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Il Timeo...______________________________________
Ancora una traduzione del Crizia, grazie ad Angela Drago, questa volta dal Greco... per cui, ritengo, più attendibile della mia!
Una buona lettura a tutti gli appassionati e a presto...
Crizia
Proemio
LA PREGHIERA DEL DIO VISIBILE
TIMEO- non immagini,o Socrate,che sollievo sia l’essermi ora finalmente liberato dal faticoso cammino di quel ragionamento,quasi potessimo godere di una sosta nel nostro lungo viaggio.
1) Supplico dunque quel dio che di fatto nacque nella notte dei tempi
2) e che ora noi,a parole abbiamo fatto rinascere,di consolidare quello che di buono abbiamo detto e se qualche stonatura involontariamente abbiamo inserito in questo nostro discorso,di punirci pure con la giusta pena. E per chi sbaglia una nota la giusta punizione è ricomporre l’armonia. Preghiamolo pertanto perché ci faccia dono della scienza,ossia del medicamento più adatto e più perfetto che ci permetta d’ora innanzi di parlare con cognizione di causa della genesi degli dei.
3) Fatta dunque precedere la preghiera,come s’era d’accordo,passiamo la parola per il seguito del discorso a Crizia.
CRIZIA----- E io l’accetto, Timeo .Però come tu hai fatto all’inizio
4) quando chiedesti l’indulgenza che si concede a chi mette mano a grandi discorsi,così ora pregherò anch’io;anzi sono convinto d‘aver diritto ad una clemenza ancor maggiore per quello che mi accingo a dire. Non ignoro che questa mia richiesta è un po’ temeraria e un po’ troppo brusca,tuttavia ve la faccio ugualmente. Quale uomo ragionevole oserebbe affermare che le tue posizioni non siano valide?Ma quel che ho io da dire ha bisogno di maggiore indulgenza perché è oggettivamente più complesso. Questa è appunto la tesi che intendo dimostrare. Vedi Timeo ,è più facile aver l’aria d’essere all’altezza della situazione quando si parla agli uomini degli dei che non quando si parla fra noi di noi uomini. Nel primo caso l’inesperienza e la totale ignoranza degli ascoltatori facilitano notevolmente il compito di chi si accinge a trattare di tali argomenti con un pubblico così sprovveduto in materia; e a proposito degli dei non ci sfugge certo in quali condizioni ci troviamo. Ma perché sia ancor più chiaro quel che dico , seguite il filo del mio ragionamento. Credo che tutto quanto noi affermiamo non sia altro che imitazione e immagine. Tuttavia proviamo un po’ a considerare la facilità o la difficoltà con cui i ritratti dei corpi umani o divini sono accettati dal pubblico in ordine alla loro fedeltà al modello. Ebbene ci si renderà conto che per quanto riguarda la terra ,i monti, i fiumi,i boschi,il cielo con tutti i corpi che sono e che si muovono intorno ad esso, noi innanzi tutto ci riteniamo già soddisfatti se qualcuno riesce a fare la copia anche solo un po’ uguale al modello. Inoltre, dal momento che non abbiamo un’idea precisa di queste realtà , neppure stiamo ad esaminare nei particolari quelle riproduzioni né le sottoponiamo a critica :ci basta ,in tali casi un’immagine scialba , approssimativa e perfino infedele di questi oggetti. Si provi invece a ritrarre dei corpi umani! Noi stessi,per la conoscenza abituale che ne abbiamo , fattici scrutatori attenti di ogni difetto, ci trasformeremmo in critici severi di chi non sa rendere alla perfezione la somiglianza con la realtà. E lo stesso, bisogna ammetterlo, avviene anche nei discorsi: mentre per i fenomeni divini e celesti ci si accontenta che le cose dette abbiano un minimo di verosomiglianza , per le faccende di questo mondo e per i fatti umani siamo critici esigenti. Se , dunque, con il nostro discorso sul momento improvvisato ,non dovessimo riuscire ad espimere fino in fondo quel che si deve ,è necessario che ci scusiate per questo, pensando che non è certo facile,direi anzi che è decisamente difficile, presentare i fatti umani all’opinione comune.
108 Tutto ciò , Socrate , l’ho detto perché desidero rinfrescarvi la memoria su tali argomenti, e perché siate non meno , ma semmai più indulgenti con me per le cose che sto per dirvi. E se appena vi pare che io meriti un tale favore, non esitate a concedermelo.
SOCRATE---------------------Ma perché non dovremmo ,Crizia? Ed anzi questo stesso favore lo concederemo anche ad Ermocrate, il terzo interlocutore; è evidente infatti che quando di qui a poco, sarà il suo turno di parlare, ci rivolgerà la vostra stessa preghiera. E dunque perché abbia la possibilità di comporre un diverso esordio e non sia costretto ad esporre questo stesso,parli pure contando fin d’ora sulla nostra indulgenza. Però ,caro Crizia, bisogna pur che ti premunisca sullo stato d’animo del pubblico; il poeta che ti ha preceduto 6) ha fatto su di esso un’ottima impressione, sicchè avrai bisogno di non poca clemenza da parte nostra se vuoi porti al suo stesso livello.
ERMOCRATE-------------------TU Socrate,fai a me le stesse raccomandazioni che hai fatto a lui ma ,Crizia mio,è anche vero che a tutt’oggi nessun uomo che si sia perso di coraggio s’è innalzato un monumento al valore. Bisogna allora farsi animo e andare avanti nel discorso invocando Apollo e le Muse e celebrando con inni gli antichi cittadini per la loro virtù.
CRIZIA--------Amico mio Ermocrate, tu fai lo spavaldo perché non sei in prima linea e c’è un altro davanti a te,ma quale difficoltà riservi questa impresa presto te lo mostreranno i fatti. In ogni caso il tuo incitamento e il tuo invito vanno assecondati e non solo agli dei che hai citato ,ma ad altri ancora debbono levarsi le nostre invocazioni e soprattutto a Mnemosine 7)proprio perché da tale dea dipende la parte essenziale del mio discorso. E se ci riuscirà di riportare alla memoria e di comunicare le cose dette a quei tempi dai sacerdoti e qui introdotte da Solone 8), saremo anche riusciti a convincere il pubblico(di questo sono pressoché sicuro)che abbiamo compiuto fino in fondo il nostro dovere. Ordunque mettiamo mano all’impresa senza ulteriori indugi. Per prima cosa non dimentichiamo che in totale sono passati novemila 9) anni da quando divampò la guerra fra gli abitanti delle terre situate oltre le colonne di Eracle 10)e quelli che sono al di qua. Le fasi di tale conflitto vanno ora raccontate nei particolari. A capo di una coalizione c’era la nostra Città che, a quanto si dice sopportò il peso di tutta la guerra. Alla testa dell’altra c’era il re dell’isola di Atlantide che si tramanda essere stata allora un’isola ancor più vasta della Libia e dell’Asia, mentre ai nostri giorni,sprofondata per l’azione di cataclismi ,è ridotta ad un bassofondo melmoso che, frapponendosi come ostacolo, impedisce la rotta fra le nostre terre e l’oceano aperto. Le innumerevoli tribù barbariche, e le diverse stirpi elleniche che c’erano allora le incontreremo e ci appariranno chiaramente una per una ,man mano si tireranno le fila del discorso. Ma degli ateniesi e degli avversari di allora con i quali si misurarono,della loro forza e delle loro istituzioni , bisogna che si parli fin d’ora che siamo agli inizi:proprio di questi allora è bene anticipare la trattazione. A quei tempi gli dei si erano divisi a sorte, paese per paese , tutta quanta la terra senza che insorgesse alcun motivo di lite. Sarebbe infatti inconcepibile che gli dei ignorassero ciò che a ciascuno di loro conveniva, oppure che,ben sapendo quello che più era confacente ad altri,alcuni avessero voluto impossessarsene al prezzo di contese. Avvenne dunque che essi ottennero, per via del sorteggio fatto da Giustizia, proprio quelle regioni che desideravano e così si misero a colonizzarle. Dopo di che ,come fa il pastore con i suoi armenti,così anch’essi allevarono noi uomini che eravamo per loro, possesso e gregge. Con una differenza però:che gli dei non usavano corpi per costringere altri corpi ,nel modo che i pastori usano per tenere il gregge,cioè a suon di bastonate,ma come per lo più si condurrebbe un animale domestico: cioè guidandolo da tergo. Così appunto gli dei conducevano e dirigevano la stirpe umana : secondo il loro disegno ,con la forza della persuasione ne tenevano l’animo quasi ne reggessero il timone. Ma mentre tutti gli altri dei, chi in un posto chi in un altro, accudivano alle terre ottenute in sorte. Efesto ed Atena 11),forse perché avevano natura affine essendo figli dello stesso padre, o forse perché avevano le stesse aspirazioni , mossi com’erano dall’amore per il sapere e per l’arte,ebbero ambedue in sorte quest’unica regione, come loro terra di elezione, spontaneamente fertile di virtù e saggezza. Così in essa fecero nascere uomini virtuosi e ispirarono nelle loro menti l’ordine politico. I nomi di costoro sono giunti fino a noi; non così la memoria delle loro opere a causa dell’estinzione di chi doveva tramandarla e della distanza del tempo. Come prima si è detto 12) la razza che di volta in volta sopravviveva, era quella che, abitando sui monti era priva di cultura e dei signori della pianura aveva sentito solo i nomi e, al massimo ,qualche gesta, ma esclusivamente per accenni. Tali uomini erano bensì compiaciuti di imporre questi nomi ai loro figli, ma non si curavano degli avvenimenti dei tempi remoti ,o perché erano all’oscuro delle virtù e delle leggi di quegli antichi, o perché avevano un’imprecisa conoscenza per sentito dire o perché mancando loro e i loro figli per generazioni e generazioni del necessario e per vivere, non potevano fare a meno di preoccuparsi di questi bisogni, riservando a ciò ogni loro pensiero. Lo studio dei miti e la ricerca accurata degli eventi della storia antica subentrarono nella città, quando si poté constatare che almeno alcuni avevano soddisfatto gli elementari bisogni della vita; prima infatti non avrebbero potuto. Ecco allora perché di quei progenitori si sono salvati solo i nomi e non la memoria delle imprese. D’altra parte ,di queste affermazione posso anche fornire la prova. Solone riferisce che i sacerdoti ,. Descrivendo la guerra di allora, citavano a più riprese i nomi di Checrope, Eretteo, Erittonio, Erisittone 13)e di altri che per lo più si ricordano come vissuti prima di Teseo. E lo stesso vale per il nome delle donne. Inoltre ,dato che allora l’impegno della guerra era ugualmente condiviso da uomini e donne , perfino nella figura e nelle statue,la sacra effigie della dea, in linea con questa consuetudine, era rappresentata armata di tutto punto. Del resto questa usanza è legittimata dal fatto che tutti gli animali maschi di una stessa razza e le loro femmine sono per natura capaci di assolvere in comune i compiti specifici della loro specie.
In queste regioni, dunque abitavano quelle diverse classi di cittadini che si occupavano della produzione di beni di consumo o dei prodotti della terra. La classe dei guerrieri invece, fin dall’inizio tenuta separata dagli altri,certo per decisione di uomini divini,abitava in disparte e disponeva di tutto il necessario per vivere ed educarsi. Tuttavia nessuno di questi guerrieri possedeva qualcosa in proprietà, ma ognuno riteneva che tutto fosse di proprietà comune e oltre al necessario per vivere, niente pretendeva dagli altri cittadini. Il loro compito consisteva nell’assolvere a quelle funzioni che ieri illustrammo 14) trattando dei nostri ipotetici guardiani.
Passando al nostro paese ,una tradizione attendibile e fondata, vuole che i confini entro cui originariamente si estendeva,giungessero sino all’istmo e per il resto, dalla parte del continente, fino alle vette del Citarone e del Parnete per poi discendere verso destra e comprendere il territorio di Oropia 16) e verso sinistra in direzione del mare, lasciando fuori l’Asopo.17) La nostra regione poi superava tutte le altre in fertilità, sicché allora poteva sostentare anche un grande esercito senza costringerlo a lavorare la terra. Ed ecco una prova convincente di ciò: quella parte della nostra terra che ci resta ancor oggi, non teme rivali per fertilità e produttività e anche per la ricchezza di pascoli adatti a tutti gli animali; solo che allora, alla eccellenza dei frutti si aggiungeva anche una straordinaria abbondanza. Ma come credere a tutto ciò? E su quale base sostenere che questa terra che ci è rimasta è una parte di quella di allora? Essa si protende tutta per un lungo tratto fuori dal resto del continente, verso il mare, configurandosi come un promontorio; inoltre il bacino del mare che la circonda scende a dirupo per tutta la costa. Ora dato che durante questi novemila anni –corrispondenti al periodo che intercorre tra quella era e la nostra 18) -si susseguirono sconvolgimenti tellurici in gran numero e di grande intensità, lo scorrimento della terra dalle zone più elevate in quei tempi, sottoposto com’era a tali sollecitazioni, non formò defluendo argini naturali di un certo rilievo, quali si formano negli altri posti, ma scivolò giù sparendo nelle profondità del mare. Insomma come succede nelle piccole isole, quel che resta oggi nel nostro paese, rispetto a quel che c’era allora, è simile alle ossa di un corpo malato; tutta la terra soffice e grassa è defluita ed è rimasto solo lo scheletro nudo della regione. Certo che allora, prima di essere sconvolto, il nostro paese aveva monti ricchi di terra, e anche quelle pianure che oggi sono dette pietrose a quei tempi erano piene di terra buona; e si aveva abbondanza di selve sui monti, delle quali ancora oggi si trova traccia. Da alcuni dei monti che oggi sono appena in grado di alimentare le api, no è molto che si tagliavano gli alberi per costruire tetti a grandi edifici di cui alcuni sono ancora intatti. C’era poi un alto numero di alberi coltivati di alto fusto e la terra offriva pascoli a non finire per il bestiame. Allo stesso modo anche l’acqua piovana che Zeus mandava ogni anno no andava sprecata come invece succede oggi che si perde scorrendo sulla nuda terra verso il mare. In quei tempi in effetti ,il suolo ne aveva in sé molta e molta altra ne tratteneva distribuendola negli strati di terra argillosa; così l’acqua che defluiva dai monti scorrendo verso le valli permetteva che in ogni luogo ci fosse un flusso abbondante sotto forma di sorgenti e di fiumi. E la verità di queste mie affermazioni sulla nostra terra è dimostrata dai sacri templi che ancora oggi sono in prossimità delle antiche fonti. Questa dunque era la morfologia del resto della nostra regione, la quale peraltro era tenuta in perfetto ordine da veri contadini, specializzati nel loro mestiere, dotati di un particolare gusto per il bello e di buone doti naturali, e padroni di una terra di ottima qualità e ricchissima d’acqua, e oltre che dalla terra, favoriti anche da un clima straordinariamente temperato.
Passiamo ora alla città, per dire com’era allora il suo assetto urbanistico. In primo luogo l’acropoli di quei tempi era sistemata in modo diverso rispetto a quella d’oggi. Ora,le violente precipitazioni di una sola notte- ma a queste si devono aggiungere anche i sommovimenti tellurici e un’alluvione di inusitata violenza,la terza prima del micidiale diluvio dei tempi di Deucalione 19)- , avendo trascinato via il terreno tutto intorno l’ha completamente privata della terra. Allora ,in quei tempi, l’acropoli era così ampia da arrivare fino all’eridano e all’Ilisso , e da comprendere al suo interno anche la Pnice; praticamente si estendeva fino al Licabetto 20)dalla parte opposta dell’Apnice. Inoltre fin nella sommità non mancava di terra ed era , tranne che in pochi luoghi, pianeggiante. La parte esterna e le falde dell’acropoli erano abitate dagli artigiani e dai contadini che lavoravano lì intorno; ma la parte alta ,nella zona del tempio dedicata ad Atena ed Efesto era occupata esclusivamente dalla classe dei guerrieri, che anzi l’avevano completamente circondata con un muro di cinta quasi si trattasse del parco di un’unica villa. Questi abitavano nella parte esposta a nord dove erano stati dislocati gli alloggiamenti e le mense comuni invernali, e tutto quanto serviva alla vita collettiva in fatto di abitazioni e di templi; non c’era posto ,invece, né per l’oro né per l’argento di cui peraltro non facevano alcun uso. Cercavano invece il giusto mezzo fra un abbondanza eccessiva 21) e la miseria e in conformità di ciò si erano costruiti delle case decorose, nelle quali essi stessi coi rispettivi nipoti rimanevano fino all’età della vecchiaia,per poi tramandarle ad altri uomini della loro medesima indole. Le parti esposte verso sud erano usate per scopi non diversi nel periodo estivo allorchè venivano abbandonati i giardini, le palestre e i refettori comuni. C’era una sola fonte nel luogo dove ora c’è l’Acropoli, solo che oggi ,essendo stata inaridita dai terremoti, al suo posto non restano che piccole polle sparse tutt’intorno; e pensare che allora forniva a tutti acqua fresca sia d’estate che d’inverno, in abbondanza. Tale era ,dunque, il loro regime di vita, ed essi ad un tempo difensori dei loro concittadini e guide ben accette agli altri greci, badavano soprattutto che il numero degli uomini e delle donne già in età di soldato o ancora in età da soldato ,rimanesse sempre quanto più è possibile costante,cioè sulle ventimila unità. Questa ,dunque era la loro indole e nel modo che s’è detto essi non cessavano di dirigere l’Ellade e la loro città secondo giustizia. Così finirono col guadagnarsi grande fama per tutta l’Europa e in Asia e per l’avvenenza dei corpi e per la varietà di virtù delle loro anime, al punto che fra tutti i popoli di quei tempi divennero i più celebri.
Quanto alle originarie condizioni di vita dei loro avversari,ora faremo parte a voi che siete amici a cui tutte le cose sono comuni, di quello che abbiamo sentito raccontare da bambini,22) almeno per quanto la memoria ci consente di fare.
Ma prima di iniziare il discorso, devo premettere una breve spiegazione affinché non vi meravigliate a sentire sovente chiamare con nomi greci uomini barbari.
Ecco dunque il motivo di ciò. Solone allorché concepì il progetto di servirsi di questo racconto nei suoi poemi, si informò sul significato di tali nomi e venne a sapere che gli Egiziani, essendo i primi ad averli trascritti, li avevano pure tradotti nelle loro lingua. A tal punto egli, ricostruito il senso di ciascun nome, lo traslitterò nella vostra lingua. Ebbene questi scritti li aveva mio nonno, ora li possiedo io che nella mia giovinezza li ho letti e riletti. Ci siamo dunque intesi che ne udrete nomi analoghi a quelli qui in uso ,non dovrete stupirvi dato che il motivo lo conoscete. Così incominciava la nostra lunga storia. All’inizio s’era parlato dell’estrazione a sorte fra gli dei24). S’era detto che tutta la terra era divisa in lotti, a volta più estesi, a volte meno e che in ciascuno di questi le divinità avevano disposto un culto e un rituale in proprio onore. Non faceva eccezione neppure Poseidone, il quale ottenuta in sorte l’isola di Atlantide, fissò la dimora per i figli che aveva avuto da una donna mortale in un certo luogo dell’isola che aveva all’incirca questa conformazione. Dal mare al centro dell’isola era tutta una pianura, certo fra tutte le pianure la migliore e a quanto si dice anche la più fertile. Non distante dalla pianura , circa cinquanta stadi 25) dal suo centro si ergeva un monte non molto elevato in ogni sua parte. Qui aveva dimora uno degli uomini che originariamente erano nati dalla terra; il suo nome era Euenore ed abitava con la moglie Leucippe. Ebbereo una sola figlia, Clito la quale non appena fu in età da marito rimase orfana di padre e di madre. Poseidone, preso da passione, giacque con lei. Così scavò tutt’intorno quell’altura in cui la fanciulla abitava, formando come dei cerchi concentrici, alternativamente di mare e di terra ora più larghi ora meno larghi: due di terra e tre di mare quasi fossero circonferenze con centro nell’isola e da essa perfettamente equidistanti. In quel modo quel luogo risultava inaccessibile agli uomini, tenuto conto del fatto che allora non c’erano ancora né le navi né l’arte della navigazione. Lo stesso Poseidone poi,in quanto dio, non ebbe difficoltà a rendere splendida l’isola che stava al centro suscitando due fonti dalla terrra - l’una che scorreva dalla sorgente in un rivo d’acqua calda, l’altra d’acqua fredda e , facendo spuntare dal suolo ogni genere di pianta commestibile in grande quantità.
Mise alla luce e allevò cinque coppie di gemelli maschi, dopo di che,divisa tutta l’isola di Atlantide in dieci parti,al primo nato dalla coppia più anziana attribuì la casa della madre e il lotto di terreno circostante- era in effetti il più vasto e il migliore, consacrandolo re degli altri fratelli. Ma anche ognuno di costoro ebbe una parte di potere concedendogli il dio, autorità su molti uomini e su un vasto territorio. A tutti diede inoltre un nome. In particolare chiamò il più anziano, quello che divenne re,col nome che poi designò tutta l’isola e il mare così detto Atlantico. Questo nome dato al primo sovrano fu appunto Atlante. Al suo gemello nato dopo di lui e a cui era toccata in sorte la parte estrema dell’isola- la parte spostata verso le colonne d’Eracle,nella zona in cui oggi c’è la regione della Gadiria 26) che prende appunto il nome da quella zona- diede il nome di Gadiro – così suona nella lingua locale; in greco sarebbe invece Eumelo, il quale passò poi a denominare quella regione. I gemelli della seconda coppia furono chiamati rispettivamente,Amfere ed Evemone. Il primo nato dalla terza coppia ebbe nome Mnesea il secondo Autoctono. Elasippo e Mestore furono nell’ordine il primo e il secondo generato dalla quarta coppia, ed Azaes e Diaprepes il nomee del più vecchio e del più giovane della quinta27).