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Duca Francesco Farnese, foto tratta da Wikipedia |
Dai
tempi più antichi le operazioni militari furono utilizzate in ambito
politico per giustificare varie pretese e questo da prima che
personaggi come Sun Tzu o Vegezio o von Clausewitz lo notassero!
Un
esempio noto a pochissimi cultori di storia è l'affaire della
“successione” dei Farnese, duchi di Parma e Piacenza, al Gran
Magistero dell'Ordine Costantiniano. Il fatto non era assolutamente
pacifico a causa dei numerosi interessi in gioco. La manovra
diplomatica per legittimarne l’acquisizione doveva essere, quindi,
di ampio respiro e il duca Francesco Farnese voleva assolutamente
completarla attraverso il conseguimento di benemerenze militari.
A tale scopo, il Duca avrebbe partecipato all’ennesima campagna
anti-turca della Serenissima non in veste di Sovrano di un piccolo
Stato, ma come Gran Maestro di un antico e glorioso Ordine Equestre,
erede della tradizione Imperiale d'Oriente, negli stessi territori
dell'antico Despotato d'Epiro, ora contesi alla Sublime Porta,
in cui l'Ordine si era stabilito ed aveva operato nei secoli
precedenti.
La
riconquista di queste terre avrebbe assicurato, tra l’altro, ovvie
benemerenze da parte di papa Clemente XI
che stava
elaborando la Bolla definitiva d’approvazione della cessione
dell’Ordine alla famiglia Farnese da parte dell' ultimo Gran
Maestro Angelo Comneno rimasto senza eredi legittimi.
La
guerra condotta in quel tempo da una Lega costituita dal Sacro Romano
Imperatore Carlo VI, dalla Serenissima Repubblica di Venezia, dal
Granduca di Toscana, dall’Ordine di Malta e dal Papa contro
l’avanzata del Sultano Amet in Dalmazia era il fatto più rilevante
in politica internazionale. Il Sultano voleva vendicare la
sconfitta del 1683 a Vienna, ad opera di Giovanni Sobieski e quella
del 1690 a Salankemen e Zeula, ad opera di Eugenio di Savoia, che
avevano costretto i Turchi a sottoscrivere, nel 1699, il gravosissimo
Trattato di Carlowitz.
Proprio
per l’elevatissima posta in gioco il reclutamento e le dotazioni
dei Militi Costantiniani furono oggetto della più meticolosa cura da
parte del Farnese che, nella sua veste di Gran Maestro dell’Ordine
Costantiniano di san Giorgio, si impegnava a reclutare un Reggimento
su due Battaglioni di otto Compagnie ciascuna, il cui soldo sarebbe
stato a carico, però, della Repubblica di Venezia. Era
stato convenuto che l’organico di ogni Compagnia sarebbe stato di:
1 capitano, 1 tenente, 1 alfiere, 2 sergenti, 4 caporali, 2
tamburi, 12 granatieri, 100 fucilieri.
Dopo
qualche contrasto all'arrivo in territorio veneto, il
1° Battaglione del Reggimento partì per Spalato,
roccaforte della Serenissima in Dalmazia, il giorno 17 giugno 1717.
In
luglio iniziarono le operazioni verso Sinj
per attaccare la roccaforte turca di Livno nella Bosnia occidentale.
Il
Reggimento, della forza effettiva di un Battaglione, venne posto alle
dirette dipendenze del Comandante veneziano, il Provveditore
Generale, conte Alvise Sebastiano Mocenigo. Per questo motivo e in
quanto considerato non veterano e inadatto al servizio di campagna
vero e proprio, venne tenuto nelle retrovie. Nonostante ciò ebbe
perdite pari al
54% degli effettivi a causa di malattie e infezioni!!!
L’anno
successivo, 1718, il Reggimento, ormai veterano, venne impiegato in
prima linea presso Dulcigno (Ulcinj nel Montenegro meridionale) ad
oltre 160 chilometri a sud-est delle sue primitive postazioni, ma a
breve distanza da Scutari e, quindi, dalla antica sede Gran
Magisteriale di Drivasto.
In effetti nell’agosto 1717 la flotta cristiana, dopo essere stata
impegnata in sanguinosi combattimenti nel Mare Egeo, aveva chiesto
immediato soccorso o sul mare o mediante azioni in terraferma che
costringessero i Turchi a ridurre la pressione navale. L'attacco di
Dulcigno rispondeva proprio a queste esigenze di alleggerimento
richieste. Invece, la flotta promessa dal Re Cattolico Filippo V
Borbone non giunse mai al soccorso perché deviata nelle acque sarde
e siciliane. Ciò
irritò moltissimo il Papa, Clemente XI, che rimproverò duramente il
Re di Spagna e chiese al Duca Francesco, zio della Regina di Spagna,
Elisabetta Farnese, di interporre, presso la Corte Cattolica i suoi
buoni uffici affidandogli, al contempo, un ruolo che sicuramente
conveniva all’ambizioso Duca e collimava con il suo desiderio di
fungere da ago della bilancia nel teatro balcanico anche grazie alla
presenza di truppe proprie.
Numerose
sono le testimonianze delle difficoltà incontrate durante la
Campagna da parte delle Truppe Costantiniane, sia per l’attività
del nemico, che combatteva già con le tecniche proprie della
“guerriglia”, sia, soprattutto, per l’ostilità dell’Alleato
veneto che negò il necessario supporto logistico in particolare il
“comodo di Medico e di Spedale” e “la poca cura che si è
avuta…la quale abbia dato causa alla morte e diserzione di soldati
ed a molte infermità che ancora regnano nelle truppe.” (Lettere del
28 e 31/10/ 1717 del Duca al suo Colonnello Comandante).
Proprio per
fare fronte all’enorme numero di perdite per morte e diserzione il
Colonnello dal Verme tornò a Venezia per reclutare soldati da
incorporare nel suo Reggimento. Ricompostosi, il Reggimento, forte di
1200 uomini, venne impegnato in operazioni nelle zone di Spalato,
Cattaro, Dulcigno (Ulcinj), e presso la fortezza di Sinj. Il 21
luglio 1718 l’Impero e la Sublime Porta stipularono la pace di
Passarowitz. La Repubblica Veneta non era in grado di gestire da sola
l’impari lotta contro il Sultano e chiese, a sua volta, nel 1719,
la pace. Il Reggimento venne immediatamente rimpatriato a giugno
dello stesso anno. Le ulteriori perdite erano state di 439 uomini.
Finì così la Campagna Dalmata della Milizia Costantiniana. Essa non
conseguì tutti gli scopi prefissati dal Farnese in ordine alle sue
mire di politica internazionale e dinastica a coronamento delle sue
ambizioni espansionistiche su di un trono regale, ma gli permisero di
assicurarsi la benevola attenzione della santa Sede e la pacifica
successione ai Comneno nel titolo Gran Magistrale dell’Ordine
Costantiniano.
La riconoscenza del papa
Clemente XI, che era stato Cardinale Protettore dell’Ordine, si
manifestò con la tanto sospirata ed attesa emissione della Bolla
Militantis Ecclesiae
di concessione del Gran Magistero al Farnese in forma piena ed
incondizionata e con il conferimento all’Ordine ed ai suoi
Cavalieri di un altissimo ed amplissimo numero di privilegi e
guarentigie guadagnati sul campo e non in virtù di un nebuloso ed
incerto passato.
Non
esistono fonti certe circa la Bandiera Colonnella
del Reggimento. Gli
Ufficiali vestivano Uniformi assai elaborate, ricche ed appariscenti:
un sontuoso giaccone turchino a risvolti rossi recante, sul
cuore,
la Grande Croce Costantiniana, con sottabito di colore rosso, calzoni
e calze bianchi, cintura di velluto celeste, spada con le insegne
dell’Ordine, mantello turchino e Croce di Giustizia al collo.
L’Uniforme della truppa era la più curata di quelle di tutti gli
altri Corpi Militari del Ducato: giustacuore blu a mostre rosse,
panciotto rosso bordato in oro con galloni, calzoni al ginocchio blu,
calze al polpaccio bianche, tricorno nero bordato in oro con effige
dell’Ordine, tracolla in cuoio naturale con porta-miccia in ottone
e bisaccia con stemma dell’Ordine, cinturone in cuoio con spada.
Enzo CANTARANO, Luisa CARINI
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