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mercoledì 31 ottobre 2007

7x10^9

Cingeremmo il mondo centocinquanta volte!
Se ci prendessimo per mano...
Invece lo massacriamo!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Solone, Platone e Fetonte, figlio del Sole

Ancora una volta, rileggendo il Timeo, vengo colpito da qualcosa...
Questa volta è il terzo capitolo, lo stesso in cui si parla del mito di Atlantide che mi colpisce per un aspetto che non avevo osservato con attenzione... e sempre Critia che racconta ciò che da ragazzo sentì da un più vecchio Critia durante la festa Cureotide che asseriva di averla sentita raccontare da Solone sulla sua visita in Egitto e in particolare presso la città di Sais.
Solone parlava con i sacerdoti del tempio di Neith (Atena) di Foroneo e Niobe, vissuti prima del Diluvio e di Deucalione e di Pirra e di come s'erano salvati dal Diluvio, quando un sacerdote, per alcuni di nome Sonchis, per altri Pateneit, lo interruppe dicendo:
"... voi Greci siete sempre fanciulli e un Greco vecchio non c'é [..] Perocchè non avete in essa per antica udita alcuna antica opinione né scienza che per il lungo tempo sia diventata canuta. E il perché di ciò è questo: molte volte e per molti modi avvennero stermini di uomini e ne avverranno, per mezzo del fuoco e dell'acqua i maggiori, e per infinite cause altri più lievi. Infatti ciò che si racconta presso di voi, che una volta Fetonte figlio del Sole, aggiogato il carro paterno, per non esser capace di guidarlo sulla strada del padre, bruciasse quanto era in terra e perisse fulminato, questo si racconta in forma di favola, ma la verità è la deviazione delle cose che circuendo la terra vanno per il cielo, a la distruzione per mezzo del fuoco, dopo lunghi periodi di tempo, di tutto ciò che è sulla terra. Allora infatti..."

Tutto il resto è interessantissimo ma voglio cercare di capire meglio queste poche righe...

In primis, il sacerdote afferma che i greci sono giovani nel senso che non conoscono la storia.
Motivo? Le numerose estinzioni che hanno colpito il genere umano (e in particolare il popolo greco).
Le estinzioni sono causate principalmente da acqua e fuoco, così nel passato come nel futuro.
Poi arriva la spiegazione della favola di Fetonte... che è visto come il figlio del Sole perchè portò distruzione per mezzo del fuoco... ma Fetonte non è altro che uno o più corpi celesti che deviati dal loro percorso finirono sulla terra e la distrussero con il fuoco.
E poi, per finire, sembra che ciò accada ripetutamente ad intervalli di tempo...

Bene, dopo queste poche righe vi invito a leggere il Timeo con attenzione e senso critico, cercando di andare oltre le parole, cercando di capire cosa potesse esserci dietro le parole...

Cercando di capire la Storia che potrebbe essere alla base di racconti, miti e leggende perchè conoscere meglio il passato potrebbe aiutarci a vivere meglio il presente preparandoci correttamente al futuro...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 30 ottobre 2007

Inutile...

Mi sento inutile,
quando mi accorgo di non poter far niente,
quando vorrei agire ma non posso,
imbrigliato dal conformismo
di questa nostra società morente!

Mi sento inutile,
quando seguo una lezione inconcludente,
tenuta da un Professore eminente,
lontano da me e dal tempo
tanto da non farsi capire...
E non poterglielo dire!

Mi sento inutile,
quando vedo l'agire quotidiano di chi ci guida
contrario all'etica ed al buon senso
ma ripagato da successo e denari...
E chi lavora onestamente... muore!

Mi sento forte
della mia inutilità apparente,
perché dietro l'apparire c'è l'Essere
e quello determina l'Agire...
E il Fare cancella il mio sentirmi inutile!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 28 ottobre 2007

Cos'è il software Open Source?

Bella domanda davvero!
Più difficile rispondervi in modo chiaro...
Per provare a rispondere riprendo in parte quanto ho già scritto in precedenti articoli e vi aggiungerò delle nuove considerazioni, principalmente di carattere organizzativo-strategico.
E' credenza comune che il software Open Source sia gratuito, ma non è sempre così!
Il termine “open source” è impiegato per identificare il software il cui codice sorgente può essere liberamente studiato, modificato, copiato e ridistribuito.
Il software Open Source “nasce” nel 1983 quando Richard Stallman, ricercatore del Massachusetts Institute of Technology, decide di realizzare un sistema Unix completamente gratuito ad uso e consumo di studenti e ricercatori. Quello stesso anno la AT&T decise di commercializzare il sistema Unix.
Stallman lanciò il progetto GNU(1) con l'intento di creare un sistema operativo completo dei più comuni applicativi. Per sostenere la sua iniziativa, che intanto prendeva piede tra i colleghi, Stallman creò la “Free Software Foundation”(FSF) (2), con cui intendeva sponsorizzare la libertà di distribuire il codice sorgente di tutti i programmi. La Free Software Foundation scrisse un contratto di licenza per il software open, chiamato GNU General Public License (GNU GPL), che stabilisce come deve essere reso disponibile il codice sorgente e prevede che i programmi che includono codice coperto dalla GNU General Public License devono essere resi disponibili sotto lo stesso tipo di licenza.
La GNU GPL (versione 2 del giugno 1991 (3) nel preambolo spiega che:
“Le licenze della maggior parte dei softwares sono scritte per sottrarvi la libertà di condividere e di modificare (il software – n.d.a.). Al contrario, la GNU General Public License è intesa per garantire la vostra libertà di condividere e modificare software libero garantendo che il software sia libero per tutti i suoi utilizzatori. Questa General Public License si applica alla maggior parte dei software della Free Software Foundation e ad ogni altro programma i cui autori si impegnano ad impiegarla. (Alcuni altri software della Free Software Foundation sono invece coperti dalla GNU Library General Public License.) Potete applicarla anche ai vostri programmi. Quando parliamo di software “free”, ci riferiamo alla libertà, non al prezzo. Le nostre General Public Licenses sono scritte per garantirvi la libertà di distribuire copie di software libero (e guadagnare per il servizio reso, se lo desiderate), di ricevere il codice sorgente se lo volete, di poter modificare il software o impiegare parti di esso in nuovi programmi liberi e di sapere che potete fare tutto ciò”(4).
La GNU GPL prosegue spiegando cosa è possibile fare e cosa no ma, per quello che ci interessa è sufficiente questa parte. Il software Open Source è libero, non si paga, a meno dei costi di riproduzione e distribuzione delle copie. Ciò rende il software open source incredibilmente vantaggioso se paragonato al software soggetto ad altro tipo di licenza.
Oggi esistono anche altri tipi di licenze che definiscono software più o meno liberi, ma soprattutto esistono tanti software open source che possono essere liberamente impiegati, studiati, migliorati e ridistribuiti. Si va dai Sistemi Operativi quali Linux (nelle diverse versioni e distribuzioni), sviluppato da Linus Torvald a partire dal 1991, ai software per uso d'ufficio quali Open Office e, ultimamente, si comincia a vedere anche qualche videogioco (per la felicità degli appassionati).
(Inserire la Figura 2: Ecco come si presenta il software Open Office Writer, chi conosce Microsoft Word si trova subito benenell'impiego di open Office, molte icone sono infatti simili.)
Ma allora perché molte grandi organizzazioni, non impiegano (se non sporadicamente) software open source?
La lettura attenta della licenza GNU GPL ci aiuta anche in questo.
E' sufficiente leggere il paragrafo “TERMS AND CONDITIONS FOR COPYING, DISTRIBUTION AND MODIFICATION” (5) per capire che uno dei problemi è la mancanza di garanzia, infatti,
“Siccome il programma è licenziato nella forma gratuita, non c'è garanzia, nei limiti permessi dalla legge. Salvo indicazione contraria nel copyright, i proprietari e/o altre parti forniscono il software “così com'è”, privo di garanzia di qualunque tipo, esplicita o implicita, incluse, ma non solo, le garanzie implicite nella commercializzazione relativamente l'assolvimento di uno scopo particolare. L'intero rischio in relazione alla qualità ed alla performance è vostro. Se anche il programma dovesse mostrare dei difetti voi vi dovrete fare carico dei costi dei servizi necessari, riparazioni o correzioni. In nessun caso, ad eccezione di quanto previsto in applicazione della legge o in accordo con quanto riportato in copyright proprietari o con altra parte che possa modificare e/o ridistribuire il programma come sopra indicato, saremo responsabili nei vostri confronti per i danni generali, speciali, incidentali o consequenziali, che dovessero presentarsi nell'uso o che dovessero causare problemi nell'impiego del programma (inclusa, ma non solo, la perdita di dati, la perdita di accuratezza dei dati a vostro danno o a danno di terze parti; oppure il malfunzionamento del programma nell'operare con altri programmi), soprattutto se tale possessore o ogni altra parte sia stata avvisata della eventualità che tali danni possano verificarsi.”(6)
Appare chiaro che sia la mancanza di garanzia a far paura alle organizzazioni!
Certo, non è semplice introdurre l'impiego di software open source ma non si tratta neanche di un'impresa impossibile... Ciò che è importante è "non procedere a casaccio". E' necessario studiare a tavolino la portata di una operazione del genere... che è sicuramente più complessa di un "semplice" aggiornamento di software.
E' necessario predisporre un team di esperti interni all'organizzazione che si occupino di studiare le interazioni e le possibili ripercussioni sull'organizzazione, cioè devono compiere una completa analisi dei rischi. E' inoltre necessario capire se e quali sono i vantaggi e gli svantaggi di una tale scelta, non solo in termini economici ma anche in termini strategici.
E' necessario pianificare la migrazione nei minimi dettagli e, infine (forse), è necessario predisporre tutto quanto occorre affinchè si possa tornare indietro in caso ci si renda conto di aver commesso qualche grave errore di valutazione!
Tutto ciò non è a costo zero e richiede competenze elevate e non certo disponibili dietro l'angolo, questo presuppone che l'organizzazione che decidere di seguire la strada dell'open source abbia la possibilità di preparare il personale e che tale scelta sia capita e appoggiata al più alto livello dirigenziale.
Tutto ciò non è facile e, seppure lo fosse, non è detto che vada bene sempre e per qualunque tipo di organizzazione!
Considerazioni di carattere strategico dovrebbero essere alla base di una simile scelta da parte di organizzazioni statali o di grandi organizzazioni internazionali.
Talvolta infatti può essere necessario rendersi "indipendenti" e quindi non soggetti ai "capricci" dei produttori di software. Ciò vale soprattutto quando non si abbiano grosse esigenze di seguire l'evoluzione spasmodica dei pacchetti applicativi...
Chi di noi può dire di aver conoscenza e assoluta necessità di tutte le funzioni presenti, per esempio, nel pacchetto Office della Microsoft? Credo nessuno!
Eppure talvolta si inseguono le nuove versioni e così facendo, spesso, è necessario cambiare anche hardware o, nella migliore delle ipotesi, procedere all'aggiornamento dello stesso...
Ma è realmente necessariò?
Quanto di ciò che ci viene venduto è realmente necessario per il nostro lavoro?
Quanto invece è inutile ma lo paghiamo lo stesso?
Ma queste sono altre domande...
e meritano trattazione a parte!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
_________________________
1 L'acronimo GNU significa “GNU is not UNIX” cioè “GNU non è Unix”.
2 Maggiori informazioni possono essere reperite su internet all'indirizzo: www.gnu.org.
3 GNU GENERAL PUBLIC LICENSE, Version 2, June 1991 - Copyright (C) 1989, 1991 Free Software Foundation, Inc. -
(www.fsf.org).
4 La traduzione in italiano non rende esattamente il senso per cui riporto integralmente in nota il testo in lingua originale: “ The licenses for most software are designed to take away your freedom to share and change it. By contrast, the GNU General Public License is intended to guarantee your freedom to share and change free software to make sure the software is free for all its users. This General Public License applies to most of the Free Software Foundation's software and to any other program whose authors commit to using it. (Some other Free Software Foundation software is covered by the GNU Library General Public License instead.) You can apply it to your programs, too.“When we speak of free software, we are referring to freedom, not price. Our General Public Licenses are designed to make sure that you have the freedom to distribute copies of free software (and charge for this service if you wish) , that you receive source code or can get it if you want it, that you can change the software or use pieces of it in new free programs; and that you know you can do these things.”
5 Termini e condizioni per la copia, la distribuzione e la modifica.
6 Anche in questo caso ritengo corretto inserire il testo in lingua originale: “because the program is licensed free of charge, there is no warranty for the program, to the extent permitted by applicable law. Except when otherwise stated in writing the copyright holders and/or others parties provide the program “as is” without warranty of any kind, either expressed or implied,including, but not limited to, the implied warranties of the implied warranties of merchantabilityand fitness for a particular purpose. The entire risk as to the quality and performance of the program is with you. Should the program prove defective, you assume the cost of all necessary servicing, repair or correction. In no event unless required by applicable law or agreed to in writing will any copyright holder, or any other party who may modify and/or redistribute the program as permitted above, be liable to you for damages, including any general, special, incidental or consequential damages arising out of the use or inability to use the program (including but not limited to loss of data or data being rendered inaccurate or losses sustained by you or third parties or a failure of the program to operate with any other programs), even if such holder or other party has been advised of the possibility of such damages.

sabato 27 ottobre 2007

La posizione dell’ONU riguardo il conflitto USA-IRAQ

La Carta delle Nazioni Unite è categorica, "allo scopo di assicurare un’azione pronta ed efficace da parte delle Nazioni Unite" conferisce al Consiglio di Sicurezza la "responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale"(1)

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, in un articolo apparso il 12 marzo 2003 ha espresso in questo modo i suoi legittimi dubbi in merito alla situazione internazionale, ribadendo, in primo luogo, la responsabilità principale del Consiglio di Sicurezza nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Tale responsabilità gli deriva dalla Carta delle Nazioni Unite che, all’art. 24 stabilisce:

“Al fine di assicurare un’azione pronta ed efficace da parte delle Nazioni Unite, i Membri conferiscono al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e riconoscono che il Consiglio di Sicurezza, nell’adempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilità, agisce in loro nome. Nell’adempimento di questi compiti il Consiglio di Sicurezza agisce in conformità ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite.” (2)

In secondo luogo ha posto l’accento sul problema della minaccia rappresentata dalla proliferazione delle armi di distruzione di massa, problema particolarmente sentito nella questione irachena in quanto l’Iraq ha utilizzato tali armi in due precedenti occasioni, nella guerra contro l’Iran e in quella contro il Kuwait.
Kofi Annan esprime preoccupazione per questa guerra in quanto potrebbe aumentare l’instabilità e la crisi economica nella regione, senza considerare poi le possibili imprevedibili ripercussioni che una guerra può avere.
Tre in particolare le domande che ci si deve porre, le cui risposte dovrebbero essere attentamente valutate, sulle possibili conseguenze della guerra:

“Renderà ancora più difficile la lotta al terrorismo o la ricerca della pace fra israeliani e palestinesi?
Segnerà divisioni profonde tra nazioni e popoli di fedi diverse?
Comprometterà la nostra capacità di lavorare insieme per affrontare in futuro altre preoccupazioni di comune interesse?”
(3)

Nell’articolo Kofi Annan ricorda che si deve ricorrere alla guerra solo dopo aver tentato ogni ragionevole alternativa. Mette in evidenza, inoltre, che se i Membri

"non riescono a trovare un accordo su una posizione comune, e qualcuno di loro intraprende un’azione priva dell’Autorizzazione del Consiglio, la legittimità di quell’azione sarà ampiamente messa in discussione e non otterrà l’appoggio politico necessario a garantire il successo anche dopo la fase militare.” (4)

Kofi Annan pone l’accento sul fatto che, al di là di come si risolverà il conflitto con l’Iraq,

“il successo o il fallimento della Comunità internazionale nel risolvere la crisi irachena inciderà in modo cruciale sulla sua capacità di affrontare sviluppi non meno inquietanti nella penisola coreana.”

Non è la prima volta che la posizione dell’ONU non è condivisa da alcuni Stati, membri o meno dell’Organizzazione. Già in passato (5) si sono verificati casi del genere, ma forse la crisi non è mai stata così grave.

Che si proteggano dal terrorismo o combattano contro la triade sinistra di povertà, ignoranza e malattie, le nazioni hanno bisogno di lavorare insieme, e lo possono fare attraverso le Nazioni Unite. Comunque venga risolto questo conflitto, l’ONU resta centrale. Dovremmo fare tutto il possibile per mantenere l’unità.” (6)

Più che un appello alle Nazioni affinché lavorino assieme per la risoluzione dei problemi contingenti, il discorso appare essere una dichiarazione di sconfitta di fronte al mondo.
E’ interessante notare come la posizione dell’ONU rappresenti, in linea di massima, quella della comunità internazionale nel suo complesso, posizione temperata dal diritto di veto dei cinque paesi fondatori. E’ importante notare ciò, in quanto il diritto di veto gioca un ruolo fondamentale nell’assunzione di decisioni da parte dell’ONU quando queste sono contrarie alla politica estera dei cinque paesi fondatori.
Il diritto di veto si pone, dunque, come uno strumento di politica estera utilizzabile dai paesi fondatori delle Nazioni Unite a salvaguardia dei propri interessi. Nel 1945 il diritto di veto era attribuito alle cinque potenze mondiali riconosciute ma, attualmente, sono cambiati i rapporti di potenza nel mondo e il diritto di veto non rispecchia la reale potenza degli Stati detentori. I rapporti di potenza all’Interno dell’ONU portano all’emanazione delle risoluzioni, la più importante, che prenderemo come punto di riferimento, è la 1441 del 8 novembre 2002.
Con la risoluzione 1441, il Consiglio di Sicurezza, com’è uso, richiama i precedenti aventi rilevanza con il caso in argomento ed in particolare:
la risoluzione n. 660 del 2 agosto 1990;
la risoluzione n. 661 del 6 agosto 1990;
la risoluzione n. 678 del 29 novembre 1990;
la risoluzione n. 686 del 2 marzo 1991;
la risoluzione n. 687 del 3 aprile 1991;
la risoluzione n. 688 del 5 aprile 1991;
la risoluzione n. 707 del 15 agosto 1991;
la risoluzione n. 715 del 11 ottobre 1991;
la risoluzione n. 986 del 14 aprile 1995;
la risoluzione n. 1284 del 17 dicembre 1999;
la risoluzione n. 1382 del 29 novembre 2001.
Riconosciuto il mancato rispetto, da parte dell’Iraq, delle precedenti risoluzioni e dei trattati sulla proliferazione delle armi di distruzione di massa e sui missili a lungo raggio, passa a ricordare alcuni passi importanti delle precedenti risoluzioni.
La risoluzione 678, in particolare, autorizzava gli Stati Membri ad utilizzare

“all necessary means to uphold and implement its resolution 660 [..] and all relevant resolution subsequent to resolution 660 (1990) and to restore international peace and security in the area (7)”,

mentre la risoluzione 687 imponeva una serie di obblighi all’Iraq per il ripristino della pace e della sicurezza nella regione.
Si deplora che l’Iraq non abbia provveduto a rendere noti, come richiesto dalla risoluzione 687, in modo completo accurato e sotto ogni aspetto, i propri programmi di sviluppo delle armi di distruzione di massa, dei missili balistici aventi gittata superiore ai centocinquanta chilometri e dei programmi nucleari.
Si deplora il fatto che l’Iraq abbia ripetutamente ostacolato l’accesso ai siti designati dalla UNSCOM (8) e dalla IAEA (9), non abbia collaborato pienamente con gli ispettori e infine, nel 1998, abbia cessato ogni forma di collaborazione con gli stessi.
Si deplora l’assenza, fin dal dicembre 1998, del monitoraggio internazionale, delle ispezioni e delle verifiche richieste nelle risoluzioni indicate in precedenza e ci si dispiace per il conseguente prolungamento della crisi nella regione e delle prolungate sofferenze del popolo iracheno.
Si deplora che il governo iracheno non abbia rispettato la risoluzione 687, in materia di terrorismo; che non abbia rispettato la risoluzione 688 che chiedeva di porre fine alla repressione nei confronti della popolazione civile e di permettere l’accesso, sul territorio, alle organizzazioni umanitarie internazionali; che non abbia rispettato gli obblighi, imposti dalle risoluzioni 686, 687 e 1284, relativamente alla restituzione di proprietà Kuwatiane o di paesi terzi illecitamente trattenute in Iraq.
Si ricorda che la risoluzione 687 (1991) poneva a base del “cessate il fuoco” il rispetto e l’accettazione di quanto contenuto al suo interno, con tutti gli obblighi derivanti.
Per assicurare il pieno ed immediato rispetto, da parte dell’Iraq, della risoluzione 687 e seguenti risoluzioni in materia, si ribadisce l’importanza della UNMOVIC (10) e della IAEA nello svolgimento delle ispezioni.
Si prende nota dei contenuti della lettera del 16 settembre 2002, del Ministro degli Esteri iracheno, tendente a modificare la situazione creatasi in direzione di quanto sancito dal Consiglio di Sicurezza.
Si prende nota del contenuto della lettera del 8 ottobre 2002 del Presidente della UNMOVICI e del Segretario Generale dell’IAEA all’Iraq con cui s’indicavano dei provvedimenti pratici da porre in atto come requisiti base per la ripresa delle ispezioni e si esprimeva preoccupazione per la mancata conferma da parte del Governo Iracheno al rispetto di quanto concordato.
Si afferma l’impegno di tutti gli Stati Membri al rispetto della sovranità e integrità territoriale dell’Iraq, Kuwait e degli Stati confinanti; si loda l’impegno del Segretario Generale, dei membri della Lega degli Stati Arabi e del loro Segretario Generale per la ricerca di una soluzione di pace. Determinato ad assicurare il pieno rispetto delle sue decisioni, agendo sotto il capo VII della Carta delle Nazioni Unite, decide:
a. che l’Iraq non ha assolto gli obblighi derivanti dalle principali risoluzioni, in particolare a quelli derivanti dalla risoluzione 687 (1991) in materia di disarmo e di cooperazione;
b. di dare una ultima possibilità all’Iraq, affinché assolva agli obblighi derivanti dalle risoluzioni 687 e seguenti;
c. che, al fine di assolvere agli obblighi suddetti, in aggiunta alla relazione biennale deve essere presentata una relazione accurata e completa riguardante tutti gli aspetti relativi ai programmi di sviluppo di armi chimiche, biologiche e nucleari, missili balistici, e qualunque cosa possa esservi correlata;
d. che qualunque omissione, dichiarazione falsa, mancanza di cooperazione, sarà considerata come un ulteriore violazione degli obblighi derivanti dall’applicazione delle risoluzioni;
e. che l’Iraq dovrà permettere agli ispettori UNMOVIC e IAEA l’accesso immediato, senza impedimenti, incondizionato e senza restrizioni ad ogni luogo, area, sottosuolo, edifici, documenti, mezzi di trasporto, registrazioni, equipaggiamenti, attrezzature. Dovrà altresì permettere l’interrogatorio del personale militare e non, senza la presenza di osservatori appartenenti al governo iracheno;
f. si conferma quanto riportato nella lettera del 8 ottobre 2002 dei presidenti delle commissioni ispettrici al Governo iracheno e si stabilisce che i contenuti della lettera dovranno essere vincolanti per l’Iraq;
g. si decide, inoltre, al fine di permettere il raggiungimento degli scopi prefissati, di apportare delle modifiche agli organi ispettivi e alle autorità incaricate;
h. si decide inoltre che l’Iraq non dovrà tenere comportamenti ostili verso le rappresentanze o il personale dell’ONU o dell’IAEA o verso qualunque altro Membro che intraprenda azioni in ottemperanza alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza;
i. si richiede al Segretario Generale delle Nazioni Unite di inoltrare, con immediatezza, la risoluzione al governo iracheno, risoluzione vincolante per l’Iraq, chiedendo conferma dell’intenzione di accondiscendere pienamente con quanto stabilito e chiedendo che l’Iraq cooperi con immediatezza, sensa restrizioni, incondizionatamente ed attivamente con UNMOVIC e con l'IAEA;
j. si chiede agli Stati Membri di dare pieno supporto a UNMOVIC ed a IAEA per lo svolgimento dei mandati avuti, anche fornendo qualunque informazione relativa a programmi proibiti o ad altri aspetti dei loro mandati, inclusi i tentativi dell’Iraq di acquisire articoli proibiti, siti da ispezionare, persone da interrogare, dati da raccogliere, eccetera. Tutti i dati e le informazioni raccolte dovranno essere relazionate al Consiglio da UNMOVIC e dall’IAEA;
k. invita il Presidente esecutivo di UNMOVIC e il Direttore Generale di IAEA a riferire con immediatezza al Consiglio su qualunque interferenza dell’Iraq verso le attività degli ispettori, come pure su qualunque mancanza dell’Iraq verso gli obblighi di disarmo nella loro interezza;
l. si decide di riunirsi immediatamente alla ricezione di rapporti, previsti ai punti 4 e 11, che richiedano l’analisi della situazione, per garantire il pieno rispetto delle risoluzioni sull’argomento e per assicurare il ripristino della pace e della sicurezza internazionale;

m. si ribadisce, infine, che il Consiglio ha ripetutamente avvisato l’Iraq delle serie conseguenze che possono comportare le ripetute violazioni dei suoi obblighi e di decide di mantenersi informati sull’evoluzione della situazione.
E’ importante notare la complessità di questa risoluzione articolata in quattordici punti, che si ricollega a quanto detto in altre precedenti risoluzioni ed in alcune lettere con le quali si stabilivano delle procedure operative preliminari alla ripresa delle ispezioni.
D’altro canto, i punti essenziali sono ben individuabili nel testo e su questi, e sulla loro differente interpretazione, si è basato il dibattito politico concernente la necessità di una seconda risoluzione che autorizzasse l’intervento armato contro l’Iraq.
In particolare è interessante notare come al punto "k" si dice:

“Decides to convene immediately upon receipt of a report in accordance with paragraphs 4 or 11 above, in order to consider the situation and the need for full compliance with all of the relevant Council resolutions in order to secure international peace and security”.

Su questa base i paesi schierati per il non intervento armato sostengono che la risoluzione 1441 non autorizza l’uso della forza ma stabilisce il quadro generale della situazione e consente il ritorno degli ispettori e lo svolgimento delle attività ispettive.
Viceversa, secondo gli interventisti questa risoluzione autorizza l’intervento in quanto:
nel preambolo si afferma che si agisce sotto il capo VII;
al punto "b" si offre un’ultima opportunità all’Iraq per rientrare nella legalità, opportunità non accettata dall’Iraq, alla luce del comportamento non pienamente aderente a quanto stabilito.
Per capire chi abbia ragione ci si può basare sulla somiglianza della risoluzione 1441 con la risoluzione 678 del 29 novembre 1990 con la quale le Nazioni Unite autorizzavano gli Stati Membri a cooperare con il Kuwait e ad usare tutti i mezzi necessari per far rispettare all’Iraq la risoluzione 660 e seguenti e per riportare la pace e la sicurezza nell’area. Con questa frase si autorizzava la guerra del Golfo.
Con la risoluzione 678 del 29 novembre 1990, si dava un’ultima opportunità all’Iraq, anche allora si agiva sotto il Capo VII ma la differenza è da ricercarsi proprio nella frase (mancante nella risoluzione 1441) “to use all necessary means to”.
Il volere dell’ONU appare essere quello indicato ai punti "l" ed "m" che, come già visto, danno disposizioni puntuali e precise in merito al comportamento da tenere e cioè:
riferire con immediatezza, al Consiglio di Sicurezza, su qualunque interferenza dell’Iraq verso le attività degli ispettori, come pure su qualunque mancanza dell’Iraq verso gli obblighi di disarmo nella loro interezza;
riunirsi immediatamente alla ricezione dei rapporti, previsti ai punti "d" e "j", che richiedano l’analisi della situazione, per garantire il pieno rispetto delle risoluzioni sull’argomento e per assicurare il ripristino della pace e della sicurezza internazionale.
In questo senso non vi possono essere dubbi sul fatto che il Consiglio di Sicurezza non avesse ancora deciso di autorizzare l’uso della forza contro l’Iraq ma, piuttosto, si riservasse il diritto di decidere, a seguito delle risultanze delle ispezioni autorizzate, quali azioni intraprendere per assicurare il ripristino della pace e della sicurezza internazionale.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
______________________________________________
1 Il dilemma degli Stati e il Diritto dei Popoli, Corriere della Sera, 12 marzo 2003, traduzione a cura di Monica Levy
2 Carta delle Nazioni Unite, Art. 24.
3 Il dilemma degli Stati e il Diritto dei Popoli, Corriere della Sera, 12 marzo 2003, traduzione a cura di Monica Levy
4 Ibidem
5 E’ il caso dell’intervento in Bosnia, in quell’occasione l’intervento fu legittimato solo in seguito all’intervento armato ad opera della NATO.
6 Il dilemma degli Stati e il Diritto dei Popoli, Corriere della Sera, 12 marzo 2003, traduzione a cura di Monica Levy.
7 Resolution 1441 (2002) adopted by the Security Council at 4644th meeting, on 8 november 2002. Trad. “tutto ciò che occorre per mettere in atto la risoluzione 660 e tutte le principali risoluzioni seguenti e per ripristinare la pace e la sicurezza internazionale nell’area”.
8 United Nations Special Commission, stabilita dalla risoluzione n. 687 (1991).
9 International Atomic Energy Agency.
10 United Nations Monitoring, verification and Inspection Commission, stabilita dalla risoluzione n. 1284 (1999) in sostituzione della UNSCOM.

lunedì 22 ottobre 2007

ENIGMA (1989)

L’enigma è come facciano
A nuotare le stelle:
ma poi le domande
finiscono per rispondere
e le stelle mi accontento
di guardarle
senza capire.

Giuseppe MARCHI
(Differenze. Cultura Duemila Editrice 1992)

domenica 21 ottobre 2007

L'importanza strategica della lingua...

In questi ultimi anni ho sempre cercato di migliorare la conoscenza delle lingue straniere, in particolare della lingua inglese, un po per necessità un po per sete di conoscenza.
Eppure mentre leggevo un articolo in inglese o un libro di informatica o ancora una presentazione della NATO, pensavo all'importanza strategica per una nazione di una lingua forte e avente rilevanza a livello internazionale.
Nei secoli diverse lingue si sono alternate nel ruolo di lingua franca, il greco prima, il latino poi ed ora l'inglese. Il futuro potrebbe essere dello spagnolo o del cinese oppure... perchè no, dell'italiano!
Ma perchè è così importante avere una lingua forte e internazionale? I motivi sono tanti, economici, politici e strategici.
Cerchiamo di analizzare la situazione italiana e quindi della lingua italiana, in particolare nei confronti della lingua internazionale per eccellenza, l'inglese.
Chi ha frequentato l'università negli ultimi dieci anni in una facoltà scientifica si è potuto rendere conto della sudditanza culturale cui l'Italia è assoggettata. I libri di testo sono quasi sempre in lingua inglese come, peraltro, gli articoli delle riviste tecniche o i siti internet.
L'Unione Europea, in teoria, riconosce l'uguaglianza delle lingue ufficiali dei paesi membri ma è solo apparenza. La realtà è diversa. Nel tempo si è andato affermando il principio di “lingua di lavoro” - l'inglese - e poi si è passati a “lingue di lavoro” - inglese, francese e tedesco – le altre lingue non vengono utilizzate se non raramente.
In questa condizione si trovano, per essere chiari anche altre nazioni europee, la Spagna, il portogallo, la grecia, la Francia e la Germania per citarne solo alcune, anche se non per tutti il problema è della stessa gravità...
Vi va di parlarne?
Anche su Facebook...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Dieci parole...

Acqua...
Avevamo tutti una sete del diavolo, dopo la corsa a cavallo sotto il sole, sulle sabbie dorate di Alghero...
Se ci avesse visto qualcuno ci avrebbe potuto scambiare per "bandidos", quelli messicani che rubavano cavalli nei fumetti di Tex Willer e poi finivano impiccati ad un ramo di un albero!
E invece eravamo ragazzi di buona famiglia, allevati a base di caffellatte e crostata di mele della nonna...
La casa era proprio sulla spiaggia, vicino al fiume... un tempo era un fiume, ora era diventato un rigagnolo e l'acqua aveva cambiato colore...
Un tempo nonna mi mandava a prendere l'acqua in quel fiume, la usava per impastare la farina per il pane... Ricordo come fosse ieri quei giorni felici, quei sapori, quegli odori...
Ricordo quel profumo di pane caldo e poi l'aroma delle formaggelle...
Gioventù passata... gioventù tutt'altro che bruciata!
Ora, è cambiato tutto... mare... montagna... il mondo è solo l'immagine sbiadita del "mio mondo", quello dei ricordi...
Il mondo di allora, purtroppo, è scomparso... sconvolto in ogni sua parte cerca di sopravvivere all'Uomo... distruggendolo!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 20 ottobre 2007

Da bambino

Da bambino ero affascinato da curiosi lampadari che ornavano i portici della piazza del mio quartiere. Roma è una città strana. Anzi esistono più città. La mia si chiamava e si chiama tuttora col nome di un santo piemontese. Don Bosco. I salesiani gestiscono l’oratorio, la scuola e la chiesa. Una chiesa costruita negli anni ‘50. L’architetto pensava a San Pietro ma vedeva l’EUR. Due braccia di portici come quelli del Brunelleschi ma non più ellittici, quadri. Come se il futuro rappresenti la quadratura della sfera. Per se stessa e per gli antichi perfetta. Per noi moderni troppo rotonda. Colonne a parallelepipedo. Finestre piccole e quadrate. Troppi occhi ciechi sull’abbandonato giardino di ghiaia. Una fontana neanche al centro, piena di carte e rifiuti. Sul bianco del granito una scritta nera. “ La nato non è un fiore”.
Non so dire se oggi quei lampioni ci siano ancora. Dalla finestra del primo piano che ospitava il coiffeur per signore dove si acconciava i capelli mia madre, guardavo l'asta lignea che reggeva una sorta di esaedro da cui scaturiva la luce. Avevo otto anni. Troppo piccolo per restare solo a casa, troppo grande per starmene lì buono a giocare, mentre le signore parlavano, parlavano. Dino era il parrucchiere. Mi piaceva, avrà avuto qualche anno meno di mia madre, giocava col nome, io per tutti ero Pino.
Adesso ha attraversato l’oceano e accompagna turisti a Santo Domingo.
Dal centro del mondo alla periferia dei nostri sogni.
Era così vicino che sembrava potessi toccarlo, solo fossi stato più grande. Qualche centimetro più alto. Era inutile protendere le braccia poiché risultavano sempre troppo corte per afferrare il lampadario.
E poi perché prenderlo? Forse per usarlo come uno strano trapezio da circo, per dondolarmi nell'aria del sottoportico.
Lo escludo, perché ho sempre sofferto delle altitudini ! Ancora adesso, i ponti guardando giù in basso, mi fanno star male. Ma un male atipico, che fa girare le budella, che da nausea, ma è controllabile, basta allontanarsi un poco dalla balaustra. E dà l'ebbrezza della sofferenza, della caducità.
Il sapore sconosciuto del suicidio. Parola magica e tabù. Chi ha saputo superare la barriera estrema dell'amor proprio. “Salvata da un pino" recitava il giornale della Sera. Mai viste conifere in periferia di Roma. Forse per il distratto giornalista di cronaca nera era meglio che la folle donna morisse e invece si ruppe solo le ossa principali, meschina! Trattenuta nel volo a cadere da un povero oleandro mezzo piegato. Eppure non erano bastati sei piani per mandare in frantumi quel corpo. Ma chi cura quell'anima fratturata ? Senza via di scampo...o scelta lucida. Non ho avuto possibilità di chiedergli la cosa più importante, la domanda che il frettoloso giornalista botanico non si è posta: dove stavi andando, volando o cadendo signora cinquantenne di un condominio popolare del mio quartiere-città?
Noi, che stiamo dall'altra parte a guardare attoniti, non sappiamo nemmeno immaginare il vuoto dentro e fuori. In ogni posto del mondo, c'è la morte. Lo so da quando ero bambino e gioivo silenzioso e incauto dietro qualche funerale di parenti. Poi l'uomo è maturato e quel cinismo innocente è diventato angoscia, tutte le volte ed ogni volta ancora. Quando la morte è passata, non so se soddisfatta del suo lavoro, ingrato. Chi prima e chi dopo. E noi ad insultare l'intelligenza e la vita stessa, col pianto. Ovunque ho visto la morte. Quegli occhi neri come buchi vuoti sfiorarmi o prendermi decisamente la mano senza vedermi.
Una stretta rapida e calda. E poi mi è rimasto il tiepido ricordo dell'inesistente. E noi ciechi a non vedere la vita, perché è questa la vertigine invisibile, l'unica giustificazione alla morte. La vita stessa che è necessaria, tanto veloce da non sentirne i passi, come un viaggio da solo, senza o con ritorno.
Adesso sto seduto su un treno e si fa notte. Non sono più bambino. Seguo ancora un attimo i fili paralleli dell'elettricità e il leggero nistagmo rappresenta un paesaggio sfocato, che non può appartenermi, visto nella velocità.
Il silenzio si impadronisce dei miei sensi, in mezzo a tanta gente. Qualcuno dorme e aspetta di arrivare , quell’altro per fretta parla di niente allo sconosciuto al suo fianco.
Solo un brusio di fondo del respiro, un mondo intero dalle dimensioni impossibili. Questo tacere è il preludio al suono magico della preveggenza. Così si allontana la vertigine di certi ricordi imbarazzanti, di certi cedimenti alla sconfitta. Non alla morte sorella, perché pur essendo ottimista, ammetto di essermi alla fine arreso alla vita.
Da bambino non ce l'ho fatta ad arrampicarmi a quel lampadario e volare. Sono rimasto coi piedi nelle scarpe, davanti al davanzale. La finestra socchiusa e lontano il via-vai delle strade della metropoli. La capitale del mondo. Così lontana eppure raggiungibile un tiepido giorno di maggio , prendendo un treno come questo. Siccome c'era troppo da sognare, da scrivere e da vivere.
 
Giuseppe Marchi

GILGAMESH, la storia del ritrovamento.

Come ho già accennato, Gilgamesh è il protagonista di un poema epico della Mesopotamia, il personaggio è probabilmente esistito realmente come re sumerico.
Il mito di Gilgamesh emerge dal passato solo nel XIX° secolo ed è strettamente legata alle vicende di un inglese (Austen Henry Layard) che durante un viaggio si fermò in Mesopotamia e iniziò gli scavi che condussero al ritrovamento di due antichissime città: Ninive e Nimrod. In quella occasione fu ritrovata una immensa biblioteca di tavolette in scrittura cuneiforme... era la biblioteca di Ninive.
Grazie alla scoperta di una iscrizione conosciuta come "Le Gesta di Dario", ad opera di Henry Rawlins, un Ufficiale dell'Esercito britannico, che riportava lo stesso testo in lingua persiana, elamitica e babilonese, fu possibile tradurre buona parte delle tavolette provenienti da Ninive e non solo. Tra le varie cose ritrovate e tradotte da George Smith, una tavoletta riportava delle notizie del "Diluvio", fino ad allora presente solo nella Bibbia. Fu proprio questo ad eccitare gli animi e ad infondere nuova forza nei ricercatori e nei traduttori...
Qualche anno dopo i tedeschi compirono degli scavi nella zona e riportarono alla luce le rovine dell'antica città di Uruk unitamente ad un buon numero di tavolette...
L'Università della Pennsylvania alla fine dell'ottocento si occupò degli scavi di Nippur riuscendo a raccogliere circa 40.000 tavolette finite negli archivi di vari musei.
Le tavolette contenenti parti del testo della saga di Gilgamesh sono distribuite ormai sul mondo intero e probabilmente non tutte sono state ancora identificate e magari si trovano negli archivi di qualche museo... in ogni caso molto è stato fatto e il racconto è abbastanza chiaro.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

La preistoria dell'Egitto

Sino al VII, VI millennio a.C. un clima umido e caldo con una lussureggiante vegetazione subtropicale, caratterizzava l’Egitto. Le zone ricoperte da boschi e le colline (ora desertificate) erano terreno di caccia. Ci vollero millenni prima che il Nilo originariamente a clima torrentizio, scavasse il suo letto portando benefici al suolo egizio. Le vallate a lungo furono completamente inospitali, costellate di lagune e malsane paludi.
Poche sono le testimonianze dell’età paleolitica.
Reperti più abbondanti relativi alla fase mesolitica, si trovano a Helwan, Kom Ombo e nell’oasi di Laqeita, periodo che corrisponde anche ad un cambiamento di clima divenuto più asciutto. L’altopiano del Sahara, ormai inabitabile tranne che per poche oasi, spinse le popolazioni verso la valle del Nilo, che lentamente aveva assunto l’aspetto attuale. Ritrovamenti nelle zone di Merimda, Beni Salama e nella zona del Faiyum, mostrano che l’economia durante l’età neolitica, era basata sull’allevamento e sull’agricoltura e le tombe avevano un’abbondante corredo funebre, amuleti e oggetti ornamentali.
Allo stesso periodo risalgono ceramiche lavorate, lance, asce levigate e frecce.
Solitamente si usa dividere l’eneolitico egiziano in tre grandi fasi.
- La civiltà di Badari che, basata sull’economia agricola e pastorale era caratterizzata dalla presenza di utensili di pietra, d’osso, di conchiglia, di rame e da ceramiche. Le necropoli in cui sono state ritrovate statuine femminili, vasi e tavolozze sorgevano lontano dai villaggi.
- Il periodo di Naqada I in cui sono evidenziate non soltanto influenze nubiane, ma anche asiatiche. Alcune raffigurazioni di cane testimonierebbero il culto di Seth, appaiono i primi sarcofagi e come nell’epoca faraonica, nell’Alto Egitto i morti sono sepolti con la testa a oriente.
- Il periodo di Naqada II dove è sempre più frequente l’uso del rame cui si aggiunge l’argento. Dagli elementi iconografici di origine mesopotamica su oggetti egizi si potrebbe supporre invasioni nella valle del Nilo di popolazioni asiatiche.

Sabrina BOLOGNI

venerdì 19 ottobre 2007

Parkinson's second law...

Mi piacerebbe spendere alcune parole sul libro che sto leggendo...

"Parkinson's second law, like the first, is a matter of everyday experience, manifest as soon as it is stated, as obvious as it is simple.
When the individual has a rise in salary, he and his wife are prone to decide how the additional income is to be spent [..]
The extra salary is silently absorbed, leaving the family barely in credit and often, in fact, with a deficit which has actually increased."

Beh, Mr. Parkinson ha detto una grande verità!
Non pensate?

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

La storia del conflitto USA - IRAQ

Un argomento di sicuro interesse di questi tempi è il conflitto Stati Uniti - Iraq... per capire meglio cosa stà accadendo è necessario capire cosa è accaduto
L’analisi degli avvenimenti storici può aiutarci a capire le relazioni in atto tra gli attori presenti sul campo. Lo studio può e deve essere compiuto a diversi livelli di definizione, a diverse scale di risoluzione: al primo livello si pone l’analisi della storia del paese Iraq con i suoi problemi interni di carattere storico-culturale, religioso, economico, politico, con le sue immense ricchezze spesso causa di guerre interne ed esterne; un secondo livello di definizione ci porta ad analizzare la storia delle relazioni intercorrenti tra il paese Iraq e i Paesi della regione (penisola araba, Iran, Turchia, Egitto, Siria e Israele) e con le organizzazioni politiche ed economiche regionali (l’OPEC e la Lega Araba), cui quegli stessi stati hanno dato vita.
Infine, si può arrivare all’analisi storica dell’Iraq come attore in uno scenario globale dove gli interessi delle grandi potenze (legati principalmente allo sfruttamento delle risorse mondiali di petrolio) unitamente a quelli della grande industria delle armi, hanno avuto nel tempo enorme influenza sulla storia del Paese.
Le guerre combattute contro l’Iran tra il 1980 al 1988, la guerra del 1991 contro americani e alleati dovuta all’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, i problemi interni dovuti alla presenza di minoranze di varie etnie, l’integralismo islamico e la difficile situazione regionale caratterizzata da instabilità e guerre, la lotta al terrorismo internazionale e ai paesi canaglia, le risorse naturali così abbondanti nella zona, hanno portato l’Iraq ad occupare una posizione scomoda nello scenario mondiale come conseguenza, principalmente, della sua aggressiva politica estera.
“Nonostante le infinite potenzialità che il paese possiede, l’oppressiva politica interna e l’aggressiva politica internazionale attuate hanno, in questi ultimi venti anni, determinato l’adozione da parte dell’ONU di conseguenti sanzioni. Queste hanno comportato per lo sviluppo del paese un freno stringente che attualmente nessun paese OPEC vorrebbe vedere allentato” (1).
Ma com’è stato possibile che uno stato potenzialmente ricco, quantomeno di risorse naturali, e non certo privo di tradizioni proprie, di storia e di cultura sia giunto a questo punto?
E’ necessario tornare indietro nel tempo per capire cosa oggi accade e quali siano le radici del conflitto. Sarebbe interessante percorrere la storia degli ultimi secoli ma ci limiteremo a vedere, per grandi linee, i principali avvenimenti degli ultimi ottanta anni aumentando il livello di definizione a mano a mano che ci si approssima ai giorni nostri o qualora fosse ritenuto necessario.
Cercheremo, altresì, di porre in relazione gli avvenimenti storici del paese iracheno con quegli avvenimenti, a livello regionale e mondiale, ritenuti importanti per lo studio che si sta conducendo, convinti che questa sia la strada da percorrere per giungere a capire quali implicazioni avrà questo conflitto nel contesto regionale e mondiale.
Nel 1916, con gli accordi di Sykes-Picot, si realizzò la spartizione dell’impero ottomano in aree d’influenza forzando l’aggregazione di diverse etnie in Stati non nazionali, fu così che il Regno Unito assunse la responsabilità di Iran, Iraq, Giordania e Palestina, mentre la Francia esercitò la sua egemonia sulla Siria (2). Nel 1921 l’Iraq diventa regno indipendente sotto mandato del Regno Unito.
E’ nel 1945 che l’Iraq ottiene l’indipendenza effettiva dal Regno Unito e aderisce alla Lega Araba (3).
Nello stesso periodo, il mondo vede nascere una nuova organizzazione internazionale che vuole essere il seguito della Società delle Nazioni, fondata con l’intento di eliminare i problemi della Società delle Nazioni. Nell’aprile del 1945 ha luogo la conferenza di San Francisco (4) che darà vita, con la firma della Carta, all’Organizzazione delle Nazioni Unite a partire dal 24 ottobre 1945. L’Iraq non entrerà mai a far parte delle Nazioni Unite.
In quegli anni si ha un forte sviluppo della comunità internazionale e di organizzazioni, anche militari, regionali o internazionali. Con la firma del Trattato di Washington, nell’aprile del 1949, è istituita l’Organizzazione per il Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). La NATO nasce come un’alleanza avente lo scopo di creare un sistema di sicurezza comune tra i dodici paesi fondatori (Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Danimarca, Islanda, Italia, Norvegia, Portogallo, Stati Uniti e Canada). In seguito altri paesi entreranno a farne parte, sia a pieno titolo sia come membri di partnership o accordi bilaterali.
In analogia a quanto realizzato nell’area dell’Europa Occidentale e Atlantica con la NATO, i più potenti Stati del mondo cercarono di creare alleanze volte a garantire la sicurezza anche in altre aree del mondo, tipicamente alleanze avente carattere difensivo, di tipo regionale in quanto più omogenee rispetto alle grandi organizzazioni a vocazione universale.
Il 6 settembre del 1954 ha inizio la conferenza di Manila che porterà all’istituzione del “Organizzazione del Trattato del Sud-Est Asiatico” (SEATO), i paesi membri sono l’Australia, Stati Uniti, Francia, Nuova Zelanda, Pakistan, Filippine, Regno Unito e Thailandia.
Il 24 febbraio 1955 viene firmato il Patto di Bagdad cui aderisce anche l’Iraq e che avrebbe dovuto aggregare gli stati del Medio Oriente.
Il 14 maggio 1955 URSS, Albania, Germania dell’Est, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Cecoslovacchia firmano il Patto di Varsavia, con il quale s’impegnavano ad intervenire in difesa di uno stato dell’alleanza che avesse subito un attacco da parte di uno stato esterno all’alleanza. E’ il periodo in cui la guerra fredda fa sentire maggiormente i suoi effetti, soprattutto è il periodo dei sospetti, delle paure e della creazione di enormi quantità di armamenti nucleari.
L’Iraq, in questi anni, cerca di uscire dall’isolamento internazionale nel quale si trovava e nel marzo del 1958, con la Giordania, si costituisce una federazione che viene meno nel mese di ottobre a causa di un colpo di stato militare, guidato dal Colonnello Abd Al-Karim Qasim, contro la monarchia irachena.
Il 19 agosto 1959 il Patto di Bagdad si trasforma e diventa “l’Organizzazione per il Trattato del Centro” (CENTO), con sede ad Ankara (Turchia). Sono membri a tutti gli effetti l’Iraq, l’Iran, il Pakistan, il Regno Unito e la Turchia; gli Stati Uniti ne fanno parte come membro associato.
La necessità internazionale di regolare la produzione di greggio e il prezzo dei prodotti petroliferi fa si che il 14 settembre 1960 si costituisca a Bagdad “l’Organization of Petroleum Exporting Countries” (OPEC), i cui paesi fondatori sono Iraq, Iran, Venezuela, Arabia Saudita e Kuwait.
Nel 1963 un nuovo colpo di stato in Iraq, guidato da Abd as-Salam Arif, rovescia il governo del Colonnello Abd Al-Karim Qasim. L’Iraq purtroppo non riesce a trovare un suo equilibrio interno e l’economia ne risente fortemente.
Durante la guerra fredda, il mondo ha assistito ad una forsennata corsa agli armamenti nucleari. Negli anni sessanta si comincia a capire l’inutilità e la pericolosità di tutto ciò, senza peraltro bloccare la crescita degli armamenti. Stati Uniti e URSS hanno accumulato enormi quantità di armi nucleari che il loro utilizzo è ormai ritenuto impossibile per paura di escalation. Nello stesso periodo, in tutte le sedi di potere mondiale si comincia a discutere di disarmo, si mette in discussione soprattutto l’armamento nucleare e le armi chimiche e biologiche, ma anche i razzi, potenzialmente in grado di trasportare armi di distruzione di massa a grandi distanze.
Il 5 marzo 1970 entra in vigore il Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari, inizialmente valido per un periodo di venticinque anni (5), con il quale si afferma che i cinque Stati che alla data del 1 gennaio 1967 hanno condotto esperimenti nucleari possono possedere armi nucleari mentre gli Stati non nucleari che hanno ratificato il trattato si impegnano a non acquistare o fabbricare armi nucleari.
Il trattato obbliga altresì le potenze, chiamate “nucleari”, ad impegnarsi seriamente per la riduzione dei loro arsenali.
Nel 1973 l’Iraq, per avere un maggior controllo sulle sue risorse di idrocarburi, decide di nazionalizzare le compagnie petrolifere.
Il petrolio è per l’Iraq fonte di guadagni ma anche di preoccupazioni interne, principalmente a causa delle spinte secessioniste provenienti da alcune regioni che, forti delle risorse petrolifere dei loro territori, cercano in ogni modo di ottenere l’indipendenza (è questo il caso del Kurdistan); ma anche internazionali, attirando a se gli interessi delle multinazionali del petrolio e dei governi stranieri.
L’anno dopo, nel 1974, la regione del Kurdistan riceve l’autonomia fortemente desiderata, l’intenzione era di conquistare, con l’autonomia, il controllo delle risorse petrolifere della regione ma ciò non avviene; il controllo delle risorse petrolifere rimane accentrato all’Iraq, che ritiene, correttamente a mio parere, che possedere il controllo delle risorse petrolifere e di gas sia essenziale per il governo del paese.
E’ il 1975, l’Iraq e l’Iran raggiungono un accordo sul controllo dell’estuario del fiume Shatt’al Arab (accordo di Algeri) che costituisce confine a sud con l’Iran, tale accordo dovrebbe mettere fine ai problemi verificatisi in precedenza e permettere un maggior sviluppo economico della regione.
Nel 1979 viene eletto presidente Saddam Hussein, da questo momento i rapporti tra Iran e paesi confinanti andranno sempre più deteriorandosi. Il 26 settembre 1979 l’Organizzazione per il Trattato del Centro (CENTO) si scioglie e l’Iraq diventa sempre più aggressivo, nei confronti dei suoi vicini, in particolare con l’Iran.
Nel 1980 l’Iraq dichiara decaduto l’accordo di Algeri sul controllo dell’estuario dello Shatt’al Arab con l’Iran e gli scontri che si verificano lungo la frontiera tra i due paesi, sempre più sanguinosi, sfociano in una guerra (22 settembre) che terminerà solo nel 1988 e sarà causa di circa un milione di morti.
Durante la guerra, a più riprese e da entrambe le parti vi è l’uso di armi di distruzione di massa, principalmente gas venefici; le rivendicazioni irachene sul confine oggetto dell’accordo di Algeri, stabilito nel 1975 con l’allora scià di Persia, furono una delle cause della Guerra con l’Iran (6).
Il conflitto rischia di degenerare e l’instabilità nella regione aumenta, così il 20 luglio 1987 l’ONU adotta la Risoluzione 598 con la quale, ai sensi degli articoli 39 e 40 della Carta (7), chiede che come primo passo verso la pace, Iran e Iraq osservino il cessate il fuoco; il Segretario Generale è invitato, dal Consiglio di Sicurezza, ad inviare un team di Osservatori ONU che si occupi di verificare, confermare e supervisionare il cessate il fuoco tra i due paesi e di sottoporre al Consiglio un rapporto sulla questione. Nel marzo 1988 la città di Halabga, importante centro curdo, subisce un attacco iracheno durante il quale vengono utilizzate armi chimiche; il confine settentrionale con la Turchia è sempre stato al centro di conflitti d’interessi, la Turchia considera indebito il possesso delle regioni attorno a Mosul e Kirkuk da parte dell’Iraq (accordi Sykes-Picot del 1916) (8).
Durante il 2812° meeting del Consiglio di Sicurezza, il 9 maggio 1988, si discute il rapporto degli osservatori ONU
“The situation between Iran and Iraq: report of the mission dispatched by the Secretary-General to investigate allegations of use of chemical weapons in the conflict between the Islamic Republic of Iran and Iraq”.
Alla luce del rapporto, il Consiglio di Sicurezza emette la risoluzione n. 612 in cui si afferma che nel conflitto in atto le armi chimiche continuano ad essere utilizzate in quantità sempre maggiore, si chiede di osservare il Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925 sulla proibizione dell’uso in guerra di gas asfissianti, velenosi o altri e delle armi batteriologiche.
L’8 agosto 1988 nel corso del 2823° meeting del Consiglio di Sicurezza si discute sulla situazione tra Iran e Iraq, i rappresentanti di Iran ed Iraq prendono parte ai lavori. Il giorno successivo, con la risoluzione 619 il Consiglio approva il rapporto del Segretario Generale sulla situazione tra Iran e Iraq e decide per l’invio di un gruppo di Osservatori militari dell’ONU per un periodo di sei mesi. La data del cessate il fuoco è fissata per il 20 agosto 1988. I due paesi escono dalla guerra con enormi problemi economici.
Il 26 agosto 1988, con la risoluzione n. 620, il Consiglio di Sicurezza condanna l’uso delle armi chimiche durante il conflitto Iran-Iraq in violazione del protocollo di Ginevra e della risoluzione 612 e invita il Segretario Generale ad investigare sui fatti verificatisi, richiama gli Stati al controllo sull’esportazione di materie utilizzabili per la produzione di armi chimiche.
Il 2 agosto 1990, probabilmente a causa della disastrosa situazione economica, l’Iraq invade il kuwait utilizzando come pretesto presunti diritti sullo sfruttamento dei pozzi di confine (9).
Solo quattro giorni dopo, il 6 agosto 1990 il Consiglio di Sicurezza adotta una serie di sanzioni commerciali, finanziarie e militari contro l’Iraq e chiede il ritiro delle truppe dal Kuwait. Il 8 agosto 1990 il Consiglio di Sicurezza dichiara nullo e non avvenuto l’annuncio dell’annessione di fatto del Kuwait.
Il 4 settembre 1990 i paesi membri dell’Unione Europea Occidentale si accordano, al fine di rinforzare l’embargo, sulle modalità di coordinamento delle operazioni navali nel Golfo. Le consultazioni proseguono presso il Consiglio della NATO in relazione all’evoluzione della situazione politica, militare ed economica del Golfo in vista delle azioni eventuali da intraprendere in favore dell’applicazione delle risoluzioni dell’ONU.
Ad ottobre i ministri degli esteri dei paesi membri della CSCE adottano una risoluzione con la quale condannano l’aggressione dell’Iraq nei confronti del Kuwait.
Nel mese di dicembre i ministri della Difesa dei paesi membri della NATO durante la riunione del Comitato di pianificazione della Difesa e del Gruppo di pianificazione nucleare, appoggiano la risoluzione 678 delle Nazioni Unite che chiede il ritiro delle truppe entro il mese di gennaio 1991.
Il 9 gennaio 1991 i ministri degli esteri, americano e iracheno, si incontrano a Ginevra per discutere la situazione. A seguito del rifiuto di ritirare le truppe dal kuwait, il 16 gennaio 1991, americani e alleati iniziano le operazioni militari (attacchi aerei) contro l’Irak per liberare il Kuwait dall’occupazione.
L’Unione Sovietica compie un ultimo tentativo per evitare la guerra, ma il piano di pace non soddisfa le richieste alleate e così il 24 febbraio 1991 ha inizio l’offensiva terrestre diretta alla liberazione dei territori occupati.
Quattro giorni dopo l’inizio delle operazioni, il 28 febbraio 1991, sono sospese le ostilità a seguito della liberazione del Kuwait.
L’Iraq accetta le condizioni dettate dalle risoluzioni ONU per il ritiro dal Kuwait.
Nell’aprile del 1991 inizia la missione UNSCOM, commissione speciale per il disarmo delle Nazioni Unite, con il compito di far rispettare la risoluzione 687 dell’ONU che imponeva, tra l’altro, lo smantellamento delle infrastrutture dell’industria militare irachena.
I problemi interni continuano e nel 1992 i bombardamenti contro la minoranza sciita ad opera del Raiss determinarono la decisione, da parte di USA e Regno Unito, di istituire una No-fly-zone nel nord del paese e una nel sud a partire dall’allineamento delle città al-Rutba e al-Kut. Sulle due no-fly-zone è vietato il volo a qualsiasi vettore e l’agganciamento di velivoli con sistemi radar.
Il 1993 è un anno di fermento internazionale, a Parigi viene proposta la Convenzione sulle armi chimiche, verrà firmata da 127 paesi. Nello stesso anno, la Corea del Nord espelle gli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ed annuncia il suo ritiro dal Trattato di non proliferazione.
Negli anni seguenti, gli ispettori ONU della missione UNSCOM proseguono il loro lavoro ma nel gennaio del 1998 la situazione internazionale precipita in seguito alla decisione del governo iracheno di impedire l’ispezione dei siti presidenziali.
Nel mese di ottobre dello stesso anno s’interrompe ogni forma di collaborazione tra Iraq e ispettori. Due mesi dopo americani e inglesi lanciano l’operazione “volpe del deserto”, dislocano le loro forze nel Golfo e bombardano l’Iraq.
Il 17 dicembre 1999 il Consiglio di Sicurezza vota la risoluzione 1284, grazie anche all’astensione di Francia, Cina e Russia. In cambio della sospensione dell’embargo si propone all’Iraq l’accettazione di una nuova missione d’ispezione dell’ONU.
L’Iraq non accetta.
E’ l’11 settembre 2001, l’attentato aereo contro il World Trade Center e contro il Pentagono fanno si che inizi una nuova era, quella della lotta senza quartiere contro il terrorismo internazionale.
A seguito dell’attentato, il 28 settembre 2001, il Consiglio di Sicurezza adotta la risoluzione n. 1373 con la quale gli stati delle Nazioni Unite sono invitati ad aderire ai trattati concernenti il terrorismo internazionale e, in particolare, alla Convenzione Internazionale per la Repressione del dei Finanziamenti al Terrorismo del 9 dicembre 1999. Gli Stati Uniti individuano nell’Afganistan, ed in particolare nell’organizzazione terroristica di al-Qaida, il principale responsabile dell’attacco terroristico del 11 settembre. L’autunno del 2001 vede gli Stati Uniti impegnati nella campagna in Afganistan, contro Bin Laden, capo carismatico di al-Qaida. L’Afganistan è colpevole di aver dato rifugio ai terroristi colpevoli dell’attentato del 11 settembre e di essere il capofila di una serie di Stati canaglia che appoggiano in vari modi il terrorismo internazionale.
E’ il mese di gennaio 2002 quando il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, dichiara che utilizzerà qualunque mezzo in suo potere per abbattere il regime di Saddam Hussein. Bush afferma che Iraq, Iran e Corea del Nord formano un “asse del male” perché sviluppano armi di distruzione di massa.
A seguito degli attacchi del 11 settembre aumentano le adesioni alla Convenzione Internazionale per la Repressione dei Finanziamenti al Terrorismo; adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre1999, la Convenzione entra in vigore il 10 aprile 2002.
Il 12 settembre 2002, durante il suo discorso (10) all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente degli Stati Uniti d’America ricorda gli avvenimenti del 11 settembre 2001 e afferma la necessità di proteggere le vite di tanti altri innocenti.
Nel suo discorso sono contenute le accuse all’Iraq, con riferimento alla risoluzioni ONU violate e alle “prove” dell’appoggio dato dal regime ai terroristi responsabili dell’attacco dell’11 settembre 2001. George W. Bush, pone in evidenza il pericolo rappresentato dai gruppi terroristici che portano avanti la loro guerra contro la civilizzazione, anche appoggiati da regimi fuorilegge, sostiene inoltre che contro tale aggressività deve operare l’ONU. Bush ricorda come nelle risoluzioni n. 687 (1991) si chiedesse all’Iraq di non supportare le organizzazioni terroristiche e del fatto che il regime non si sia attenuto alla risoluzione 687 e abbia violato anche la risoluzione n. 1373 supportando le organizzazioni terroristiche internazionali. Bush offre aiuto all’ONU affinché le decisioni prese abbiano un valore effettivo e vengano rispettate dall’Iraq.
Infine, il presidente americano invita l’ONU ad agire immediatamente e afferma che, se ciò non dovesse avvenire, gli Stati Uniti interverranno comunque, anche da soli.
Nel Settembre del 2002 l’Iraq, sotto la minaccia di un intervento armato, accetta il ritorno sul proprio territorio degli ispettori dell’ONU.
L’8 novembre 2002 il Consiglio di Sicurezza adotta la risoluzione n. 1441 che permetterà il ritorno degli ispettori in Iraq. La risoluzione prevede che entro il termine di due mesi dall’ingresso degli ispettori dovrà essere presentato un rapporto al Consiglio di Sicurezza sulla situazione delle armi di distruzione di massa in Iraq.
Nel dicembre 2002 l’Iraq fornisce una relazione sulle armi di distruzione di massa in cui afferma di non essere in possesso di alcun’arma proibita, rapporto considerato non veritiero da parte degli Stati Uniti.
Il 6 gennaio 2003 Saddam Hussein accusa gli ispettori ONU di compiere un lavoro di spionaggio e non d’ispezione.
Intanto le forze americane vengono dislocate lungo i confini iracheni e le voci di un prossimo attacco diventano sempre più insistenti, come le smentite e gli appelli alla ragione.
Il ministro degli esteri britannico, preoccupato per le conseguenze che la delegittimazione condotta dagli Stati Uniti nei confronti dell’ONU potrebbe avere sull’opinione pubblica, afferma che sarebbe meglio avere una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU che autorizzasse esplicitamente l’intervento armato.
Il New York Times rivela i piani della Casa Bianca per l’amministrazione dell’Iraq dopo la guerra affermando che si prevede un’occupazione militare di almeno diciotto mesi durante la quale si dovrà, innanzi tutto, prendere il controllo dei pozzi petroliferi per poter pagare la ricostruzione, si dovrà dare la caccia ai vertici del regime irakeno, si dovranno ricercare le armi di distruzione di massa e si dovrà tenere il paese unito (11).
E’ tempo di guerra psicologica e d’informazione. Il 07 gennaio 2003, americani ed inglesi proseguono il dispiegamento delle forze militari nel Golfo. Si verificano incidenti nel sud dell’Iraq, nella no fly zone, dove gli americani affermano di aver attaccato degli obiettivi militari mentre Saddam afferma che sono stati attaccati degli insediamenti civili.
In Francia il Presidente Jaques Chirac afferma che:
“Seule l’ONU peut dècider d’utiliser la force en Irak. [..] Nous pensons e nous disons que le droit, le dialogue des cultures, le respect de l’autre, les valeurs d’humanisme, la solidarité [..] la recherche de solutions politiques, le multilatéralisme valent mieux que la force comme instrument de stabilisation et de réduction des tensions et des risques.” (12).
La situazione internazionale appare essere sempre più tesa. Il 10 gennaio 2003 la Corea del Nord, in precedenza accusata di far parte degli Stati canaglia, annuncia il suo ritiro immediato dal Trattato di non-proliferazione nucleare (TNP).
Francia e Germania si schierano contro l’intervento in Iraq. Durante le celebrazioni del quarantesimo anniversario del trattato franco-tedesco, il 22 gennaio 2003, il presidente francese Jaques Chirac e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder ribadiscono che non approveranno la legittimazione della guerra all’Iraq.
Il Segretario americano alla Difesa, Donald Rumsfeld, accusa Francia e Germania di rappresentare nient’altro che la “Vecchia Europa” mentre la nuova Europa si trova più ad Est ed è favorevole alla politica estera americana.
Il segretario di Stato, Colin Powell, consiglia di attendere i risultati degli ispettori ONU e inoltre afferma che il ricorso alla forza è già autorizzato dalla risoluzione 1441 del Consiglio di Sicurezza del novembre 2002.
Powell afferma che gli Stati Uniti non si tirano indietro dal fare la guerra se questo è l’unico modo di liberarsi dal pericolo che rappresentano le armi di distruzione di massa dell’Iraq, inoltre afferma il diritto “sovrano” dell’America di lanciare un’offensiva militare, soli o in coalizione con altri Stati desiderosi di combattere il terrorismo internazionale.
Il portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer afferma che il Presidente americano, George W. Bush, ha ribadito l’importanza di lavorare a stretto contatto con gli alleati anche al fine di trasmettere all’Iraq dei segnali forti, univoci, ha inoltre ribadito che per gli Stati Uniti l’ONU è un mezzo utile per giungere alla soluzione dei problemi con l’Iraq ma non è il solo mezzo esistente.
Il 27 gennaio 2003 viene presentato al Consiglio di Sicurezza il rapporto degli ispettori ONU sulla situazione esistente in Iraq. Il Presidente della Commissione d’ispezione ha sottolineato che, nell’insieme, il governo di Bagdad ha collaborato bene con gli ispettori permettendo la visita di tutti i siti richiesti, ma vi sono ancora troppi punti oscuri in relazione ai programmi iracheni sulle armi proibite anche in relazione al poco tempo avuto a disposizione dagli ispettori.
Per Blix il governo iracheno non ha fornito alcuna novità nella relazione di dodicimila pagine sui programmi relativi alle armi di distruzione di massa e alla distruzione delle armi biologiche e inoltre vi sono informazioni contraddittorie sulle dichiarazioni relative all’uso e alla distruzione del gas neurotossico VX.
Il Direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Mohamed ElBaradei, ha affermato che durante le ispezioni non è stata identificata alcuna attività nucleare proibita, ponendo in evidenza la necessità di alcuni mesi di lavoro per poter affermare con ragionevole certezza il fatto che l’Iraq non ha in essere un programma per la produzione di armi nucleari.
A Davos (Svizzera), durante il Forum economico mondiale, il Segretario di Stato Colin Powell ha assicurato che il regime di Saddam Hussein ha dei chiari legami con l’organizzazione terroristica di al-Qaida mandataria degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001.
L’Iraq risponde alle accuse tramite il vice premier Tarek Aziz, questi ha ribattuto alle accuse affermando che gli americani mentono e che in caso di guerra l’Iraq non utilizzerà armi chimiche o batteriologiche semplicemente perché non ne possiede.
Il 28 gennaio 2003 durante un suo discorso, Bush accusa nuovamente l’Iraq di nascondere agli ispettori le armi di distruzione di massa e dà il preavviso all’esercito americano, chiedendo ai suoi uomini di prepararsi ad agire.
Il segretario di Stato Colin Powell, il 4 febbraio 2003 di fronte al Consiglio di Sicurezza, presenta dei documenti miranti a provare che l’Iraq rappresenta un pericolo per il mondo intero. L’intenzione è quella di ottenere l’avallo dell’ONU per l’operazione contro l’Iraq, ma non riesce a convincere ad autorizzare l’uso della forza contro l’Iraq. Francia, Russia, Cina e Germania sostengono infatti che le ispezioni cominciano a dare i frutti sperati e che nulla giustificherebbe un intervento armato contro l’Iraq, dal momento che anche secondo gli ispettori la situazione appare migliorare di giorno in giorno.
Il 6 febbraio 2003 il presidente degli Stati Uniti dichiara “The game is over”, facendo capire l’intenzione degli Stati Uniti di voler risolvere il problema “Saddam Hussein” con la forza, anche senza il beneplacito dell’ONU. Gli Stati Uniti chiedono alla Turchia di fornire appoggio alle truppe alleate, per lo svolgimento delle operazioni contro l’Iraq.
Il parlamento turco autorizza la rimessa in efficienza d’infrastrutture portuali ed aeroportuali sul suo territorio, ad opera del genio americano, in vista del transito di truppe ma non autorizza il dislocamento di forze americane sul suo territorio. La richiesta americana d’autorizzazione al dislocamento di una base militare in territorio turco lungo il confine iracheno non viene neanche presentata in parlamento in quanto il momento non è considerato ideale.
Nello stesso periodo i governi degli Stati medio orientali ricevono richieste di sostegno o avvisi di non intervento. Il 9 febbraio 2003 il presidente egiziano Hosni Moubarak, il siriano Bachar Al-Assad e il Capo del governo libico Mouammar Kadhafi s’incontrano a Charm el-Cheickh per discutere il problema dell’Iraq e quale sia la linea di politica estera da percorrere. Per il presidente egiziano Moubarak, le Nazioni Unite dovrebbero concedere più tempo agli ispettori per lo svolgimento del loro compito ma afferma che, in ogni caso, gli arabi non potranno far niente per prevenire la guerra.
Lo stesso giorno l’Iraq denuncia il bombardamento di obiettivi civili ad opera di aerei da guerra americani e britannici nel Sud dell’Iraq, annunciando al mondo che la guerra è già iniziata seppur non ancora dichiarata.
Il 10 febbraio 2003, in seno alla NATO, Francia e Belgio pongono il veto alle richieste americane di sostegno a favore della Turchia in caso di guerra contro l’Iraq, la Germania è d’accordo con Francia e Belgio che sostengono che:
“..accepter les demandes américaines ferait entrer prématurément l’Otan dans une <>” (13).
Il 10 marzo 2003, il presidente francese Jaques Chirac minaccia di utilizzare il diritto di veto per impedire il progetto di risoluzione che legittimerebbe l’intervento armato americano in Iraq.
Il ministro degli esteri Russo, Igor Ivanov, annuncia al mondo che anche la sua nazione è pronta a far uso del diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza, opponendosi agli Stati Uniti e affiancandosi così alla Francia.
Americani e inglesi capiscono di non avere più carte diplomatiche da giocare e così il 17 marzo 2003 viene offerta l’ultima possibilità all’Iraq, sotto forma di quello che assomiglia ad un ultimatum, per evitare la guerra entro 48 ore Saddam Hussein dovrà essere mandato in esilio oppure l’Iraq dovrà prepararsi alla guerra.
Australia, Giappone e Taiwan si schierano dalla parte degli Stati Uniti mentre la Cina insiste affinché si trovi una soluzione pacifica che permetta di evitare il conflitto e di ristabilire la pace nella regione.
Gli Stati Uniti, insistendo nel loro intento interventista e sulla base dell’ultimatum posto, raccomandano agli ispettori dell’ONU di lasciare immediatamente l’Iraq per evitare i pericoli derivanti dal prossimo inizio del conflitto. In aperto contrasto con le Nazioni Unite, Stati Uniti e Regno Unito danno inizio al conflitto contro l’Iraq senza aver raggiunto però un importante obiettivo, quello di avere l’autorizzazione dell’ONU.
Quanto detto finora, ci deve far pensare a quali fossero le condizioni dell’Iraq al momento dell’attacco da parte la coalizione. L’Iraq è uno stato moralmente ed economicamente distrutto, non certo in grado di sostenere una guerra contro la maggiore potenza mondiale ed il suo alleato, il Regno Unito, o per lo meno non è in grado di condurre una guerra convenzionale, o simmetrica, a parità di forze e di armamenti.
Forse le forze armate dell’Iraq sono in grado di condurre una guerra asimmetrica, quale una guerriglia su tutto il territorio iracheno, contando sul vantaggio della conoscenza del territorio e forti dell’opposizione della popolazione, contraria alla presenza di truppe occidentali.
Probabilmente è questa la scelta messa in atto dal leader del governo iracheno, anche alla luce del comportamento posto in essere dall’esercito iracheno che raramente, durante il conflitto, ha affrontato direttamente le forze americane e sembra essersi disperso sul territorio per porre in atto azioni di guerriglia che causano gravi perdite tra le fila degli americani e degli inglesi, ma che soprattutto colpiscono l’opinione pubblica internazionale ponendo il mondo di fronte all’incubo dei morti, dei kamikaze e degli attentati terroristici internazionali.
Nella storia del diritto internazionale questo è, probabilmente, il momento più nero quanto meno per l’Organizzazione delle Nazioni Unite, non s’era mai giunti, infatti, ad una rottura così grave sul piano diplomatico all’interno dell’Organizzazione.
La delegittimazione dell’ONU, portata avanti da americani ed inglesi rischia di creare seri problemi a medio e lungo termine, non tanto per l’intervento in se, quanto perché, ben sapendo che non avrebbero potuto far passare la risoluzione che avrebbe dovuto autorizzare l’intervento in Iraq, Stati Uniti e Regno Unito avevano deciso di snobbare le Nazioni Unite intervenendo direttamente con la forza senza presentare alcuna risoluzione che avrebbe portato ad un sicuro fallimento politico, evitando così un voto che avrebbe irrimediabilmente intaccato la legittimità della guerra (14). Legittimità posta peraltro in discussione da buona parte del consesso internazionale, che posto di fronte al fatto compiuto, in taluni casi ha sollevato nei confronti degli Stati Uniti e del Regno Unito, l’accusa di aver commesso il crimine internazionale di aggressione armata.
1) Franco Culeddu “La questione irachena nel contesto mediorientale e nella guerra al terrorismo”. Torino, 2002.
2) Questa spartizione territoriale avvenne senza tenere in alcun conto le esigenze delle popolazioni autoctone, gli stati europei piuttosto si preoccuparono della spartizione del Kurdistan e delle sue ingenti risorse energetiche, tra quatto stati: Turchia, Siria, Iran e Iraq.
3) La Lega Araba è un’alleanza di carattere economico, politico e militare, costituita il 22 marzo 1945 con lo scopo di coordinare le attività oggetto dell’alleanza tra i paesi arabi.
4) Già durante la seconda guerra mondiale Roosvelt ipotizzava un mondo controllato dai grandi vincitori della guerra:
“Franklin Delano Roosvelt [..] concentrò ogni suo sforzo, quindi, sull’obiettivo che considerava fondamentale: una grande organizzazione internazionale in cui i vincitori avrebbero assunto la leadership della società mondiale, una rigida cornice per impedire che gli Stati Uniti cedessero ancora una volta alla tentazione isolazionista. A teheran, nell’ottobre del 1943, disse a Stalin e a Churchill che i quattro grandi – Stati uniti, URSS, Regno Unito, Cina – sarebbero stati, dopo la fine della guerra, i 'poliziotti' del mondo. “ - Sergio Romano, Cinquant’anni di storia mondiale, pag. 20.
5) La Conferenza degli Stati parte del trattato di non proliferazione, nel 1995 ha esteso a tempo indefinito la validità del Trattato.
6) Su tale confine si incentrarono i rispettivi interessi espansionistici dei due contendenti. Gli interessi iraniani, che facevano leva sull’appoggio alla minoranza sciita presente del Sud dell’Iraq, erano quelli di espandersi verso Bassora ed avere accesso alle risorse petrolifere del Sud dell’Iraq, negando a quest’ultimo l’accesso al Golfo Persico. A sua volta L’Iraq intendeva espandersi verso la regione dell’Iran sud-occidentale.
7) Capo VII, Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed atti di aggressione.
8) La regione, ricchissima di petrolio, è negli interessi di Ankara, che aspira alla costituzione di uno stato Curdo nella zona, su cui estendere la propria egemonia. Nella zona sono attivi i partiti curdi PDK (Partito democratico curdo) e UDK (Unione Patriottica Curda) che reclamano il riconoscimento di uno stato Curdo. Dopo le sanguinose stragi scatenate da parte del governo centrale iracheno nel 1988 contro la popolazione curda mediante l’uso di armi chimiche, e motivate dalla cacciata da parte delle milizie curde dell’Esercito iracheno da Halabja, , il PDK e l’UDK grazie all’intervento armato di USA e Regno Unito, hanno ottenuto ognuno la concessione di una considerevole autonomia in determinate aree del Kurdistan iracheno. Per scongiurare nuovi attacchi alla popolazione curda, nel 1992 venne stabilita da USA e Regno Unito una No-fly-zone nel nord del paese e una nel sud a partire dall’allineamento delle città al-Rutba e al-Kut. Sulle due no-fly-zone è vietato il volo a qualsiasi vettore iracheno ed è vietato agli iracheni anche qualunque agganciamento di velivoli con sistemi radar.
9) Confidando nell’appoggio dei paesi arabi l’Iraq, per risollevare la propria economia, in ginocchio dopo otto anni di guerra con l’Iran, invade il Kuwait, con l’intento di impadronirsi delle enormi risorse e infrastrutture petrolifere del paese. A seguito del mancato appoggio dei paesi arabi e dell’operazione Desert Storm, alla quale alcuni di quegli stessi paesi parteciparono, furono ristabiliti i confini precedenti.
10) G. W. Bush, President’s Remarks at the United Nations General Assembly, “Office of the Press Secretary”, 12 settembre 2002.
11) Corriere della Sera.it., Saddam: gli ispettori fanno lavoro di spionaggio, 7 gennaio 2003.
12) Le figarò.fr, 08 gennaio 2003, “Chirac réaffirme la primauté de la diplomatie”. Il presidente francese, durante il discorso di auguri al corpo diplomatico ha dichiarato che solo le Nazioni Unite sono legittimate a prendere decisioni sul problema dell’Iraq e ha ribadito la necessità di rigettare risolutamente la tentazione di un’azione unilaterale in quanto tale azione intaccherebbe la legittimità dell’agire della comunità internazionale.
13) Le figaro.fr, Philippe Gélie, “Otan: Francais, Belges et Allemands opposent leur veto”,10 febbraio 2003.
14) Sergio Romano, “ONU. Il veto della discordia”, in Rivista Aeronautica n.2/2003, pag. 22 e seguenti
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 17 ottobre 2007

Pesce grande e pesce piccolo...

Le favole, i racconti e le tradizioni popolari hanno sempre qualcosa da insegnarci...
A noi coglierne il significato...
Un giorno, durante una festa paesana, due compari, che potremo chiamare Antoi e Marieddu, che non si vedevano da tanti anni, s'incontrarono per caso.
Antoi, che si trovava nel suo paese, rispettoso delle regole di ospitalità, invitò Marieddu a pranzo. Così, dopo aver passeggiato per il paese ed essersi aggiornati reciprocamente sulle novità si diressero verso la casa di Antoi.
Antoi non era sposato e così non aveva granché da mangiare a casa, essendo abituato ad un pasto frugale. Nella dispensa vi erano solo due pesci, uno grande ed uno piccolo...
Antoi e Marieddu fecero il fuoco assieme e i due pesci furono arrostiti... e più cuocevano più l'odore invitante si spargeva per la casa...
Una volta cotti i pesci, i due compari si sedettero a tavola.
Il Padrone di casa, Antoi, offrì un pesce all'ospite, sperando che prendesse il più piccolo...
Marieddu, non volendo sembrare maleducato, invitò Antoi a servirsi per primo, visto che era il padrone di casa...
Antoi, nonostante fosse affamato, rispose: «No coppai, tu sei l'ospite e a te spetta la scelta... ».
Marieddu allora ci pensò su un attimo e prese il pesce più grande.
Allora Antoi, con grande stupore disse: «Coppai, da lei non me lo sarei mai aspettato... pensavo che avrebbe preso il pesce più piccolo... ».
E Marieddu, per niente turbato, gli rispose: «Coppai Antoi, se avesse scelto prima lei, quale pesce avrebbe preso? »
«Ma senza dubbio il pesce più piccolo... », rispose prontamente coppai Antoi.
« E allora ho fatto bene... il pesce grande sarebbe spettato a me in ogni caso... »
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

OGNI VOLTA (1989)

Caparbia la china
Di passi e struggenti
Come foglie raccolte
Momenti.
Uno cerca la via
E la smarrisce ogni volta
Giuseppe Marchi

martedì 16 ottobre 2007

Le compagnie private di sicurezza... attualità e storia

Si sa che le guerre sono fatte per i militari... ma ultimamente società private vengono impiegate nella protezione degli interessi di privati cittadini...
Ultimamente?
Beh...
Leggete "Le origini del Capitalismo" di Lujo Brentano, a pag. 17:
"Infine il capitalismo si estende anche alla guerra. Presso tutti i popoli questa é la più antica attività lucrativa esercitata da uomini liberi; il pacifico scambio con lo straniero attraverso il commercio è soltanto un suo fratello minore; ma questo ha ben presto imparato a servirsi del maggiore per i suoi scopi: assolda il guerriero e si avvale degli eserciti mercenari delle città commerciali del Mediterraneo orientale e di Cartagine. E' noto che pure in Roma l'esercito nazionale fu sostituito dall'organizzazione capitalistica della guerra. A partire dalla seconda guerra punica troviamo eserciti romani di mercenari."

In nota continua raccontandoci quelli che definisce aspetti deleteri del Capitalismo: "Quando la seconda guerra punica si svolgeva asssai sfavorevolmente per Roma, si costituirono società di fornitori, che s'impegnavano a procurare il materiale bellico necessario agli Scipioni combattenti nella Spagna, e ad aspettare il pagamento fino alla conclusione della pace [..] Lo Stato garantiva [..] l'assicurazione contro i rischi della navigazione [..] Ma presto questo patriottismo dei capitalisti si rivelò una semplice maschera per coprire un'abbietta avidità di guadagno. Essi avevano assicurato, presso lo Stato, per un alto prezzo vecchie navi cariche di merci senza alcun valore, le avevano fatte affondare e avevano poi avanzato grandi pretese per essere indennizzati del loro valore nominale."

Con il beneficio del dubbio (non ero lì, infatti!)...

Edificante, non è vero?
La Storia insegna...
Ad ognuno il proprio mestiere!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 14 ottobre 2007

Satiricon

Il tempo passa ma sembra che il mondo non sia cambiato granchè...
Echione, rispondendo a Ganimede dice:
"Così va la vita. In fondo, non ci sarebbe patria migliore della nostra , solo che tra noi ci fossero dei veri uomini. Oggi come oggi siamo in crisi, ma non è il solo caso al mondo..."
Ma non è solo la perdita di valori che ci accomuna ai personaggi del Satiricon... il vecchio poeta così parla ad Eumolpo:
"Sono un poeta, e come spero, non da poco, se i premi significano qualcosa, perchè certe volte toccano anche agli immeritevoli. Tu mi chiederai perchè sono così malvestito. E' perchè l'amore del sapere non ha mai arricchito nessuno..."
Parole sante... e sempre valide!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Il primo Faraone Aha (Mens - Menes) o Narmer



Tutte le fonti di storiografia Egizia affermano all'unanimità che Menes fu il primo faraone. Una virtuale conferma di ciò è fornita dalla famosa Pietra di Palermo. Il registro superiore non dà che i nomi, sotto una forma alquanto fantasiosa, di sovrani sui quali l'analista non è evidentemente in grado di fornire altre informazioni. Il secondo registro doveva iniziare certamente con Menes, ma la parte che lo riguarda è andata perduta; per analogia con gli altri due re della I dinastia ricordati nel grande frammento del Cairo si può ritenere con quasi assoluta certezza che vi si trovassero sia il suo nome di Horo che il nome proprio, presumibilmente accompagnato da quello della madre. Sotto l'intestazione gli spazi riservati alla datazione ricordavano senza dubbio anno per anno gli avvenimenti considerati più importanti del suo regno, anche se è probabile che il compilatore, trattandosi di un'epoca tanto remota, abbia attinto in parte alla propria immaginazione. Sarebbe interessante sapere se era ricordata in modo esplicito l'unificazione dei Due Paesi che era per gli Egizi l'evento memorabile da cui ebbe inizio la storia dell'umanità. Un'allusione a questo avvenimento si trova nell'espressione Unione dell'Alto e Basso Egitto; giro delle mura che contrassegna il primo anno di regno di ogni sovrano nella Pietra di Palermo e in altri documenti, e che evidentemente si riferisce alla cerimonia con la quale si legittimava la discendenza del sovrano dal fondatore della dinastia. Le mura nominate dovrebbero essere quelle di Menfi la cui fondazione è attribuita a Menes da Erodoto e, con qualche confusione, anche da Diodoro Siculo. La Stele di Rosetta, a proposito di Menfi, parla dei riti abitualmente compiuti dal re nell'assumere il suo alto uffizio. Lo spostamento della residenza regale da un'ignota località del Sud a questa città dalla stupenda posizione naturale al vertice del delta deve perciò esser considerato una conseguenza diretta dell'instaurazione del duplice reame. Gli altri atti importanti attribuiti a Menes da Erodoto riguardano la creazione di un argine destinato a proteggere Menfi dalle inondazioni del Nilo e la costruzione del tempio di Ptah a sud dei bastioni della città; quest'ultimo avvenimento riceve un'implicita conferma da una tavoletta della XIX Dinastia che nomina il Ptah di Menes. Come si può ben immaginare, data la scarsità di reperti storici e l'imperfetta conoscenza dei geroglifici del periodo, l'identificazione di un re della I dinastia non è mai precisa e certa.
Ecco allora che Menes è da alcuni studiosi identificato con Narmer, mentre secondo altri lui e Aha sarebbero la stessa persona.
Secondo alcuni infine Narmer, Menes e Aha sarebbero state tre persone distinte.


Sabrina BOLOGNI

sabato 13 ottobre 2007

Voglio vivere lentamente

Quando ho cominciato la scuola nel 1954, usavo la penna col pennino e all’inizio delle lezioni la suora versava l’inchiostro nel calamaio inserito nel banco. Poi fu ideata la penna a sfera. Nel 1977 il calcolatore portatile Hewlett Packard a 98 passi di programma con il quale calcolavo i dati di tiro topografici degli obiettivi. Nel 1985, nominato addetto stampa dell’Accademia militare, mi comprai una Lettera 32. Nel 1988 acquisii il computer per l’ufficio. Nel 1989 il primo PC a casa. Nel 1993 il mio primo portatile. Nel 2000 volli capire Internet, cominciai a studiare Html e disegnai il primo orribile sito. Con alcuni miei compagni di corso non mi capisco più: “A Giovà, io nun so manco come s’accende er compiùte!”. Se oggi tornasse in vita mio nonno Romolo (1890-1972), tra email, Internet, IP, troll, computer, Cd, Dvd, Gps, cristalli liquidi, plasma, navigatore satellitare, digitale terrestre, parabola e altre diavolerie con le quali conviviamo non capirebbe più niente.
Quando i miei bisnonni Antonio Busi e Antonietta Matera si sposarono trovarono casa a Napoli in vicolo Rosario di Palazzo 25 (‘O Palazzo ‘a Stamperia, ancora oggi chiamato così perché una volta c’era la Reale stamperia dei Borbone). Ebbero sei figlie; quattro di queste si sposarono e trovarono casa nello stesso Palazzo, lì dove sono nato anche io, a casa dei nonni Romolo Solaro e Filomena Busi. Mia mamma Giacinta sposò un giovanotto (Mario Bernardi), amico di suo fratello Aldo, che abitava al piano di sopra. Oggi una mia amica abita in Abruzzo con il figlio, ha la mamma a Roma e la figlia vive e lavora a Oxford ed è sposata con un algerino. Una volta a Natale si facevano delle tavolate che non finivano più e a Pasqua mio nonno ci benediceva col ramoscello d’ulivo. La famiglia di una volta (la tribù) è esplosa e oggi non è difficile trovare famiglie mononucleari, che è un modo bizzarro per riferirsi a una persona che vive da sola.
Questa lunga premessa per dire che a mio avviso viviamo in un’epoca di cambiamenti radicali della società dovuti un po’ ai progressi fatti dalla scienza e un po’ per evoluzione naturale della società. Ci si è poi messo anche il muro di Berlino e il terremoto ha avuto ripercussioni in tutto il mondo. Stiamo vivendo dei cambiamenti epocali. Non dobbiamo quindi meravigliarci se anche gli uomini politici italiani siano smarriti. Ma non possono mostrarlo agli elettori, perciò proclamano certezze. Certezze che non hanno. E più sono smarriti, più proclamano certezze.
Stiamo rincorrendo il tempo e la tecnologia. Per un po’ io ho cercato di starci dietro, ma a un certo punto mi sono accorto che slittava la frizione e perdevo giri. Cos’è l’iPod? E WiFi? Dovrei comprarli e leggere le istruzioni per cercare di usarli e capire. Una parte della mia libreria è costituita da ‘Istruzioni per l’uso’. Sto cercando di imparare a cucinare, visto che dopo la separazione da mia moglie vivo da solo e da un po’ di tempo, dopo avere fatto la gavetta con i fornelli, mi sono lanciato a usare il forno. “Se usi il forno a microonde ci impieghi molto meno” mi ha detto un’amica (certo, discorsi di cucina mica li posso fare con gli amici maschi). Ah, lo userei pure, ma mio fratello mi ha regalato un microonde con nove programmi e un libretto di istruzioni che sembra l’enciclopedia britannica! Stiamo rincorrendo gli eventi e anche ai Parlamenti bicamerali sta slittando la frizione: non ce la fanno più, perché nel tempo che impiegano a decidere le cose sono cambiate.
In tutto questo, mio nipote Luciano, che non ha ancora quattro anni, arriva a casa mia, prende i due comandi a distanza, inserisce il Dvd e si guarda Shreck. Forse lui riuscirà a vivere più velocemente di me.
Mi viene in mente la scritta sulla maglietta (comprata a Napoli) di un signore che ho incontrato a Sperlonga questa estate. “Il fumo uccide lentamente – E che me ne fotte a mme, io nun vaco ‘e pressa”.
Anche io non ho fretta.
Voglio vivere lentamente.

Giovanni Bernardi

Nuovo collaboratore, Giovanni Bernardi

Salve a tutti, Tuttologi, amici dei Tuttologi e lettori,
Oggi vi presento un nuovo collaboratore, Giovanni Bernardi.
Sono certo che porterà all'Accademia un suo personale contributo... senza stare troppo appresso ai tempi... magari, ma sicuramente interessante!

E allora, ben arrivato Giovanni... e a tutti voi, buona lettura.

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

venerdì 12 ottobre 2007

AUTORITRATTO (1989)

Sono disperato
Di quella tristezza
Inutile che prende
La sera.
Sono uno sconfitto
Felice dei desideri.
Giuseppe MARCHI
(già pubblicato su Differenze. Cultura Duemila Editrice 1992)

A.I.D.S. SAPPIAMO DAVVERO COS'E'?

Cominciamo dal nome completo...
ACQUIRED DEFICIENCY SYNDROME (sindrome da immunodeficienza acquisita).
La sindrome è attribita ad un virus specifico, tale HIV ,che causa la progressiva distruzione delle difese anticorporali esponendo così l'organismo ad un elevato rischio di infezioni e di tumori a livello linfatico. Si trasmette per via EMATICA (siringhe, trasfusioni... e NON dando una mano!)per via SPERMATICA (e NON c'è pericolo nel bere un caffè insieme!) e in caso di gravidanza dalla madre al feto.Sono considerati particolarmente esposti al contagio i tossicodipendenti e gli omosessuali,ma questo non esonera tutti gli altri...c'è una paura fondata dalla troppa informazione sbagliata e si tende ad emarginare e a guardarsi da chi ha fatto scelte di vita sbagliate o da chi si è trovato contagiato. Inutile negare il pericolo, la trasmissione è uno dei lati peggiori di questo virus, ma basta un po' di attenzione.
Oggi facendo il turno in ospedale ci è capitato un signore sieropositivo a cui bisognava suturare una semplice ferita alla mano. E' stato un caos, tutti che avevano qualcosa di più urgente da fare, lasciando così un caso 'bianco' per ore ed ore in sala d'aspetto...
è stato demotivante rendersi conto che c'è gente che lavora in ospedale, che a casa ha appesa la laurea in medicina e poi si comporta da bambino... e così mi sono offerta per questa medicazione... e indovinate un po'? Non ho dovuto neanche insistere!!! Era un signore come tanti... anzi... pieno di paure perché consapevole di poter far del male a qualcuno.Non abbiate timore di una possibile trasmissione, perché il contagio più brutto è l'indifferenza e la non accettazione nei loro confronti.
Non so se sono riuscita a convincervi ma credetemi... offrire un sorriso e stringere una mano senza guardare se si hanno ferite fresche non ha prezzo... la dignità umana non ha prezzo, peccato che a volte, troppo spesso lo dimentichiamo...
Adriana Antonelli