presenza. Poi, una sera, un fatto inusuale mi colpì. Anna era seduta sulla sua poltrona, ne avevamo comprata un'altra, al centro della biblioteca-studio e io arrivavo dalla cucina. Al suo fianco, vicino alla mia poltrona, vidi la sagoma di un uomo chino su di lei che leggeva.
Un brivido freddo mi pervase, un urlo strozzato uscì dalla mia gola...

"Che succede, caro?!?" 
   
L'ombra scomparve... non riuscivo a parlare, avevo visto bene o era solo suggestione? 
Mi lasciai cadere sulla poltrona, senza forze, come svuotato dalla vita. 
Avevo visto un fantasma? Le parole della vecchia mi tornarono in mente...
Chi era quell'essere, là, affianco alla mia Anna? 
Lei era in pericolo?
Queste e altre domande si affacciavano alla mia mente ma non riuscivo a parlare, non potevo aprir bocca, era come sigillata. Non riuscivo a muovermi, ero come paralizzato dalla paura.

La sensazione che avevo provato alla vista di quell'ombra non era scomparsa, anzi, era più forte che mai... come se quell'essere mi osservasse alle spalle, come se mi trattenesse con braccia invisibili e mi chiudesse la bocca con labbra di ghiaccio. Non riuscivo a muovere un muscolo, ero paralizzato sulla poltrona e guardavo, con gli occhi sbarrati dal terrore... le palpebre aperte innaturalmente, le pupille dilatate. Anna era li, di fronte a me e l'ombra si faceva sempre più vicina, terribile, assetata di sangue.

Poi la colpì, una, due, dieci volte... la lama del coltello penetrò nelle sue carni e il  sangue schizzava sulle copertine dei libri, sulla tappezzeria, sulle carte del mio ultimo contratto, lentamente, appiccicoso... sangue rosso rubino.
Tentai di muovermi, di urlare, di avvisarla, di salvarla... ma non potevo far niente, potevo solo guardare quello spettacolo orribile che ora vorrei poter dimenticare.

L'ombra scomparve, silenziosa... Il tempo passava, la notte trascorse senza rumori, l'odore del sangue riempiva la stanza ma io non potevo muovermi, ero come incollato alla poltrona...
Poi la mattina dopo, cominciai a riprendermi, riuscii a muovere le braccia e poi le gambe e a trascinarmi fuori dalla casa strisciando sul pavimento. Aprii la porta e urlai a squarcia gola, una, due, tre volte...

La vecchia vicina di casa era li, di fronte a me, per niente stupita, come se avesse capito cosa era accaduto... come se sapesse! Le chiesi di chiamare i Carabinieri, balbettai qualcosa a proposito di Anna, del fantasma, del sangue... poi svenni.

Mi risvegliai in ospedale, legato al letto con una camicia di forza. Mi dissero che avevo dato in escandescenze, che avevo urlato per tre giorni, che farneticavo di ombre e fantasmi e dell'assassinio di una donna, Anna. Mi dissero di aver controllato la casa, non c'era sangue ne segni di lotta. Non c'erano neanche più i libri, solo sporcizia e i segni di una casa abbandonata a se stessa, senza la mano di una donna. 
La vecchia vicina aveva raccontato ai Carabinieri che qualche settimana prima la donna che viveva con me, Anna, mi aveva lasciato per non tornare... e io non l'avevo presa bene. Forse ero impazzito... ma non era vero. Io sapevo qual'era la verità, io c'ero stato in quella stanza, io avevo visto la vecchia, guardarmi di traverso, avevo visto l'ombra e il sangue... io.. io ero forse pazzo?!? 


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 27 febbraio 2011

Fantasmi dal passato...

“I capelli!”
La voce era uscita spontaneamente dalla sua bocca, aveva quasi urlato! Ma tanto che importava, non c’era nessuno in casa…
“Diamine, stavo dimenticando l’appuntamento col barbiere!”
Poteva urlare quanto voleva adesso! Nessuno si sarebbe lamentato. Erano passati tanti anni da quando la moglie l’aveva lasciato portandosi appresso i suoi due figli…
“Sono già le sette, spero di fare in tempo. Le odio, queste cene di beneficenza. Mi fanno perdere un sacco di tempo ma pare facciano bene alla mia immagine.”
Immagine…allora non si preoccupava dell’immagine quando picchiava la moglie. Non se ne preoccupò neanche quando la mandò all’ospedale con una gamba rotta perché aveva preso le difese del piccolo Arthur! Ma adesso era diverso, ora era un uomo importante oltre che ricco e così doveva curare la sua immagine…
“Fortunatamente è giusto qua, dietro l’angolo, sono quasi arrivato.”
Quella volta stava per essere denunciato ma, si sa, i soldi possono tutto! Così se l’era cavata ancora.
“Maledizione! Chiuso per lutto, non è possibile!
E ora?”
E si, se l’era cavata! Quando la moglie rientrò dall’ospedale lui era fuori per lavoro, i bambini erano con la domestica. Lei prese le suo poche cose e i suoi bambini e sparì nel nulla. Lui avrebbe potuto ritrovarla forse, ma non se ne occupò minimamente. La sua ritrovata libertà lo affascinava! Non si preoccupò neanche dei figli, pesi inutili!
“Guarda là che fortuna, quell’insegna è nuova!”
I bambini avevano sette e nove anni, Arthur era il più grande. Presero il treno delle sette per Liverpool. Non tornarono mai più indietro! Lei trovò alloggio in un quartiere malfamato, sotto falso nome. Trovò anche un lavoro come cucitrice in una grossa fabbrica di tessuti. Lavorava sedici ore al giorno in un ambiente malsano, morì due anni dopo di polmonite, lasciando i due piccoli senza speranze.
“Barberia. Certo che per essere nuova è abbastanza strana, sembra antica!”
Arthur fece quello che era in suo potere per accudire Jimmy, si trovò un lavoro e rientrava a casa a notte fonda. Jimmy non faceva che piangere per la morte della madre e un bel giorno ne morì!
“Non ho tempo da perdere, l’importante è che ci sia un barbiere dentro!”
Dopo la morte di Jimmy niente era più importante per Arthur eppure continuò a vivere a Liverpool per anni, lavorando e crescendo…
“Ragazzo! Barba e capelli…e sbrigati che ho molta fretta!”
Poi un giorno, leggendo il giornale vide una sua foto! Il padre era in lista per ricoprire una altissima carica ed era dato per vincente! Chissà se era cambiato! Non provava odio, ma solo terrore! A causa sua era morta la madre e il fratello, era un Mostro!
“Ragazzo! Ho detto che ho fretta… cosa aspetti a servirmi?”
“Mi scusi signore, arrivo subito!” Prese l’ampolla dell’acqua per bagnare i capelli e con gesto maldestro versò alcune gocce sulla giacca del cliente.
“Che diamine combini! Deficiente d’un garzone.”
“Ma è solo acqua signore, l’asciugo subito”
“Pensi forse di cavartela così? Io ti rovino, ti distruggo. Dov’è il tuo padrone?”
Non era cambiato, ora ne aveva la prova! Fu una questione di un attimo, la lama affilata del rasoio penetrò in profondità nella morbida pelle del collo del padre! Un fiotto di sangue sgorgo e andò ad imbrattare la camicia candida. In un ultimo gesto sollevò gli occhi e vide in faccia il suo assassino!

“Ciao Papà!”

L’orrore gli riempì l'anima...

L’inferno lo aspettava!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 6 febbraio 2011

Fantasmi... e altri racconti



Cari amici,


oggi vi presento il mio primo libro, appena pubblicato.


Il titolo é: Fantasmi... e altri racconti


e credo si capisca di cosa parli.


Vi potrete trovare i miei racconti preferiti, scritti in questi ultimi anni.



Se invece volete solo leggere i racconti ecco il link per scaricarvi gratuitamente il file pdf:

Fantasmi e altri racconti pdf

e se vi piace, siate generosi!

Se invece non potete fare a meno di aggiungere il volume alla vostra biblioteca, potete acquistarlo su:

Fantasmi e altri racconti - ACQUISTO



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 23 gennaio 2011

Sogni, ombre e fantasmi...

Come tutti i miei sogni non ha un inizio e non ha una fine.

Mi trovo in un mondo parallelo, nato dalla mia fantasia, o da casuali impulsi fisico chimici tra le sinapsi dei miei neuroni?
Che importa?
Ciò che importa é che il sogno esista, in tutte le sue forme... incubi compresi!
Si, forse era un incubo.
Mi trovavo in un ambiente scuro, circondato da esseri fantastici, ombre e fantasmi. 
Ero alla guida di un gruppo di esploratori, forse.

Non é facile ricordare cosa accade in un sogno...

Il piccolo gruppo era composto da me, un bambino piccolo, che chiamerò Francis per comodità, ma non ho idea del suo vero nome; poi c'era qualcun altro o, forse, qualcos'altro. 
Qualcosa di indistinto, un'ombra. Forse un fantasma che ci guidava e aiutava nell'esplorazione di questo nuovo mondo.

Cosa ci facessimo in questo mondo parallelo non lo so proprio, forse é una semplice risposta alla mia voglia di risvegliare la fantasia, intorpidita dal troppo lavoro e dalle esigenze della vita quotidiana, un momento di fuga dalla realtà in un mondo tutto mio; forse qualcosa di diverso, più profondo e non ancora pienamente compreso.
Fatto sta che il sogno c'è stato e, cosa ancora più importante, ricordo qualcosa, anche se solo sprazzi di lucidità, immagini evanescenti, che emergono dal tunnel di quel mondo parallelo.

Ecco, ci troviamo in una grotta buia. 
Di fronte a noi si aprono innumerevoli caverne oscure e altre, poche, più luminose. 
Tutte però riccamente popolate di esseri strani e fantastici. 
Talvolta si percepisce la loro malvagità in uno sguardo sfuggente... altre volte sembra che soffrano, come noi esseri umani.

Un enorme bruco semi trasparente ci sorpassa, grande come un camion (improbabile come un millepiedi con le scarpe!) e prosegue sulla sua strada gettandoci un'occhiata sorpresa, come se l'unica cosa strana fossimo proprio noi!

Intravvedo in lontananza una figura lucida, bianca, circondata da altri esseri piccoli e scuri... un fantasma, mi dico nel silenzio di quei luoghi. 
Si, infatti non si sentiva alcun rumore e anche le parole che scambiavamo all'interno del gruppo non erano parole ma assomigliavano più a pensieri... altri impulsi casuali?

Quella figura lontana era cattiva o almeno così mi apparve, aveva gli occhi rossi e, si sa, un essere bianco e con gli occhi rossi non può che essere malvagio!
Non era solo, sembrava a capo di quegli esseri scuri e gobbi, che ci guardavano di traverso.
Chissà cosa passava per le loro menti, forse pregustavano il momento in cui si sarebbero nutriti di noi? Non lo so.

L'ambiente di colpo cambiò radicalmente e noi ci trovammo in un'ampia grotta leggermente in salita. Cercavamo di farci strada in mezzo ad una fitta coltre di coperte... e si, proprio coperte, lenzuola, copri letti e cuscini! Che cosa ci facessero in una grotta non saprei dire, ma si sa, un sogno é un sogno!

Immediatamente, come per magia, venimmo trascinati via con forza. 
Ci sentimmo levitare nello spazio scuro, come trascinati da una forza immensa, tra pareti scure di impossibili palazzi opera di un improbabile onnipotente architetto.

Tutto era buio e silenzioso poi, come d'incanto, un motivetto canticchiato da chissà chi sembra rallentarci... inizio a fischiettare anch'io, consapevole che sarebbe stata la cosa giusta da fare.
così mi sveglio!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 8 gennaio 2010

Il fantasma della libreria... (VII)

Precedenti:

Il fantasma della libreria...

Il fantasma della libreria (II)
Il fantasma della libreria (III)

Il fantasma della libreria (IV)

Il fantasma della libreria (V)

Il fantasma della libreria (VI)

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Un simbolo che non é facile descrivere... se però vai nel mio studio, nel primo cassetto della scrivania, c'é un'agenda, portala qui...

"Vado subito nonno...
Ecco... é questa?"

Si, piccola mia, proprio questa...
Ecco, questo era il simbolo presente sul libro... l'ho disegnato il giorno dopo, a mente fresca!
Strano vero?!?
Anche per me... non avevo mai visto niente di simile prima!

Ed ancora oggi non ho idea di cosa possa significare...

Osservavo questo simbolo quando, per la seconda volta, un fruscio proveniente dall'angolo più lontano, proprio dallo scaffale dal quale avevo preso il libro, richiamò nuovamente la mia attenzione...

Questa volta ero sicuro, qualcosa di scuro si era mosso nei pressi dello scaffale... solo un'ombra indistinta che si muoveva nella penombra, ma c'era qualcosa...

"Nonno... era il fantasma... non hai avuto paura?"

Si piccola mia...
Ma nonostante tutto mi alzai e andai a vedere... volevo capire!
Raggiunsi lo scaffale e mi guardai intorno... niente, nessun rumore, nessun movimento...
poi, di colpo, alla mie spalle sentii un rumore distinto, qualcuno aveva chiuso il libro!

Mi voltai di scatto...

"Chi era nonno... chi era?!?"

Mi sembrò di vedere un'ombra che si dissolveva nell'aria... mi avvicinai alla scrivania e così mi accorsi che il libro non c'era più...

Restai paralizzato per non so quanto tempo... secondi... minuti?
Non capivo cosa stesse accadendo... poi il rumore di una chiave che gira nella serratura mi riportò alla realtà!

La porta si apriva e il mio amico Mario mi fissava con sospetto da sopra i suoi occhiali... fino a che non mi ebbe riconosciuto...
Gli spiegai cosa era accaduto, gli dissi che ero restato chiuso dentro per errore e cominciai a raccontargli del libro... e dei rumori e dell'ombra...
Lui mi guardò con stupore... mi disse di non preoccuparmi, mi avrebbe accompagnato lui a casa... in quanto al libro, disse di non avere alcun libro del genere e che, forse, la paura mi aveva giocato un brutto scherzo!

Forse aveva ragione lui...

Ora, a distanza di tanto tempo, mi ricordo ancora tutto come fosse ieri... ma credo proprio che lui avesse ragione, la paura mia aveva giocato un brutto scherzo...
Mi resta solo...

"Ciao a tutti, sono tornato... che buon profumino... cosa c'é per cena?"

"Papà... papà..."

"Ciao caro, non ti aspettavamo così presto... siediti vicino al camino, papà stà raccontando una storia di fantasmi... io ti preparo qualcosa da mangiare..."

"Bene... ma, cosa é questo disegno?
Assomiglia ad uno stemma che ho visto qualche giorno fa in un antico testo di magia... in biblioteca ne abbiamo trovato una copia proprio qualche giorno fà...
Chi l'ha fatto?"

Nella stanza si fece silenzio... nessuno osava dire ciò che pensava...

"Nonno... nonno, stai bene?
Sei diventato bianco come un fantasma..."


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO